lunedì 26 aprile 2010

SABATO SCORSO L'ATTO VANDALICO. LA SORELLA DEL GIUDICE: «PALERMO NON DORME>

SABATO SCORSO L'ATTO VANDALICO. LA SORELLA DEL GIUDICE: «PALERMO NON DORME>
Si "ripopola" l'albero di Falcone
Napolitano manda un nuovo messaggio
La magnolia devastata è di nuovo piena di messaggi e foto. Don Ciotti: «Spogliarlo è un atto vano»

Si "ripopola" l'albero di Falcone
Napolitano manda un nuovo messaggio

La magnolia devastata è di nuovo piena di messaggi e foto. Don Ciotti: «Spogliarlo è un atto vano»

Nuovi messaggi sull'albero di Falcone (Ansa)
Nuovi messaggi sull'albero di Falcone (Ansa)
PALERMO - «L'albero non si tocca»: il messaggio è anonimo ma chiaro. Ed è uno dei tanti lasciati tra domenica e lunedì mattina sull'albero di Falcone. La grande magnolia in via Notarbartolo, che ha le sue radici davanti all'edificio nel centro di Palermo dove abitava il giudice ucciso da Cosa Nostra, è stata «sfregiata» sabato scorso: sono stati rubate centinaia di lettere, oltre a disegni e altre testimonianze lasciate negli anni sulla pianta per ricordare il sacrificio del magistrato, massacrato a Capaci assieme alla moglie e a tre agenti di scorta. La risposta dei palermitani a questo atto vandalico però non si è fatta attendere. E ora la magnolia simbolo della lotta alla mafia è di nuovo piena di messaggi, foto, pensieri. «Tranquillo Giovanni, renderemo questo albero ancora più bello di prima. Siamo tutti con te», recita uno dei «pizzini» lasciati sull'albero di via Notarbartolo.

«LA GENTE NON DORME» - «È stata una bella risposta di Palermo. In questa città la gente non dorme» ha detto Anna Falcone, sorella del giudice assassinato dalla mafia. Spogliare l'albero di Falcone dei ricordi, delle immagini, dei disegni, delle parole che lo arricchiscono è un atto vile quanto vano. Quell'albero ha infatti radici nell'impegno di molti» ha sottolineato don Luigi Ciotti, presidente di Libera.

L'OMAGGIO DEL COLLE - Il primo a rendere testimonianza dell'affetto dei palermitani verso l'albero di Falcone era stato domenica il sindaco della città, Diego Cammarata, che aveva affisso il manifesto «Eroi per sempre» che raffigura insieme Giovani Falcone e Paolo Borsellino. E non si è fatta attendere la dimostrazione di solidarietà del capo dello Stato Giorgio Napolitano. L'inquilino del Colle, che l'11 dicembre 1992 nella responsabilità di Presidente della Camera aveva deposto un messaggio all«'albero di Falcone», ha raccolto l'appello di Maria Falcone, Rita Borsellino e Piero Grasso a ricostituire prontamente il depredato patrimonio di memoria dell«'albero». Napolitano ha affidato al Prefetto di Palermo l'incarico di porre sulla pianta che testimonia l'impegno collettivo nella lotta alla criminalità organizzata un suo rinnovato messaggio con le espressioni, rese lo scorso anno a Palermo nella manifestazione «Per non dimenticare» con studenti giunti da tutta l'Italia, di omaggio a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino «servitori dello Stato eccezionali per lealtà e professionalità, grandi magistrati, coraggiosi e sapienti combattenti per la causa della legalità, in difesa della libertà e dei diritti dei cittadini».

Redazione online
26 aprile 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
by corriere .it

anno 1992 che anno di merda per l italia. un caso o voluto ?

17 gennaio: approvazione definitiva alla Camera (con voto di fiducia) del decreto sulla Direzione nazionale antimafia, fortemente sostenuta dal giudice Giovanni Falcone, direttore generale degli Affari penali del ministero di Grazia e Giustizia.
18 gennaio: Giampiero Borghini abbandona il Pds e viene eletto sindaco di Milano.
30 gennaio: la prima sezione della Cassazione conferma le condanne ai capimafia imputati nel maxiprocesso di Palermo, istruito dai magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Andreotti presenta alle Camere il rendiconto del suo governo che ha, dice, esaurito il suo compito.
2 febbraio: il presidente della Repubblica Francesco Cossiga scioglie le Camere e indice le elezioni per il 5 aprile.
3 febbraio: il procuratore capo del tribunale di Roma firma la richiesta per l'archiviazione del caso Gladio, la struttura paramilitare segreta in funzione anticomunista.
17 febbraio: Mario Chiesa, presidente socialista dello storico ospizio Pio Albergo Trivulzio, viene arrestato in flagrante dal capitano dei carabinieri Roberto Zuliani mentre nasconde una tangente di 7 milioni. E' il primo clamoroso provvedimento dell'inchiesta sulla corruzione politica "Mani pulite" avviata da Antonio Di Pietro, magistrato della Procura di Milano.
3 marzo: Bettino Craxi, segretario del Partito socialista italiano, in un'intervista, riferendosi a Mario Chiesa, dichiara: "Una delle vittime di questa storia sono proprio io... Mi trovo davanti a un mariuolo che getta un'ombra su tutta l'immagine di un partito...". La frase viene riferita in carcere al "mariuolo" in questione, che, a fine mese dopo aver a lungo meditato, rompe il silenzio e firma le prime confessioni.
4 marzo: il ministro del Bilancio Cirino Pomicino annuncia che sarà necessario fare una manovra aggiuntiva per i conti pubblici del '92, già fuori dalle stime della finanziaria.
12 marzo: a Palermo in viale delle Palme, in piena campagna elettorale, viene ucciso Salvo Lima, deputato della Democrazia cristiana al Parlamento europeo.
25 marzo: si scopre un buco da 32.200 miliardi nei conti pubblici.
27 marzo: il presidente della Repubblica Francesco Cossiga afferma di temere i rischi dell'ingovernabilità e ripropone la repubblica presidenziale.
5 aprile: elezioni politiche, tracollo dei maggiori partiti di governo (la Dc perde 5 punti scendendo sotto il 30%, il Psi limita il calo dal 14,3 al 13,6%) e del Pds, trionfo della Lega di Umberto Bossi, 8,7% a livello nazionale (55 deputati e 25 senatori).
16 aprile: i giudici del tribunale di Milano accolgono le richieste del pubblico ministero per il caso Ambrosiano: diciannove anni a Umberto Ortolani, diciotto anni e sei mesi a Licio Gelli, sei anni e quattro mesi a Carlo De Benedetti, cinque anni e sei mesi a Giuseppe Ciarrapico.
21 aprile: deviato il fiume di lava dell'Etna dopo settimane di eruzione, dal Nord si grida: "Forza Etna".
22 aprile: arrestati con un unico blitz otto imprenditori milanesi, per il mondo degli affari è uno shock. Gli otto arrestati escono da San Vittore dopo aver firmato confessioni più o meno ampie. Da quel momento decine di imprenditori, persuasi in molti casi dai propri avvocati, si presentano spontaneamente alla Procura di Milano: questo fenomeno delle "code per confessare" proseguirà fino all'estate del 1993.
23 aprile: comincia l'XI legislatura.
24 aprile: Giovanni Spadolini è rieletto presidente del Senato. Oscar Luigi Scalfaro è il nuovo presidente della Camera. Si dimette il governo Andreotti.
25 aprile: con un discorso di quarantacinque minuti teletrasmesso, il presidente della Repubblica Francesco Cossiga annuncia le sue dimissioni.
28 aprile: Cossiga firma le dimissioni e lascia il Quirinale. Il presidente del Senato Spadolini assume la supplenza in attesa della nomina del nuovo presidente della Repubblica.
1 maggio: primi avvisi di garanzia a parlamentari in carica: sono gli ex sindaci socialisti di Milano, Carlo Tognoli e Paolo Pillitteri.
4 maggio: la scala mobile degli statali viene congelata.
6 maggio: arresti di Massimo Ferlini (Pds) e dei segretari cittadini e regionali della Dc, Maurizio Prada e Gianstefano Frigerio. Nella richiesta di rinvio a giudizio per gli appalti sui lavori per la metropolitana i magistrati descriveranno una spartizione matematica delle tangenti fra i partiti che contano a Milano: 36% al Psi; 18,5% ciascuno per Dc e Pci-Pds; 17% al Psdi; 8% al Pri. Il Pci milanese, stando agli stessi "cassieri" Dc e Psi, è entrato nel "sistema trasporti" solo nel 1987: prima di quell'anno, gli altri partiti si dividevano quote maggiori.
13 maggio: primo avviso di garanzia al segretario amministrativo nazionale e senatore della Dc Severino Citaristi. Ne riceverà più di 70, finirà per confessare di aver girato al partito "oltre 100 miliardi" di finanziamenti illeciti.
23 maggio, ore 17:58: strage di Capaci (sull'autostrada Palermo-Punta Raisi), muoiono Giovanni Falcone, già magistrato a Palermo, la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato e gli agenti di scorta Antonio Montinari, Rocco Di Cillo e Vito Schifani. Unico superstite l'agente Giuseppe Costanza che viaggiava sull'automobile guidata da Falcone.
25 maggio: a Palermo si celebrano i funerali del giudice Falcone, della moglie e degli agenti della scorta. Al sedicesimo scrutinio a Roma il Parlamento elegge Oscar Luigi Scalfaro, settantatré anni, democristiano, Presidente della Repubblica italiana, con 672 voti di Dc, Pds, Psi, Psdi, Pli, Verdi, Rete e Lista Pannella, dopo numerose votazioni in cui nessun candidato (Forlani, Vassalli ecc.) aveva raggiunto il numero di voti necessario.
30 maggio: consegnata alla commissione per le autorizzazioni a procedere la richiesta di poter indagare su sei parlamentari: Carlo Tognoli e Paolo Pillitteri entrambi del Psi, Severino Citaristi (Dc), Antonio Del Pennino (Pri), Renato Massari (Psdi) e Gianni Cervetti (Pds). A rivolgersi al Parlamento sono quattro pubblici ministeri di Milano. Il capo della procura Francesco Saverio Borrelli, il suo vice Gerardo D'Ambrosio e i sostituti Gherardo Colombo e Antonio Di Pietro. All'assemblea annuale della Banca d'Italia il governatore Carlo Azeglio Ciampi chiede al futuro governo di avviare immediatamente il risanamento della finanza pubblica con una manovra da 30.000 miliardi per il '92, e una da 100.000 per il '93.
giugno: si toglie la vita Renato Amorese, lasciando un messaggio politico imprevedibile: una lettera disperata, con un grazie a Di Pietro.
17 giugno: con il ritiro della candidatura Craxi si sblocca la crisi di governo. Il segretario del Psi propone al presidente della Repubblica una rosa di tre nomi: Giuliano Amato, Gianni De Michelis e Claudio Martelli.
27 giugno: centomila persone manifestano a Palermo contro la mafia nel ricordo di Giovanni Falcone.
28 giugno: il deputato e dirigente del Partito socialista Giuliano Amato diventa presidente del Consiglio dei ministri sostenuto da un quadripartito formato da Dc-Psi-Psdi-Pli.
3 luglio: Craxi dice alla Camera dei deputati: "Chi è senza peccato scagli la prima pietra".
5 luglio: a difesa della lira la Banca d'Italia aumenta il tasso di sconto, dal 12% al 13%.
10 luglio: il governo vara una manovra economica da 30.000 miliardi per risanare il disavanzo dello Stato.
16 luglio: arrestato per corruzione aggravata e continuata Salvatore Ligresti, uno dei più importanti uomini d'affari italiani. La Banca d'Italia aumenta per la terza volta in sette mesi il tasso di sconto.
19 luglio ore 13:45: strage di via D'Amelio (Palermo), muoiono il giudice Paolo Borsellino e gli agenti di scorta Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi, prima donna poliziotto ad aver perso la vita in un attentato della mafia.
20 luglio: Ciampi ritiene la manovra economica del governo "necessaria, ma ancora insufficiente". Il governo invia in Sicilia duemila fra poliziotti e carabinieri e settemila soldati (operazione "Vespri Siciliani") di cui ottocento sono utilizzati a Palermo per presidiare i luoghi a maggior rischio (Tribunale, residenze magistrati, ecc.). I più importanti boss siciliani in carcere vengono trasferiti nel penitenziario di Pianosa.
21 luglio: a Palermo si celebrano i funerali del giudice Borsellino e degli agenti della scorta. Partecipa anche Vincenzo Parisi, capo della Polizia, all'uscita dalla chiesa rischia di essere malmenato da poliziotti e amici delle vittime, causa il gran dolore e la rabbia per aver subito un altro attentato a pochissimi giorni da quello di Capaci.
23 luglio: un rapporto dell'arma dei carabinieri annuncia un attentato al giudice Di Pietro.
26 luglio: il presidente Scalfaro critica duramente il senatore leghista Miglio che propone di staccare la Sicilia dall'Italia.
31 luglio: firma dell'accordo sul lavoro fra il governo Amato e i sindacati confederali (CGIL-CISL-UIL), viene abolita la scala mobile, bloccati i salari fino a tutto il 1993 in cambio di un forfait di 20.000 lire al mese, aumentate le tasse sugli scatti retributivi maggiormente elevati.
13 agosto: il ministro della Giustizia Claudio Martelli apre un'inchiesta sull'operato della prima sezione penale della corte di cassazione presieduta da Corrado Carnevale.
22 agosto: duro corsivo del quotidiano del Psi contro il giudice Di Pietro accusato di essere "tutt'altro che un eroe" e di condurre un'inchiesta nella quale "vi sono diversi aspetti non chiari e non convincenti".
28 agosto: il marco sale al tetto massimo di oscillazione consentito dal Sistema Monetario Europeo (Sme): 765,40 lire.
1 settembre: il ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio chiede altri 10.000 miliardi per la manovra finanziaria al fine di compensare il maggior costo del debito causato dal livello record degli interessi.
2 settembre: prima che arrivi in Parlamento la richiesta di autorizzazione a procedere nei suoi confronti muore suicida Sergio Moroni. In una lettera al presidente della Camera Napolitano scrive: "Un grande velo di ipocrisia (condivisa da tutti) ha coperto per lunghi anni i modi di vita dei partiti e i loro sistemi di finanziamento", non si dice innocente o perseguitato, ma denuncia "un processo sommario, violento, in cui la ruota della fortuna assegna ai singoli il compito di vittime sacrificali". A proposito del suicidio Craxi dichiara: "c'è chi ha creato un clima infame".
4 settembre: la Banca d'Italia porta il tasso di sconto dal 13,25 al 15%. Amato dichiara che l'Italia, d'accordo con la Cee, non ha intenzione di svalutare.
6 settembre: Giuseppe Madonia, latitante dal 1984 e considerato uno dei mandanti degli omicidi di Falcone e Borsellino, viene arrestato dalla polizia in provincia di Vicenza.
7 settembre: stop alle pensioni baby: i dipendente statali non potranno più andare in pensione dopo soli vent'anni di servizio.
9 settembre: il governo chiede al Parlamento di approvare una legge delega che gli consenta di cancellare spese, aumentare tasse, bloccare i salari pubblici ogni volta che la Banca d'Italia dichiari l'emergenza economica.
10 settembre: maggioranza e opposizione criticano la richiesta di Amato per una legge delega con pieni poteri in materia economica per tre anni. Il governatore della Banca d'Italia rifiuta di assumere un ruolo assegnatogli "a sua insaputa".
11 settembre: il presidente della Repubblica Scalfaro contrario ai pieni poteri al governo in materia economica.
13-17 settembre: crisi finanziaria (svalutazione della lira e successiva uscita dallo SME, il sistema monetario europeo), per arginarla il governo Amato è costretto a varare una legge finanziaria da 100.000 miliardi (aumento dell'età pensionabile, aumento dell'anzianità contributiva, blocco dei pensionamenti, minimum tax, patrimoniale sulle imprese, prelievo sui conti correnti bancari, introduzione dei ticket sanitari, tassa sul medico di famiglia, imposta comunale sugli immobili (Ici), blocco di stipendi e assunzioni nel pubblico impiego, privatizzazioni ecc.).
17 settembre: ucciso a Palermo Ignazio Salvo, ex proprietario delle esattorie siciliane, da tempo sospettato di collusioni con la mafia.
22 settembre: il segretario della CGIL, Bruno Trentin, viene contestato a Firenze nel corso di una manifestazione sindacale contro la manovra economica del governo.
26 settembre: duecentomila pensionati manifestano a Roma contro la manovra del governo e i tagli alla previdenza.
28 settembre: la Lega nord trionfa nelle elezioni provinciali di Mantova raggiungendo il 34%. Crollano Dc e Psí.
30 settembre: con una lettera Claudio Martelli e quindici importanti esponenti socialisti invitano Craxi a dimettersi.
ottobre: per favorire un clima di maggiore fiducia sulla situazione economica nazionale, il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, si reca personalmente in Banca d'Italia dal governatore Carlo Azeglio Ciampi. E' la prima volta in assoluto, precedentemente era stato sempre il governatore ad essere convocato al Quirinale.
ottobre 1992 - aprile 1993: a Milano indagini e arresti legati a Eni, Ferrovie, Anas, Enel, ministeri della Sanità e delle Poste. La procura di Roma solleva un conflitto di competenza e ottiene le indagini Anas, ministero delle Poste e Intermetro: a Roma finirà con prescrizioni e assoluzioni.
1 ottobre: il governo chiede alla Cee un prestito di ventimila miliardi.
2 ottobre: sciopero nazionale del pubblico impiego contro la manovra economica.
5 ottobre: la lira tocca un nuovo minimo storico nei confronti del marco, 940, mentre il dollaro sale a 1.300.
7 ottobre: la Lega nord invita gli italiani a non comprare più i titoli di Stato.
12 ottobre: Mino Martinazzoli è il nuovo segretario politico della Dc.
13 ottobre: sciopero generale, dure contestazioni dei lavoratori in varie città contro la manovra economica e il blocco della scala mobile: a Milano è ferito Sergio D'Antoni, segretario della Cisl.
15 ottobre: avviso di garanzia per corruzione, ricettazione e violazione della legge sul finanziamento dei partiti a Vincenzo Balzamo, segretario amministrativo del Psi. Brusca flessione della produzione industriale.
22 ottobre: i giudici di Palermo accertano che Lima fu ucciso dalla mafia per non aver mantenuto la promessa di far assolvere in Cassazione i boss condannati nel maxi processo ed emettono un ordine di cattura per 24 esponenti della "cupola" mafiosa, ritenuti i mandanti dell'omicidio. Il Csm nomina Bruno Siclari procuratore nazionale antimafia.
29 ottobre: con quattrocento voti favorevoli quarantasei contrari e diciotto astenuti, la Camera dei deputati approva in via definitiva la ratifica del trattato di Maastricht, che, in vista della futura unione monetaria europea, vincola gli Stati a dei rigorosissimi parametri di finanza pubblica (inflazione, deficit/pil, deficit annuale/pil annuale).
31 ottobre: Ciampi dichiara che la manovra del governo ha già avuto effetti positivi sulla lira e sui titoli di Stato.
2 novembre: per i postumi di un infarto muore Vincenzo Balzamo, segretario amministrativo del Psi.
3 novembre: l'Istat segnala un aumento della disoccupazione di 202 mila unità. Si allarga l'indagine della magistratura sulla massoneria.
16 novembre: Tommaso Buscetta, il pentito di Cosa Nostra protagonista del maxiprocesso, per otto ore depone spontaneamente alla commissione parlamentare antimafia: "Il terzo livello non esiste. E' la mafia che usa i politici e non il contrario. Anche se per alcuni delitti all'interesse della mafia può sovrapporsi l'interesse di altre identità. I nomi li farò soltanto ai giudici".
19 novembre: la Camera dei deputati approva la legge finanziaria per il 1993. Il pentito Leonardo Messina afferma che è stato il boss Totò Riina a decidere la strage di Capaci.
27 novembre: si dimette il sindaco socialista di Napoli Nello Polese e partono le richieste di autorizzazione a procedere nei confronti del ministro De Lorenzo e dell'onorevole Di Donato.
28 novembre: Mario Chiesa, il primo imputato dell'inchiesta "Mani pulite", condannato a sei anni di reclusione per tangenti e al risarcimento di sei miliardi.
29 novembre: la Lega nord non è riuscita a trovare alleati per governare la provincia di Mantova che tornerà a votare in primavera.
7 dicembre: Ciampi afferma di temere la svalutazione e invita le banche a ridurre i tassi di interesse.
9 dicembre: il pentito Tommaso Buscetta torna negli Stati Uniti perché non si sente adeguatamente protetto.
13 dicembre: nelle elezioni locali in 55 comuni, fra i quali Varese e Monza, dove stravince, la Lega diventa il secondo partito nel nord, la Dc e il Psi si dimezzano, il Pds mantiene le posizioni.
15 dicembre: primo avviso di garanzia al segretario del Partito socialista Bettino Craxi per corruzione, ricettazione e violazione del finanziamento pubblico ai partiti.
17 dicembre: Craxi non lascia la guida del partito affermando che l'avviso di garanzia è una vera e propria aggressione personale.
19 dicembre: arrestato l'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino che era in procinto di lasciare l'Italia.
21 dicembre: crolla la produzione. L'Istat e il centro studi della Confindustria confermano: è recessione.
23 dicembre: viene arrestato Bruno Contrada, numero uno del S.I.S.DE. in Sicilia (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica), accusato da un gruppo di pentiti di collusione con la mafia.
29 dicembre: nel 1993 si prevedono quattrocentomila posti di lavoro in meno. Polemiche sulle dichiarazioni del capo della polizia Parisi che sembrano screditare i pentiti sul caso Contrada.
30 dicembre: vengono confermate le voci di un attentato al giudice milanese Di Pietro.
http://digilander.libero.it/inmemoria/italia_1992.htm
31 dicembre: nel suo primo messaggio di Capodanno il presidente Scalfaro invita i giudici a proseguire nelle indagini, i partiti a rinnovarsi, il Parlamento a fare le riforme e auspica "un nuovo Risorgimento".


Giulio Andreotti

Francesco Cossiga

Mario Chiesa

Antonio Di Pietro

Paolo Cirino Pomicino

Salvo Lima

Umberto Bossi

Giovanni Falcone

Oscar Luigi Scalfaro

Gherardo Colombo

Gerardo D'Ambrosio

Carlo Azeglio Ciampi

Giuliano Amato

Paolo Borsellino

Corrado Carnevale

Bruno Trentin

Mino Martinazzoli

Tommaso Buscetta

Bettino Craxi

Bruno Contrada

la prima cosa è la conoscienza................leggete e fatevi un idea vostra

SI C'E' ANCORA NEL MONDO QUALCUNO

CHE NON FA LE COSE SOLO PER INTERESSE



ti chiedo solo un po' di interesse e un po' di attenzione



il mondo ci costringe sempre ad una noia e a un indiferenza totale



ma dipende anche da noi...






Non ti sto chiedendo soldi ne te li chiedero' dopo.. vorrei solo trenta secondi della tua attenzione e della tua coscienza?

Se quello che ti sto per dire lo sai gia', sono felice, se non lo sai ti do l'opportunita' di fare qualcosa di concreto per te,

per i tuoi figli e per la tua nazione.

Prima rispondi a queste domande se credi di conoscere la situazione monetaria italiana ed europea e del debito pubblico.

La banca di Italia e' privata o pubblica?

I soldi sono dello stato italiano?

I soldi sono della comunit`a europea?

Di chi sono i soldi?

Quanto e' il valore intrinseco di 50 euro?

Chi stabilisce il loro valore?

Chi li mette in circolazione?

Chi decide quanti soldi mettere in circolazione e perche' una quantita' e non un altra?

Perche' sulle banconote non c`e' piu' scritto pagabili a vista del portatore?

Credi davvero che il debito pubblico sia il solo il costo dello stato?

Secondo te il debito pubblico si puo', o si potra' mai, estinguere un giorno?

Secondo Voi alzando le Tasse si estingue il debito pubblico?

Perche' sul loco BCE c`e' il simbolo del copyright e non quello del monopolio?



Vi ricordate la scritta "pagabili a vista del portatore" che fine a fatto e perche' e' sparita?


Sapete perche' e' morto Kenedy?

Sei convito che quello dichiarato sui conti sia il valore reale deldenaro che gira?

Secondo voi gli inglesi sono stupidi che sono entrati in Europa ma si sono tenenti la sterlina?

Sapete cosa e' la Goldman Sachs?

Sapete chi e' un consulente italiano della Goldman Sachs?

Sapete che il governatore della banca di Italia era vice presidentedella Goldman Sachs?

Sapete perche' siamo entrati nell'euro?

Sapete chi ci ha portato nell'euro?



Sapete cosa e' la riserva frazionaria?



Sapete che le banche prestano soldi che non hanno?



Ma andiamo al dunque e rispondo subito ad alcune cose, le altre vi prego di informarvi, non sottovalutate il problema e' molto molto
serio dipende anche da te se non fai niente, poi non ti lamentare dei politici.

SE TI ACCONTENTI DEL GRANDE FRATELLO E DELLE E DEI SOLITI PROGRAMMI DI INTRATTENIMENTO

SPEGNETE LA TV OGNI TANTO , parlate, confrontatevi, usate la rete, legete libri..


andiamo a qualche risposta



La banca di Italia e' una SPA privata (si privata) è una società per azioni con la sede di facciata in via nazionale ma la sede legale è da un'altra parte.

e' stata privatizzata un po'di tempo fa (1992 ANNO FATALE). Da molti politici ( prevalentemente di sinistra)

senza scrupoli e sopratutto senza il consenso della sovranita' popolare previsto dalla costituzione italiana.


Certi signori con il trattato di maastricht hanno messo sotto schiavitù tutte le nazioni che hanno aderito all'euro

La BCE HA UNO STAUTO DI FERRO praticamente possono fare tutto quello che vogliono e nessuno può fare niente..

La BCE non è una emanzione della comuità europea, è un ente (ISTITUZIONE) assolutamente privata.

Lo stato italiano non e' piu' proprietario dei soldi che girano quindi li deve chiedere in prestito alla banca di Italia che `e una SPA privata

che a sua volta li deve chiedere in prestito alla BCE banca centrale europea anch'essa SPA privata di cui è socia,

la banca di Italia applica degli interessi, suggeriti e/o imposti, che lo Stato Italiano deve pagare con altro denaro

che deve nuovamente farsi prestare sempre dalla stessa e unica banca.

(questo è un meccanismo perverso che porta il debito solo crescere)

TUTTO IL SISTEMA E' IMPIANTATO SUL DEBITO, NON SI FA NIENTE SENZA DEBITO, GLI STATI LE REGIONI, I MINISTERI, I COMUNI CONCORRONO AL SISTEMA DEBITO E ORMAI SONO

DIVENTATATI SOLO DEGLI ESATTORI ( INDIRETTI) PER LE BANCHE ( BANCHIERI)



L'unico modo per coprire questo buco (che non si chiudera'mai ) e' togliere liquidita' di moneta corrente in giro come con le tasse:

BOT e CCT sono strumenti dello stato per dare l'iquidità allo stato stesso che pero rigenerano il debito che poi si ripaga con le tasse.

Se questo meccanismo appena spiegato vi e' chiaro capite bene che il debito pubblico non esiste, esiste una obbligazione di schiavitu' infinita

in cui certi politici ci hanno messo dentro (alcuni per interesse altri perche' ancora non hanno capito niente o non gli importaniente)

Vi potrei fare i nomi di chi ci ha portato nell 'euro e chi havarato queste leggi ma non e' una questione politica anche perche' chi piu' chi

meno sono tutti coinvolti anche per il solo fatto di non aver fatto niente. (TACITO CONSENSO)

I signori che stanno tenendo in pugno l'economia del mondo sono molto pochi e posseggono privatamente le poche banche mondiali tra
cui la Federal Reserv americana e anche la BCE.

Questi signori hanno gia' la nostra vita nelle loro mani e noi non lo sappiamo non ci siamo accorti di niente perche' pensiamo al grande fratello e a divertirci.

la nostra vita vale molto e ne abbiamo una sola da vivere bene, non permettiamo che qualcuno ci schiavizzi

ci fanno credere cose non vere, chiediamoci come mai si buttano tonnellate di cibo, le banche (alcuni banchieri) fanno profitti enormi

si producono milioni tonnellate di rifiuti e ricchezza che va solo in alcune direzioni, il modello dello sviluppo che ci stanno proponendo da tempo della crescita continua è un modello che già sta saltando ed è destinato a fallire molto presto.....

I banchieri grossi mangiano le banche piccole che bruciano i risparmi dei clienti, e comprano beni e immobili con questi capitali perchè sono i primi loro a sapere che il denaro che emettono è carta straccia e che basta un piccolo cambiamento per far crollare il "valore" convenzionale ( vedi dollaro) dei soldi. Infatti a voi chiedono delle garanzie ( immobili, ipoteche che sono per loro valori veri reali e non cobenzionali)



IL SISTEMA DEBITO NELLA PRODUZIONE



I costruttori per costruire si devo farsi imprestare i soldi,

I produttori di qualsiasi prodotto si devono fare imprestare i soldi,

I comuni per comprare autobus si devono fare imprestare i soldi,

voi per comprare qualsiasi cosa, una casa, un auto, un telefonino vi fate fare dei finanziamenti e pagate tre volte gli interessi;

La prima volta allo stato che li deve alla banca di Italia,

La seconda volta verso il costruttore come costo di produzione che vi vende,

e la terza volta perche' mancandovi liquidita' e vi fate fare il finanziamento.

State lavorando per i banchieri e non lo sapete.

Alzando le tasse si toglie liquidita' in circolazione e per continuare a vivere bisogna farsi fare dei finanziamenti che sono altri
interessi per le banche.







TABU' E INFORMAZIONE



In ultimo di questo argomento c`e' tabu' assoluto non si deve parlare, non si deve sapere, non ne parla nessuno, se non solo in

internet e qualche libro, perche' chi ne parla rischia grosso, anche Beppe Grillo fino al 1998 ne parlava nei suoi spettacoli

adesso non ne parla piu', e adirittura censura l'argomento, da del "pazzo" a chi prova a trattare ancora l'argomento,ù

non si capisce e vi lascio immaginare perche' !! e cosa sia potuto succedere.

Marco Travaglio, mente brillante, dice che non ci capisce niente di SIGNORAGGIO insultando cosi l'inteligenza dei suoi stessi Fans

che ormai sono stufi di sentirsi dire le solite cose e sempre da una parte sola o comunque molto da una parte e poco dall'altra.

Dice di essere imparziale ma non lo è, e anche lui da buon comunicatore mediatico, sceglie, confeziona, modula, scegli i tempi,

fa sparire dei fatti molto volentieri..........come quasi tutti

Troverete una ostilita' estrema nessuno ne vuole parlare.





nessuno ne vuole sentire, non sentirete una parola (seria)





vi diranno le peggio cose della serie, è una bufala, non è vero ma chi te lo ha detto, ma lascia stare, sono cose più grandi di te,



ma il tempo sta gia' dando i risultati vedi il crollo continuo dell'economia americana basata su questo sistema.



nessuno che ne voglia parlare serenamente







INFORMATEVI SU COSA AVVENE NEL 1992

MOLTA DELLA NOSTRA ROVINA INCOMINCIO IN QUELL'ANNO




Tutto questo si chiama signoraggio bancario ( e molto altro)


Se sono riuscito a far passare il messaggio della gravita' estrema di questo problema vi renderete conto che la meta dei sotto problemi


di questo paese sarebbero risolti (lavoro, infrastrutture, servizi,sociale, economia sanita' pensioni etc)

Cosa vi chiedo e vi prego, non lasciate cadere la cosa anche io sono stato tentato molte volte di abbandonare ma bisogna insistere non mollare



una parola al giorno, un messaggio, un articolo alla volta, capisco che l'argomento e' faraonico ma bisogna incominciare


Stiamo preparando una raccolta firme per un referendum .la banca di Italia deve ritornare completamente e per sempre di proprieta' dello
stato italiano.

Siate curiosi Informatevi, vi prego informatevi chiedete, fate girare questa email il piu' possibile, stampatela fotocopiatela,


diffondetela e fatela diffondere, non rimanete nell'ignoranza. NON MOLLATE NON FERMATEVI esiste una alternativa



ma dobbiamo tornare a pensare con la nostra testa















GRAZIE

a tutti quelli che mi seguono

anche su "you tube"

con il periodico SIGNORAGGIO NEWS



GRAZIE ANCHE A QUELLI CHE HANNO REPLICATO IL MESSAGGIO



INFORMATEVI



ECCO COME COMINCIARE

SITI ( un elenco non esaustivo)



http://fattinonparole.land.ru

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CRISI DELLE UBS (UNIONE BANCHE SVIZZERE)

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FONDO MONETARIO

http://it.youtube.com/watch?v=TZIAsEd9qiQ&feature=related



BANCARI E BANCHIERI

http://it.youtube.com/watch?v=qJR8H0Ek_Z0&eurl=http://www.geevideos.com/watch/1511799458/banche-ladre/



BENETTAZZO E LANNUTTI

http://it.youtube.com/watch?v=bWiqf64ozoI&eurl=http://www.geevideos.com/watch/4276131364/eugenio-benetazzo-con-elio-lannutti/



SOLE 24 ORE ( IN MANO ALLE BANCHE)

http://it.youtube.com/watch?v=YGTBw631HCg&eurl=http://www.geevideos.com/watch/2864081134/marco-cali-a-canale-italia-parte-6/



























































GIUSEPPE FAVA ( UCCISO) già nel 1983 aveva le idee chiare sulle Banche......

http://it.youtube.com/watch?v=jAogBSvaSyU















ARRIGO MOLINARI (UCCISO)



http://www.youtube.com/watch?v=0CGljg5hbgc

http://www.truciolisavonesi.it/articoli/numero143/molinari_st.htm
http://www.ifogli.it/let_online.php?id_let=139&archivio=1&arg=













NICOLO' BELLIA

http://www.youtube.com/watch?v=LEU_pEXJEOo

http://www.youtube.com/watch?v=Uz_pzcUwIRA&mode=related&search=

http://www.youtube.com/watch?v=ixtE8X91od8&mode=related&search=

http://www.youtube.com/watch?v=5MUIeLGmdhY&mode=related&search=

http://www.youtube.com/watch?v=eCM1vP0LDcs&mode=related&search=

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AUTORI

RUDOLF STEINER

GIANO ACCAME

GIAGINTO AURITI
SILVIO GESELL

ANTONIO MICLAVEZ

MARCO CALI'

NICOLO' BELLIA

TORREGGIANI GIUSEPPE

DELLA LUNA MARCO









LIBRI



1) Euroschiavi

Arianna Editrice Marco Della Luna, Antonio Miclavez
2) La banca, la moneta e l'usura
Controcorrente Edizioni, 2001 pp. Bruno Tarquini,

3) Il Potere del denaro svuota le democrazie,

ed. Settimo Sigillo Giano Accame

4) Il libro nero della finanza internazionale

EDITORE Nuovi Mondi Media ANNO 2004 pagg.



5) RETROSCENA BANCARIO

EDITORE ebook solution autore MARCO CALI

SVEGLIA



RICORDATI TI DISTRARRANO IN OGNI MODO

CERCHERANNO DI SCORAGGIARTI IN OGNI MODO,

CERCHERANNO DI NON FARTI VEDERE NIENTE,

COME LA MAFIA DIRANNO CHE NON ESISTE,

E' SOLO UNA INVENZIONE.

TI DARANNO CONTENTINI

TI FARANNO STARE ZITTO IN QUALCHE MODO....

TI FARANNO DIVERTIRE PER DISTRARTI

TI DIRANNO "MA LEI CI CREDE DAVVERO?"



MA TU NON MOLLARE



ONORE A GIACINTO AURITI

ONORE A GIUSEPPE FAVA

ONORE AD ARRIGO MOLINARI







ALTRI TEMI CORRELATI


Economia di mercato senza capitalismo
The NATURAL ECONOMIC ORDER



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BOMBASTICO SPUTTANAMENTO DEL SUO EX AVVOCATO: "DENUNCIO MARGHERITA: VOLEVA FARMI MENTIRE SUL TESORO DI AGNELLI PER INCHIODARE GABETTI E GRANDE STEVENS" - #2- "USCÌ DALLA FIAT DI SUA VOLONTÀ PERCHÉ NON AVREBBE MAI AVUTO ALCUN POTERE" - #3- "MI DISSE CHE AVREBBE BEN VISTO SUO MARITO SERGE DE PAHLEN PRESIDENTE FIAT" - #4- "ALTRO CHE SPROVVEDUTA, MARGHERITA SI AFFIDÒ AD ABILI CONSULENTI DELLA COMUNICAZIONE CHE, ATTRAVERSO CONTINUE, QUASI OSSESSIVE, INTERVISTE E APPARIZIONI SUI MEDIA, E DA ULTIMO ANCHE UN LIBRO, COSTRUIRONO L’IMMAGINE DELLA SPROVVEDUTA CASALINGA, PREDA E VITTIMA DELL’ESTABLISHMENT TORINESE E CHE AVEVA UN SOLO OBIETTIVO, DI PROTEGGERE I FIGLI DI SECONDO LETTO (I DE PAHLEN, NDR) DA INGIUSTIZIE PERPETRATE A FAVORE DEGLI ALTRI TRE FIGLI (GLI ELKANN, NDR)" -

Nicola Porro per "il Giornale"

Emanuele Gamna, ex partner dello studio Chiomenti, accetta di parlare per la prima volta della famosa vicenda dell'eredità Agnelli. La storia è nota, notissima. Alla morte dell'Avvocato si apre una complessa vicenda ereditaria che si chiude, anzi non è ancora chiusa, con le carte bollate. Da una parte la figlia dell'Avvocato, Margherita Agnelli, e dall'altra il resto della famiglia e i due consulenti principe, Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens.
MARGHERITA AGNELLI

Il risultato del complesso negoziato per la divisione dell'eredità è il seguente: a John Elkann, il nipote scelto come leader dal nonno e figlio di Margherita, le chiavi della Fiat, a Margherita un complesso di attivi valutabile in 1,2 miliardi e alla moglie dell'Avvocato poco meno di trecento milioni e un vitalizio di sette milioni l'anno.
Gianluigi Gabetti e figlia Cristina - Copyright Pizzi

È l'avvocato Gamna a trattare nel 2003 e nel 2004 per conto di Margherita e a raggiungere l'accordo con i contenuti economici che abbiamo appena elencato. L'unica figlia dell'Avvocato ha però poi disconosciuto quell'accordo, ha denunciato infatti l'esistenza di un presunto patrimonio al di fuori dell'intesa e oggi è aperta un'indagine promossa dalla Procura di Milano per estorsione tentata o consumata ai danni di Gamna ad opera di Margherita Agnelli e dell'avvocato della signora, Charles Poncet.

Avvocato Gamna, sgombriamo subito il campo da un equivoco, lei per ora è l'unico in questa vicenda ad aver subito una condanna?
«Sì. Per aver assunto la piena responsabilità di un'evasione fiscale».
Gabetti Grande Stevens

Tutto scritto sui giornali, il compenso che le ha pagato la signora Margherita non è stato dichiarato per intero. Ma che c'entra allora l'indagine di estorsione che la vede questa volta come parte offesa?
«Tutta la vicenda è nata in seguito all'acquisizione da parte della Procura di Milano di un dossier che includeva la corrispondenza tra l'avvocato Poncet e la signora Margherita Agnelli e che riguardava anche me e il mio avvocato svizzero. Dal dossier si evinceva chiaramente che io ero stato sottoposto a un lungo ricatto che aveva la finalità di farmi dichiarare il falso e così costruire delle "prove" che Margherita Agnelli avrebbe potuto utilizzare a suo favore nel processo da essa intentato a Torino contro Gabetti e Grande Stevens».
John Elkann con Luca Montezemolo

Fermiamoci un attimo e procediamo per ordine. Lei aiuta la signora Margherita a fare un accordo di divisione ereditaria. Lo studio legale per il quale lei lavorava era evidentemente al corrente della complessa e delicata assistenza che lei prestava alla signora. Qual è stato l'effettivo coinvolgimento dello studio in quella vicenda, tenuto conto che un importo, senz'altro rilevante, è stato pagato dalla signora a fronte dei servizi resi e dei risultati ottenuti nella trattativa, importo che in gran parte è poi risultato non dichiarato al fisco?
«Non rispondo a domande che riguardino lo studio legale per il quale all'epoca lavoravo. Al riguardo ho già detto tutto al sostituto procuratore di Milano».
John Elkann con Gianni Agnelli allo stadio

Perché non intende parlare del suo ex studio?
«Se rispondessi a questa domanda, finirei di rispondere a tutte le domande che concernono lo studio. Ribadisco che ho assunto, io solo, tutta la responsabilità fiscale di questa vicenda, pagando di persona, come è noto, un prezzo elevatissimo, in termini economici e di immagine. La mancata dichiarazione fiscale di parte dell'importo corrisposto dalla signora Agnelli, fu in realtà frutto di un'intesa con la signora che aveva voluto "premiare" il risultato da me ottenuto al termine della trattativa con sua madre per la divisione dei cespiti inventariati del patrimonio dell'Avvocato Agnelli».

Un risultato che non sembra però oggi soddisfare Margherita.
«La signora fu soddisfattissima di tale risultato, del quale mi ringraziò pubblicamente e personalmente per anni».
CHARLES PONCET

Pubblicamente?
«Ci fu un comunicato stampa, in occasione del matrimonio di suo figlio John, in cui mi ringraziò e mise in evidenza che anche grazie al mio operato era stato possibile raggiungere un accordo soddisfacente per tutte le parti».

Insomma erano tutti d'accordo?
«Margherita conseguì grandi vantaggi economici. Le posso dire che il patrimonio inventariato dell'Avvocato Agnelli comprendeva cespiti del valore complessivo di circa 1,5 miliardi. Le ricordo che solo in tempi recenti, e per iniziativa della Procura di Milano che ha acquisito nella primavera 2009 le carte relative all'estorsione da me subita, è risultato chiaro che la signora ha avuto nel 2004, in sede di divisione del patrimonio di suo padre, valori complessivi pari a circa 1.200 milioni di euro. In soldoni circa 4-500 milioni in più di quelli che le sarebbero spettati se il patrimonio fosse stato ripartito fra lei e sua madre con criteri strettamente di legge».
Anna De Pahlen

Ma allora cos'è cambiato in Margherita Agnelli? Perché ciò che le andava bene ieri oggi non le garba più?
«La signora aveva un quadro definito del patrimonio off shore di suo padre già a fine 2003 ben prima di stipulare l'accordo divisorio con sua madre. Tra il 2003 e il 2007 non c'è stata, nonostante ciò che si è letto sui quotidiani, alcuna evidenza di un patrimonio ulteriore rispetto a quello noto alla signora al tempo della divisione con sua madre. Dunque la domanda che mi fa, la deve piuttosto fare alla signora Agnelli».
John Elkann e Marella Agnelli

Perché, secondo lei, Margherita Agnelli non ha mai divulgato l'importo effettivamente conseguito in sede di riparto dell'eredità di suo padre?
«Come ora è divenuto noto, i cespiti più rilevanti dell'eredità presentavano problematiche fiscali che era bene non divulgare. Ma, a mio avviso, questa non è stata la sola ragione. La signora, promuovendo la causa a Torino contro Gabetti, Grande Stevens e sua madre Marella, doveva accreditare un'immagine pubblica di sé che la ritraesse come una vittima di malfattori, liquidata con "pochi spiccioli" e addirittura "coartata" a uscire dalla catena di controllo della Fiat. Mentre essa, in piena autonomia, si risolse a uscire dalla compagine perché il gruppo Fiat versava in condizioni disperate e lei, che aveva ereditato una quota di minoranza nella holding controllata da suo figlio, non contava e non avrebbe mai contato nulla».
Marella Agnelli

Come fa a dire che l'unica figlia dell'Avvocato Agnelli e una delle sue due eredi, con la quota ricevuta in eredità, non poteva contare niente in Fiat?
«Margherita aveva ereditato il 37,5 per cento della società semplice (la Dicembre) a monte del gruppo Fiat. Lo statuto, del tutto legittimo, di questa società non consentiva alla minoranza di partecipare in alcun modo al controllo. Inoltre la madre di Margherita, che possedeva l'altro 37,5 per cento, aveva già espresso la volontà di cedere o donare la sua quota al nipote John, rendendo così impossibile a Margherita di salire in termini percentuali e confinandola così a un'eterna minoranza senza poteri».
edoardo agnelli

Riprendiamo il filo. Come pensava Margherita, una volta sottoscritto un accordo di divisione, di ritornare sui suoi passi?
«Margherita si affidò ad abili consulenti della comunicazione che, attraverso continue, quasi ossessive, interviste e apparizioni sui media, e da ultimo anche un libro, costruirono l'immagine della sprovveduta casalinga, preda e vittima dell'establishment torinese e che aveva un solo obiettivo, di proteggere i figli di secondo letto (i De Pahlen, ndr) da ingiustizie perpetrate a favore degli altri tre figli (gli Elkann, ndr)».

Perché, non è così?
«L'obiettivo era la captatio benevolentiae del grande pubblico, interpretare la parte della mater dolorosa che tutto fa per proteggere i figli. È chiaro dunque che, se fosse divenuta pubblica la reale consistenza, ubicazione ed entità del patrimonio ottenuta da Margherita in sede di divisione ereditaria con sua madre, il mondo intero avrebbe capito che qualcosa nella ricostruzione dei fatti "spacciata" dalla signora, non tornava. Tenga conto poi che l'accordo firmato con sua madre nel 2004 era tale che, se si fosse scoperto in seguito un ulteriore tesoro riferibile al padre, esso sarebbe stato necessariamente diviso fra lei e sua madre in parti uguali. Salve restando eventuali donazioni fatte a terzi a valere sulla quota disponibile dell'eredità (un terzo del totale)».
agnelli suni e gianni

E allora ecco il punto, la signora ha forse scovato un parte del patrimonio dell'Avvocato non compreso nell'accordo?
«Se lei avesse avuto inoppugnabile evidenza di un patrimonio ulteriore avrebbe ben potuto ottenere in giudizio la sua parte. In base a quanto ho letto, nessuna evidenza del genere è sin qui stata giudicata pregnante dalle autorità competenti».

La signora ha promosso l'azione al Tribunale di Torino anche per questo?
«Ne sono convinto. Ma il Tribunale ha rigettato tutte le sue domande e dunque non si è convinto delle sue allegazioni. Le prove addotte non sono state ritenute sufficienti».
Gianni Agnelli

Come si inserisce in tutta questa vicenda il presunto tentativo di estorsione che lei denuncia? Ciò che si è scritto, alla luce delle notizie apparse sui media, è che lei avrebbe subìto per anni un'estorsione che si fondava essenzialmente sulla sua fragilità fiscale e avrebbe avuto lo scopo di ottenere da lei denaro e dichiarazioni e testimonianze false. Ci vuole spiegare meglio la vicenda, e perché se davvero ricattato non denunciò subito le sue controparti, sottraendosi al piano ordito contro di lei?
«Guardi, all'inizio pensai che si trattasse di un malinteso. I rapporti miei e di mia moglie con Margherita e la sua famiglia erano talmente stretti, affettuosi e consuetudinari che le lettere, inviatemi già con intento estorsivo dall'avvocato Poncet nel primo periodo (maggio-settembre 2007), mi sembravano incompatibili con la Margherita che conoscevamo noi e piuttosto farina del sacco di Poncet e Abbatescianni che erano i suoi avvocati nella causa di Torino (contro Gabetti, Grande Stevens e Marella Agnelli).
MARGHERITA AGNELLI LADY IN GNAM

In effetti era difficile immaginare che gli avvocati assumessero iniziative così gravi senza la piena condivisione e il mandato della signora, ma ho voluto sperarlo, almeno nei primi tempi. Senza contare poi che la signora - anche in quel periodo, come aveva fatto in tutti gli anni precedenti - continuava a chiamarmi, quasi a consultarsi ancora con me, chiedendo aiuto e consigli e mi invitò persino all'inaugurazione di una sua iniziativa benefica in autunno a Torino e alla messa in suffragio del fratello Edoardo. Mi fu subito chiaro che la signora e i suoi avvocati nella causa di Torino non disponevano, come ho già detto, di prove concrete a supporto delle loro tesi e che quindi avrebbero letteralmente fatto "carte false" per raggiungere i loro scopi».
Lapo e Ginevra Elkann

E lei a quel punto che fece?
«Quando mi divenne chiaro che il piano che mi concerneva vedeva lei e suo marito Serge de Palhen quali protagonisti e mandanti, capii che la mia situazione era senza uscita. Fu allora (dicembre 2007) che decisi di rivolgermi a un eminente collega del foro di Ginevra perché mi assistesse e diedi incarico a Marc Bonnant di darmi una mano. Ero effettivamente disperato e - letteralmente - annichilito dal tradimento di Margherita per motivi che mi apparivano profondamente ingiusti.

Bonnant si rivelò un ottimo consigliere: mi disse fin da subito che la mia situazione era difficile perché all'epoca mi ero ingenuamente fidato della signora e non disponevo di prove per difendermi sul fronte fiscale. Le mie controparti erano perciò pronte a tutto per "spremere" da me quanto gli serviva e Bonnant considerò essenziale che noi si potesse provare in modo compiuto l'estorsione.
Lapo Elkann

L'illustre collega confidava che Margherita e Poncet si sarebbero fermati prima del baratro, anche perché la signora - quale beneficiaria a suo tempo di un'immensa fortuna mai dichiarata al fisco italiano - avrebbe avuto anch'essa problemi evidenti se la vicenda fosse divenuta di dominio pubblico. Ma in ciò Bonnant si sbagliò perché la signora e Poncet andarono fino in fondo probabilmente perché, quando il loro gioco fu scoperto dalla Procura di Milano, si trovarono in un cul de sac.

E forse - con il senno del poi - ciò è stato un bene. In ogni caso l'intervento di Bonnant fu fondamentale per costituire la prova documentale dell'estorsione, data la propensione di Poncet a scrivere molto e ossessivamente alle sue controparti e soprattutto alla sua cliente, come è poi risultato chiaro da alcuni verbali delle riunioni interne del team di legali che assisteva Margherita (pubblicati dai giornali) e dalle lettere di rendiconto che lo stesso Poncet inviava a Margherita regolarmente.
lapo, john e alain elkann

Ciò che oggi mi appare evidente e che ho detto ai magistrati è che Margherita e suo marito Serge, fin dal 2004, pensarono di utilizzare la mia fragilità fiscale per ottenere futuri benefici. Certo all'epoca ero lungi dall'immaginare una cosa simile. La signora era pur sempre un'Agnelli e ritenevo quel nome incompatibile con un comportamento tanto bieco».

Per farla semplice. Lei ha detto ai pm che la signora Margherita Agnelli sin da subito le diede un compenso in nero, sapendo poi di far leva su di esso per ottenere da lei una dichiarazione contro Gabetti e Grande Stevens?
«All'epoca (2003-2004) un pensiero del genere neppure mi sfiorò. Oggi sono costretto a mettere insieme i pezzi del puzzle, e debbo ritenere assai probabile che la signora e il marito abbiano pianificato tutto fin dall'inizio. Ottenuto il denaro nel 2004, si potevano ottenere altri vantaggi, approfittando della mia fragilità fiscale».
Alain Elkann e Alessandra DiCAstro

Perché la sua testimonianza o dichiarazione giurata nel processo di Torino avrebbe assunto, per la signora Agnelli, un'importanza quasi capitale?
«Perché io trattai la divisione del patrimonio ereditario in prima persona con i miei interlocutori, cioè Donna Marella e Gianluigi Gabetti e questa circostanza avrebbe conferito credibilità a qualsiasi mia affermazione, resa nel contesto del processo torinese. Se io, costretto, avessi affermato il falso sotto giuramento, cioè che esistevano altri cespiti ereditari e che di ciò ero venuto al corrente nei miei colloqui riservati con le controparti, la posizione di Margherita nel processo di Torino si sarebbe enormemente rafforzata e lei probabilmente pensava di ottenere così ulteriori sostanziali vantaggi economici».
Lapo Elkann

Quando le divenne chiaro che l'intento di Margherita era il medesimo dei suoi avvocati e quando prese coscienza del piano che la coinvolgeva?
«Come ho già detto alla Procura di Milano, Margherita e suo marito nell'autunno 2007 mi ricattarono apertamente e di persona e mi dichiararono la piena condivisione del piano messo a punto dai loro avvocati e già abbozzato nelle lettere che avevo ricevuto e negli incontri che avevo avuto con Abbatescianni a Milano. Il piano era persino semplice.
ALAIN ELKANN FRANCA SOZZANI

La difesa di Margherita nella causa di Torino non disponeva di prove concrete e univoche che inchiodassero Gabetti e Grande Stevens alle responsabilità che Margherita addossava loro in qualità di gestori del patrimonio personale e off shore dell'Avvocato Agnelli, né di indizi sufficienti a provare l'esistenza di ulteriori attivi riferibili all'Avvocato nascosti fuori Italia e a lei sottratti; ciò è risultato chiaro a tutti solo a marzo di quest'anno, in seguito al rigetto di tutte le domande di Margherita nella causa di Torino.
ELKANN

Ma a me fu chiaro già nel 2007, perché, sia gli avvocati di Margherita che lei medesima, mi chiesero con insistenza "collaborazione", preannunciando per iscritto la mia chiamata a teste nel processo di Torino. Mi fu chiaro allora (anche se la questione dell'affidavit falso è uscita dal cappello di Poncet solo nel 2008) che io avevo per loro un ruolo essenziale per ottenere vittoria nella causa di Torino.

In parole povere mi offrivano un parziale salvacondotto fiscale, in cambio di una falsa testimonianza e collaborazione nella costruzione di prove a carico di Gabetti e Grande, finalizzate a ottenere altro denaro da eventuali altri beneficiari del patrimonio dell'Avvocato. Si immagini che - per ottenere da me quel che volevano - Poncet, non solo mi bersagliò con una gragnuola di lettere ma mi sottopose anche a un interrogatorio durissimo durato ore nel marzo 2008, nel quale non ottenne nulla di utile per i suoi fini.
DELLA VALLE ELKANN

Per questo la rabbia della signora montò alle stelle. Mi divenne chiaro, nel corso di quell'interrogatorio, che la signora Agnelli non disponeva di evidenze relative al patrimonio nero di suo padre, diverse da quelle di cui già disponeva nel 2003».
GINEVRA ELKANN

Cosa vuol dire parziale salvacondotto fiscale?
«L'intenzione di Poncet, peraltro molto accuratamente descritta dallo stesso Poncet nella sua corrispondenza con Margherita, era di ottenere da me la restituzione quasi integrale del premio che la signora mi aveva corrisposto volentieri nel 2004, per pagare sé stesso e gli altri avvocati che assistevano all'epoca la signora e in più di ottenere da me la firma di un affidavit (dichiarazione giurata) che conteneva affermazioni spudoratamente false ai danni di Gabetti e Grande Stevens (oltre che di me medesimo), e che gli avrebbe poi consentito di propormi come teste chiave a favore di Margherita nel processo di Torino.

Margherita e Poncet, per dare un abito per così dire moralmente accettabile al loro programma, si inventarono nel 2008 uno strumento da utilizzare al momento opportuno: che io avrei fatto il doppio gioco, facendo più gli interessi di Marella Agnelli e dell'ingegnere Elkann che i suoi, al tempo del negoziato sulla divisione dell'eredità. Un'invenzione, certo, ma suggestiva per un pubblico che ancora la vedeva come vittima di un sopruso».
ELKANN

Mi scusi ma non vedo ancora alcun salvacondotto fiscale per quanto la riguarda.
«Penso che la signora accarezzò l'idea, suggerita anche da Poncet, che io alla fine accettassi di restituire quasi l'intera somma, pur di sottrarmi al ricatto. La signora sapeva bene che non avevo alcun documento o evidenza che mi permettesse una difesa davanti al Fisco per il pagamento che lei aveva volentieri disposto a mio favore.

Era invece evidente che, quand'anche avessi restituito nel 2008 il compenso ricevuto, sarei comunque rimasto ricattabile a quei fini. Anzi avrei in qualche modo fatto il loro gioco. Bonnant e io concludemmo che la signora e Poncet al tempo stesso erano sicuri della loro impunità e non potevano fare a meno della mia "collaborazione", al punto di non vedere che si trattava di proposta, non solo indecente, ma soprattutto per me moralmente inaccettabile e senza interesse».

Margherita aveva dei sospetti che qualcuno in particolare si fosse appropriato di una fetta nascosta dell'eredità?
«La signora aveva le idee piuttosto chiare sull'entità e su come l'eredità di suo padre era stata ripartita e - già nel 2003 - aveva accettato la divisione con sua madre, anche alla luce di ipotesi che avevamo a lungo discusso con lei, suo marito e l'altro consulente dell'epoca, avvocato Patry. Ma penso che Margherita non abbia mai davvero accettato il ruolo attribuito da suo padre a suo figlio John, molto legato anche affettivamente a Gabetti e Grande e che lei vedeva come usurpatore della funzione di capofamiglia.
Berlusconi e Agnelli (da Il Riformista)

Com'è noto, la designazione di John a quel compito proveniva dall'Avvocato e, in vita di suo padre, Margherita mai la contestò. Tale ruolo fu apparentemente accettato da Margherita in tutti gli anni che seguirono la morte del padre. Fu solo nell'agosto 2006 che Margherita, nel corso di una crociera sulla sua barca, mi disse che avrebbe visto bene suo marito nel ruolo di presidente della Fiat e che ciò avrebbe contribuito a tenere la sua famiglia unita».

Altro che presidenza, il marito di Margherita fu licenziato in tronco nell'autunno del 2005, dopo che l'accordo ereditario era stato firmato. Non proprio un gesto pacificatore da parte della famiglia, non trova?
«Concordo con lei, Margherita in realtà fu molto scossa dal licenziamento di suo marito. Licenziamento, anche a mio parere, quanto mai inopportuno. E che scatenò una grande rabbia nei confronti del figlio John e dei principali consiglieri di quest'ultimo. Forse questo fu un elemento dirompente che portò Margherita alla dichiarazione di guerra che conosciamo».
agnelli umberto e suni

Margherita, secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, la considera però l'amico che ha tradito. Lei nega qualsiasi sua accondiscendenza nei confronti di Gabetti, Elkann e Marella Agnelli, nel corso del famoso negoziato per l'eredità?
«La signora nel 2003 mi scelse come suo legale non certo per caso. Essa accettò ben volentieri la condizione che posi, che cioè si trattasse di un'assistenza volta a raggiungere un accordo fuori dalle aule dei tribunali.
GIANNI AGNELLI A SPASSO - Copyright Pizzi

Non solo per la delicatezza della vicenda che , in realtà , coinvolgeva tutta la famiglia Agnelli in un momento difficilissimo per il Gruppo Fiat, ma anche perché i miei rapporti con tutte le controparti di Margherita erano ottimi. Margherita, a ragione, pensava che avremmo ottenuto un risultato eccellente soltanto se l'interlocutore di Gabetti e di sua madre Marella fosse stato un professionista ben noto a loro e da essi stimato.

Tenga conto che l'affettuosa amicizia di mia moglie e mia con Suni Agnelli fu un elemento determinante nella scelta di Margherita, dato il ruolo di capofamiglia che Suni aveva inevitabilmente assunto dopo la morte dei fratelli. Il compito era difficilissimo e si giunse al risultato, dopo molte elaborazioni ed ipotesi, al prezzo di compromettere per gli anni successivi i miei buoni rapporti con Marella Agnelli e John Elkann.

Difatti mia moglie e io non abbiamo più rapporti con Donna Marella fin dall'autunno del 2003, cioè da quando si innescò un braccio di ferro che portò a Margherita la quota ereditaria che ora è nota, a tutto scapito di sua madre. Si tenga conto poi che io ho non ho mai lavorato per il Gruppo Fiat e non ho mai intrattenuto rapporti di lavoro con il dottor Gabetti che - per quanto fosse fra i più grandi amici di mio padre - non favorì mai qualsivoglia incarico professionale. Tanto meno, dopo la stipula dell'accordo ereditario nel 2004. Margherita sa benissimo che l'ho sempre assistita con diligenza e abnegazione e ha elaborato l'idea del mio tradimento solo perché funzionale a conseguire i suoi obiettivi».
Margherita e Gianni Agnelli

Perché, secondo lei, Margherita - per il tramite dell'avvocato Poncet - la denunciò alla Procura di Milano e al Consiglio dell'Ordine per evasione fiscale solo nel maggio-giugno 2009?
«È semplice. Perché la Procura aveva nel frattempo acquisito tutte le carte relative all'estorsione da me subita e quindi apparve chiaro che, anche per questa ragione, io non potevo più essere utilizzato quale teste a favore di Margherita nel processo di Torino. Il gioco di Margherita e di Poncet era scoperto e quindi io ero una carta bruciata, per loro.

Quindi, un po' per vendetta, per essermi io rifiutato per due anni di aderire alle richieste pressanti di Margherita e di Poncet, un po' perché occorreva - come ho già detto - dare una veste di moralità apparente, e contrastare in qualche modo l'evidenza che di estorsione si era trattato, furono depositate le denunce contro di me per evasione fiscale. Denunce che si sono rivelate un boomerang... ».

Perché? Ce lo spiega meglio?
«Margherita mi è sempre parsa una donna tutt'altro che sprovveduta, a dispetto dell'immagine accattivante di donna ingenua e sempliciotta che per anni è riuscita a "vendere" ai media, come ho già detto poc'anzi. Con un certo acume mi scelse come negoziatore per ottenere la sua parte del patrimonio del padre. Donna attentissima al denaro e che personalmente, con l'aiuto del marito, si occupa benissimo dell'amministrazione del suo patrimonio.
edoardo agnelli

Purtroppo per lei, si è convinta, col tempo, di beneficiare di una sorta di impunità, legata al suo nome e al timore reverenziale che esso poteva incutere nelle istituzioni italiane e persino nei giudici. Questo è stato il suo errore, pensare che tutto a lei fosse consentito, e di conseguenza ai suoi avvocati. Per la signora e il marito, come ho dovuto realizzare negli ultimi tre anni, il fine giustifica sempre i mezzi. Ricattarmi per ottenere da me denaro e falsa testimonianza era, ai loro occhi, giustificato, dall'esigenza di far male a Gabetti, Grande e a John Elkann, per ottenere altro denaro.

Un circolo vizioso nel quale si sono esaltati, certi dell'impunità. Ma ora dovranno accettare che la legge italiana si applica anche a chi porta il nome Agnelli e in ogni caso i tempi sono cambiati dai gloriosi dell'Avvocato. Il mito è caduto, perché la signora ci ha obbligati a vedere quel che prima era impensabile.

Ma con la caduta del mito e il trasparire della verità, la signora ha perso ogni possibile credito, quale erede di un uomo che - nel bene e nel male - ha rappresentato l'Italia industriosa per una cinquantina d'anni. Ora la palla è passata alla magistratura inquirente che, mi auguro davvero, farà luce su questa orribile vicenda. Ma ancora non dormo la notte, l'incubo di questi anni è ancora nella mia testa. Non mi capacito di un tradimento "iniettato" goccia a goccia, messo in atto con così premeditato accanimento».
(1. Continua)
by dagospia

PRODI - LA MALFA E' GRANDE GUERRA SUL CAPITALISMO

Repubblica — 08 ottobre 1993 pagina 4
ROMA - Durissimo attacco di Giorgio La Malfa a Romano Prodi, presidente dell' Iri, sul tema, ormai arroventato, delle privatizzazioni. Con un' esplosiva intervista a Alberto Statera della "Stampa" l' ex segretario del Pri accusa Prodi di essere favorevole a privatizzare le aziende dello Stato attraverso la formula della "public company" non per un desiderio di "democrazia finanziaria e industriale", ma solo per poter garantire agli amici della sinistra Dc (che oggi sono fortemente presenti nell' industria pubblica) di continuare a esercitare il loro personale dominio su queste stesse aziende. In che cosa consista la pietra dello scandalo è abbastanza chiaro e del resto è lo stesso La Malfa a spiegarlo. Da una parte c' è Prodi il quale ha proposto che le azioni delle aziende pubbliche da privatizzare vengano cedute a chi le vuole comprare, ai singoli riparmiatori, insomma. E questa è appunto la "public company". Dall' altra parte c' è invece Giorgio La Malfa che vorrebbe che per ogni azienda pubblica da privatizzare venisse costituito un "nocciolo duro", un gruppo di azionisti importanti. E la risposta di Romano Prodi? Per ora, di fatto, non c' è. Chiuso nel suo bunker di via Veneto, il professore tace. Raggiunto brevemente da alcuni giornalisti durante un convegno si è limitato a una battuta di spirito, a una protesta e a una dichiarazione seria. La battuta è questa: "Giudico l' intervista di Giorgio la Malfa ottima e abbondante". L' interpretazione è difficile: secondo Prodi, La Malfa ci è andato davvero pesante e tutta questa violenza deve pur avere un obiettivo. La protesta è questa: "Se uno si inventa le cose, poi è difficile fare obiezioni". In pratica: La Malfa sa benissimo che quello che dice è falso, ma io come faccio a polemizzare con uno che dice bugie sapendo di dirle? La cosa seria è la seguente: "Nella public company comandano gli azionisti che nominano i loro dirigenti. E grazie a Dio ci stiamo arrivando". Di più dal presidente dell' Iri non è possibile tirare fuori. Si sa benissimo, però, quello che gli passa per la testa. In sostanza, l' analisi di Prodi è la seguente: 1) Il capitalismo italiano è sempre stato povero di grandi protagonisti. Essi in fondo si riducono da decenni a pochissimi nomi: Agnelli, Pirelli, De Benedetti, Montedison, ai quali si possono aggiungere Berlusconi e pochi altri. 2) Tutto questo ha dato vita a un sistema abbastanza chiuso, senza dialettica, senza dinamica e, alla fin fine, conservatore. 3) Le privatizzazioni devono essere l' occasione per "ripopolare" la scena del capitalismo italiano con alcuni giganti che oggi sonnecchiano dentro le partecipazioni statali. Insomma, i 10/15 grandi gruppi che mancano al capitalismo italiano in realtà esistono. Solo che da decenni sono chiusi, congelati, dentro il sistema delle PpSs e sottoposti al controllo del potere politico. 4) Se tutto questo è vero, l' unica strada di crescita reale del nostro capitalismo consiste nel "liberare" questi giganti, lasciandoli liberi di correre, autonomi, nel mercato, alla ricerca della loro fortuna. 5) Questo progetto, ovviamente, impedisce che ci si metta intorno a un tavolo per decidere che la tale azienda va al tale gruppo e quest' altra a quell' altro. Altrimenti, avremmo ancora, alla fine del processo di privatizzazione, quattro o cinque grandi gruppi privati, soltanto un po' più grandi di prima. Dal punto di vista della qualità e del numero dei protagonisti nulla sarebbe cambiato. 6) Infine, non va nemmeno dimenticato che i quattro o cinque grandi gruppi privati ormai esistono solo sulla carta e nella memoria storica dei cronisti finanziari. Non si può certo pensare, ad esempio, alla Ferruzzi-Montedison, come a un gruppo che possa avere un ruolo attivo nel processo di privatizzazione. E altrettanto può dirsi della Pirelli. E nemmeno De Benedetti deve smaniare per acquistare qualcosa. Tutti questi gruppi (compreso Berlusconi) hanno, chi più chi meno, le loro difficoltà, e non si trovano certo nella fase in cui possono candidarsi nel ruolo di acquirenti. Questo poteva essere vero negli anni Ottanta, quando erano chiamati "i condottieri" e erano pieni di soldi e di progetti. 7) In realtà, l' unico soggetto che potrebbe essere interessato a qualche privatizzazione (ma forse solo a quella della Comit) è il gruppo Fiat-Mediobanca, con relativo contorno di alleati. Lì, nonostante la crisi e le difficoltà, ci sono ancora abbastanza risorse e amicizie da consentire qualche capacità di movimento. In conclusione: i noccioli duri non si possono fare perché non esiste nessuno in grado di parteciparvi davvero, mettendo sul tavolo risorse finanziarie importanti. 8) In ogni caso, vale l' obiezione già fatta: alla fine si costruirebbe un "sistema" che ruoterebbe tutto intorno al magico asse Fiat-Mediobanca, e questo va esattamente nella direzione contraria a quella che invece vuole arricchire il capitalismo di nuovi e importanti protagonisti. 9) Ma nelle public company è vero che poi non comanderebbe nessuno e che quindi sarebbe ancora una volta il potere politico a decidere? Su questo punto la risposta che si ricava dagli studi di Prodi e dai seminari fatti a Bologna a Nomisma è molto netta. L' Iri e l' Eni devono trasformare le loro aziende in tante "public company", uscire del tutto dal loro azionariato e poi non occuparsene più. 10) Anzi, per impedire che qualcuno (magari uno straniero) si metta a scalare, poniamo, la Stet o il futuro Enel privatizzato, si stanno studiando varie norme. La più semplice delle quali consiste nel non stabilire limiti alla proprietà delle azioni (ognuno potrà comprare quante Stet vorrà), ma nel porre invece dei limiti molto severi nell' uso del diritto di voto. In pratica, un soggetto può comprare, per esempio, tutte le Stet che vuole, ma poi in assemblea potrà disporre soltanto di un tot di voti. Riguardo al voto in assemblea (e quindi alla nomina dei manager) gli azionisti saranno "plafonati". In realtà, come si vede, qui si stanno scontrando due linee di pensiero assolutamente divergenti. Dietro le quali, ovviamente, non ci sono soltanto idee diverse sui "modi di essere" del capitalismo, ma questioni di potere precise. Non è un mistero, ad esempio, che Cuccia coltiva desideri forti sulla Comit (che nel progetto di Prodi non potrebbe mai avere), mentre altri hanno mire sulla Stet, considerata una gallina dalle uova d' oro. E i politici, che da mesi si erano disinteressati delle privatizzazioni, ora tornano in forze a occuparsene. La Malfa ha gettato il sasso, ma stanno già arrivando gli altri. - GIUSEPPE TURANI

domenica 25 aprile 2010

brunetta è la posta elettronica certificata

Il primo giorno della e-mail con il valore di una raccomandata. Il ministro: "Entro fine anno la useranno in 10 milioni"
TORINO
Una e-mail per dialogare direttamente con gli uffici della Pubblica amministrazione, collegandosi da casa o da qualsiasi altra postazione Internet, per richiedere documenti e ricevere informazioni, senza code agli sportelli e faldoni di carta. Potendo contare sulla possibilità di scambiare messaggi di testo o allegati che hanno lo stesso valore di una raccomandata con avviso di ricevimento. È la Pec, la Posta elettronica certificata, l’ultima «rivoluzione» che da domani attende 50 milioni di italiani. Parola del ministro della Pubblica amministrazione e Innovazione, Renato Brunetta.

Da domani, infatti, «50 milioni di italiani, ovvero tutti i maggiorenni dotati di codice fiscale, se lo vorranno avranno diritto ad attivare gratuitamente la loro Posta elettronica certificata» che, con una memoria da 500 mega, «permetterà a chiunque di rivolgersi alla Pa da casa propria, con il proprio computer, avendo poi diritto da parte della Pa ad una risposta analoga, cioè con la stessa modalità e lo stesso valore legale», ha spiegato Brunetta. Al momento si parte con tutti gli uffici della Pubblica amministrazione ma l’obiettivo, ha sottolineato lo stesso ministro, è di arrivare a dialogare «in maniera certificata anche con le public utilities, vale a dire luce, acqua, gas, eccetera».

Si tratta di «un cambiamento rivoluzionario», ha sostenuto Brunetta, la cui portata può essere paragonata alla svolta arrivata dallo stop al fumo nei luoghi pubblici e chiusi. Portando l’esempio di quando anche nei cinema era consentito accendersi una sigaretta, Brunetta ha evidenziato come «oggi la nostra reazione è chiederci come ciò fosse possibile. Io spero che tra qualche anno si possa dire la stessa cosa delle raccomandate cartacee, le code davanti agli sportelli, insomma l’Italia dei faldoni. E chiederci: come era possibile?».

A partire da domani, quindi, per richiedere l’attivazione del servizio di Pec basterà collegarsi al portale www.postacertificata.gov.it (attivo anche il numero verde 800.104.464 e da rete mobile 199.135.191); dopo la registrazione sarà poi necessario recarsi in un ufficio postale abilitato per l’identificazione e la certificazione della firma.

Ad oggi sono oltre 80 mila le caselle certificate richieste dai cittadini, grazie alla sperimentazione avviata a fine settembre 2009 da Aci e Inps; mentre sono oltre 12.500 le Pec attivate dalle Pubbliche amministrazioni centrali e locali, soprattutto al nord. L’obbligo di dotarsi di Pec riguarda anche professionisti e imprese.
by stampa.it

martedì 20 aprile 2010

FERMI TUTTI! ROMITI VUOTA IL SACCO DELLA PERFIDIA: BRUCIATI BAZOLI E MONTEZEMOLO - #2- TUTTO SUL IL CORRIERE DELLA SERA SCIPPATO AD ANGELO RIZZOLI: "FECE TUTTO BAZOLI" - #3- A 15 MESI DAL LORO ACQUISTO, LE AZIONI RCS IN MANO A BAZOLI VALEVANO PIÙ DEL TRIPLO; DOPO ALTRI 3 MESI, 7-8 VOLTE LA CIFRA INIZIALE. E QUESTO È UN SALVATAGGIO? - #4- DOMANDA LORENZETTO: "DEL SUO PERIODO IN FIAT, LEI RIVELÒ: "ABBIAMO PESCATO UN PAIO DI PERSONE CHE PRENDEVANO DENARO PER PRESENTARE QUALCUNO ALL’AVVOCATO. UNO DEI DUE L’ABBIAMO MANDATO IN GALERA, L’ALTRO ALLA CINZANO" #5- RISPOSTA AL CETRIOLO DI CESARONE: "NON SOLO PER PRESENTARE QUALCUNO ALL’AVVOCATO: ANCHE PER PRESENTARE QUALCUNO A ME. VEDE IL MONDO? È INCREDIBILE..." - #6- ANCORA LORENZETTO: "L’ALTRO, QUELLO FINITO ALLA CINZANO, AMMISE: "È VERO, HO SBAGLIATO, PER FAVORIRE IL CONTATTO CON GIANNI AGNELLI MI SONO FATTO DARE 80 MILIONI NEL COFANETTO VUOTO DI UN LIBRO DI ENZO BIAGI". SI TRATTA DI MONTEZEMOLO, ATTUALE PRESIDENTE DELLA FIAT - ROMITI REPLICA: "NON FACCIO COMMENTI"

Stefano Lorenzetto per "Il Giornale"


ANGELO E MELANIA RIZZOLI

Nel settembre del 1981, Angelo Rizzoli, proprietario del Corriere della Sera, ricevette nel suo ufficio di Roma la visita inaspettata di un agente segreto appassionato di gastronomia, un uomo dall'evidente doppia identità, o forse afflitto da sdoppiamento della personalità considerato che firmava le recensioni dei ristoranti sull'Espresso con lo pseudonimo Gault & Millau: Federico Umberto D'Amato, già direttore dell'Ufficio affari riservati del ministero dell'Interno, iscritto alla loggia P2.
roberto calvi

Il controverso personaggio gli disse: «Calvi la vuole vedere». Roberto Calvi era il presidente del Banco Ambrosiano e l'anno dopo sarebbe finito impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra. Il 29 aprile aveva acquistato da Rizzoli, che deteneva il 90,2% del pacchetto di controllo dell'omonima casa editrice, il 40% delle azioni, senza però pagare il dovuto: in tutto 150 miliardi di lire, comprensivi di un aumento di capitale che i due avevano concordato all'atto della compravendita.
FRANCESCO PAZIENZA

Il padrone del Corriere fu condotto dallo 007 gourmet in una casa di via del Governo Vecchio, dove tale Francesco Pazienza, che in seguito sarebbe stato gratificato nelle cronache giudiziarie con l'appellativo di «faccendiere», conviveva con la sorella del produttore cinematografico Aurelio De Laurentiis.

Lì in effetti trovò ad attenderlo Calvi, tornato libero da poche settimane dopo quasi tre mesi passati in galera per evasione valutaria. Il banchiere lo aggredì con la bava alla bocca: «Dove sono finiti i soldi della Rizzoli? Non vorrà farmi credere che lei non sa nulla del vino veronese!».
Licio Gelli

Angelo junior, allora soprannominato Angelone per via della stazza, rimase interdetto. Si stava parlando dei soldi suoi, di Rizzoli, che Calvi avrebbe dovuto versargli almeno quattro mesi prima. In seguito tutto gli sarebbe stato tragicamente chiaro: attraverso complicate triangolazioni fra banche compiacenti e società di comodo con sedi in Liberia, Svizzera, Isole del Canale, Irlanda, Panama e Bahamas, ordite dallo stesso Calvi in combutta con i piduisti Licio Gelli, Umberto Ortolani e Bruno Tassan Din, il malloppo era stato dirottato su vari conti correnti, uno dei quali battezzato pittorescamente Recioto, come il famoso vino della Valpolicella.
RIZZOLI E BRUNO TASSAN DIN

Poiché Calvi non si fidava neanche di se stesso, voleva solo sincerarsi che l'ignaro Rizzoli non si fosse accordato col famigerato trio Blu (Bruno, Licio, Umberto) per fregarglielo. Lo scippo del Corriere ruota attorno a questi 150 miliardi di lire. Quelli che Calvi doveva ad Angelo Rizzoli per il 40% delle azioni e per l'aumento di capitale. Quelli che i quattro massimi dirigenti del Banco Ambrosiano, Roberto Rosone, Gennaro Zanfagna, Filippo Leoni e Giacomo Botta, avevano visto finire su conti correnti esteri in paradisi fiscali anziché in via Solferino, ricevendo da Calvi l'ordine perentorio di non farne parola con Rizzoli.
Sede del Corriere della Sera in via Solferino

Quelli che al proprietario della Rizzoli, malato di sclerosi multipla, costarono 407 giorni di isolamento e detenzione in cinque diverse prigioni, la spoliazione del patrimonio di famiglia e sei processi conclusisi dopo 26 anni in Cassazione con altrettante assoluzioni definitive per insussistenza dei reati. Quelli che aprirono una falla nei conti del Corriere. Quelli che consentirono a Giovanni Bazoli, all'epoca presidente dell'Nba (Nuovo Banco Ambrosiano) sorto dalle ceneri del vecchio Ambrosiano, oggi Intesa Sanpaolo, di agitare lo spettro della bancarotta.
BAZOLI

Quelli che permisero a una cordata di salvataggio formata da Gemina (Fiat e Mediobanca), Iniziativa Meta (Montedison), Mittel (finanziaria bresciana facente capo allo stesso Bazoli) e Giovanni Arvedi (imprenditore siderurgico), di appropriarsi della seconda casa editrice d'Europa e del primo quotidiano d'Italia per un tozzo di pane. Quelli che nessuno dei potenziali acquirenti del Corriere si prese la briga di capire in quale buco nero fossero stati inghiottiti.
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Neppure Cesare Romiti, dal suo osservatorio privilegiato prima di amministratore delegato (1976-1996) e di presidente della Fiat (1996-1998), poi di presidente della Rizzoli-Corriere della Sera (1998-2004), e ora di presidente d'onore della medesima Rcs Mediagroup, può dimostrare d'aver a suo tempo indagato sulla torbida vicenda. Ma lui, almeno, una giustificazione ce l'ha: «Fece tutto Bazoli. Fu lui a convincere Gianni Agnelli dell'ineluttabile dovere di partecipare all'operazione di salvataggio del Corriere. Enrico Cuccia, presidente di Mediobanca, e io eravamo molto scettici. Ma Bazoli insisteva tanto. Alla fine cedemmo e, senza curarci minimamente dei dettagli, entrammo nella cordata. Solo leggendo la sua intervista ad Angelo Rizzoli (Il Giornale, 21 febbraio, ndr) ho compreso fino in fondo che cosa c'era dietro a questa vicenda».

Sembra sincero. Gli anni - ne compirà 87 il prossimo 24 giugno - hanno addolcito i lineamenti spigolosi del viso asimmetrico. La risolutezza, quella è intatta. Sulla scrivania, tre libri: Date a Cesare... Da boiardo di Stato a leader carismatico: la vita di Cesare Romiti di Paolo Madron, Le confessioni d'un italiano di Ippolito Nievo e un inaspettato Facce da schiaffi di Mario Melloni, alias Fortebraccio, il defunto corsivista dell'Unità.
papa giovanni paolo II 0002

Alle pareti, tre foto (nella prima passeggia con Cuccia, nella seconda bisbiglia qualcosa all'orecchio dell'Avvocato, nella terza s'inchina al cospetto di Papa Wojtyla) e un cartello che veniva appeso nelle fabbriche francesi nel XIX secolo, un aforisma che parla il linguaggio universale dei leader e dunque non ha bisogno di traduzioni: «Du haut en bas de l'échelle sociale l'exemple est la plus belle forme de l'autorité».

Il 17 luglio 1974 Agnelli cedette per 24 miliardi di lire ad Andrea Rizzoli, padre di Angelo, il 33% del Corriere e si prese da Eugenio Scalfari, sull'Espresso, l'epiteto di «avvocato di panna montata», in quanto sembrava che abdicasse a un suo dovere imprenditoriale e civico. Perché lo fece?

«Perché, presumo, Giulia Maria Crespi gli aveva comunicato l'intenzione di vendere il suo 33% e lo stesso aveva fatto Angelo Moratti che deteneva un altro 33%. Io arrivai in Fiat pochi mesi dopo, a operazione già avvenuta. Ma fui ben lieto che la vendita del Corriere si fosse conclusa. Dentro di me esclamai: Madonna, che bella notizia! La casa automobilistica non aveva nemmeno i quattrini per arrivare a fine anno. Quei 24 miliardi erano una manna dal cielo».
y can31 carlo callieri

E perché dieci anni dopo la Fiat decise di compiere il percorso inverso e di ricomprarsi il Corriere?

«Il bandolo della matassa l'aveva in mano Bazoli. Un giorno c'informò che la quota di Angelo Rizzoli era in vendita e che sarebbe stato molto opportuno farla rilevare a imprenditori borghesi, indipendenti, liberali, com'era nella tradizione del Corriere. Agnelli me ne parlò, prospettandomi la possibilità di entrare come Gemina, la società costituita insieme con Mediobanca di cui Fiat era la principale azionista.

Gli obiettai: ma scusi, avvocato, siamo già in un mare di guai, tutto ci conviene tranne che comprare dell'altra roba. Ma vedevo che non mi dava retta. Ne parlai subito con Cuccia. In fin dei conti ero finito a Torino su consiglio del patron di Mediobanca».

E Cuccia?
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«Sgranò gli occhi: "Ma chi ve lo fa fare? Lasciate perdere! I giornali sono soltanto fonte di rogne". Solo che Cuccia subiva il fascino di Agnelli, gli dispiaceva non accontentarlo. A sua volta Agnelli era pressato da Bazoli: l'ingresso della Fiat nell'affare avrebbe dato un tono all'intera operazione. Io cercavo di temporeggiare.

Bisogna tener conto che l'Avvocato aveva due grandi passioni: i giornali e la diplomazia. A parte l'amore che riversava sulla Stampa, lei ricorderà che fu vicino a diventare ambasciatore dell'Italia a Washington quando nel 1976 il Pci raggiunse il massimo storico di voti. E frenarlo nelle sue passioni era impossibile».
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Così lei si mise la cordata al collo.

«Oltre a Gemina, dovevano farne parte solo Arvedi e la Mittel di Bazoli. Non ho mai capito quali rapporti legassero quest'ultimo all'industriale di Cremona, che conobbi nella tenuta agricola di famiglia, curata con grande competenza dalla moglie. Un uomo molto perbene, Arvedi, la cui unica stravaganza, dal mio punto di vista, in quel momento era rappresentata dalla pretesa di far soldi con l'acciaio, settore che andava a rotoli. Invece all'ultimo minuto Bazoli ci comunicò che nella cordata doveva essere inserita anche la Montedison di Mario Schimberni. Io non avevo nulla contro Schimberni, lo conoscevo da una vita. Ma il metodo c'indispettì parecchio e l'accordo fu lì lì per saltare, con mio enorme sollievo».
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Invece?

«Si scoprì che Schimberni era stato imposto a Bazoli da Bettino Craxi. Con i politici noi non parlammo, era Bazoli a tenere i rapporti. Ma si capiva che nel Palazzo consideravano la Fiat il perno indispensabile del salvataggio».

Mi faccia capire: tutti vi tiravano per la giacca, ripetendovi il ritornello «intervenite, altrimenti la Rizzoli fallirà», e lei non sentì il bisogno di consultare il proprietario per appurare come stessero effettivamente le cose?

«No. Avevamo la parola di Bazoli. La Rizzoli era in grembo al Nuovo Banco Ambrosiano da lui presieduto. Bazoli ci disse che la situazione finanziaria della Rizzoli era disastrosa. Non quella del Corriere, che andava bene: della casa editrice in generale. E a noi tanto bastò».

Non vi spiegò che mancavano all'appello i 150 miliardi usciti dal vecchio Ambrosiano? Avreste perlomeno dovuto chiedere conto di quell'ammanco ad Angelo Rizzoli, il quale vi avrebbe spiegato che se li erano rubati Calvi e soci.

«Ci fidammo dello scenario che ci era stato rappresentato. Col senno di poi forse fu un errore».
Gianni Agnelli

Ma quando Bazoli vi annunciò che della cordata doveva far parte anche la Mittel, non vi parve una condizione poco elegante, diciamo così?

«Il ruolo che ci era stato cucito addosso era quello di salvatori della patria. Avevamo un dovere da compiere, punto e basta. Del resto non c'importava niente. Per cui perfezionammo l'acquisto: a Gemina andò il 46,28%, a Montedison il 23,14%, ad Arvedi l'11,57%, a Mittel l'11,57%, ad altri il 7,44%».

Angelo Rizzoli accusa Bazoli d'aver svolto tre parti nella stessa commedia: venditore della casa editrice in quanto presidente dell'Nba che deteneva il 40% delle azioni acquistate epperò mai pagate dal vecchio Ambrosiano, acquirente in quanto azionista di Mittel, arbitro in quanto fu lui a segnalare ai commissari nominati dal tribunale la cordata interessata ad assumere il controllo della casa editrice.

«Non faccio commenti».

Persino Pier Domenico Gallo, uomo di fiducia del banchiere bresciano e direttore generale dell'Nba dall'82 all'87, riconosce in un libro che vi era «un classico problema di conflitto d'interessi». Bazoli lo aggirò affidando temporaneamente la presidenza della Mittel al costituzionalista Paolo Barile. Dopodiché tornò ai vertici di Mittel, di cui è tuttora presidente.
GIULIA MARIA MOZZONI CRESPI - copyright Pizzi

«Gliel'ho detto: non faccio commenti».

Mittel acquista l'11,57% della Rizzoli pagando 708 lire per azione. Di lì a poco ne rivende una parte a Gemina al prezzo di 2.274 lire cadauna; nel 1987 ne rivende un'altra parte al prezzo di 5.227 lire cadauna. In altre parole, a 15 mesi dal loro acquisto, le azioni Rizzoli in mano alla Mittel valevano più del triplo; dopo altri tre mesi, sette-otto volte la cifra iniziale. E questo sarebbe un salvataggio?

«Lei è un bravo giornalista, ma io non le rispondo».
Maria Crespi

Dieci anni dopo essere uscito dal Corriere con in tasca i 24 miliardi del suo 33%, Agnelli, attraverso Gemina e con l'aiuto di Montedison, Arvedi e Mittel, strappa al legittimo proprietario il 50,2% della Rizzoli. Tutti insieme pagano circa 9 miliardi di lire. L'affare del secolo, si direbbe.

«I fatti vanno contestualizzati. Era un periodo tremendo. La Fiat versava in profondo rosso a causa della seconda crisi petrolifera, non riuscivamo a vendere le auto, avevamo il terrorismo in fabbrica, uccisioni, azzoppamenti, io stesso rischiai d'essere rapito dalle Brigate rosse. Il prezzo d'acquisto fu rapportato alla perdita di bilancio della Rizzoli. L'unica preoccupazione dei salvatori della patria, metta pure salvatori della patria fra virgolette, era di trovare una persona che potesse rimettere a posto l'azienda».

E lei scelse il suo braccio destro Carlo Callieri, distaccato dalla Fiat a fare l'amministratore delegato della Rizzoli. In un recente dibattito alla televisione del gruppo Class editori, Callieri ha ribadito che il prezzo pagato fu giusto.

«Oggi l'azione manageriale di Callieri non la ricorda più nessuno. Ma il suo contributo fu determinante. Andò giù con la scimitarra, licenziò, tagliò. Dopo un anno, quando per motivi di famiglia volle lasciare Milano, la Rizzoli era risanata. Logico che il valore dell'azienda a quel punto risultasse superiore».

Eppure Gallo, ex direttore generale dell'Nba, nel corso della medesima trasmissione ha dichiarato: «Anche se io sono assolutamente convinto della totale correttezza della procedura di vendita, credo che la Rizzoli valesse di più».
MONTEZEMOLO

«A me, sparagnino di natura, i 9 miliardi sembrarono un'enormità».

Il professor Luigi Guatri della Bocconi, che eseguì una perizia contabile per conto del tribunale di Milano, valutò il solo patrimonio attivo della Rizzoli 270 miliardi di lire. Quindi Gemina avrebbe dovuto sborsare per il 46,28% come minimo 125 miliardi.

«Io vidi solo i debiti che dovetti caricare sui conti della Fiat. Ebbi anche una lite bonaria con Cuccia, per questo. "Non dovevamo entrare", continuava a ripetermi».

Carlo Scognamiglio Pasini, che voi soci nominaste presidente della casa editrice dopo l'ingiusto arresto di Rizzoli, mi ha detto che a suo avviso l'azienda poteva valere in quel momento «dai 385 ai 440 miliardi di lire». Quindi Gemina avrebbe dovuto sborsare dai 178 ai 204 miliardi.

«Ma per l'amor di Dio! Magari ci avessero chiesto quelle cifre. Mi sarei opposto fino all'ultimo sangue. Non l'avremmo comprata mai e poi mai! E così ci saremmo tolti il pensiero per sempre».

Di lì a quattro anni il valore della Rizzoli era decuplicato: 1.000 miliardi. Tant'è vero che il 10% venduto ai francesi di Hachette vi venne pagato 100 miliardi.
far50 car scognamiglio fi tea

«Merito della gestione Callieri».

Rizzoli rammenta che fu costretto a subire lo scippo con un argomento assai convincente: «O accetti di vendere a queste condizioni oppure torni in galera e non esci più». Avendo già passato 13 mesi agli arresti, malato di sclerosi multipla, non ebbe scelta. Detto in altri termini: o la borsa o la vita.

«Io non mi occupai proprio di Rizzoli, manco lo conoscevo, ci hanno presentati anni dopo».

Ma Agnelli lo conosceva fin da quand'era bambino.

«Lo so. Ho visto che Angelo Rizzoli, nell'intervista che le ha rilasciato, ha attribuito all'Avvocato una frase molto cruda».

«Caro Angelo, si sa che nel mondo degli affari vige la legge della giungla: il più forte mangia il più debole. E tu eri il più debole». Una frase che Rizzoli si sarebbe aspettato da Totò Riina, non dal primo gentiluomo d'Italia.
romiti maurizio

«Non è da Agnelli. Non è nel suo stile, nella sua educazione. Io non lo riconosco».

Rizzoli mi ha anche raccontato che, quando ebbe a lamentarsi con lei per lo scippo del Corriere, si sentì rispondere: «Per tutte le cose che le sono accadute, deve rivolgersi a Bazoli».

«Non lo ricordo. Ma è molto probabile che gli abbia risposto così».

Bazoli non è la stessa persona che nel giugno 2004, quando Gemina era a corto di liquidità, fece dimettere l'amministratore delegato della società Maurizio Romiti, suo figlio, costringendovi a cedere il vostro 8,6% di Rcs Mediagroup?

«Mio figlio lasciò i conti in ordine. I guai arrivarono dopo. Fummo spinti a cedere un po' da tutti gli altri azionisti».

Chi la pensionò?

«Il colloquio lo ebbi con Bazoli».

La facevo un gladiatore nato. Perché cedette?

«C'era di mezzo mio figlio. Non volevo che pensassero chissà che cosa...».

Ettore Livini su Repubblica scrisse: «Strappare il Corriere a Cesare Romiti è stato come tagliare i capelli a Sansone».
Maurizio Romiti

«Immagine un po' troppo figurata. Però mi dispiacque parecchio, questo è sicuro».

Da presidente d'onore della Rcs partecipa ancora alle vicende della casa editrice?

«No, non vado più. Ma non ho nemmeno gioito quando, dopo la mia uscita, i conti sono peggiorati grazie all'ingaggio di un nuovo amministratore delegato, Vittorio Colao, manager bresciano di formazione McKinsey. Al contrario: ho sofferto».

Da quando Rizzoli fu espropriato del Corriere, il vero deus ex machina di via Solferino, passato indenne attraverso vicende politiche, economiche e giudiziarie, è Bazoli, incidentalmente anche presidente della più grande banca di questo Paese. Non le sembra una concentrazione di potere formidabile?

«Non le rispondo».

Rizzoli mi ha assicurato: «La Fiat e Cesare Romiti sapevano perfettamente che i 150 miliardi non erano stati versati dal Banco Ambrosiano alla Rizzoli».

«In cassa non c'erano. Nessuno sapeva dove fossero finiti».

No, i vertici dell'Ambrosiano lo sapevano benissimo, come poi testimoniarono al processo per il crac. Lei pensò che se li fosse fischiati Rizzoli?

«Non pensai nulla. Quello che era stato, era stato. A noi spettava il compito di rimboccarci le maniche e svuotare l'acqua prima che la barca affondasse. Non ho mai dubitato, se è questo che desidera sapere, della probità di Rizzoli. Ingenuo fin che si vuole. Ma onesto».

Intesa Sanpaolo, erede dell'Ambrosiano, non sarebbe tenuta a versare a Rizzoli quanto non gli corrispose 29 anni fa?

«Questo non può domandarlo a me. Deve domandarlo a loro».

Rizzoli, forte di sei assoluzioni definitive, ha trascinato in tribunale gli eredi della cordata che nel 1984 gli portò via il Corriere, chiedendo la restituzione di una cifra oscillante fra i 650 e i 750 milioni di euro.

«Ma la cifra è scritta nella citazione?».

«Una somma compresa tra euro 650.000.000 oppure euro 724.015.000 o la più alta che emergerà dall'istruttoria», così c'è scritto.

«Ai miei tempi non ero abituato a cifre tanto importanti».

Intervistato da Giovanni Minoli a Mixer, lei si attribuì una dote: «So essere molto, ma molto cattivo». Il fatto che Rizzoli, tuttora malato di sclerosi, in questa odissea abbia patito un'ingiusta detenzione di 13 mesi, la morte del padre per crepacuore mentre lui era in galera, la tragica fine della sorella Isabellina che si gettò dalla finestra per paura di finire in prigione, l'arresto senza motivo del fratello Alberto e il completo saccheggio del patrimonio di famiglia, che sentimenti suscita nell'ex uomo forte di Gemina?

«In confronto all'avvocato Agnelli ero molto più cattivo. Che sentimenti suscita... Compassione è una parola che non vorrei usare per Angelo Rizzoli. Del suicidio della sorella non sapevo nulla, l'ho appreso leggendo l'intervista sul Giornale. Che sentimenti suscita...». (Riflette).

Indignazione?

«No, che cosa si vuole indignare... Altro che da indignarsi ci sarebbe! No, direi... Impressione. E delusione. Nel nostro Paese capitano tante di queste cose, purtroppo, e provo delusione perché accadono».

Ci sarebbe da dimettersi da italiani.

«Ha ragione».

Secondo lei perché Indro Montanelli, pur essendo stimato da Agnelli, non riuscì mai a diventare direttore del Corriere, anzi fu licenziato da Piero Ottone e dovette fondare Il Giornale?

«Giulia Maria Crespi s'è sempre opposta. Sono stato molto amico di Indro. Non era solo un giornalista di eccezionale valore. Era anche una persona di grande umanità, che si compiaceva d'apparire duro e corrosivo con tutti, persino con i preti, ma in realtà non lo era affatto».

Lei ha rivelato: «Indro non morì ateo».

«È un mio personale convincimento. Frequentandolo in privato, si capiva bene quanto non fosse per nulla ateo. Un giorno gli chiesi: ma tu hai mai sentito parlare di monsignor Gianfranco Ravasi, il biblista prefetto della Biblioteca Ambrosiana? lo leggi? ti farebbe piacere incontrarlo? "Magari!", rispose Indro, come se non aspettasse altro. Si conobbero a casa mia».

E lei, dottor Romiti, che cosa andò a cercare al Cottolengo di Torino? Suor Giuliana Galli nel 1999 mi raccontò di una sua visita.

«Una santa donna, molto attiva, molto colta. Da allora siamo rimasti in contatto. Adesso vive a Moncalieri e continua a fare del bene. Il Cottolengo era un luogo dove non sarei mai andato. E suor Giuliana, senza dir nulla, mi ci portò tenendomi per mano. Voleva dimostrarmi che nel Cottolengo non c'è disperazione, c'è solo serenità. Ho dovuto darle ragione. A un certo punto mi strinse la mano più forte: "Senta, dottor Romiti, manca l'ultimo quarto della casa. Non è facile. Vuole che torniamo indietro?". No, andiamo avanti, le risposi. In una stanzetta c'erano dei bambini che giocavano, gattonando sulla moquette. Mi venne spontaneo sollevare da terra una bimbetta bionda, curva sul pavimento, di cui vedevo solo i capelli da dietro. Quando l'ebbi fra le braccia, si girò. Non è che fosse cieca: non aveva gli occhi. Eppure era molto carina. Per due anni ho chiesto di lei. Finché un giorno suor Giuliana mi ha avvisato che era morta. Sarà questa la provvidenza di Dio?».

Perché durante i funerali di Agnelli rimase in piedi nei banchi dall'inizio alla fine, omelia compresa?

«Mi erano tornate in mente le parole che l'Avvocato m'aveva detto a Villar Perosa, durante una messa celebrata non ricordo più in quale occasione: "Vede, io sono cattolico, sono stato battezzato in questa parrocchiale, credo nella Chiesa, ma non sono praticante. E allora, per rispetto e per farmi perdonare, rimango sempre in piedi durante le funzioni liturgiche". I fedeli che sedevano dietro di me erano stizziti, volevano vedere il celebrante e le autorità. Ma io ero lì per Agnelli».

Le manca?

«Abbiamo vissuto insieme per un quarto di secolo, parlando tutti i giorni. Non solo di lavoro. Discutevamo di politica, di famiglia, di persone, di comportamenti umani. La sua principale curiosità era capire che cosa pensava veramente l'interlocutore che aveva dinanzi. Per me sono stati 25 anni molti corti, sono passati troppo in fretta».

E Cuccia le manca?

«Molto. Mi manca come può mancarti un padre o un fratello maggiore».

Del suo periodo in Fiat, lei rivelò: «Abbiamo pescato un paio di persone che prendevano denaro per presentare qualcuno all'Avvocato. Uno dei due l'abbiamo mandato in galera, l'altro alla Cinzano».

«Non solo per presentare qualcuno all'Avvocato: anche per presentare qualcuno a me. Vede il mondo? È incredibile...».

L'altro, quello finito alla Cinzano, ammise: «È vero, ho sbagliato, per favorire il contatto con Gianni Agnelli mi sono fatto dare 80 milioni nel cofanetto vuoto di un libro di Enzo Biagi». Si tratta di Luca Cordero di Montezemolo, attuale presidente della Fiat.

«Non faccio commenti».

Trent'anni fa lei licenziò in un solo giorno 14.469 operai della Fiat. Come si dorme dopo una decisione del genere?

«Si dorme male, male, male. In chi ha il senso della coscienza, e io spero d'averlo, penso d'averlo, i minuti più terribili sono quelli che passano dal momento in cui, stanco, ti metti a letto e appoggi la testa sul cuscino e il momento in cui ti addormenti. Sono i minuti più lunghi della tua vita. Sei solo con te stesso e rivedi tutto ciò che hai fatto. Quella notte per me furono ore, non minuti».

S'è risentito quando Aldo Cazzullo del Corriere le ha citato una stima secondo cui la Fiat avrebbe ricevuto fino a oggi dallo Stato aiuti per 250.000 miliardi di lire: «Magari avessimo potuto disporre di queste cifre!».

«Confermo. Ci metta dentro tutto ciò che vuole: cassa integrazione, rottamazioni, incentivi, sgravi fiscali... Nooo! Un conto assurdo, sbagliato».

La mia domanda era un'altra: il principio fondante del capitalismo non è che un'azienda deve stare in piedi sulle proprie gambe o altrimenti deve chiudere?

«Guardi che gli incentivi si danno da sempre anche nei Paesi del capitalismo avanzato, come gli Stati Uniti. Quando non sono finalizzati a coprire gestioni improvvide o ruberie, non ci vedo nulla di male. Se vanno a favore della collettività, ben vengano».

Sì, però bisognerebbe che le aziende li restituissero allo Stato nel momento in cui esse tornano a macinare utili.

«E quando un'azienda paga le tasse, che fa?».

Le tasse le pagano anche le aziende che non godono di incentivi statali.

«Le aziende non sono dei proprietari».

È confortante sentirglielo dire.

«Sono delle persone che ci lavorano dentro, delle famiglie, dei fornitori, dei clienti. Se un'azienda è sana ma si trova in una difficoltà temporanea di mercato, perché non aiutarla?».

Lei è presidente della Fondazione Italia-Cina, che ha costituito nel 2003. A parte la concorrenza sleale, il parmigiano contraffatto, il latte alla melamina, le condanne a morte sommarie, l'aborto selettivo delle bambine, la repressione in Tibet, l'inquinamento, che può venirci di buono dalla Cina?

«Tutto. Il futuro sta da quella parte. Continuiamo a stimare gli Usa anche se hanno fatto Guantanamo, giusto?».

A proposito d'inquinamento. Alfonso Pecoraro Scanio, ministro dell'Ambiente nel governo Prodi, incolpò dell'emergenza rifiuti in Campania, la Fibe del gruppo Impregilo, società di costruzioni da lei presieduta fino al 2006, che produsse 5 milioni di tonnellate di ecoballe.

«Avrei dovuto dare querela. Ma non ne valeva la pena. Che fine avrà fatto Pecoraro Scanio?».

Bisognerebbe chiederlo a Gustavo Adolfo Rol, famoso sensitivo torinese, se non fosse morto da 15 anni.

«Tipo straordinario, Rol. Mi fece mettere nella tasca della giacca un foglio bianco. Quando lo estrassi, era pieno di buoni consigli scritti a mano da Vittorio Valletta (direttore generale della Fiat dal 1921 e presidente dal 1946, ndr). Conoscevo bene la calligrafia di Valletta: la lettera era proprio sua».

Le mancano i giornali?

«D'abitudine leggo solo il Corriere e La Gazzetta dello Sport perché mi arrivano le copie omaggio. Compro La Repubblica. I settimanali non li apro nemmeno».

Allora non avrà letto quanto scrisse Lo Specchio della Stampa: «Tra i manager che si rivolgono agli astronomi per saper dove investire ci sarebbero Cesare Romiti e alcuni membri della Consob».

«Anche La Stampa qualche volta sbaglia. Gran giornale La Stampa!».

by dagospia