giovedì 27 maggio 2010

le perle di kossiga

Tratto dal libro "Fotti il Potere - manuale sul potere politico", scritto da Andrea Cangini con Francesco Cossiga (Aliberti Editore http://blog.alibertieditore.it/?p=2777)
FottiPotere_fronte_Cossiga - Copertina - Cangini - Aliberti Editore

1 - "POLITICA E DENARO? I BILANCI DEI PARTITI SONO ANCORA FALSI"
Andrea Cangini per "QN - Quotidiano Nazionale "

Tutto ritorna, parrebbe: Mani Pulite, la corruzione, il rapporto perverso tra politica e denaro. C'è da scandalizzarsi? Secondo Francesco Cossiga, no. Perchè, come spiega nel libro in uscita per Aliberti ‘Fotti il Potere, gli arcana della politica e dell'umana natura', «tra politica e denaro ci sarà sempre un legame indissolubile» e non bastano «le logiche moraliste tipicamente italiane a cancellarlo». Si può nasconderlo, al massimo.

Ma non si può pensare che le regole non scritte del gioco politico vengano come d'incanto sovvertite. Dice infatti il presidente che «come accadeva durante la Prima repubblica, i bilanci di tutti i partiti sono ancor oggi sistematicamente falsi», i soldi che ricevono attraverso il finanziamento pubblico «sono solo una minima parte di quelli di cui possono effettivamente disporre» e pertanto «non c'è personalità politica che non possa essere sbattuta in galera per tangenti».
FRANCESCO COSSIGA

E' capitato anche a Cossiga di maneggiare denaro altrui, e nel libro lo racconta. Racconta anche che, oggi come allora, non c'è grande partito in cui non emergano personaggi i cui meriti politici restano avvolti nel mistero ma le cui carriere si giustificano con il rapporto esclusivo che hanno saputo tessere con chi il denaro lo ha davvero. Perché «i politici sono ormai marionette nelle mani dei banchieri», e «sul fiume di denaro frutto della corruzione navigano le carriere e le fortune personali di molti di loro».
FRANCESCO COSSIGA

Può dunque capitare che un po' di quel denaro destinato a finanziare la politica resti attaccato alle mani dei politici. Ma sarebbe saggio non farsene un cruccio. Francesco Cossiga cita un brano della lettera scritta al nipote dal liberale Massimo D'Azeglio quando, nel 1852, lasciò la carica di primo ministro del Regno di Sardegna: «Nessuna opera pubblica può giammai essere realizzata senza che alcuno si arricchisca su di essa».
COSSIGA

Meglio rassegnarsi, dunque. Perché a mettere l'accento solo sul versante morale dell'agire politico si rischia di trascurarne gli obiettivi naturali: fare, realizzare cose nell'interesse generale. Cossiga ritiene infatti che la moralità individuale andrebbe rapportata all'efficacia di governo, perché «è meglio il politico che ruba un po' ma sa governare bene, di uno onesto ma incapace». Difficile che tale ‘sensibilità' possa permeare i ranghi della magistratura. Che però è fatta di uomini come tutti, dunque non necessariamente estranei al fascino del potere.
COSSIGA

E del denaro. Può pertanto darsi il caso che indagini oggettivamente legittime rispondano a logiche esclusivamente politiche. O di potere. Ad esempio: secondo Cossiga «Mani Pulite non nasce con l'arresto di Mario Chiesa. Ho parlato con diversi grandi imprenditori coinvolti, e tutti mi hanno detto che gli sono stati contestati fatti appresi dai magistrati anni prima grazie alle intercettazioni. C'è qualcosa che non torna: perché quelle inchieste da anni dimenticate sono state di colpo lanciate tra i piedi del ceto politico?». Secondo il presidente, allora l'azione della magistratura fu incoraggiata dall'Fbi americano e dai poteri forti italiani.
COSSIGA

L'obiettivo? Rovesciare un sistema politico logoro e dal loro punto di vista ormai inservibile. La prassi non è cambiata: «La polizia giudiziaria non risponde più ai propri superiori, per cui il magistrato chiama il funzionario di turno e gli dice: ‘Lei intercetti Tizio, se risulta qualcosa di utile per l'inchiesta, ho già lasciato uno spazio bianco negli atti; in caso contrario, metta da parte le cassette perché possono tornare utili...'».
Francesco Cossiga - Copyright Pizzi

In quelle intercettazioni si trova a volte anche la prova di collusioni col contropotere mafioso. Strano? Macché: «L'Italia - allarga le braccia Cossiga - è l'Italia: l'Italia della mafia, della camorra e della ‘ndrangheta. E, purtroppo, sarà sempre così. Dobbiamo rassegnarci perché i poteri mafioso, camorrista e ‘ndranghetista non ci sono estranei: sono espressione del carattere della gente cui si rivolgono e corrispondono ad un sentimento radicato in alcuni popoli italiani. Per cui, ad esempio, anche chi non è camorrista in senso stretto ma aspira a governare la Campania sa benissimo che non deve rompere le palle alla camorra...».

Il che, concretamente, cosa significa? «Significa tante cose, la più banale è che se a una gara d'appalto partecipa una ditta in odore di camorra quella ditta verrà fatta vincere... Stesso discorso per la mafia. Per fare politica occorre avere rapporti con chi ha il potere, e in Sicilia, come sanno bene anche quei pochi ex diessini capaci di raccogliere qualche voto sull'isola, fare politica senza entrare in contatto con la mafia è impossibile. Salvo accettare di svolgere un ruolo residuale...». Il che, per la maggior parte dei politici (anche di quelli ‘onesti') sarebbe una scelta contronatura.
Moro Cossiga

2 - A INVENTARE LA P2 FURONO GLI AMERICANI
Un capitolo tratto da "Fotti il Potere", manuale sul potere politico scritto da Andrea Cangini con Francesco Cossiga

Non c'è solo il denaro, naturalmente. Il regno oscuro del potere invisibile su cui spesso s'appoggia il potere politico si compone di voci diverse, e una parola che da sempre aleggia sulla politica italiana è la parola massoneria. Parola cara a Francesco Cossiga, che massone dice di non esserlo mai stato ma che tale viene comunque considerato da molti. Anche perché è lui stesso a lasciarlo intendere. Ci gioca. Ama ricordare il nonno «massone di rito scozzese e venerabile della Loggia di Sassari» e quando occorre difende l'istituzione da attacchi, critiche e luoghi comuni.
ciampi unita d italia

Presidente, la massoneria è in grado di influenzare la politica?
«Le risponderò con un motto, poco noto, di Alcide De Gasperi: "Sapere che esiste, ma non parlarne mai e avere almeno due ministri massoni nei governi che si formano"».

Perché?
«Perché la massoneria può sempre tornare utile. Naturalmente oggi non ha più la forza che aveva nell'Ottocento, quando era la religione civile del Risorgimento contro la Chiesa e accomunava monarchici e repubblicani. Allora, la massoneria coincideva con lo Stato e massoni erano i vertici delle forze armate e dei carabinieri. Oggi la massoneria è ancora influente, ma sicuramente meno d'un tempo».
pro13 romano prodi

Perché si diventa massoni?
«Ah, be', occorre distinguere. Oggigiorno c'è anche chi, sulla scia delle suggestioni new age e magari della letteratura di Paulo Coelho, si fa massone spinto da un umano desiderio di trascendenza e di spiritualità fuori dalla religione tradizionale. Per altri è una forma di distinzione sociale: in loggia si ritrovano con persone più altolocate di loro e ritengono di poterne trarre qualche vantaggio».

Conta più l'ideale o l'interesse?
«Domanda difficile, credo che per molti l'interesse sia una spinta più che sufficiente...»
Strage di bologna

Può dunque capitare che uomini politici avversari in parlamento alla sera si ritrovino nella medesima loggia: questo ha un qualche effetto sulle cose della politica?
«Può averlo, certo. In loggia si stringono legami personali, nascono rapporti, si concepiscono affari... Ma a far la differenza tra una condotta lineare e una condotta diciamo così equivoca sono, al solito, la tempra morale e il senso dello Stato di ciascuno».

Dalla massoneria alla P2, in passo è breve...
«La gente non sa che la P2 è stata inventata dagli Stati Uniti, Paese in cui l'influenza degli "illuminati" è rappresentata dalla simbologia massonica emblematicamente riprodotta sulle banconote da un dollaro e nel quale dei quarantaquattro presidenti che si sono succeduti alla Casa Bianca fino a oggi solo tre non erano massoni: due di loro (McKinley e Kennedy) furono ammazzati, mentre il terzo (Nixon) fu costretto alle dimissioni. Quanto a Obama, non saprei dire.
GELLI

Ma se finirà ammazzato anche lui potrebbe significare che non era massone... La P2, comunque, esiste da quando Roma è diventata Capitale d'Italia ed era la loggia a cui si iscrivevano i massoni che ricoprivano alte cariche dello Stato. E questo spiega perché non ci fosse l'obbligo di frequentare il Tempio il sabato sera e perché ci si potesse iscrivere anche all'orecchio del "Grande Fratello".

Il primo statista della P2 fu Giuseppe Zanardelli, più volte ministro e nel 1901 capo del governo. In tempi più recenti, quando gli americani videro che i comunisti si stavano avvicinando troppo all'area del potere fecero della P2 un'associazione iperatlantista. Diciamo la verità, si immagini cosa poteva fregargliene a certi banchieri o a certi capi di Stato maggiore di forza armata di Licio Gelli... Aderire alla P2 per molti è stato solo un modo per avere buoni rapporti con gli Stati Uniti, i quali incaricarono appunto Gelli, che io conosco bene, di organizzare la cosa».
MASSIMO DALEMA

Con quale fine?
«Col fine di essere sempre informati su quel che accadeva in Italia, di ritardare il più possibile l'andata al potere dei comunisti e di avere a disposizione un ultimo baluardo di democrazia qualora la situazione fosse effettivamente precipitata».

Nel frattempo, i piduisti facevano affari...
«Sì, certo, come avviene in tutte le associazioni. Ma la gente non sa, o non ricorda, che dopo tutto il can can che è stato fatto la Cassazione ha sentenziato che l'appartenenza alla P2 non costituisce reato. Essere iscritti alla P2 o a una bocciofila era, insomma, la stessa cosa!»

Per il trentennale del sequestro Moro si è tornati a parlare della P2, cui, tra gli altri, erano iscritti tutti, ma proprio tutti, i capi dei servizi segreti di allora, nonché il capo della squadra mobile responsabile dei posti di blocco a Roma e il comandante dei nucleo investigativo dei carabinieri. C'è chi crede che questo sia più che sufficiente a spiegare la mancata liberazione dell'ostaggio.
«Favole. E poi, guardi, per prassi i direttori dei servizi segreti sono stati tutti nominati con l'accordo del Partito comunista, e s'immagini se il servizio di vigilanza del Pci non sapeva che erano pidduisti...»
Enrico Berlinguer

Il servizio di vigilanza del Pci?
«Sì, era uno dei servizi di informazione più capillare dentro l'amministrazione dello Stato: bravissimi e cioè in-for-ma-tis-si-mi! Pensi che scoprii solo diversi anni dopo essere stato ministro dell'Interno che avevano contatti costanti col servizio segreto militare e con quello civile. E senza che il ministro ne sapesse nulla! Le racconto questo per dire che il Pci della P2 e di chi fossero i suoi affiliati sapeva tutto, ma non ha mai ritenuto che ciò rappresentasse una vera e propria minaccia».
prmalmrnt09 am bernini katia polidori cossiga

La P2 si è affettivamente sciolta?
«Sì, fu effettivamente sciolta e Giovanni Spadolini, che di questo fece un suo cavallo di battaglia, attraverso il gran maestro Armandino Corona epurò i piduisti dalla massoneria con scrupolo certosino. Uno zelo che lo mise in contrasto con la Gran Loggia di Londra, dal momento che un massone non può, o meglio non potrebbe, denunciare e far giudicare dalla Giustizia profana un fratello massone».

Modesta annotazione a margine, ricavata da una pagina ingiallita del notes di un vecchio cronista. È il resoconto dell'arrivo a Roma del neoambasciatore statunitense Graham Martin, uomo legato alla Cia. Siamo alla fine degli anni Sessanta, è una mattinata tiepida e ai piedi della scaletta dell'aereo appena atterrato da Washington sostano due macchine.

La prima, più vicina, è quella dei funzionari dell'ambasciata giunti ad accogliere il nuovo capo. Della seconda, ferma qualche metro più in là, non si sa nulla. Solo quel che si vede: è una mercedes scura. Martin sbarca dall'aereo, saluta frettolosamente gli uomini dell'ambasciata e si dirige verso la mercedes. Ne scende un uomo di bassa statura che l'ambasciatore abbraccia fraternamente e col quale si accomoda sul sedile posteriore. La mercedes fila via, quell'uomo era Licio Gelli.

THE BEST OF COSSIGA
FRANCESCO COSSIGA

- "Politici incoerenti? Certo, embé?"
- "Le grandi potenze ammazzano e torturano"
- "Deformare i fatti non è come montare ad arte uno scandalo"
"Moro sì che sapeva usare i servizi..."
"Da quanto chiamai Gelli smisero di attaccarmi"
"La politica è un'arte, cultura e ragione non contano"
"L'Unità nazionale è a rischio"
agnelli cossiga esc

"L'America ha sempre condizionato la nostra politica"
"La strage di Bologna fu opera dei palestinesi"
"A volte, seminare il terrore può essere utile"
"Le guerre si combattono oggi con i fondi sovrani"
"Tra Stato e Chiesa esiste un conflitto insanabile"
"Fu sufficiente qualche corpo fluttuante lungo la Senna"
"La politica si nutre d'ansia"

"Terrorismo è sempre quello degli altri"
"In politica o si è amici o nemici"
"I politici si convincono intimamente di quel che gli conviene"
"Chi siamo noi per pensare d'essere meglio di Caino?"
"Non tutti hanno diritto alla verità"

"Le Nazioni Unite sono un bluff, l'identità è nazionale"
"Purtroppo per noi, gli stati contano ancora"
"Strapagammo l'euro per colpa della vanità di Ciampi e Prodi"
"Per D'Alema ho garantito io"
"Oltre all'Fbi, fu il mondo economico e mettere in piedi Mani Pulite"
cossiga firma COSSIGA

"Un papa inimico nuoce assai"
"Il bravo politico manipola e falsifica"
"Un vero leader deve aver frequentato il Male"
"Berlinguer concordò tutto con l'Urss"
"Lo Stato italiano non metterà mai il naso nella finanza vaticana"
"I vescovi amano il potere, il nostro prossimo dio si chiamerà Allah"
."..è per questo che Berlusconi finirà male"
"La politica ha bisogno di silenzi e zone d'ombra"
"Esistono tradimenti doverosi e persino morali"

L'AUTORE
Andrea Cangini, laureato in Scienze politiche, ha quarantun anni, molti dei quali passati a raccontare la politica sul «Quotidiano Nazionale». Ha due figli: osservando loro, più che frequentando Montecitorio, ha capito i meccanismi più profondi della natura umana.
E dunque del gioco politico

by dagospia

martedì 25 maggio 2010

geronimo consiglia tremonti

Geronimo (alias Paolo Cirino Pomicino) per "Libero"
Paolo Cirino Pomicino

Per cultura antica non siamo abituati a discutere su cose che non si conoscono nel dettaglio e men che meno su quelle finanziarie motivo per il quale non correremo dietro le tante anticipazioni di stampa sui contenuti della prossima manovra correttiva. Su di una cosa, però, si può e si deve discutere prima della decisione del consiglio dei ministri e cioè quale profilo debba avere l'ennesima manovra di finanza pubblica che da due anni a questa parte registra interventi correttivi quasi ogni trimestre con i più svariati provvedimenti.

Il profilo che la manovra deve avere, a nostro giudizio, è dato da tre requisiti:

1) l'effettività della correzione;

2) il minor impatto recessivo possibile coniugando i tagli con provvedimenti che aiutino la ripresa della crescita;
TREMONTI

3) la distribuzione la più equa possibile dei sacrifici che il Paese deve sopportare.

Vediamoli uno per uno.

Sinora l'effettività della correzione dell'andamento dei conti pubblici è stata pressoché nulla tant'è che nonostante i cortigiani elogi quotidiani sulla loro tenuta l'Istat ci spiega che la spesa pubblica corrente al netto degli interessi in valore assoluto è aumentato nel 2008 del 4,5% sul 2007 (da 607,965 miliardi a 635,107 miliardi di euro) e nel 2009 sul 2008 del 4,2% (da 635,107 miliardi di euro a 661,796 miliardi).

La riduzione nominale, dunque, è stata del solo 0,3% mentre in rapporto al Pil la spesa pubblica corrente, sempre al netto degli interessi, è passata dal 40,5% del 2008 al 43,5% nel 2009. Quella finanziaria del giugno 2008, insomma, ha partorito un insignificante topolino in termini di correzione della spesa pubblica che ha visto salire, peraltro, il debito al 117% del Pil mentre ha dato una spinta ulteriore alla recessione che in Italia era già cominciata nella primavera del 2008.

Di qui, dunque, la ossessiva sottolineatura che noi facciamo da due anni a questa parte sull'esigenza di riprendere a crescere ritenendola una priorità assoluta anche come strumento per il risanamento dei conti pubblici. Può sembrare una contraddizione quella che chiediamo e cioè di coniugare una politica di bilancio restrittiva con una politica economica espansiva ma non lo è se si abbandona il folle criterio del taglio lineare.
PAOLO CIRINO POMICINO - Copyright Pizzi

La politica, mai come ora, deve saper scegliere. E ci spieghiamo con un solo esempio. Se per tre anni bloccassimo tutti i pensionamenti non incideremmo sulla domanda interna di consumi ma risparmieremmo circa tre miliardi. Se blocchiamo, invece, gli aumenti automatici contenuti nei contratti riduciamo il potere di acquisto delle famiglie che a loro volta consumeranno di meno, le imprese soffriranno e il risparmio sarà di gran lunga minore (circa un miliardo di euro).

Bisogna, dunque, aiutare le imprese che stanno facendo ogni sforzo per aumentare le proprie esportazioni con una domanda interna complessiva (consumi + investimenti pubblici e privati) tale da recuperare quel tasso di crescita significativa che agli occhi del mercato è l'indice di più alto gradimento nel valutare la solvibilità del Paese.

Terzo elemento del profilo della manovra deve essere la distribuzione la più equa possibile dei sacrifici. Anche qui un esempio per spiegarci meglio. Se dobbiamo chiedere a tutti sacrifici ipotizzando anche violazioni degli obblighi contrattuali nei riguardi dei dipendenti pubblici perché non potremmo chiedere a quanti hanno fatto rientrare 100 miliardi di euro frutto di evasione sui quali avrebbero pagato aliquote tra il 27% e il 43% un'addizionale pari ad un altro 5% che porterebbe così l'imposta complessiva sui capitali scudati appena al 10%?

Sarebbero ben 5 miliardi di nuove entrate. Che risposta il governo potrà avere dal paese nel suo complesso se dovesse, invece, in un quadro di emergenza internazionale lasciare da parte chi ha evaso e commesso reati importanti mentre mette ticket e taglia stipendi? Piuttosto che accapigliarci oggi sui contenuti della manovra prima ancora che essi siano definiti, le forze sociali a cominciare dalla Confindustria, e quelle politiche di maggioranza e di opposizione devono spingere a che la manovra stessa abbia quel profilo di equità descritto e quello di saper coniugare tagli e input di crescita.
TREMONTI

Diversamente non risaneremmo i conti pubblici, non riprenderemmo a crescere avvitando sempre più l'Italia in un circuito perverso e sarebbe sempre più difficile controllare episodi di ribellismo che avrebbero a questo punto anche basi ragionevoli per esplodere.

LA STRONCATURA DEL FINANCIAL TIMES: «IL MERIDIONE È LA GRECIA D'ITALIA»...
Da "Libero"

Deficit di bilancio e spese "pazze": le Regioni del Sud rischiano di diventare per l'Italia quello che è la Grecia per l'Europa. A stabilire il paragone è il Financial Times che, in un lungo articolo, si sofferma, in particolare, sulla situazione critica di Lazio, Campania e Calabria. «Come Bruxelles sta lavorando per imporre disciplina fiscale alla lontana Atene, così il governo centrale italiano sta lottando per controllare i conti della sue Regioni capricciose coperte di debiti», si legge nel pezzo firmato da Guy Dinmore.

L'articolo si sofferma sui buchi di bilancio delle tre Regioni e sui provvedimenti in esame, dalla manovra finanziaria attesa in settimana, al federalismo fiscale che darà più poteri di gestione alle realtà locali. «Si prevedono tagli ai generosi stipendi di ministri e parlamentari - si prosegue - tutti i funzionari pubblici potrebbero dover affrontare un congelamento dei loro stipendi, e alcune amministrazioni regionali saranno costrette ad alzare le tasse locali sui redditi personali e sulle imprese per sanare i loro deficit».

«Per Silvio Berlusconi, il premier di centro-destra che nella campagna elettorale del 2008 aveva promesso tagli alle tasse e non aumenti - si commenta -, questo è un tema particolarmente delicato». Dinmore fa infine notare che Lazio, Campania e Calabria sono governate dal centro-destra (soffiate alla sinistra nelle ultime elezioni).


by dagospia

SEGNATEVI QUESTA DATA: OGGI ALLE 18 CON IL CONSIGLIO DEI MINISTRI CHE APPROVA LA MANOVRA DA 24 MLD NASCE UFFICIALMENTE IL PRIMO ESECUTIVO A GUIDA DEL TREMENDINO GIULIETTO E PARTONO GLI OSANNA ALL’UNISONO DI “REPUBBLICA” E “GIORNALE” - 2- REP REP HURRà!: “VINCE SU TUTTA LA LINEA. DI FATTO HA COMMISSARIATO IL PREMIER” - 3- FELTRUSCONI GODE: “DA TECNICO A LEADER, HA SBARAGLIATO TUTTI RESTANDO FERMO" - 4- SOGNANDO IL COLLE QUIRINALIZIO, BERLUSCONI HA DOVUTO ARRENDERSI ALL`INEVITABILE - 5- LA GRANDE COALIZIONE DI TREMONTI: LEGA NORD, SINDACATI E CONFINDUSTRIA (CHE SABATO 12 LO OMAGGIA COME SUPEROSPITE D’ONORE A SANTA MARGHERITA LIGURE) -

1 - TREMONTI OMAGGIATO DA CONFINDUSTRIA A SANTA MARGHERITA LIGURE...
Avviso ai navigati (e al Banana): sabato 12 giugno, alla presenza del Capo dello Stato, Giulietto Tremonti incanterà la platea dei giovani industriali di Santa Margherita Ligure come super ospite d'onore conclusione della kermesse.
TREMONTI

2 - LA MANOVRA DI TREMONTI: NON E' FINANZIARIA QUALSIASI DOBBIAMO GESTIRLA TUTTI INSIEME...
(Adnkronos) - Questa non e' una finanziaria qualsiasi: dobbiamo gestirla tutti insieme. E' quanto avrebbe detto il ministro dell'Economia Giulio Tremonti alle autonomie locali, durante la riunione sulla manovra in corso a Palazzo Chigi, secondo quanto riferiscono fonti presenti alla riunione.

3 - NO TAGLI LINEARI MINISTERI, DECIDERANNO IN AUTONOMI...
(Adnkronos) - 'Non ci saranno dei tagli lineari ma ogni ministero, al suo interno, decidera' come intervenire in una logica di autoriduzione'.
il premier silvio berlusconi e ministro tremonti

4 - NON E' FINANZIARIA CLASSICA, E' INTENSA DISCONTINUITA'...
(Adnkronos) - 'Non e' la classica legge finanziaria. E' un'intensa discontinuita' di sistema che tutti dobbiamo comprendere'.

5 - PENSIONI D'INVALIDITA' CRESCIUTE DA 6 A 16 MLD EURO...
(Adnkronos) - Le pensioni di invalidita' sono cresciute da 6 a 16 mld di euro. Tremonti avrebbe inoltre sottolineato che il sistema pensionistico italiano e' il piu' solido d'Europa.
GIANNI LETTA

6 - PER TUTTI DIPENDENTI PUBBLICI CONGELAMENTO TRIENNALE STIPENDI...
(Adnkronos) - Tutti i dipendenti pubblici avranno il congelamento generale triennale dello stipendio.

7 - FISCALITA' VANTAGGIO ANTICIPA FEDERALISMO FISCALE...
(Adnkronos) - La fiscalita' di vantaggio con modalita' diverse tra le regioni non deve essere vista come 'una forma di competizione ma come un anticipo del federalismio fiscale'.
GAETANO MACCAFERRI GIANNI LETTA

8 - 'LA REPUBBLICA': TREMONTI PIEGA LE RESISTENZE E PRENDE LE REDINI DEL GOVERNO
Francesco Bei per "La Repubblica"

Supergiulio ha vinto su tutta la linea. È questa la sintesi di una battaglia politica che ieri sera dopo che Tremonti ha schiacciato nel giro di un`ora le ultime resistenze interne al Pdl consegna al ministro dell`Economia le chiavi del governo e, di fatto, produce un commissariamento dello stesso presidente del Consiglio.

Giulio Tremonti, stanco di vedersi rappresentato come un affamatore di popoli, al quale il Cavaliere aveva affiancato Gianni Letta per moderarne le pretese, ha persino insistito affinché dallo stesso sottosegretario arrivasse una pubblica ammissione della necessità di misure dure, di «sacrifici molto pesanti».
ALEMANNO E GEINSWEIN

Senza sconti, perché «serve il massimo di condivisione dentro il governo: stavolta non dobbiamo convincere gli italiani ma i mercati internazionali». E per la stessa ragione, alle otto di sera, Letta e Tremonti decidono di presentarsi assieme a via dell`Umiltà, alla riunione della consulta economica del Pdl.

Escono dalla stessa "Thesis" blu del ministro dell`Economia e «Gianni» prende sottobraccio «Giulio» con un sorriso, a beneficio delle telecamere. L`atmosfera della riunione è invece molto tesa. Sono presenti alcuni avversari storici di Tremonti, come Renato Brunetta e Mario Baldassarri, che protestano per «la solita assenza di numeri e cifre precise su cui ragionare».
ANDREA RONCHI

Ma nessuno ha la forza di opporsi davvero, prevale la rassegnazione. Per dire del clima, quando le agenzie iniziano a battere alcuni "flash" con le anticipazioni (quasi in tempo reale) di quanto andava spiegando il ministro dell`Economia, Tremonti si ferma e alza la voce: «Basta, non ci prendiamo in giro. Qui dentro c`è qualcuno con il telefonino acceso».

Così, come a scuola, le segretarie fanno il giro del tavolo per sequestrare i cellulari di tutti i ministri, capigruppo e coordinatori presenti, per evitare che escano all`esterno notizie sulla discussione in corso. Qualche piccola concessione alla fine il ministro dell`Economia l`ha fatta. Come i fondi per Roma Capitale, che Gianni Alemanno ha chiesto venissero aumentati oltre i 200 milioni previsti. Come le risorse per il comparto sicurezza, che non subiranno contrazioni.
ezio mauro montezemolo e bambi parodi

O la sforbiciata più leggera al finanziamento pubblico ai partiti. Ma la manovra resta quella preparata da Tremonti nelle ultime 48 ore. Ci sarà il taglio del 10 per cento ai budget dei ministeri, che varrà per 3-4 miliardi, e ai singoli titolari dei dicasteri verrà solo lasciata la facoltà di decidere quali arti amputarsi. Ci sarà la riduzione a una delle finestre temporali per chi va in pensione, che dovrà quindi restare qualche altro mese al lavoro. Ci sarà il condono edilizio, anche se il marketing politico lo ha ribattezzato «accertamento sulle case non censite».
Vittorio Feltri Nonleggerlo

Il ministro dell`Economia ha spiegato che «i sindacati e Confindustria sono stati consultati» e da Cisl e Uil non si aspetta grandi obiezioni. Era un punto importante, che stava a cuore soprattutto a Gianfranco Fini. Ma Tremonti, che dalla sua precedente esperienza al ministero (conclusa con le dimissioni) ha compreso che a volte è indispensabile indorare la pillola, si era premunito di contattare per telefono il presidente della Camera e aggiornarlo in corso d`opera.

Non a caso il finiano Andrea Ronchi ieri sera spiegava che sulla manovra «si è registrata una condivisione forte di tutto il partito». Quanto all`opposizione, sarà Gianni Letta a contattare oggi i leader di Pd, Udc e Idv.
SCAJOLA

«Il momento è molto difficile - ha concluso Tremonti - ma dobbiamo spiegare alla nostra gente che misure simili, anzi anche più forti, le stanno prendendo tutti i governi europei. Inoltre questa sarà una buona occasione per ridurre il perimetro dello Stato e degli sprechi. Anche l`opposizione lo sa bene, e poi alcune delle misure che abbiamo deciso sono le stesse che proponevano loro in passato».

Ecco, forse questo è uno dei punti che meno andrà giù al Cavaliere, che sulla battaglia contro lo «Stato di polizia tributaria», che avrebbe dovuto instaurarsi con una vittoria del Pd alle elezioni, aveva giocato buona parte della sua ultima campagna elettorale.
DENIS VERDINI (Elaborazione Foto Emblema)

Ma, alla fine, Berlusconi ha dovuto arrendersi all`inevitabile: «Non possiamo contravvenire in questo momento alle indicazioni di Bruxelles, c`è una pressione molto forte da parte dell`Europa», ha spiegato il premier ai ministri che si lamentavano per le misure draconiane imposte da Tremonti. Berlusconi ha rinunciato al messaggio televisivo con cui far digerire agli italiani la manovra. Andrà invece a parlare in Parlamento per «mettere la faccia» sulla Finanziaria che «ci salverà dall`abisso». Una manovra «necessaria ma equa».
DENIS VERDINI

9 - 'IL GIORNALE": LA MANOVRA DI GIULIO: DA TECNICO A LEADER...
Vittorio Macioce per "Il Giornale"
TREMONTI

Torri, cavalli e pedoni. La scacchiera è pronta, ora il superministro si prepara a chiudere insieme le ultime mosse. L'architrave politico della maggioranza è nelle sue mani, con un solo limite invalicabile. Non rischiare neppure per un attimo di portare scacco al re. Quella sarebbe un'altra partita e il rischio concreto è di uscire dal gioco. Ma Giulio Tremonti non ha alcuna intenzione di venir mangiato. Sa che con questo scenario politico la pazienza è un ingrediente fondamentale.
Giulio Tremonti sulle piste da sci a Sestola

Lui ha imparato ad averla, qualcun altro no. Il risultato è che l'uomo dei conti sta spostando ai margini tutti i suoi competitor interni. Ora accanto al re c'è lui. Il paradosso è che non si è neppure affannato. È la vittoria di Parmenide su Eraclito. Tremonti è rimasto fermo. Sono stati gli altri a inciampare. Il ministro dell'Economia si è limitato a occupare lo spazio vuoto che un giorno dopo l'altro gli si formava intorno.
Tremonti

Scajola si è chiuso in casa, Verdini è impantanato, La Russa in difesa, Fini guarda fuori dalla finestra. Non resta che Gianni Letta. E infatti le prossime «non mosse», quasi per forza di gravità, prevedono l'annessione della Protezione civile, non più autonoma ma controllata dal Tesoro, e la sostituzione di Cardia alla Consob. Così Giulio il tecnocrate diventa il riformatore del berlusconismo.

Non cambia il suo modo di pensare. Lo ha applicato in economia e lo conferma in politica. «La meteorologia non fa il tempo, non decide quando splende il sole o quando piove, ma aiuta a navigare. I marinai sanno che non si governa il mare ma la nave, che si manovrano le vele e non il vento». E il barometro dice che ora la scena è sua. A cominciare da questa mattina. Se qualcuno gli chiede di aspettare, discutere, concordare, a chi lo accusa di «giuliocesarismo», la risposta è sbrigativa: «La situazione non è bella, siamo alpinisti aggrappati a una parte verticale, non possiamo traccheggiare».
Giulio Tremonti

La vigilia è sempre faticosa. Giulio Tremonti ha messo in cantiere la sua manovra da ventiquattro miliardi. Oggi se la gioca in Consiglio dei ministri e non dovrebbero esserci sorprese. È il sigillo al ruolo che sta svolgendo ormai negli ultimi lunghi mesi. È andato avanti da solo, senza coinvolgere più di tanto gli altri ministri, rischiando di far infuriare Berlusconi, che si è ritrovato a dover giustificare certi atteggiamenti da primo della classe con il resto della squadra. Ma Giulio è fatto così. È duro. È cinico.
giulio tremonti

È sbrigativo. Solo che in questo governo nella tempesta, con le nubi che volteggiano su troppi nomi, l'uomo dei conti è una certezza. Non è il delfino di Berlusconi, ma sta diventando un punto fermo per ripartire. Berlusconi sa che la riforma del berlusconismo non può fare a meno di Tremonti. Il superministro non è Fini. Non cerca spazi politici alernativi. Non pronuncia mai la parola futuro. E non ha bisogno di fondazioni. Agli amici continua a ripetere: «A chi pensa davvero non serve un pensatoio». Poi sorridendo aggiunge il solito corollario: «Chi lavora non ha bisogno di ricamare». È la sua filosofia, come al solito concreta, con il gusto di mettere tutte le tessere al proprio posto.
GIULIO TREMONTI

Questa manovra, infatti, segna anche una svolta politica. Tremonti non è più il tecnico. Quello da chiamare quando c'è da tagliare, ma sempre un po' fuori dal giro. È un politico che ha limato e radicato le sue alleanze. È l'uomo che offre prospettive alle ambizioni del Carroccio. Non è un leghista, ma resta un concentrato lumbàrd made in Valtellina. Il ministro non apre grandi tavoli dove discutere le politiche economiche, ma è molto attento a non far abbassare il livello della pace sociale. Il confronto con le parti sociali che contano, e gli interessano, è costante.
GIULIETTO TREMONTI CON BOTTA DI SONNO_4

Quando vuole sa usare bene la diplomazia e, di fatto, senza usare mai la parola concertazione le sue scelte sono concertate. La verità è che il suo Dna resta socialista. Il liberismo non lo affascina. In questo ha finito per condizionare anche la Lega, che da tempo ha smarrito lo spirito da tea party e da no tax day. Questa è la frontiera che lo divide ancora da Berlusconi. La politica dei sacrifici per il premier è una necessità inevitabile, Tremonti ci intravede un fascino etico. Una cosa è certa, il Cavaliere aspetta il giorno in cui il suo ministro reciti la frase: giù le tasse.
by dagospia

ave cesare....................

Francesco Manacorda per "La Stampa"
GeneraliCESARE GERONZI SI DA UN TONO

Più Geronzi per tutti, più poltrone per Geronzi. Almeno nei patti di sindacato, quei «salotti buoni» che reggono la trama del capitalismo di relazione. Tra i suoi primi atti appena arrivato alla presidenza delle Generali, infatti, Cesare Geronzi ha chiesto di essere inserito come rappresentante della compagnia nei maggiori accordi parasociali - Mediobanca esclusa - dove siede il Leone. E la sua richiesta è stata già sostanzialmente già accolta dal cda delle Generali.

Non accadrà domani, ma nei prossimi mesi; con i tempi e i modi adeguati a un'operazione che vede tutti d'accordo. Così nel patto di Rcs Mediagroup, dove oggi Geronzi siede in rappresentanza di Mediobanca, la sua poltrona dovrebbe rimanere immutata. Dal patto dovrà però uscire per far spazio a Geronzi l'attuale direttore finanziario delle Generali Raffaele Agrusti. Entrerà invece nell'accordo un altro esponente di Mediobanca, presumibilmente il presidente Renato Pagliaro.
TRONCHETTI

Geronzi pare poi destinato a restare anche nel consiglio di Rcs Quotidiani: effetto paradossale sarebbe però che Mediobanca, primo azionista di Rcs con oltre il 14%, non sarebbe rappresentata in quel consiglio. Una questione che probabilmente andrà risolta. Dovrebbe invece essere una prima assoluta il prossimo ingresso di Geronzi nel patto di sindacato della Pirelli, guidata da quel Marco Tronchetti Provera che proprio sotto l'egida di Geronzi è diventato vicepresidente di Mediobanca.
perissinotto giovanni

Qui il presidente rappresenterà le Generali, socie al 5,48%, in un posto che sarà lasciato libero da Giovanni Perissinotto, l'ad del Leone che oggi rappresenta la compagnia nell'accordo tra soci. Per Mediobanca, invece, dovrebbe restare Pagliaro. Geronzi è sempre attento ai patti di sindacato. In Mediobanca era riuscito nell'inedita accoppiata tra presidenza dell'istituto e presidenza dell'accordo parasociale, dove dopo la sua uscita è stato sostituito da un professionista come Angelo Casò. Proprio nel patto Mediobanca la casella Generali dovrebbe però restare occupata non dal presidente, ma da Antoine Bernheim, che del Leone è presidente onorario.
PAGLIARO
by dagospia

e io pago !!!!!!!!!!

Gianluca Roselli per "Libero"
Luciano Benetton

In vista della manovra economica che il governo si appresta a varare, si torna a parlare dei tagli ai costi della politica, ma nessuno per ora ha avanzato la proposta di ridurre le pensioni dei parlamentari. Una nota dolente del sistema Italia, che agli occhi dei cittadini rappresenta uno dei privilegi più odiosi della casta.

Specialmente se si guarda al passato, visto che, fino a una decina d'anni fa, per ricevere l'assegno vitalizio bastava anche un solo giorno in Parlamento. Oggi le cose sono un po' cambiate. Ma comunque le cifre che ogni anno escono dalle casse dello Stato per gli ex parlamentari sono ingenti. Se la manovra prevederà davvero la riduzione del 10 per cento dell'indennità parlamentare di ministri ed eletti, anche la pensione dei politici, calcolata sulla retribuzione, scenderà sensibilmente.
parlamento

Oggi a deputati e senatori per percepire la pensione occorre portare a termine almeno una legislatura: con 5 anni di contributi, a 65 anni percepiscono il 25 per cento dell'indennità, pari a circa 4 mila e 200 euro. Se invece portano a termine 2 legislature, si arriva al 38 per cento (6 mila e 400 euro), mentre per tre mandati l'assegno è pari al 53 per cento (circa 8 mila e 900 euro).

Le cifre sono comunque esorbitanti. Lo scorso anno, il 2009, la Camera ha speso 138,2 milioni di euro per le pensioni dei deputati, mentre per quelli dei senatori si è arrivati a 81,2 milioni, per una cifra complessiva di 219,4 milioni. Due anni prima, nel 2007, lo Stato ha pagato la pensione a 1.377 ex deputati e a 861 ex senatori oppure, in caso di prematura scomparsa, ai loro familiari. Le cose sono migliorate solo negli ultimi tempi: prima del 2008, infatti, per maturare la pensione occorreva restare in Parlamento per metà legislatura più un giorno.
0gus61 cla martelli

A Montecitorio bastava aver conquistato uno scranno prima del 1996 per ottenere la pensione già all'età di cinquant'anni. In Senato era ancora più facile: bastavano quindici anni di contributi se si era stati eletti prima del 2001. Baby pensionati e anche d'oro, visto che l'assegno più basso si aggira sui 2.400 euro e quelli più alti viaggiano intorno ai 9.900. Oggi, dopo la riforma del 2006, che ha visto la riduzione delle indennità parlamentari del 10 per cento, si va in pensione a 65 anni per chi ha fatto solo una legislatura.

Per più mandati l'età scende, ma mai al di sotto dei 60 anni. Almeno questo evita le situazioni paradossali del passato. Come quella dell'ex leader di Autonomia Operaia e oggi scrittore di successo, Toni Negri, per esempio, dal 1993, anno del suo sessantesimo compleanno, percepisce 3.108 euro mensili grazie alla sua elezione a Montecitorio nel 1983 nel partito radicale, anno in cui rimase in Parlamento per soli 64 giorni, durante i quali, causa ferie estive, furono convocate solo nove sedute.
9fr22 susanna agnelli

E che dire di Giuseppe Gambale, entrato in Parlamento nel 1992 con la Rete di Leoluca Orlando, baby pensionato di lusso a soli 42 anni? Oppure il banchiere varesino Giovanni Valcavi che, dopo solo nove settimane e mezzo in Parlamento, dal 1992 porta a casa 3.108 euro. Piove anche sul bagnato, visto che spesso la pensione da parlamentare si cumula con quella di altre prestigiose occupazioni. L'imprenditore Luciano Benetton, per esempio, eletto in Senato per i repubblicani nel 1992, incassa un assegno mensile di 3 mila e 100 euro lordi. La sorella dell'Avvocato, Susanna Agnelli, scomparsa un paio d'anni fa, percepiva invece 8 mila e 455 euro.

Altro baby pensionato è l'ex delfino di Bettino Craxi Claudio Martelli, che con 20 anni di contributi percepisce 8.455 euro. Il record, però, spetta a quattro ex parlamentari del tutto sconosciuti ai cittadini, ma ben noti alle casse del Tesoro: Angelo Pezzana, Pietro Graveri, Luca Boneschi e Renè Andreani, tutti radicali: un solo giorno nel Palazzo, contributi volontari per 5 anni e un vitalizio di 3.108 euro mensile.

Che i cittadini percepiscano questi esborsi come privilegi inaccettabili lo si è visto il 25 febbraio scorso, quando una scritta intermittente che recitava "stop pensioni deputati"è stata proiettata addirittura sulla cupola di San Pietro. Ma tagliare le pensioni dei parlamentari non è facile, perché comunque, chi più e chi meno, si tratta di contributi regolarmente versati.
negri toni

L'unico maniera, dunque, sembra essere quella della riduzione dello stipendio, che automaticamente abbassa anche il vitalizio. «Le pensioni dei parlamentari incidono lo 0,022 per cento sulla spesa pubblica, una riduzione anche cospicua non mi sembra un gran risparmio », osserva il senatore del PdL Lucio Malan. «E poi noi, a fronte spesso di maggiori responsabilità, percepiamo pensioni più basse rispetto a magistrati, star del giornalismo, grand commis di Stato, manager pubblici e direttori di banca. Se in Italia vogliamo fare un discorso serio sulla riduzione delle pensioni d'oro, allora deve valere per tutti e non solo per i politici».
by dagospia

guido rossi l uomo per tutte le stagioni

Oscar Giannino per "Panorama"
GUIDO ROSSI SOGNA - copyright Pizzi

Lo scudetto 2006 di Calciopoli, lo swap Ifilbanche, le frodi fiscali della Telecom Sparkle... Non c'è vicenda discussa, nell'olimpo della banca e finanza, in cui manchi da 30 anni il suo zampino. Ne ha viste e fatte più di Bertoldo, ma lui sopravvive alle tempeste, gli altri ci rimettono le penne. È Guido Rossi. Nemico di Enrico Cuccia, ha imparato l'arte da lui.

Nemico dei patti di sindacato, spesso questi si reggono però con le sue sottili interpretazioni, davanti alla Consob. Profeta della public company, ha visto il suo modello diventare in America moltiplicatore di bolle, grazie ai manager onnipotenti perché privi di azionisti capaci di controllarli.
GIANNINO

Quando ci prova lui, come in Telecom, perde e passa la mano, pronto a sostenere in giudizio che Roberto Colaninno ha torto e Franco Bernabè ragione. Marco Tronchetti Provera molla il timone e a lui lascia la reggenza, convinto che si sarebbe opposto a Romano Prodi e avrebbe difeso l'intesa con Rupert Murdoch e Telefonica. Ma Rossi rilascia a Bernabè.

Dall'elogio dei pm passa a dire che i magistrati ci mettono del loro, nell'alimentare sospetti e disfattismo. Nemico del controllo familiare, fornisce un bel parere pro veritate a Gianluigi Gabetti che fece bene a turlupinare a nome degli eredi Agnelli le banche che avevano prestato miliardi alla Fiat.
TRONCHETTI

Commissario della Figc nel 2006, quando al processo di Napoli si scopre che Calciopoli era così fan tutti dice che lui non c'entra con lo scudetto cucito d'autorità sulla maglia dell'Inter, la colpa è di Franco Carraro. Che però si era dimesso. L'America non gli piace, troppo affarista. L'Europa sbaglia tutto, e la Bundesbank ha ragione a dire che la Bce non deve comprare i titoli dei paesi a rischio.
FRANCO BERNABE

A Giulio Tremonti non dispiace e spesso Rossi con lui concorda, ma con l'aria di chi anche lo boccia da sinistra. Perché lui è l'unico ad avere servito insieme monopolisti privati e pubblici, sempre lautamente pagato, ma con l'aria di chi lo ha fatto per convinzione e valori, mai per pecunia. Il denaro corrompe i deboli, ma lui solo è forte. L'unico che lo conta senza peccato, il maestrone dalla penna rossa.
by dagospia