sabato 30 ottobre 2010

ESCLUSIVO! IL PIANO SEGRETO DI MARPIONNE PER SGANCIARE LA FIAT DALL’ITALIA - TEMPESTOSO VERTICE DELLA DINASTIA DEL LINGOTTO A LUGLIO DOVE IL "CANADESE", APPOGGIATO DA JOHN YAKI ELKANN, HA SCODELLATO IL SUO PROGETTO (SCONFITTI GABETTI E STEVENS): UNA VOLTA RISANATA LA CHRYSLER, SARÀ DETROIT A CONQUISTARE TORINO, YAKI ELKANN POTRÀ ANDARSENE A PARIGI A GIOCARE CON LA FINANZA, MONTEZEMOLO RIMPIANGERÀ LA SUA FERRARI E GLI STABILIMENTI ITALICI, ORMAI CHRYSLER, POTRANNO RESTARE ATTIVI SOLO SE I SINDACATI ACCETTERANNO IL "CODICE MARPIONNE" - (IN FASE MOLTO AVANZATA LA TRATTATIVA PER VENDERE IL SEGMENTO DEI VEICOLI INDUSTRIALI)

Dagospia lo chiama "Marpionne", a Torino gli ultimi operai della Fiat l'hanno soprannominato "lo Svizzero" (non solo per la residenza, ma anche per le stock options che in quel Paese sono tassate una miseria), mentre a Detroit e a Washington per tutti è "il canadese".


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marchionne fazio g È questa forse la definizione più esatta per Sergio Marchionne, il manager che a 14 anni fu portato dal padre carabiniere a vivere in Ontario dove si è laureato in legge e ha lavorato prima di tornare in Svizzera e poi in Italia nel 2004 con alti incarichi.

La sua formazione è avvenuta nel Paese dei laghi ghiacciati dove si gioca l'hockey (la prima partita si tenne ad Halifax nel 1853) usando un lungo bastone e una protezione sulle spalle per difendersi dalle botte degli avversari. Forse quel pullover sgualcito che si porta addosso non è un vezzo da esibizionista, ma è il ricordo della felpa che i giocatori canadesi di hockey indossano giorno e notte per amore dello sport.

E Marpionne ha dimostrato di saper usare con sicurezza il lungo bastone e di pattinare sul ghiaccio con grande abilità. L'ultima esibizione l'ha fatta davanti al povero (si fa per dire) Fabio Fazio domenica scorsa. Ormai è chiaro che quella performance è stata fortemente voluta dal figlio del carabiniere Concezio, una sorta di lezione di capitalismo estremo rivolta a un pubblico più vasto della solita cerchia di analisti finanziari.

Adesso a Torino e nei palazzi della politica si chiedono quali saranno le mosse successive di quest'uomo che secondo Epifani avrebbe dovuto essere licenziato. Per saperne di più si dovrà aspettare il 4 novembre quando l'amministratore della Fiat incontrerà il ministro dell'Opus Dei, Paolo Romani, nel ministero di via Veneto. Il quotidiano francese "Les Echos" scrive oggi che in quell'occasione dovrà spiegare all'esile ministro il senso delle sue critiche all'Italia e le future strategie.


Fazio e Marchionne
marchionne
C'è da credere che il Canadese non dirà molto di più di quanto ha già detto da un anno a questa parte. Se si torna indietro, già il 22 dicembre dell'anno scorso in un incontro a Palazzo Chigi con le istituzioni e i sindacati, il piano Marpionne fu illustrato in ogni dettaglio dentro 42 pagine zeppe di grafici da stordire le menti deboli di Bonanni e Angeletti.

L'unica frase che mancava era quella pronunciata domenica scorsa nel salotto di Fazio: "la Fiat potrebbe fare di più se potesse tagliare l'Italia"; parole che agli occhi dei torinesi e degli ultimi operai della Fiat che conservano il ricordo della loro città come protagonista del Risorgimento e dell'Unità italiana, grondano sangue.


marchionne Forse bisognerà aspettare l'11 dicembre quando a New York (la notizia è inedita) il manager dai tre passaporti incontrerà Mario Draghi ed Emma Marcegaglia in occasione di un vertice tra i big italiani e americani che fanno parte dell'Associazione Italia-Usa. Di questa associazione che si riunisce due volte all'anno a Venezia e nella Grande Mela, Marpionne è presidente per la parte italiana, mentre gli americani sono rappresentati da Joe Palmisano, il capo della multinazionale IBM. Nell'incontro a porte chiuse il canadese potrebbe spiegare meglio gli obiettivi dei prossimi anni e ripetere ciò che ha detto in un altro summit segreto che si è svolto a luglio a Torino con la Sacra Famiglia degli Agnelli.

Il caldo era afoso in quel mese, ma secondo quanto risulta a Dagospia il clima nel vertice piemontese pare che sia diventato torrido. Davanti a Yaki Elkann e ai due grandi vecchi, Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens, sembra che Marpionne abbia tracciato con determinazione il percorso che Fiat e Chrysler dovranno fare nei prossimi tre anni.


Marchionne Per il manager dal pullover sgualcito che non fa mistero di detestare la città dei Giandujotti e dei Savoia, il modello da perseguire è quello di una multinazionale che a costo di sacrifici dolorosi sposta il suo baricentro negli Stati Uniti, e con la logica tipica delle multinazionali di tutto il mondo taglia i rami secchi nei paesi dove la redditività e la competitività camminano per strade diverse.


obama marchionne A quanto risulta queste cose Marpionne le ha dette davanti ai suoi interlocutori anticipando quelle parole sullo "zoo" nostrano che ha scaraventato l'Italia in fondo a tutte le classifiche internazionali, e che da ieri è diventato il Paese di bunga-bunga. Davanti a Yaki, Gabetti e Franzo Grande Stevens a luglio ha tirato fuori i dati positivi di Chrysler anticipando che le vendite a settembre sarebbero salite e che l'amico Obama avrebbe potuto aggiungere altri aiuti ai 5,7 miliardi già concessi.


FIATi - Sindacati - tavolo di discussione - marchionne - bonanni - centrella - angeletti - di maulo - cota
E così è stato, perché a settembre il ferrovecchio di Detroit ha aumentato le vendite del 61% rispetto all'anno precedente, mentre non più tardi di ieri è arrivata la notizia (pubblicata dal quotidiano "MF") che Chrysler potrà ottenere con tassi da strozzino compresi tra il 7,2 e il 14,3% altri prestiti governativi per il suo rilancio.

Non esiste un verbale del conclave torinese di luglio, ma si possono immaginare le reazioni preoccupate e sbalordite di Gabetti e Stevens, eredi morali di quell'Avvocato che si è sempre rifiutato nella sua vita di considerare l'Italia un ramo secco da tagliare. Chi descrive il clima turbolento di quella riunione torinese racconta di uno Yaki imbarazzato e silenzioso.


Marchionne John Elkann e Luca Cordero di Montezemolo Non è un mistero che questo giovane 34enne si sente schiacciato tra due culture: quella che ha segnato una stirpe di imprenditori e che è stata decimata nel suo nucleo storico (finito con la morte di Giovannino Agnelli), e quella degli 80 eredi della Sacra Famiglia che privilegia le rendite e i dividendi.


berlusconi-marchionne
Questo spiega l'imbarazzo del giovane Yaki che solo ieri a distanza di una settimana dall'esibizione di Marpionne davanti a Fazio, ha cercato insieme a Luchino di Montezemolo di riposizionarsi sul versante del condottiero Marpionne con una pallida difesa dell'italianità. Ben più forti sembra che siano state invece le ragioni esposte da Gabetti e Stevens di fronte al progetto "multinazionale" che sposta il baricentro da Torino a Detroit.


Bersani e gli operai di Termini Imerese con le maschere di Marchionne Tra queste, l'osservazione per nulla peregrina che senza i 22mila addetti di oggi dentro la Fiat e gli 8mila che lavorano nelle funzioni centrali, l'azienda non potrebbe mantenere le dimensioni finanziarie attuali che generano flussi di cassa indispensabili per operare in Borsa e sul mercato bancario e finanziario.

Ma oltre a questo nodo che rimette in discussione il supporto degli insediamenti industriali in Italia, i due saggi avranno posto sicuramente il problema dei quattrini da cacciare per tenere in piedi il progetto "Fabbrica Italia" che Marpionne continua a conclamare con una spesa prevista di 20 miliardi.

A questi bisogna aggiungere i 5,7 miliardi di dollari da restituire al governo americano per l'azienda di Detroit; sono cifre che fanno tremare le vene e i polsi, ma non quelle del giocatore di hockey che si sente l'erede di Henry Ford e ha spostato il suo baricentro mentale nella città del Michigan. Per lui i soldi arriveranno dall'aumento della produttività e dallo scorporo tra le attività industriali e l'automobile annunciato in aprile.


John Elkann con MArchionne Ormai circola con insistenza la voce che sia in fase molto avanzata la trattativa per vendere in blocco il segmento dei veicoli industriali. C'è chi dice addirittura che la conclusione dovrebbe avvenire entro la fine dell'anno e che in pole position si trovi AGCO, un'azienda americana fondata negli anni '30 da due fratelli tedeschi, che sta cercando di abbassare il prezzo prima di chiudere l'affare.


MArchionne Fiat Una volta spogliata la Fiat da un settore nel quale Marpionne non crede, tutti gli sforzi saranno concentrati su Chrysler giocando sui nuovi modelli che dovrebbero spuntare in America nel 2011. E questo sarà l'anno in cui verrà buttata sul mercato la "500" approfittando del calo di vendite registrato dalla Smart negli ultimi tre mesi. La casa americana potrà avvalersi di una grande rete distributiva rimessa in sesto dopo i disastri degli ultimi anni e gestita anche da quei distributori che durante l'ultima convention di Miami hanno sbalordito Marpionne dicendo che la domenica preferiscono chiudere i battenti.


il giovane marchionne
Nonostante questa novità, che stride con la voglia di far lavorare gli operai di Pomigliano anche durante i giorni festivi, il canadese userà il bastone da hockey per pattinare verso la conquista definitiva di Chrysler. Quando ad aprile dell'anno scorso Obama gli ha mollato il ferrovecchio di Detroit, la Fiat ha acquisito il 20% della società con la possibilità di portare la propria quota fino al 51% entro il 2013. Per adesso il figlio del carabiniere Concezio deve vedersela con gli altri azionisti del fondo dei pensionati Chrysler, con il Tesoro americano e canadese, cioè con la maggioranza che controlla l'azienda.


MARCHIONNE
Marchionne e la punto Emiliano Carli per il RIformista
Sarà una strada lunga e difficile, una partita che durerà ben oltre i 60 minuti che si giocano con il bastone sul ghiaccio, ma Marpionne ha spiegato a Yaki, Gabetti e Stevens che si può percorrere con successo. Se poi in Italia si continuerà a parlare di bunga-bunga e a non ribaltare il modello delle relazioni industriali, allora si userà la spada puntando sul Brasile, la Polonia e la Serbia dove i governi danno incentivi favolosi sulla falsariga di quelli che la Fiat ha avuto in Italia per decenni.

È questo lo scenario dentro il quale si muove il figlio del carabiniere Concezio, uno scenario da cosmopolita e da padrone che se avrà successo ribalterà completamente il rapporto tra la Fiat e la Chrysler. Una volta conquistata Detroit, Yaki potrà andarsene a Parigi a giocare con la finanza, Luchino di Montezemolo rimpiangerà la sua Ferrari, e sarà Detroit a conquistare Torino.




by dagospia

mercoledì 27 ottobre 2010

FIAT COJONI - MENTRE AGNELLI SI CREAVA I SUOI TESORETTI OFFSHORE (VEDI LA DIATRIBA SULL’EREDITà), tra il ’77 e il ’90 Torino ha beneficiato di 5,2 miliardi, avallati da tutti i governi della prima Repubblica - il regalo fatto dall’iri di Prodi: quell’Alfa Romeo strappata alla Ford, che nel 1986 (governo Craxi) aveva messo sul piatto 4mila miliardi di lire, ben più dei 1.050, da versare in cinque rate (la prima sei anni più tardi) senza interessi, offerti dal Lingotto...

Pierluigi Bonora per Il Giornale

Genericamente si potrebbe dire che furono tutti i big della politica della prima Repubblica a prestare un'attenzione particolare al gruppo Agnelli. Nella forma di aiuti, sostegni, spintarelle, scambio di favori, piaceri, paletti protezionistici. Il caso più clamoroso fu la protezione data da Romano Prodi in occasione dell'asta sull'Alfa Romeo.

Ma ci furono interventi apparentemente marginali, però dalle conseguenze favolose per la Fiat. Basti pensare a quella nuova tassa che si inventò il governo Andreotti nel 1976, chiamata superbollo per i motori Diesel. Sotto al vestito una grande mano ai motori torinesi che all'epoca erano praticamente solo a benzina e di cilindrate basse. E la fuoriuscita dei motori stranieri a gasolio, all'epoca più avanzati.

E poi la famigerata Cassa del Mezzogiorno, feudo democristiano, che con la scusa dell'industrializzazione gettò miliardi anche nelle fabbriche del gruppo (ma non solo ovviamente). Andiamo per ordine.


lapr romano prodi telefono cellulare
Le ultime dichiarazioni di Sergio Marchionne («dall'Italia non arriva alla Fiat un euro di utile») hanno riportato alla ribalta il tormentone dei tanti sussidi, diretti e indiretti, di cui il gruppo che fa capo alla famiglia Agnelli ha beneficiato nella sua lunga storia. «Per elencare tutti i favori - dice maliziosamente un esperto del settore - ci vorrebbe un'enciclopedia». Sul banco degli «imputati» sono soprattutto i governi di centrosinistra e gli uomini che li hanno condotti: Romano Prodi, Massimo D'Alema e Giuliano Amato firmano i provvedimenti che danno maggiore ossigeno all'azienda torinese.

A molti brucia ancora il regalo, già accennato, fatto da Prodi, all'epoca alla guida dell'Iri, alla Fiat: quell'Alfa Romeo strappata alla Ford, che nel 1986 (governo Craxi) aveva messo sul piatto 4mila miliardi di lire, ben più dei 1.050, da versare in cinque rate (la prima sei anni più tardi) senza interessi, offerti dal Lingotto allora amministrato da Cesare Romiti.


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Se l'Alfa Romeo aveva problemi allora, la situazione nel tempo è stata oggetto di pochi alti e tanti bassi, tant'è che il destino del marchio milanese non è tuttora ancora ben delineato. Il simbolo di un nazionalismo industriale di cui lo stesso Marchionne oggi essendone vittima, si lamenta. C'è chi è arrivato a quantificare l'ammontare dei finanziamenti statali elargiti a Torino in 100 miliardi di euro.

Queste le voci considerate: rottamazioni (leggi incentivi: 400 milioni di euro solo nel '97 in virtù del piano Prodi), cassa integrazione, contributi per gli impianti al Sud, prepensionamenti, mobilità lunga, interventi sul fisco, barriere protezionistiche, leggi ad hoc.


Aldo Moro
Nel balletto di cifre proprio ieri la Cgia di Mestre ha fatto due conti: 7,6 miliardi di finanziamenti erogati dallo Stato solo negli ultimi 30 anni, da suddividere in contributi per realizzare le fabbriche di Melfi e Pratola Serra (1,279 miliardi tra il '90 e il '95 con i governi De Mita, Andreotti, Amato, Ciampi e Berlusconi). Complessivamente, secondo la Cgia, tra il '77 e il '90 Torino ha beneficiato di 5,2 miliardi, avallati dai governi Moro, Andreotti, Cossiga, Forlani, Spadolini, Fanfani, Craxi, Goria e De Mita: praticamente tutti i bei nomi della prima Repubblica.

Il gruppo degli Agnelli è stato aiutato, in base alla legge per il Mezzogiorno, a realizzare il suo programma di insediamenti industriali al Sud: oltre 6mila miliardi di vecchie lire in base al contratto di programma stipulato a Palazzo Chigi nel 1988 con i governi Goria-De Mita.


GIULIO ANDREOTTI In anni successivi, e precisamente tra il '93 e il 2009 (governi Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi, D'Alema e Amato) alle voci ristrutturazioni, innovazione e formazione è corrisposta un'erogazione da parte dello Stato pari a quasi 500 milioni di euro. C'è poi lo stabilimento di Pomigliano d'Arco, ereditato dalla vecchia Alfa Romeo (20,5 milioni a carico dello Stato per l'innovazione dell'impianto tra il '95 e il 2000)e quello siciliano di Termini Imerese, costruito nel golfo di Cefalù in una delle zone meno adatte per un polo industriale e sicuramente più indicata a ospitare milioni di turisti.


Cossiga e DAlema La nascita del sito nel 1970 (governo Rumor) avvenne sulla spinta delle grandi lotte operaie del tempo che tra le principali rivendicazioni ponevano lo sviluppo del Mezzogior-no. Purtroppo, con il trascorrere degli anni, sono emerse le difficoltà di mantenere la produzione inun'area difficile da raggiungere e carente di infrastrutture, tant'è che la fabbrica che ha prodotto modelli di successo come 500, 126, Panda, Punto e Lancia Y, chiuderà a fine 2011. Di investimenti e contributi, comunque, Termini Imerese ne ha assorbiti: l'ultimo risale al 2007 (governo Prodi) con un intervento statale di 46 milioni.


ANDREOTTI-GAVA-FORLANI
Bisogna sempre considerare infine due fattori. Ogni impresa, in qualsiasi parte del mondo, chiede aiuti economici alla politica. Il problema è quando la politica cede con tanta dovizia come ha fatto negli anni con Fiat. E infine occorre sempre ricordare come in un paese dotato di pochi colossi industriali, il gruppo torinese abbia negli anni rappresentato uno dei pochi baluardi dell'occupazione e della ricerca. Basti pensare al recentissimo caso serbo: hanno fatto ponti d'oro,tra incentivi fiscali e contributi vari, affinchè la Fiat rilanciasse il suo stabilimento locale.


by dagospia

Spatuzza riconosce lo 007 vicino

PALERMO - Il funzionario dell'Aisi Lorenzo Narracci, indagato dai pm di Caltanissetta nell'ambito dell'inchiesta sulle stragi mafiose del '92, è stato riconosciuto dal pentito Gaspare Spatuzza durante una «ricognizione di persona» come «il soggetto estraneo a Cosa Nostra visto nel garage mentre veniva imbottita di tritolo la Fiat 126 usata nell'attentato al giudice Paolo Borsellino». A Spatuzza sono state mostrate più persone, tra cui il funzionario dei Servizi, simili di aspetto, dietro a un vetro. Il pentito non avrebbe avuto esitazioni nell'indicare Narracci, in precedenza già riconosciuto in foto, come la persona vicina a Cosa Nostra di cui aveva parlato nei mesi scorsi.

CIANCIMINO - Anche Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito, ha riconosciuto nel funzionario dell'Aisi «l'uomo che in un'occasione incontrò il padre nella sua abitazione». Tra Ciancimino e l'agente c'è stato un confronto: lo 007 ha però negato di avere mai visto Ciancimino e suo padre.

L'INCHIESTA - Narracci, ex funzionario del Sisde tuttora in servizio all'Agenzia per la sicurezza interna (Aisi), è indagato dalla procura di Caltanissetta nell'ambito dell'inchiesta sulla strage del '92 in via D'Amelio a Palermo in cui vennero fatti saltare in aria con un'auto-bomba il procuratore aggiunto Paolo Borsellino e cinque poliziotti di scorta. Il funzionario, dopo la notizia del suo coinvolgimento nell'inchiesta, è stato allontanato dal suo precedente incarico e destinato ad altri compiti all'interno dell'Aisi.

COPASIR - Di Lorenzo Narracci si sarebbe parlato anche in una delle ultime sedute del Copasir, il 13 ottobre, nel corso dell'audizione del direttore dell'Aisi, Giorgio Piccirillo. In quest'occasione - a quanto si apprende - alcuni componenti del Comitato per la sicurezza della Repubblica avrebbero chiesto la rimozione del funzionario dai Servizi e in particolare dall'Aisi. Una rimozione già sollecitata precedentemente, quando a inizio luglio il comitato affrontò il caso di fronte al direttore del Dis, Gianni De Gennaro.


27 ottobre 2010


by corriere.it

venerdì 22 ottobre 2010

E CLINTON SI PERSE LA BOMBA - IL MASCELLONE BILL, IL GIORNO DOPO L’ESPLOSIONE DELLO SCANDALO LEWINSKY, PERSE LA SCHEDA CON I CODICI PER LANCIARE L’ATTACCO NUCLEARE - OGNI PRESIDENTE AMERICANO DEVE PORTARLA SEMPRE CON SÉ, SCORTATO DA UN UFFICIALE CON LA VALIGETTA CHE CONTROLLA L’ARSENALE ATOMICO - UNA VOLTA CLINTON SI DIMENTICÒ PURE L’UFFICIALE, CON ANNESSA VALIGETTA - LO RIVELA L’EX CAPO DI STATO MAGGIORE: “I CODICI ANDARONO PERDUTI PER MESI, FU UN GIGANTESCO PROBLEMA”…

Angelo Aquaro per "la Repubblica"


i Clinton
E il giorno dopo lo scandalo Lewinsky, Bill Clinton perse il biscotto. Ok, il biscotto, nel linguaggio cifrato della Casa Bianca, è la scheda che contiene i codici per lanciare l'attacco nucleare: una specie di "bancomat della sicurezza" che il presidente degli Stati Uniti porta sempre con sé, i numeri che dovrà inserire nella valigetta - anche per questa c'è un nome in codice: football - che un ufficiale si trascina sempre dietro.

Ma che cosa aveva mai distratto l'uomo più potente del mondo dal prendersi cura del suo bene più prezioso?

Il biscotto perduto di Clinton è l'ultimo scandalo che l'America appiccica al presidente a cui ha perdonato di tutto.

Ma è vero o no? La rivelazione, rilanciata dalla tv Abc, arriva da un libro del generale di Hugh Shelton, l'ex capo di Stato maggiore che ha raccolto le sue memorie sotto un titolo altisonante, "Senza esitazione: l'odissea di un guerriero americano". Senza esitazione, il guerriero ricorda che "a un certo punto dell'amministrazione Clinton i codici andarono perduti per mesi. Un bel problema, un gigantesco problema".


Monica Lewinsky
Sì, ma il problema è anche un altro: la storia, ricostruiscono gli storici della Casa Bianca, non sarebbe nuova. Già un altro generale, Robert Patterson, tirò fuori il biscotto perduto sette anni fa. E lui sì che ricorda bene: era l'ufficiale incaricato di portare "la valigetta chiamata football".

È proprio Patterson a raccontare quella scena che avviene "il mattino dopo in cui esplose lo scandalo Lewinsky". L'ufficiale chiede al presidente, come di routine, il biscotto, cioè la card, che lui è incaricato di ricaricare. Ma Clinton, ancora sconvolto dallo scandalo in corso, si accorge di non averla dietro. "Pensava di averla lasciata da qualche parte. Così cominciammo a girare per tutta la casa Bianca alla ricerca dei codici: finché il presidente non confessò di averli persi".


bomba atomica
Certo Clinton non è stato l'unico inquilino ad avere problemi col biscotto. Un'altra leggenda racconta che anche Carter perse le chiavi che dal 2008 sono nelle tasche di Obama - o almeno si spera. Ma l'incrocio delle due testimonianze rende la disavventura di Bill più clamorosa.

D'accordo, le versioni dei militari differiscono per anno - Patterson dice '98, Shelton 2000 - e durata: per Shelton il biscotto sarebbe sparito addirittura "per mesi".

Ma a conferma della distrazione di Clinton, nel 1999 i giornali di tutto il mondo raccontarono l'ennesimo buco. Durante un vertice Nato, il presidente dimenticò la valigetta, con annesso ufficiale, nel palazzo del summit, costringendo il povero militare a tornarsene alla Casa Bianca a piedi. "Siamo salvi", chiosò l'imbarazzato portavoce Joe Lockart. Le ultime parole famose?




by dagospia

WOJTYLA SANTO SUBITO! - I PRIMI A CAPIRE LE POTENZIALITà RIVOLUZIONARIE DEL FUTURO PAPA FURONO I SERVIZI SEGRETI POLACCHI FIN DAL 1946 - Tra il 1946 e il 1978 IL REGIME DI VARSAVIA spiò ogni movimento e discorso di Karol. Usando anche preti infiltrati per entrare nelle sue stanze dopo che divenne vescovo - NON A CASO IL GRANDE PICCONATORE DEL MURO COMUNISTA FU IL futuro papa Giovanni Paolo II (CON I SOLDI DI CALVI, GARDINI E BANDA DELLA MAGLIANA)...

(Adnkronos) - Tra il 1946 e il 1978 gli organi di polizia polacchi spiarono ogni movimento e discorso di Karol Wojtyla. Usando anche preti infiltrati per entrare nelle sue stanze dopo che divenne vescovo, il regime comunista polacco intui' tuttavia in ritardo la vera 'pericolosita'' del futuro papa Giovanni Paolo II.

E' il quotidiano della Cei 'Avvenire', con un articolo di Luigi Geninazzi basato su un libro appena uscito in Polonia, a presentare il ritratto di Wojtyla visto, descritto e analizzato dai suoi 'nemici', gli uomini del regime di Varsavia incaricati di sorvegliarlo, pedinarlo e controllarlo passo dopo passo. Si tratta dei documenti conservati negli archivi del SB, i servizi segreti polacchi, redatti dagli informatori dal 1946 al 1978, vale a dire dal primo giorno di sacerdozio fino all'ascesa al pontificato.


Wojtyla e la famiglia Poltawska nel dopoguerra
Il libro 'Ku prawdzie i wolnosci' (Verso la verita' e la liberta'), che ha per sottotitolo 'Gli organi di sicurezza comunisti e Karol Wojtyla', edito da Wam, la casa editrice dei gesuiti di Cracovia, e' il terzo volume di una collana dedicata agli 'Indomiti', coloro che si sono opposti alla dittatura rossa.


Wojtyla prima della nomina ad Arcivescovo di Cracovia 1967
Ne esce una testimonianza di eroicita' quotidiana e di santita', scritta involontariamente da chi odiava la Chiesa. La prima scheda della polizia risale al maggio 1946 quando Wojtyla, non ancora sacerdote, e' tra i membri dell'organizzazione studentesca 'Bratia Pomoc', Soccorso fraterno, che svolgeva un'attivita' culturale patriottica. La sorveglianza nei suoi confronti diventa costante a partire dal 1952, allorche' il governo di Varsavia lancia una durissima campagna anti-religiosa che culmina con l'internamento del Primate di Polonia, il cardinale Stefan Wyszynski, e gli arresti di molti sacerdoti e vescovi.


Karol Wojtyla in tenda con gli studenti
Nel rapporto Sb del 2 ottobre 1953 si puo' leggere il resoconto di una dichiarazione molto preoccupata di don Wojtyla: 'Sono pronto al peggio, tanto piu' che molti preti non nascondono la volonta' di collaborare col regime. Ci aspettiamo una forte infiltrazione tra i nostri seminaristi e quindi dobbiamo vigilare, proprio come fanno i nostri avversari'.


1 papa paoloVI cardinale wojtyla lapresse
Si tratta di un giudizio che dimostra 'la grande sensibilita' del giovane sacerdote per l'unita' del clero minacciata dalla propaganda governativa', ha detto ad 'Avvenire' Marek Lasota, direttore della sezione di Cracovia dell'Ipn, l'Istituto per la memoria storica che conserva buona parte degli archivi dell'epoca comunista.

Il futuro Papa e' gia' nel mirino e la rete degli informatori attorno a lui diventa sempre piu' stretta. Nel 1958, a soli 38 anni, Wojtyla diventa vescovo e i confidenti dei servizi segreti sottolineano che la sua nomina e' stata accolta 'con soddisfazione dal clero', ricordando poi che 'il neo-vescovo continua a presentarsi con una talare vecchia e logora, si dice che dia tutto ai poveri a tal punto che qualcuno ha organizzato una colletta per


1 cardinale wyszynky karol wojtyla lapresse
Dai rapporti della polizia emerge l'assillo per gli incontri informali che monsignor Wojtyla organizza in curia. A questo punto diventano essenziali gli infiltrati, preti che fanno il doppio gioco e che cercano in tutti i modi di entrare di nascosto nelle stanze del vescovo. A leggerli oggi sembrano tentativi buffi e ridicoli, ma dicono fino a che punto erano decisi a spingersi nel controllo totale delle persone. Anche perche' non riuscivano ad avere le idee chiare.

Nel 1964, quando Wojtyla diventa arcivescovo di Cracovia, viene descritto come 'un moderato, uno poco aggressivo che vuole evitare conflittualita'' ma al tempo stesso si nota che 'i suoi interventi pubblici insistono sui diritti sociali e in genere contengono concetti filosofici molto difficili da capire per l'ascoltatore medio'.

Nasce qui il grande abbaglio del regime comunista che tende a considera il presule di Cracovia 'un intellettuale astratto', non pericoloso dunque. Ma le informative si riempiono di stizza quando si batte per costruire una chiesa nel quartiere operaio di Nowa Huta. E ancor piu' quando, nei primi anni Settanta, il cardinale Wojtyla lancia una vera e propria battaglia per 'la liberta' di educazione'.


karol wojtyla lech walesa
- Il regime inizia a temerlo perche' 'pur non professando apertamente un'ostilita' politica e' molto dannoso dal punto di vista ideologico, specialmente per il suo influsso sugli intellettuali'. Ma chi erano gli informatori? Quasi tutti furono reclutati tra il clero, dapprima con la forza, poi blanditi con ricompense o addirittura convinti che la loro attivita' non fosse una delazione ma un contributo al miglioramento dei rapporti Stato-Chiesa.

E' una squallida galleria di preti ricattati per le loro debolezze, non solo di tipo sessuale. E tutti manovrati dalla famigerata IV Divisione del Ministero degli Interni, incaricata di sorvegliare gli uomini di Chiesa. A questo scopo nel 1969 venne stilata una circolare segreta con 98 richieste ai confidenti, un elenco dettagliato di domande sulla vita quotidiana del cardinale di Cracovia, cosa fa appena alzato, fuma, gioca o beve alcolici, quali programmi tv guarda, quando va dal dentista e perfino, che dopobarba usa...



by dagospia

giovedì 21 ottobre 2010

CORALLO GETTATO IN PADELLA(RO) - I LEGALI INGLESI DELLA “PERSONA CHIAVE” DELLE SLOT MACHINES, SOTTO INCHIESTA DELLA CORTE DEI CONTI (PER 98 MILIARDI DI EURO) INTIMANO AL “FATTO QUOTIDIANO” DI SMETTERLA DI PARLARE DI FRANCESCO CORALLO E “GIOCOLEGALE” - PECCATO CHE NON DICANO IN COSA IL GIORNALE STIA SBAGLIANDO, LIMITANDOSI A CHIEDERE RISARCIMENTI, FIRME E GIURAMENTI CON SU SCRITTO “PROMETTO CHE NON LO FACCIO PIÙ” - “FORSE I MAGISTRATI POSSONO PORSI LA DOMANDA SE SIA LECITO CHE UN CONCESSIONARIO DI SERVIZI PUBBLICI INVII LETTERE SIMILI”…

Antonio Padellaro per "il Fatto Quotidiano"


ANTONIO PADELLARO Il 6, 8 e 9 ottobre abbiamo pubblicato tre servizi concernenti gli affari che girano intorno alle slot machine e tutte e tre le volte la società BPLUS GIOCOLEGALE ci ha inviato lettere nelle quali, lamentando una diffamazione nei confronti "del signor Francesco Corallo" definito dai suoi legali, "la persona chiave dell'organizzazione della Bplus, maggiore concessionario operante nel settore delle new slot", ci comunicava l'"avvio di denunzia penale e richiesta di risarcimento danni".

In nessuna delle tre lettere veniva specificato quale falsità vi fosse nei tre servizi e pur volendo dare notizia di questa manifestata intenzione, non siamo stati in grado di dar conto in cosa avremmo sbagliato o quale notizia fosse non rispondente al vero, oppure quale non avesse un interesse per la pubblica opinione e, infine, se si fosse travalicato in qualche modo il limite della correttezza formale nell'esporre le tematiche affrontate.


B Plus Gioco Legale
Il 15 ottobre, una lettera di uno studio legale di Londra (ovviamente scritta in lingua inglese) speditaci via fax, riprendeva il discorso della diffamatorietà e, dopo aver riassunto brevemente l'indicazione dei tre servizi pubblicati, aggiungeva: "Il nostro cliente nutre il grande timore che vi stiate accingendo a pubblicare gli stessi articoli o articoli simili contenenti materiale diffamatorio identico o analogo. Qualsivoglia ulteriore pubblicazione dello stesso materiale e/o di materiale analogo riguardante il nostro cliente costituirebbe, ai sensi della legge inglese, un ulteriore caso di diffamazione a mezzo stampa consentendo di avanzare un'altra richiesta di risarcimento per i danni subiti".


il Fatto Quotidiano 24 Settembre
Anche questo studio legale non faceva minimamente menzione di fatti, circostanze, situazioni che potessero in qualche maniera essere considerate diffamanti o, comunque, illecite.

La parte più bizzarra (non sapremmo definirla diversamente) riguarda la conclusione di questa lettera: "Sia la precedente pubblicazione che qualsivoglia eventuale e futura pubblicazione di tali articoli contenente materiale diffamatorio sono inaccettabili per il nostro cliente e, stando così le cose, è necessario che voi vi impegniate, sottoscrivendo l'allegato modulo che deve esserci restituito entro le 16 del 18 ottobre 2010, a non riferire, pubblicare o mettere in circolazione alcun precedente o nuovo articolo contenente lo stesso materiale e/o materiale analogo a quello già pubblicato in relazione al nostro cliente".

L'"allegato modulo", poi, è qualcosa di difficile qualificazione. "Il legale rappresentate del Fatto Quotidiano" dovrebbe sottoscrivere una Dichiarazione di Impegno con la quale, premesso che la pubblicazione dei tre servizi in questione è diffamatoria della BPLUS GIOCOLEGALE e/o dei suoi dirigenti, direttori e/o dipendenti o qualsivoglia altra persona, per evitare un'azione legale per il risarcimento dei danni conseguenti alla pubblicazione dei servizi giornalistici in questione, si impegna:

a) a non pubblicare né ora né in futuro materiale dello stesso e/o analogo contenuto...;


CORTE DEI CONTI
b) a consegnare entro e non oltre il 23 ottobre tutte le copie degli articoli diffamatori e tutti i documenti in nostro possesso custodia o controllo relativi al contenuto dello stesso articolo;

c) a ritirare entro il 23 ottobre tutte le copie degli articoli che abbiamo distribuito;

d) a far avere entro il 23 ottobre una dichiarazione giurata sottoscritta da un rappresentante legalmente autorizzato che attesti l'adempimento delle richieste relative ai punti che precedono;

e) a corrispondere in misura ragionevole le spese legali sostenute.

Neppure questa lettera del legale inglese conteneva un pur minimo cenno a "fatti" falsi e/o diffamatori, né specificava cosa non avremmo dovuto più pubblicare. Il che equivale a dire "Guai a voi se vi permettete di rifare il nome di Francesco Corallo o quello della BPLUS GIOCOLEGALE".


Corte dei Conti Roma
Abbiamo difficoltà a fare, nel nostro paese, libera informazione e c'è chi vuole approvare leggi che la rendano ancora più difficile. Se ci si mettono anche avvocati inglesi che nemmeno vogliono dirci in cosa avremmo sbagliato, siamo - come suol dirsi - alla frutta. I giornali, però, vengono letti anche da alcuni Procuratori della Repubblica e dall'Aams, l'ente statale che ha il compito di controllare il gioco e del quale la Bplus è concessionario.

Forse i dirigenti dell'Aams e i magistrati possono porsi la domanda se sia lecito inviare lettere del tipo di quelle da noi ricevute da parte di un concessionario dello Stato italiano per la riscossione dei tributi erariali. Se qualcuno di loro volesse leggerle nella loro interezza, siamo pronti a farglielo fare.



by dagospia

sabato 16 ottobre 2010

basta con queste bestie uccidetele in piazza che sia un esempio per tutti vergogna

Lampedusa - le violenze in un contesto familiare di estremo degrado
Facevano prostituire le loro tre bambine
per pochi euro, genitori arrestati
Ai domiciliari anche un 78enne «amico di famiglia»: ha partecipato agli abusi sulle piccole
Lampedusa - le violenze in un contesto familiare di estremo degrado

Facevano prostituire le loro tre bambine
per pochi euro, genitori arrestati

Ai domiciliari anche un 78enne «amico di famiglia»: ha partecipato agli abusi sulle piccole

MILANO - Una coppia di coniugi e un loro amico di 78 anni sono stati arrestati dalla polizia a Lampedusa (Agrigento) con l'accusa di violenza sessuale nei confronti delle tre figlie della coppia, con l'aggravante di aver commesso il fatto nei confronti di persona minore di 14 anni. Per i genitori delle tre bambine è scattata anche l'accusa di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. Secondo l'accusa, avrebbero infatti consentito nella loro abitazione al 78enne di abusare sessualmente delle figlie in cambio di somme di denaro. La stessa cosa sarebbe avvenuta nei pressi del parco giochi o della scuola di Lampedusa, dove i genitori lasciavano le figlie in balia di violenze di gruppo, anche da parte di minorenni, in cambio di compensi che variavano da tre a dieci euro. Il padre delle bimbe è stato rinchiuso nel carcere Ucciardone di Palermo mentre alla madre e all' «amico di famiglia», sono stati concessi gli arresti domiciliari.

ESTREMO DEGRADO - Le indagini, che hanno evidenziato una situazione di estremo degrado, sono state avviate in seguito alle segnalazioni da parte dei servizi sociali, che già a partire dal 2007 si erano occupati della famiglia tanto da indurre il Tribunale per i minorenni a trasferire le figlie presso una comunità. Nel corso di alcuni colloqui in comunità una delle bimbe avrebbe raccontato i numerosi episodi di abusi sessuali di gruppo ai quale era stata sottoposta insieme alle sorelline, anche da parte di minorenni, in cambio di somme di denaro comprese tra 3 e 10 euro che venivano poi consegnate ai genitori.

I MALTRATTAMENTI - Le indagini condotte dalla Procura per i minorenni di Palermo hanno consentito di trovare numerosi riscontri non solo relativamente agli abusi sessuali, ma anche a maltrattamenti fisici: le bimbe venivano infatti sistematicamente picchiate con colpi di bastone e prese a morsi nelle gambe. Secondo gli investigatori le violenze sarebbero state commesse dal «padre padrone» ma anche «con la complicità e la divertita partecipazione della madre». Nei confronti dei genitori e dell' «amico» sono così scattati gli ordini di custodia cautelare; le tre bimbe hanno chiesto di essere affidate a un'altra famiglia. (fonte: Ansa)


16 ottobre 2010

giovedì 14 ottobre 2010

88 MILIARDI € CHE LO STATO NON VUOLE - LA PROCURA DELLA CORTE DEI CONTI RIBADISCE LA CIFRA CHE LE CONCESSIONARIE DI GIOCO D’AZZARDO DEVONO AL FISCO COME PENALI - IL CALCOLO è BASATO SULLA CONVENZIONE APPROVATA DA ENTRAMBE LE PARTI - L’ATLANTIS WORLD DI CORALLO, DA SOLA, DOVREBBE SCUCIRE 31 MILIARDI - MA TREMONTI HA CHIESTO ALL’EX RAGIONIERE DELLO STATO MONORCHIO DI FARE UNA STIMA (STRACCIATA): 800 MLN - IL CONSIGLIO DI STATO HA UNA SUA OPINIONE: 30 MLN - EPPURE SOLO NEI PRIMI SEI MESI DEL 2010 LE CONCESSIONARIE HANNO INCASSATO 15 MILIARDI…

< Marco Lillo e Ferruccio Sansa per "il Fatto Quotidiano"



Ottantotto miliardi di euro o appena 30 milioni? Il grande scandalo slot machine è arrivato al capitolo finale: tra sessanta giorni sapremo quanto le società concessionarie dovranno versare allo Stato. L'accusa ieri ha ribadito la sua richiesta: quasi novanta miliardi, la somma più alta mai pretesa dalla procura contabile nella storia d'Italia.

Ma la Commissione incaricata dal ministero dell'Economia ha indicato una somma cento volte più bassa. Insomma, i tecnici designati dal governo hanno previsto un mega-sconto per le concessionarie. E non basta: il Consiglio di Stato ha suggerito criteri di calcolo per poche decine di milioni, un tremillesimo della somma chiesta dall'accusa.

Ieri si è svolta l'udienza conclusiva alla Corte dei Conti. Con un primo colpo di scena: respinte le istanze di rinvio e di annullamento presentate dalle concessionarie. Quindi la parola è passata alla Procura. Che non ha abbassato di una virgola la cifra stabilita nel 2007: 88 miliardi. Una richiesta basata sull'applicazione delle penali previste tra Stato e concessionari nel 2004.


Amedeo Laboccetta
Insomma, semplicemente chiedendo che sia applicata la convenzione, come si pretenderebbe da un cittadino qualsiasi. I colossi dei giochi si troverebbero a pagare somme che quasi risanerebbero i conti pubblici italiani: 31 miliardi e 390 milioni soltanto per il concessionario Atlantis World. Un tesoro, ma bisogna tenere presente che soltanto nei primi sei mesi del 2010 gli operatori del settore hanno incassato 15 miliardi.

LE RICHIESTE MINIME - La procura però ha avanzato due ipotesi subordinate: la prima prevede che la somma sia equivalente all'80% dell'aggio percepito dai concessionari nel periodo da settembre 2004 a gennaio 2007. Certo, sarebbe già un bel taglio: si passerebbe a 2,7 miliardi. Il Pm specifica nell'atto la somma pretesa da ogni concessionario: 845 milioni per Atlantis, il colosso delle slot. Ma se anche questa richiesta non fosse accolta,il pm Marco Smiroldo propone che i concessionari "siano condannati al risarcimento del danno che il collegio stimerà equo".

E qui ecco spuntare un'altra stima e una storia passata praticamente sotto silenzio: il ministero dell'Economia negli anni scorsi ha dato incarico a una commissione di indicare i criteri per il calcolo delle somme da pagare. I tre esperti, guidati dall'ex ragioniere dello Stato Andrea Monorchio, hanno proposto una "rimodulazione" delle penali che porterebbe - secondo i Monopoli - a circa 800 milioni di euro. E siamo già scesi a meno di un centesimo dei famosi 88 miliardi (98 secondo le primissime stime).

Basta? Nemmeno per sogno. Nella corsa al ribasso il Consiglio di Stato ha indicato un criterio ancora più favorevole: "Il limite massimo delle penali irrevocabili... non dovrebbe essere comunque superiore all'11% del valore medio del compenso per la gestione telematica degli apparecchi da gioco spettante al concessionario nello stesso anno, secondo i dati dei cespiti della gestione riferita a quell'anno in possesso dei Monopoli".


slths18 gente agli slot machine
Sembra cinese per i non addetti ai lavori: significa che nelle casse dello Stato andrebbero una trentina di milioni. Un tre-millesimo di quello che ha calcolato la Procura della Corte dei Conti.

UN "GIOVANE" TENACE - Ma il vero protagonista dell'udienza e di questo procedimento interminabile è senza dubbio Marco Smiroldo, il pubblico ministero. Chissà, forse quando l'inchiesta è partita le società si erano rallegrate che il fascicolo fosse finito sulla scrivania di questo magistrato, uno dei più giovani della Procura della Corte dei Conti. Un pm ragazzino - eravamo nel 2006 - di appena trentacinque anni per affrontare società che maneggiano miliardi di euro,che hanno agganci ai livelli più elevati della politica.

E non solo. Quanto quell'impressione fosse sbagliata lo hanno dimostrato gli eventi successivi. Smiroldo non è certo un magistrato che ami i riflettori, ma è un uomo di legge fino al midollo, che chiede soltanto l'applicazione delle regole. Ha condotto l'inchiesta fino alla fine, senza modificare la sua linea contro cui si sono scatenati tanti poteri forti.

E ascoltare la sua requisitoria ieri ha riservato ulteriori clamorose sorprese sullo scandalo: si scopre così che lo Stato ha pagato per la pubblicità dei giochi d'azzardo "legali" oltre 13,7 milioni tra il 2004 e il 2007. Una fortuna, a tutto vantaggio degli affari delle concessionarie.


Corte dei Conti Roma
Smiroldo ha chiesto la restituzione della somma: "Il mancato collegamento degli apparecchi ha impedito il controllo telematico sul gioco, che soltanto se controllato è lecito, quindi non poteva pubblicizzarsi come lecito un gioco che in realtà non lo era: si è pagata, pertanto, una sorta di pubblicità ingannevole". Quindi, sostiene la Procura, agli altri danni deve aggiungersi quello per la campagna pubblicitaria sul cosiddetto ‘gioco lecito', pari a 13.773.360 euro".

L'ULTIMA BEFFA - Non basta. C'è un ulteriore danno pubblico: si scopre che la Sogei (Società Generale di Informatica, soggetto controllato dallo Stato) ha speso inutilmente 26,9 milioni: "Ad aumentare la dimensione del danno erariale - ha detto Smiroldo - contribuiscono anche le spese sostenute per il servizio di gestione operativa del sistema di controllo degli apparecchi messo a disposizione da Sogei, ma rimasto sostanzialmente inutilizzato almeno fino al gennaio 2007,per un danno pari a circa euro 26.982.000". Adesso la parola spetta al giudice.



by dagospia

COLTO SUL "FATTO"! AUTUNNO 2006. GOVERNO PRODI. UN DEPUTATO DI AN PRESENTA UN’INTERROGAZIONE PARLAMENTARE URGENTE SULL’IMMINENTE QUOTAZIONE IN BORSA DELLA POLTRONA FRAU DI MONTEZEMOLO & C. PER SAPERE SE “L’OPERAZIONE DI RISANAMENTO AZIENDALE NON SIA DI FATTO UNA SPREGIUDICATISSIMA SPECULAZIONE FINANZIARIA" - 2- LA MATTINA DOPO IL DEPUTATO CICCIOLI VA ALLA CAMERA E VIENE AFFRONTATO A PIù RIPRESE DA FINI, LA RUSSA, BOCCHINO: "COME TI È VENUTO IN MENTE DI TURBARE I NOSTRI RAPPORTI CON MONTEZEMOLO? RITIRA IMMEDIATAMENTE QUELL’INTERROGAZIONE" - 3- SECONDO CICCIOLI LA QUOTAZIONE IN BORSA HA PERMESSO AI SOCI DEL FONDO CHARME (LCDM, DELLA VALLE, PUNZO, ETC.), PRIVATE EQUITY STRUTTURATO COME SOCIETÀ DI DIRITTO LUSSEMBURGHESE, VENDENDO SOLO IL 23% DELLE AZIONI FRAU, DI RIENTRARE DI TUTTO IL DENARO INVESTITO NEL 2003 PER ACQUISTARE IL 75% DEL CAPITALE

Sandra Amurri e Giorgio Meletti per "il Fatto Quotidiano"

1 - QUEL PASTICCIACCIO BRUTTO DELLA POLTRONA FRAU


carlo-ciccioli
Autunno 2006. Governa Romano Prodi, presidente della Camera è Fausto Bertinotti. Carlo Ciccioli, medico-psichiatra di Ancona, da pochi mesi deputato di An, apprende che l'imminente quotazione in Borsa della Poltrona Frau di Tolentino (Mc) si presta a molti interrogativi. Si documenta e il 6 novembre presenta un'interrogazione parlamentare urgente.


Luca Cordero di Montezemolo Il salvataggio della Poltrona Frau vede protagonista il fondo Charme, fondo di private equity strutturato come società di diritto lussemburghese. Tra i soci fondatori, oltre a Luca Cordero di Montezemolo (ai tempi presidente di Confindustria, Ferrari e Fiat), gli imprenditori Diego Della Valle, Gianni Punzo, Isabella Seragnoli, Vittorio Merloni, il patron di Technogym Nerio Alessandri, le famiglie Marsiaj e Montinari, più le banche Deutsche Bank, UniCredit e Monte dei Paschi di Siena.


pro13 romano prodi
LE DOMANDE E IL MERCATO - Il deputato Ciccioli, nell'interrogazione con oggetto "Quotazione in borsa dell'azienda Frau", chiede di sapere se "il prezzo delle azioni, valutate in un range compreso tra 1,80 ed 2,20 euro, è stato fissato all'importo più alto; se sul mercato verranno collocate circa 49 milioni di azioni per un aumento di capitale pari a circa 108 milioni di euro; se tale importo è all'incirca pari alla massa dell'indebitamento dell'azienda risultante a giugno 2006;


FAUSTO BERTINOTTI se, raffrontato con l'utile di esercizio dell'azienda al 2006 il rapporto tra prezzo dell'azione e utile è pari a 196, cioè un multiplo assolutamente abnorme rispetto ai normali standard di mercato; se quindi la quotazione delle azioni risulterebbe assolutamente sproporzionata e superiore al valore effettivo dell'azienda", facendo presente che "solo 18 milioni di euro del capitale raccolto sarebbero destinati alla riduzione dell'indebitamento, rispetto ad uno sbilancio di ben 108 milioni di euro".


DIEGO DELLA VALLE
UNA SPECULAZIONE FINANZIARIA? - Ciccioli chiede anche di sapere se "l'operazione di risanamento aziendale non sia di fatto una spregiudicatissima speculazione finanziaria, se gli organismi preposti al controllo e all'autorizzazione per le quotazioni in borsa (Tesoro, Banca d'Italia, Consob) hanno esperito le procedure previste e monitorato, senza timori reverenziali,l'effettiva situazione economica e finanziaria della società".

Ed ecco il colpo di scena. L'interrogazione viene ritenuta irricevibile e bloccata dalla Presidenza della Camera. Un funzionario, racconta l'attonito Ciccioli, spiega che "il titolo è sotto quotazione, e quindi si tratterebbe di un'interrogazione price sensitive". La motivazione è risibile: sia perché l'azione Poltrona Frau non è ancora quotata in Borsa, sia perché con lo stesso criterio risulterebbero vietate tutte le interrogazioni su società quotate, perché suscettibili di influenzarne il corso borsistico. Ciccioli protesta e il funzionario replica: "La direttiva è del presidente Bertinotti e solo lui la può cambiare".


cmt10 diego della valle gianni punzo
La mattina dopo il deputato va alla Camera e viene affrontato da Fini, secondo il suo racconto, con queste parole: "Montezemolo mi ha chiamato stamattina alle sette e mi ha detto: un tuo deputato delinquente ha presentato un'interrogazione sulla quotazione in borsa della Poltrona Frau. Quel deputato sei tu. Come ti è venuto in mente di turbare i nostri rapporti con Montezemolo? Ma non vedi che sta anche attaccando il governo Prodi? Ritira immediatamente quell'interrogazione".

Ciccioli, che si aspettava elogi per l'iniziativa da vero deputato d'opposizione, trasalisce: come ha fatto la sua interrogazione, mai pubblicata, ad arrivare in tempo reale a Montezemolo? Comunque reagisce all'ordine di Fini:"Non ci penso neanche".


ingnazio la russaGLI AMICI DI LUCA - Un'ora dopo il secondo assalto. Ciccioli viene raggiunto dall'amico Ignazio La Russa che lo prende sottobraccio per ammansirlo: "Ma che ti sei messo in testa? Ma non vedi che manco Bertinotti te la pubblica? Hai ragione, ho capito, sei orgoglioso, il bel gesto lo hai fatto, adesso però è meglio che lasci stare, quell'interrogazione rovinerebbe i nostri rapporti con Montezemolo. Non ti preoccupare, te la faccio decadere io, ma non ti sognare di ripresentarla".

Ciccioli insiste: "Ma ho già mandato il comunicato stampa a Il Giornale e a Libero". La Russa è tranquillo: "Non ti preoccupare, ai giornali penso io". Subito dopo è un altro deputato di An, Italo Bocchino, a dirgli una parola buona: "Hai vissuto il tuo attimo da eroe ma ora rinsavisci".Arriva infine la lettera di Bertinotti con la motivazione ufficiale della bocciatura dell'interrogazione. Fa riferimento all'articolo 139 bis del regolamento della Camera, secondo cui il Presidente valuta l'ammissibilità delle interrogazioni con riguardo, tra l'altro, "alla tutela della sfera personale e dell'onorabilità dei singoli".


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IL CONVEGNO DEI RADICALI - Il deputato di AN, che non ha seguito Fini ma è rimasto con La Russa nel Pdl di Berlusconi, non ha mai digerito la faccenda. E infatti, a distanza di quattro anni, il 23 luglio scorso, ha raccontato tutto nel corso del convegno "Democrazia senza partiti", organizzato dai Radicali Marche ad Ancona. Il suo intervento è stato registrato e pubblicato sul blog "Popinga" (fondato da Marco Scaloni nel 2004). Oggi Ciccioli non solo conferma tutto, ma esibisce tutti i documenti del caso, accuratamente custoditi in una cartellina.

Alla domanda se il suo racconto non suoni come una vendetta nei confronti di Fini, che proprio in questi giorni ha cominciato a parlare di Montezemolo come suo possibile partner politico, risponde: "Macché vendetta! Questa storia chiama in causa un sistema: l'intreccio tra Confindustria, banche, capitalismo e politica, senza esclusione di bandiere. Una storia su cui nessun giornalista ha voluto fare inchieste e nessun magistrato ha voluto vedere chiaro".


frau
Secondo Ciccioli la quotazione in Borsa ha permesso ai soci del fondo Charme, vendendo solo il 23% delle azioni Frau, di rientrare di tutto il denaro investito nel 2003 per acquistare il 75% del capitale.


2 - UN TITOLO SOPRAVVALUTATO CHE ORA FATICA

Forse il deputato Ciccioli non aveva tutti i torti a chiedere di veder chiaro nella quotazione in Borsa della Poltrona Frau.


Montezemolo Poltrona Frau
Tanto per dire, il 5 novembre 2006, il giorno prima che l'uomo di La Russa presentasse la sua interrogazione bocciata da Bertinotti, il Corriere della Sera, giornale da sempre vicino a Luca di Montezemolo, scriveva a proposito dell'imminente operazione su Poltrona Frau: "Se si considera che il 60% del capitale investito è costituito da avviamenti e marchi sarebbe stato più prudente, nel collocamento, attribuire un peso maggiore all'aumento di capitale rispetto alla cessione di azioni che ha consentito ai soci di monetizzare in parte il freschissimo investimento".


frau 01
Quando si quota in Borsa una società si possono seguire due strade: o si emettono nuove azioni da vendere ai risparmiatori per portare denaro fresco nelle casse dell'azienda, oppure si vendono agli stessi investitori azioni già in mano agli attuali soci. In questa seconda maniera il denaro finisce in tasca dei vecchi azionisti, nel caso specifico nelle casse del fondo Charme di Montezemolo.


frau 07
Così è andata. Solo 18 milioni del centinaio pagati dal mercato per le azioni Poltrona Frau sono andate a ridurre i debiti dell'azienda. Il risultato è che oggi i debiti sono ulteriormente saliti, a 117 milioni al 31 dicembre 2009.

Investiti 75 milioni nel 2003 per il 75 per cento di Poltrona Frau, Charme rivende al mercato, dopo tre anni, il 16 per cento per 47 milioni. Un bell'affare, nota il Corriere stesso: l'azienda, comprata nel 2003, ha triplicato il suo valore in tre anni.


frau 02
Ma come ha fatto a triplicare il valore se non è quotata in Borsa? Cioè, chi ha detto che le azioni si potevano vendere, in sede di collocamento al mercato, a 2,10 euro? Lo hanno detto le banche collocatrici, quelle che hanno valutato la società: la Merrill Lynch e l'Unicredit di Alessandro Profumo. Le quali hanno seguito un normale standard internazionale, cioè il criterio dei cosiddetti multipli: il valore di un'azione è un multiplo di una serie di grandezze chiave del bilancio.


frau 03
Per esempio, il rapporto price/earning (tra il prezzo dell'azione e l'utile netto per azione) risultava di 220, cioè l'azione fu venduta a 220 volte il suo rendimento, pari dunque allo 0,45 per cento. Nel prospetto di collocamento, il documento approvato dalla Consob che dà al mercato piena trasparenza dei dati, si vede che le società del settore prese a paragone per farsi un'idea avevano un price/earning non una, non due, ma almeno otto volte migliore. La Geox, per esempio aveva un valore 33, la Swatch 20.


frau 05
Niente paura, il prospetto avvertiva che quel parametro non andava considerato, perché Poltrona Frau usciva da un anno di redditività straordinariamente bassa, solo 7 milioni di utile, ma che le cose sarebbero andate meglio in futuro. E infatti non solo il titolo fu collocato con successo, ma dal prezzo di 2,10 euro salì fino a ben oltre i tre euro, accompagnato dall'entusiasmo degli analisti finanziari, quelli che pubblicano i report somiglianti ai consigli per gli acquisti.

In questa operazione di conforto del mercato si sono naturalmente distinte Merrill Lynch e Unicredit, con ripetuti e convinti bollettini segnati dalla parola d'ordine "buy" (compratene ancora!) o, tutt'al più "hold" (tenetevele!).


frau 04L'ultimo avvertimento "hold" di Unicredit è stato pubblicato lo scorso 14 settembre. Un avvertimento a fine documento, scritto così in piccolo che ci vuole un cannocchiale per capire che è una scritta e non un fregio di fine pagina: c'è un conflitto d'interessi, Unicredit è creditrice della Poltrona Frau. E lo è da sempre.

La banca milanese era azionista di Charme, ha finanziato Charme per l'acquisto di Poltrona Frau, ha finanziato Poltrona Frau per l'acquisto dei mobili Cassina, ha curato il collocamento in Borsa delle azioni e ha detto che il prezzo era giusto. Un servizio integrato, si potrebbe dire. Nel frattempo le azioni Poltrona Frau sono scese in quattro anni da 2,10 euro a 0,84. E l'ultimo bilancio si è chiuso in perdita. Meno male che i soli 7 milioni di utile dovevano essere solo una parentesi eccezionale.



by dagospia

mercoledì 13 ottobre 2010

andate a fare la morale in parlamento, lasciateci la radio libera ............rompicoglioni

sopprimere lo “zoo di 105″ il programma in onda su Radio 105
notizie MATERA, notizie POTENZA — By webmaster on giugno 17, 2008 at 11:04

Il presidente del circolo culturale ‘Angilla vecchia’ di Potenza, Vincenzo Fierro, ha scritto oggi al Garante delle Comunicazioni per chiedere di ‘sopprimere’ la trasmissione radiofonica ‘Lo zoo di 105′, perche’ ‘satura di volgarita’ inaudite e gratuite, turpiloqui, rappresentazioni di violenza fisica e verbale, allusioni e rappresentazioni di natura sessuale tali di offendere la dignita’ umana e la sensibilita’ dei minori’.
‘Lo zoo di 105′ va in onda su Radio 105 tutti i giorni dal lunedi’ al venerdi’, dalle ore 14 alle 16. Secondo Fierro, i contenuti del programma ‘sono un oltraggio alla pubblica decenza’ e sono diffusi ‘in una fascia oraria non protetta’.
Il presidente del circolo culturale potentino ha chiesto al Garante di ‘porre in essere al piu’ presto tutte le misure in suo potere affinche’ venga ripristinato il criterio della responsabilita’ sociale, a garanzia degli utenti, dei minori e della dignita’ della persona’.

http://giornalelucano.com/2008/06/17/sopprimere-lo-zoo-di-105-il-programma-in-onda-su-radio-105/

nel paese dei moratti

In Italia ci sono dei miti, uno di questi è il capitalismo buono dei Moratti. Come si fa a voler male a dei galantuomini che investono la mancia della domenica per la sicurezza degli operai di Sarroch (CA) e rendono poveri in canna gli azionisti che hanno comprato le azioni della Saras, deprezzate quasi in tempo reale rispetto al loro collocamento? I Moratti sono ovunque. A capo della più grande raffineria del Mediterraneo costruita in Sardegna, in un (ex) paradiso terrestre, presidenti dell'Inter, consiglieri della Pirelli, sindaci di Milano con il PDL, ma anche consiglieri di opposizione nella stessa città. Il loro tratto nobile e la condiscendenza nei confronti della plebe che li contraddistingue da sempre li rende superiori a ogni bassezza. Loro sì che sono dei sciur.
"Quando una famiglia come Moratti spende per la sicurezza di oltre 2 mila operai della sua fabbrica, meno di quanto spende per lo stipendio del portiere dell’Inter Julio Cesar, vuole dire che qualcosa nel capitalismo italiano non sta funzionando!" dal libro di Giorgio Meletti: " Nel Paese dei Moratti - Sarroch Italia, una storia ordinaria di capitalismo coloniale ".

Intervista a Giorgio Meletti, giornalista

Il capitalismo coloniale dei Moratti (espandi | comprimi)
"Sono Giorgio Meletti, ho firmato questo libro intitolato “Nel Paese dei Moratti - Sarroch Italia, una storia ordinaria di capitalismo coloniale”. Tutto parte da una giornata indimenticabile per me della storia del capitalismo italiana che è il 26 maggio 2009, quando a Sarroch, vicino a Cagliari, tre operai sono morti in una maniera incredibile, inspiegabile nella raffineria Saras di proprietà dei fratelli Moratti. Quella vicenda mi ha colpito per varie ragioni: 1) i mass media l’hanno quasi completamente ignorata, tre morti sul lavoro in un colpo solo, normalmente interessano le cronache per alcuni giorni, pensate alla Thyssen Group che ha monopolizzato per settimane giornali e televisioni. In questo caso tutti si sono subito dimenticati, non ho potuto non pensare che al fondo di questo ci fosse un atteggiamento vagamente razzista, perché uso questa parola? Perché in Italia esiste una forma di capitalismo coloniale che è quella che io ho voluto raccontare, ci sono aziende o famiglie che si impadroniscono di pezzi di territorio, specificamente nel sud del Paese e ne determinano la vita, il futuro, le scelte, in realtà ne sfruttano le risorse ambientali e il lavoro, sfruttano la popolazione residente, senza minimamente occuparsi di dare a questi territori, a queste comunità, un progetto di futuro.
Per questo ho scritto in questo libro che i Moratti a Sarroch, come la FIAT a Termini Imerese, hanno un comportamento che somiglia a 150 anni di distanza, a quello della Compagnia delle Indie. Ma l’incidente di Sarroch in sé è una storia che merita di essere raccontata, perché si parla genericamente della sicurezza sul lavoro e degli incidenti di chi lavora in fabbrica, senza che, quasi mai, ci sia un’indagine approfondita, in questo caso, per esempio, è interessante notare come “Il Sole 24 ore”, principale giornale economico italiano, di proprietà della Confindustria, il giorno dopo l’incidente, lo riportò in un breve articolo a pag. 23, ipotizzando che i tre operai fossero rimasti intossicati da residui di azoto. Pensate un po’, l’azoto compone l’aria che respiriamo per il 79%, quindi non è proprio tossico, l’azoto in sé sotto forma di residui, ma non esistono i residui di azoto, comunque è innocuo, il problema è che l’azoto diventa letale quando viene respirato puro. Se l’azoto dal 79% passa al 90/95 o 100% uccide in 10 secondi, questa banale scoperta che chiunque di noi può fare leggendo Wikipedia sembra che a Saras non sia stata fatta da nessuno, questi tre operai sono potuti entrare dentro una cisterna satura di azoto, tutti sono morti in 10 secondi e l’indagine fatta dalla magistratura ha scoperto che la legge italiana, la legge sulla sicurezza del lavoro, prevede 10 diverse regole per la stessa cosa, per impedire che un uomo entri in una cisterna satura di azoto. Qualcuno dice che la legge è ridondante, che è oppressiva per le imprese, una legge che va alleggerita. Questo qualcuno è la Confindustria, ma anche il ministro del Lavoro Sacconi lo dice spesso, è un dibattito che va avanti da tempo.
In questo caso la legge si è rivelata insufficiente, delle 10 regole per impedire che un uomo entri in una cisterna satura di azoto e muoia all’istante, la Saras, queste 10 regole le ha violate tutte e 10 e questa è la ragione per cui proprio l’azienda in sé, come persona giuridica, adesso risulta indagata per omicidio colposo plurimo dalla Procura della Repubblica di Cagliari.

I tre morti dimenticati di Sarrach e gli azionisti della Saras (espandi | comprimi)
Quando succede una cosa del genere dentro una fabbrica, credo che non si possa non collegare un fatto così al ritratto di un capitalismo italiano in pieno declino, quando la famiglia Moratti che possiede in Sardegna la più grande raffineria del Mediterraneo, spende per la sicurezza degli altri 2 mila operai che ci lavorano tutti i giorni, in mezzo a quegli impianti pericolosissimi dove ci sono temperature di centinaia di gradi, pressioni dei fluidi pazzesche, basta che salti un bullone e può essere una strage... quando una famiglia come Moratti spende per la sicurezza di oltre 2 mila operai della sua fabbrica, meno di quanto spende per lo stipendio del portiere dell’Inter Julio Cesar, vuole dire che qualcosa nel capitalismo italiano non sta funzionando!
Nel libro ho citato ciò che ha scritto su Facebook un operaio della Saras tre giorni prima che gli operai morissero dentro la cisterna: “Il problema è che per la sicurezza il precariato è deleterio, perché per lavorare in una raffineria ci vogliono mesi e talvolta anni per abituarti e assimilare i concetti di base per non farsi male e ecco che il male dell’Italia si scontra con il problema della sicurezza, come fa una persona che per mesi scalda le panche della piazza, a destreggiarsi in quella giungla di linee e di pericoli?”, questa è l’analisi di un operaio che non a caso parla dei precari, dei tre operai morti, due erano giovani operai precari, senza un posto di lavoro fisso.
Il precariato non è solo una forma del disagio dei lavoratori giovani, e spesso neanche giovani, è una forma di organizzazione delle aziende italiane, è una forma determinante, questo è un libro sulla sicurezza del lavoro, sulla storia dei tre operai, ma è anche un libro che fotografa tutti i difetti strutturali del capitalismo italiano, quelli per i quali l’economia italiana da 15 anni ha smesso di crescere.
La famiglia Moratti che spende per la sicurezza degli operai meno che per lo stipendio del portiere dell’Inter, è la stessa famiglia che un giorno decide di vendere, di collocare in Borsa 1/3 del capitale della Saras, i fratelli Gianmarco e Massimo Moratti intascano 1.700.000.000 Euro e vendono per 6 Euro l’una delle azioni che oggi, a 4 anni di distanza, valgono meno di un Euro e mezzo, i risparmiatori che hanno investito sulle azioni della Saras hanno perso oltre 3/4 del loro capitale in 4 anni e adesso aspettano l’esito di un’inchiesta giudiziaria che su quell’operazione finanziaria è stata fatta e per la quale una serie di banchieri d’affari tra i più rinomati, risultano indagati.

by beppe grillo .it

martedì 12 ottobre 2010

salvate il soldato ligresti (da una montagna di debiti) - geronzi non può permettersi di "perdere" Don Salvatore: metterebbe in pericolo la sua poltrona di presidente delle generali - ed ecco arrivare i capitali del francese bolloré - Gli imprenditori vanno e vengono. Si consumano grandi crack (Cirio, Parmalat) ed epiche battaglie per il potere. Ma Geronzi è sempre lì. Sempre più forte. E gli amministratori di Mediobanca, ammirati, mettono a bilancio addidittura un tributo al presidente uscente....

Vittorio Malagutti per Il Fatto

Vincent Bolloré, il finanziere francese, anzi bretone, che controlla un impero da 3 miliardi e più di ricavi tra finanza, trasporti, media e pubblicità, dice che non c'è niente di importante. Che lui, grande amico del presidente Nikolas Sarkozy, è un investitore tranquillo che "non ha mai dato fastidio a nessuno". Traduzione: se Bolloré compra azioni del gruppo di Salvatore Ligresti lo fa solo perché vede buone occasioni di guadagno nel lungo termine.


Vincent Bollore e Alberto Nagel foto LaPresse
ve108 geronzi mass ponzellini ligrestiChiaro, chiarissimo, ma in Borsa nessuno ha creduto a questa spiegazione minimalista. E la speculazione ha continuato a scommettere alla grande su prossime novità in casa Ligresti. Tant'è vero che mentre Bolloré parlava, ieri pomeriggio, i titoli oggetto delle sue recenti attenzioni sono partiti a razzo. Premafin è salita addirittura del 7,9 per cento e la controllata Fondiaria, la compagnia di assicurazioni che è la polpa del gruppo, ha messo a segno un progresso del 6,5 per cento.

L'unico fatto alla base di questo exploit è la notizia che Bolloré ha portato dal 2 per cento circa al 2,38 per cento la sua partecipazione nel capitale Premafin. Quest'ultima ha guadagnato in Borsa addirittura il 17,5 per cento dal 28 settembre, quando per la prima volta si è avuta notizia delle manovre del finanziere bretone. E anche Fondiaria in sole otto sedute ha recuperato il 12,6 per cento. Tutto sommato non è neppure granché se si pensa che la stessa Fondiaria un anno fa viaggiava intorno ai 14 euro e adesso, solo grazie all'exploit di questi giorni, è tornata a superare quota 8 euro.

I grandi investitori, e lo stesso Ligresti, hanno quindi tutto l'interesse a veder montare la panna delle voci, perchè quantomeno serve a rilanciare quotazioni (e quindi il valore dei loro pacchetti azionari) che sono in coma profondo ormai da molto tempo. Il motivo dei forti ribassi dei mesi scorsi è semplice: il gruppo Ligresti se la passa davvero male.


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Fondiaria perde soldi (157 milioni solo nel primo semestre di quest'anno) perchè troppo concentrata nel ramo Rc auto in grave crisi e per di più imbottita di immobili, in parte scaricati dalle società personali dello stesso Ligresti, dal rendimento deludente e difficili da vendere sul mercato del mattone ancora in affanno.

Gli indici patrimoniali che segnalano la solidità della compagnia (margine di solvibilità) forse non ancora a un livello di allarme rosso, ma certo preoccupano gli analisti. Proprio il primo di ottobre Fondiaria ha incassato la bocciatura della società di rating Standard& Poor's che abbassato la valutazione da BBB+ a BBB. E il secondo siluro nel giro di pochi mesi: a marzo il rating era A-.


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Per riportare la situazione sotto controllo ci sono due strade. Si possono cercare compratori per alcune attività (immobili, società controllate). Oppure chiedere in Borsa denaro fresco con un aumento di capitale.

Di questi tempi però vendere asset è difficile, a meno di non accontentarsi di prezzi da saldo. E l'aumento di capitale è molto improbabile per che Ligresti per andare in minoranza nel capitale della compagnia dovrebbe mettere mano al portafoglio e spendere denaro di cui al momento non dispone visto che anche le sue holding personali sono fortemente indebitate. E allora, per evitare guai peggiori, non resta che la soluzione di sistema. Funziona così: il potere finanziario che fa capo alla galassia Mediobanca-Generali farà il possibile per puntellare Ligresti. E questo per almeno due ordini di motivi.

Primo: il finanziere siciliano gioca un ruolo fondamentale nel capitale di alcune società chiave per gli assetti di potere del capitalismo nazionale: Corriere della Sera, Pirelli e la stessa Mediobanca. Secondo: se una compagnia straniera riuscisse mettere le mani su Fondiaria (la terza in Italia) gli equilibri finirebbe per mettere in pericolo la posizione delle Generali (prime in graduatoria). E così l'ingresso in scena di Bolloré viene interpretato come un segnale chiaro che sta prendendo forma la rete di protezione intorno a Ligresti.


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Il finanziere francese da quasi un decennio è ben inserito nei salotti che contano. Ad aprile è diventato vicepresidente di Generali proprio in occasione della nomina del nuovo numero uno Cesare Geronzi, a cui nell'ultimo anno si è molto avvicinato. Non bastasse, Bolloré ha anche un ruolo importante in Mediobanca dove, oltre a essere azionista con una quota del 5 per cento, guida il cosiddetto gruppo C dei soci esteri del patto di sindacato.

Quindi, si ragiona in Borsa, gli acquisti di questi giorni dalla Francia si spiegano in una logica tutta italiana. E'quindi possibile che nei prossimi mesi si reciti un copione simile a quello già andato in scena di recente.

Prima di fare le valigie da Unicredit, Profumo ha dato via libera a un'operazione con cui la banca ha rifinanziato a condizioni assai vantaggiose una delle holding personali del finanziere siciliano. Anche Geronzi si è speso per sistemare la partita su Citylife, il nuovo quartiere milanese in costruzione dove è coinvolta Generali insieme con Ligresti. E la stessa Mediobanca, esposta per oltre un miliardo su Fondiaria, ha già riconfermato pieno appoggio.


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Infine, molto più defilato come spesso gli accade, si sta muovendo anche un finanziere di lungo corso come Francesco Micheli, protagonista di innumerevoli blitz borsistici, legato a Ligresti da una lunga amicizia. È stato lui, nel 2002, a giocare un ruolo decisivo nelle manovre borsistiche che hanno portato il finanziere siciliano a prendere il controllo di Fondiaria. E da allora non ha più lasciato il suo ruolo di suggeritore-consigliere.


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I BILANCI CELEBRANO LE GESTA DI GERONZI
E' durata quasi vent'anni la stagione di Cesare Geronzi in Mediobanca. Dal marzo del 1992 all'aprile di quest' anno, come ricorda l'ultimo bilancio dell'istituto (chiuso a giugno) reso pubblico ieri. Nel frattempo niente è più come prima sotto il cielo della finanza italiana. Pochissimi dei protagonisti di allora sono ancora sulla breccia. E, a parte Giovanni Bazoli di Intesa, nessuno tra i banchieri che allora dominavano la scena si trova adesso al posto di comando di un grande istituto.

Nel 1992 Geronzi varcò la soglia del tempio allora governato da Enrico Cuccia quando da poco era salito al vertice della neonata Banca di Roma. Due decenni dopo è partito dalla presidenza di Mediobanca a quella delle Generali. Un trasloco che è stato la consacrazione definitiva di un potere senza eguali sulla scena finanziaria. Gli imprenditori vanno e vengono. Si consumano grandi crack (Cirio, Parmalat) ed epiche battaglie per il potere. Ma Geronzi è sempre lì. Sempre più forte. E gli amministratori di Mediobanca, ammirati, mettono a bilancio addidittura un tributo al presidente uscente.



by dagospia

sabato 9 ottobre 2010

ecco la vera mappa di potere del mondo ?

di PAOLO BARNARD


Eccovi i nomi e cognomi del Potere, chi sono, dove stanno, cosa fanno. Così li potrete riconoscere e saprete chi realmente oggi decide come viviamo. Così evitate di dedicare tutto il vostro tempo a contrastare le marionette del Potere, e mi riferisco a Berlusconi, Gelli, Napolitano, D’Alema, i ministri della Repubblica, la Casta e le mafie regionali. Così non avrete più quell’imbarazzo nelle discussioni, quando chi ascolta chiede “Sì, ma chi è il Sistema esattamente?”, e vi toccava di rispondere le vaghezze come “le multinazionali… l’Impero… i politici… ”.
Qui ci sono i nomi e i cognomi, quindi, dopo avervi raccontato dove nacque il Potere (‘Ecco come morimmo’, paolobarnard.info), ora l’attualità del Potere. Tuttavia è necessaria una premessa assai breve.
Il Potere è stato eccezionalmente abile in molti aspetti, uno di questi è stato il suo mascheramento. Il Potere doveva rimanere nell’ombra, perché alla luce del sole avrebbe avuto noie infinite da parte dei cittadini più attenti delle moderne democrazie. E così il Potere ci ha rifilato una falsa immagine di se stesso nei panni dei politici, dei governi, e dei loro scherani, così che la nostra attenzione fosse tutta catalizzata su quelli, mentre il vero Potere agiva sostanzialmente indisturbato. Generazioni di cittadini sono infatti cresciuti nella più totale convinzione che il potere stesse nelle auto blu che uscivano dai ministeri, nei parlamenti nazionali, nelle loro ramificazioni regionali, e nei loro affari e malaffari. Purtroppo questa abitudine mentale è così radicata in milioni di persone che il solo dirvi il contrario è accolto da incredulità se non derisione. Ma è la verità, come andrò dimostrando di seguito. Letteralmente, ciò che tutti voi credete sia il potere non è altro che una serie di marionette cui il vero Potere lascia il cortiletto della politica con le relative tortine da spartire, a patto però che eseguano poi gli ordini ricevuti. Quegli ordini sono le vere decisioni importanti su come tutti noi dobbiamo vivere.
E’ così da almeno 35 anni. In sostanza il punto è questo: combattere la serie C dei problemi democratici (tangentopoli, la partitocrazia, gli inciuci D’Alem-berlusconiani, i patti con le mafie, l’attacco ai giudici di questo o quel politico, le politiche locali dei pretoriani di questo o quel partito ecc.) è certamente cosa utile, non lo nego, ma non crediate che cambierà una sola virgola dei problemi capitali di tutti gli italiani, cioè dei vostri problemi di vita, perché la loro origine è decretata altrove e dal vero Potere. O si comprende questo operando un grande salto di consapevolezza, oppure siamo al muro. “Un colossale e onnicomprensivo ingranaggio invisibile manovra il sistema da lontano. Spesso cancella decisioni democratiche, prosciuga la sovranità degli Stati e si impone ai governi eletti”. Il Presidente brasiliano Lula al World Hunger Summit del 2004.


E’ nell’aria.

Come ho detto, sarò specifico, ma si deve comprendere sopra ogni altra cosa che oggi il Potere è prima di tutto un’idea economica. Oggi il vero Potere sta nell’aria, letteralmente dovete immaginare che esiste un essere metafisico, quell’idea appunto, che ha avvolto il mondo e che dice questo: ‘Pochi prescelti devono ricevere il potere dai molti. I molti devono stare ai margini e attendere fiduciosi che il bene gli coli addosso dall’alto dei prescelti. I governi si levino di torno e lascino che ciò accada’.

Alcuni di voi l’avranno riconosciuta, è ancora la vecchia teoria dei Trickle Down Economics di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher, cioè il Neoliberismo, cioè la scuola di Chicago, ovvero il purismo del Libero Mercato. Questa idea economica comanda ogni atto del Potere, e di conseguenza la vostra vita, che significa che davvero sta sempre alla base delle azioni dei governi e dei legislatori, degli amministratori e dei datori di lavoro. Quindi essa comanda te, i luoghi in cui vivi, il tuo impiego, la tua salute, le tue finanze, proprio il tuo quotidiano ordinario, non cose astruse e lontane dal tuo vivere. La sua forza sta nel fatto di essere presente da 35 anni in ogni luogo del Potere esattamente come l’aria che esso respira nelle stanze dove esiste. La respirano, cercate di capire questo, gli uomini e le donne di potere, senza sosta, dal momento in cui mettono piede nell’università fino alla morte, poiché la ritrovano nei parlamenti, nei consigli di amministrazione, nelle banche, nelle amministrazioni, ai convegni dove costoro si conoscono e collaborano, ovunque, senza scampo. Ne sono conquistati, ipnotizzati, teleguidati.
Il Potere ha creato attorno a quell’idea degli organi potentissimi, che ora vi descrivo, il cui compito è solo quello di metterla in pratica, null’altro. Essi sono quindi la parte fisica del Potere, ma che per comodità chiamiamo il vero Potere.


Primo organo: Il Club.

Il primo organo del Potere è il Club, cioè il raggruppamento in posti precisi ed esclusivi dei veri potenti. Chi sono? Sono finanzieri, industriali, ministri, avvocati, intellettuali, militari, politici scelti con cura. Fate attenzione: questo Club non sta mai nei luoghi che noi crediamo siano i luoghi del potere, cioè nei parlamenti, nelle presidenze, nelle magistrature, nei ministeri o nei business. Esso è formato da uomini e da donne provenienti da quei luoghi, ma che si riuniscono sempre all’esterno di essi ed in privato. Come dire: quando quegli uomini e quelle donne siedono nelle istituzioni democratiche sono solo esecutori di atti (leggi, investimenti, tagli…) che erano stati da loro stessi decisi nel Club. Esso assume nomi diversi a seconda del luogo in cui si riunisce. Ad esempio: prende il nome di Commissione Trilaterale se i suoi membri si riuniscono a Washington, a Tokio o a Parigi (ma talvolta in altre capitali UE).
I fatti principali della Trilaterale: nasce nel 1973 come gruppo di potenti cittadini americani, europei e giapponesi; dopo soli due anni stila le regole per la distruzione globale delle sinistre e la morte delle democrazie partecipative, realmente avvenute; afferma la supremazia della guida delle elite sulle masse di cittadini che devono essere “apatici” e su altre nazioni; ha 390 membri, fra cui i più noti sono (passato e presente) Henry Kissinger, Jimmy Carter, David Rockefeller, Zbigniev Brzezinski, Giovanni Agnelli, Arrigo Levi, Carlo Secchi, Edmond de Rothschild, George Bush padre, Dick Cheney, Bill Clinton, Alan Greenspan, Peter Sutherland, Alfonso Cortina, Takeshi Watanabe , Ferdinando Salleo; assieme ad accademici (Harvard, Korea University Seoul, Nova University at Lisbon, Bocconi, Princeton University…), governatori di banche (Goldman Sachs, Banque Industrielle et Mobilière Privée, Japan Development Bank, Mediocredito Centrale, Bank of Tokyo-Mitsubishi, Chase Manhattan Bank, Barclays…) ambasciatori, petrolieri (Royal Dutch Shell, Exxon…), ministri, industriali (Solvay, Mitsubishi Corporation, The Coca Cola co. Texas Instruments, Hewlett-Packard, Caterpillar, Fiat, Dunlop…) fondazioni (Bill & Melinda Gates Foundation, The Brookings Institution, Carnegie Endowment…). Costoro deliberano ogni anno su temi come ‘il sistema monetario’, ‘il governo globale’, ‘dirigere il commercio internazionale’, ‘affrontare l’Iran’, ‘il petrolio’, ‘energia, sicurezza e clima’, ‘rafforzare le istituzioni globali’, ‘gestire il sistema internazionale in futuro’. Cioè tutto, e leggendo i rapporti che stilano si comprende come i loro indirizzi siano divenuti realtà nelle nostre politiche nazionali con una certezza sconcertante.

Quando il Club necessita di maggior riservatezza, si dà appuntamento in luoghi meno visibili dei palazzi delle grandi capitali, e in questo caso prende il nome di Gruppo Bilderberg, dal nome dell’hotel olandese che ne ospitò il primo meeting nel 1954. I fatti principali di questa organizzazione: si tratta in gran parte degli stessi personaggi di cui sopra più molti altri a rotazione, ma con una cruciale differenza poiché a questo Gruppo hanno accesso anche politici o monarchi attualmente in carica, mentre nella Commissione Trilaterale sono di regola ex. Parliamo in ogni caso sempre della stessa stirpe, al punto che fu una costola del Bilderberg a fondare nel 1973 la Commissione Trilaterale. Il Gruppo è però assai più ‘carbonaro’ della Trilaterale, e questo perché la sua originaria specializzazione erano gli affari militari e strategici. Infatti, in esso sono militati diversi segretari generali della NATO e non si prodiga facilmente nel lavoro di lobbistica come invece fa la Commissione. La peculiarità dirompente del Bilderberg è che al suo interno i potenti possono, come dire, levarsi le divise ed essere in libertà, cioè dichiarare ciò che veramente pensano o vorrebbero privi del tutto degli obblighi istituzionali e di ruolo. Precisamente in questo sta il pericolo di ciò che viene discusso nel Gruppo, poiché in esso i desideri più intimi del Potere non trovano neppure quello straccio di freno che l’istituzionalità impone. Da qui la tradizione di mantenere attorno al Bilderberg un alone di segretezza assoluto. I partecipanti sono i soliti noti, fra cui una schiera di italiani in posizioni chiave nell’economia nazionale, cultura e politica. Non li elenco perché non esistendo liste ufficiali si va incontro solo a una ridda di smentite (una lista si trova comunque su Wikipedia). Un fatto non smentibile invece, e assai rilevante, è la cristallina dichiarazione del Viscount Etienne Davignon, che nel 2005 fu presidente del Bilderberg, rilasciata alla BBC: “Agli incontri annuali, abbiamo automaticamente attorno ai nostri tavoli gli internazionalisti… coloro che sostengono l’Organizzazione Mondiale del Commercio, la cooperazione transatlantica e l’integrazione europea.” Cioè: i primatisti del Libero Mercato con potere sovranazionale ( si veda sotto), e i padrini del Trattato di Lisbona, cioè il colpo di Stato europeo con potere sovranazionale che ci ha trasformati in cittadini che verranno governati da burocrati non eletti. Di nuovo, i soliti padroni della nostra vita, che significa decisioni inappellabili su lavoro, previdenza, servizi sociali, tassi dei mutui, costo della vita ecc., prese non a Palazzo Chigi o all’Eliseo, ma a Ginevra o a Brussell o nelle banche centrali, dopo essere state discusse al Bilderberg.

Per darvi un’idea concreta di come questi Club e gli altri organi del Potere siano in realtà un unico blocco che si scambia sempre gli stessi personaggi, vi sottopongo la figura di Peter Sutherland. Costui lo si è trovato a dirigere la British Petroleum, la super banca Goldman Sachs, l’università The London School of Economics (una delle fucine mondiali di ministri dell’economia), ed è stato anche Rappresentante Speciale dell’ONU per l’immigrazione e lo sviluppo, Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (secondo organo del Potere), membro della Commissione Europea (il super-governo d’Europa), e ministro della Giustizia d’Irlanda. E, ovviamente, membro sia della Commissione Trilaterale che del Gruppo Bilderberg.


Secondo organo: Il colosso di Ginevra.

Si chiama Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), nacque nel 1994 ed è più potente di qualsiasi nazione o parlamento. Riunisce 153 Paesi in un’unica sede a Ginevra, dove essi dettano le regole del commercio internazionale, e ciò dicendo capirete che stiamo parlando di praticamente tutta l’economia del mondo produttivo, che lì viene decisa. Cioè fette enormi dei nostri posti di lavoro, di ciò che compriamo, mangiamo, con cui ci curiamo ecc., cose della nostra vita quotidiana, non astratte e lontane. Le decidono loro, e come nel caso della nuova Europa del Trattato di Lisbona, anche al WTO le regole emanate, dette Accordi, sono sovranazionali, cioè più potenti delle leggi nazionali. E come nel caso del Trattato, diviene perciò cruciale che regole così forti siano decise in modo democratico. Nel Trattato non lo sono, e al WTO? Neppure. Infatti la sua organizzazione di voto è falsata dallo strapotere dei soliti Paesi ricchi nel seguente modo: i Paesi poveri o meno sviluppati non posseggono le risorse economiche e il personale qualificato in numeri sufficienti per poter seguire il colossale lavoro di stesura degli Accordi del WTO (27.000 pagine di complicatissima legalità internazionale, 2.000 incontri annui), per cui ne sono tagliati fuori. Chi sta al timone è il cosiddetto gruppo QUAD, formato da Usa, Giappone, Canada ed Europa. Ma l'Europa intera è rappresentata al tavolo delle trattative del WTO dalla Commissione Europea, che nessun cittadino elegge, e per essere ancora più precisi vi dico che in realtà chi decide per tutti noi europei è un numero ancora più ristretto di burocrati: il misterioso Comitato 133 della Commissione, formato da specialisti ancor meno legittimati. La politica italiana di norma firma gli Accordi senza neppure leggerli.

Se un Paese si oppone a una regola del WTO può essere processato da un tribunale al suo interno (Dispute Settlement Body), dotato di poteri enormi. Questo tribunale è formato da tre (sic) individui di estrazione economico-finanziaria, le cui sentenze finali sono inappellabili. Una sentenza del WTO può penalizzare o persino ribaltare le scelte democratiche di milioni di cittadini, anche nei Paesi ricchi. Per esempio, tutta l’Europa è stata condannata a risarcire gli USA con milioni di euro perché si è rifiutata di importare la carne americana agli ormoni. Neppure gli Stati Uniti hanno potere sulle decisioni del WTO. Il presidente Obama, sotto pressione dai cittadini a causa della catastrofe finanziaria dello scorso anno, aveva deciso di imporre nuove regole restrittive delle speculazioni selvagge delle banche (la causa della crisi). Ma gli è stato sbarrato il passo proprio da una regola del WTO, che si chiama Accordo sui Servizi Finanziari, e che sancisce l’esatto contrario, cioè proibisce alla Casa Bianca e al Congresso di regolamentare quelle mega banche. E sapete chi, anni fa, negoziò quell’accordo al WTO? Timothy Geithner, attuale ministro del Tesoro USA, che è uno dei membri del Gruppo Bilderberg. Fa riflettere.

Vi do ancora un’idea rapida del potere del WTO. Gli Accordi che ha partorito:
1) hanno il potere di esautorare le politiche sanitarie di qualunque Paese, incrinando il vecchio Principio di Precauzione che ci tutela dallo scambio di merci pericolose (WTO: Accordo Sanitario- Fitosanitario).
2) tolgono al cittadino la libertà di sapere in quali condizioni sono fatte le merci che acquista e con che criteri sono fatte, inoltre ostacolano l’uso delle etichette a tutela del consumatore (WTO: Accordo Sanitario-Fitosanitario & Accordo Barriere Tecniche al Commercio, con implicazioni sui diritti dei lavoratori e sulla tutela dell'ambiente).
3) impongono ai politici di concedere alle multinazionali estere le stesse condizioni richieste alle aziende nazionali nelle gare d’appalto, a prescindere dalla necessità di favorire l’occupazione nazionale; e minacciano le scelte degli amministratori locali nel caso volessero facilitare l'inserimento di gruppi di lavoratori svantaggiati, poiché tali politiche sono considerate discriminazioni al Libero Mercato (WTO: Accordo Governativo sugli Appalti - Principio del Trattamento Nazionale ecc.).
4) accentrano nelle mani di poche multinazionali i brevetti della maggioranza dei principi attivi e delle piante che si usano per i farmaci o per l'agricoltura, poiché permettono la brevettabilità privata delle forme viventi e tutelano quei brevetti per 20 anni. Inoltre, il fatto che i brevetti siano protetti dal WTO per 20 anni sta alla base anche della mancanza di farmaci salva vita nei Paesi poveri. (WTO: Accordo TRIPS sulla Proprietà Intellettuale).
5) stanno promuovendo a tutto spiano la privatizzazione e l’apertura al Libero Mercato estero di praticamente tutti i servizi alla cittadinanza, anche di quelli essenziali come sanità, acqua, istruzione, assistenza agli anziani ecc., con regole che impediranno di fatto agli amministratori locali la tutela dei cittadini meno abbienti che non possono permettersi servizi privati (WTO: Accordo GATS in fase di negoziazione).
E ricordo, se ce ne fosse bisogno, che questi Accordi sono vincolanti su qualsiasi legge nazionale, esautorando quindi i nostri politici dalla gestione della nostra economia nei capitoli che contano.


Terzo organo: I suggeritori.

Prendete un disegno di legge e un decreto in campo economico, persino una finanziaria. Pensateli nelle mani dei politici che li attuano, e ora immaginate cosa gli sta dietro. Cosa? I ‘suggeritori’. Chi sono? Sono i lobbisti, coloro cioè che sono ricevuti in privato da ogni politico che conti al mondo e che gli ‘suggeriscono’ (spesso dettano) i contenuti delle leggi e dei decreti, ma anche delle linee guida di governo e persino dei programmi delle coalizioni elettorali. Le lobby non sono l’invenzione di fantasiosi perditempo della Rete. Sono istituzioni con nomi e cognomi, con uffici, con budget (colossali) di spesa, dove lavorano i migliori cervelli delle pubbliche relazioni in rappresentanza del vero Potere.

In ordine di potenza di fuoco, vi sono ovviamente le lobbies internazionali, quelle europee e infine quelle italiane.
Parto da queste ultime. Va detto subito che nel nostro Paese l’interferenza dei ‘suggeritori’ non ha mai raggiunto i livelli di strapotere degli omologhi americani o europei, il cui operato tuttavia detta legge per contagio anche in casa nostra. Ma nondimeno essa c’è, e non va trascurata, anche perché in Italia esiste un vuoto normativo totale sull’attività delle lobbies: dopo decine di proposte di legge, nessuna di esse è mai approdata alla Gazzetta Ufficiale. I lobbisti italiani sono circa un migliaio, organizzati in diverse aziende fra cui spunta la Reti, fatturato 6 milioni di euro annui e gestione di un ex d’Alemiano di ferro, Claudio Velardi (altri gruppi: Cattaneo Zanetto & co., VM Relazioni Istituzionali, Burson-Marsteller, Beretta-Di Lorenzo & partners…). La proiezione per il futuro dei ‘suggeritori’ italiani è di almeno diecimila unità entro dieci anni, almeno secondo le richieste dei gruppi più noti. In assenza di regole, dunque, le cose funzionano così: si sfrutta la legge berlusconiana per il finanziamento ai partiti che permette finanziamenti occulti alle formazioni politiche fino a 50.000 euro per ciascun donatore, con la possibilità per la lobby di turno di far versare 49.999 euro dal banchiere A, altri 49.999 da sua moglie, altri 49.999 da suo figlio, ecc. all’infinito. In questo modo, con una stima basata sui bilanci passati, si calcola che il denaro sommerso versato alla politica italiana ammonti a diverse decine di milioni di euro all’anno, provenienti dai settori edile, autostradale, metallurgico, sanitario privato, bancario, televisivo, immobiliare fra gli altri. Le ricadute sui cittadini sono poi leggi e regolamenti che vanno a modificare spesso in peggio la nostra economia di vita e di lavoro. Un solo dato che fa riflettere: mentre appare ovvio che le grosse cifre siano spese per i ‘suggerimenti’ ai due maggiori partiti italiani, colpisce che l’UDC si sia intascata in offerte esterne qualcosa come 2.200.000 euro nel 2008, di cui l’80% da un singolo lobbista (l’immobiliarista Caltagirone). Chi di voi pensa ancora che il Potere siano i politici a Roma, pensi alla libertà di Pierferdinando Casini nel legiferare in campo immobiliare, tanto per fare un esempio. Ma non solo: Antonio di Pietro incassa 50.000 euro dalla famiglia Lagostena Bassi, che controlla il mercato delle Tv locali ma che contemporaneamente serve Silvio Berlusconi e foraggia la Lega Nord. Un obolo a fondo perduto? Improbabile. Il Cavaliere poi, non ne parliamo neppure; è fatto noto che il criticatissimo ponte sullo stretto di Messina, con le ricadute che avrà su tutti gli italiani, non è certo figlio delle idee di Berlusconi, piuttosto di tal Marcellino Gavio, titolare del gruppo omonimo e primo in lizza per l’impresa, ma anche primo come finanziamenti al PDL con i 650.000 euro versati l’anno scorso.

I ‘suggeritori’ americani… che dire. Negli USA l’industria delle lobby economiche non è più neppure riconoscibile dal potere politico, veramente non si capisce dove finiscano le prime e dove inizi il secondo. Troppo da raccontare, una storia immensa, che posso però riassumere con alcuni sketch. Lobby del petrolio e amministrazione di George W. Bush, risultato: due guerre illegali e sanguinarie (Iraq e Afghanistan), montagne di morti (oltre 2 milioni), crimini di guerra, l’intera comunità internazionale in pericolo, il prezzo del petrolio alle stelle, di conseguenza il costo della nostra vita alle stelle, ma alle stelle anche i profitti dei petrolieri. Chi ha deciso? Risposta: i membri della sopraccitata lobby del petrolio, che sono Dick Cheney, James Baker III, l’ex della Enron Kenneth Lay, il presidente del Carlyle Group Frank Carlucci, Robert Zoellick, Thomas White, George Schultz, Jack Sheehan, Don Evans, Paul O’Neil; a servizio di Shell, Mobil, UnionCarbide, Huntsman, Amoco, Exxon, Alcoa, Conoco, Carlyle, Halliburton, Kellog Brown & Root, Bechtel, e Enron. George W. Bush è il politico più ‘oliato’ nella Storia americana, con, solo dalle casse dei giganti di petrolio e gas, un bottino di oltre 1 milione e settecentomila dollari.
Lobby finanziaria/assicurativa e Barak Obama: nel 2008 crollano le banche USA dopo aver truffato milioni di esseri umani e migliaia di altre banche internazionali, 7 milioni di famiglie americane perdono il lavoro, l’intera economia mondiale va a picco, Italia inclusa. Obama firma un’emorragia di denaro pubblico dopo l’altra per salvare il deretano dei banchieri truffatori e per rianimare l’economia (dai 5 mila miliardi di dollari agli 11 mila secondo le stime), senza che neppure uno di quei gaglioffi finisca in galera. Anzi: il suo governo ha chiamato a ripulire i disastri di questa crisi globale gli stessi personaggi che l’hanno creata. Invece di farli fallire e di impiegare il denaro pubblico per la gente in difficoltà, Obama e il suo ministro del Tesoro Timothy Geithner gli hanno offerto una montagna di denaro facile affinché comprino i debiti delle banche fallite. Funziona così: questi delinquenti hanno ricevuto da Washington l’85% del denaro necessario per comprare quei debiti, mentre loro ne metteranno solo il 15%. Se le cose gli andranno bene, se cioè ritorneranno a guadagnare, si intascheranno tutti i profitti; se invece andranno male, essi ci rimetteranno solo il 15%, perché l’85% lo ha messo il governo USA e non è da restituire (i fondi così regalati si chiamano non-recourse loans). E’ il solito “socialismo al limone: le perdite sono dei contribuenti e i profitti sono degli investitori privati”. Non solo: il presidente propone nell’estate del 2009 una regolamentazione del settore finanziario che il Washington Post ha deriso definendola “Priva di un’analisi delle cause della crisi… e senza alcun vero controllo sugli hedge funds, gli equity funds, e gli investitori strutturati”, cioè nessun vero limite agli speculatori che causarono la catastrofe. Domanda: quanto denaro ha preso Obama in campagna elettorale dalle lobby finanziarie? Risposta: 38 milioni di dollari. Allora, chi comanda? Il Presidente o le lobby del Potere?
Poi ci sono i 45 milioni di americani senza assistenza sanitaria. Obama propone una falsa riforma della Sanità per tutelare gli esclusi, ma che, nonostante le sciocchezze scritte dai media italiani, non ha nulla di pubblico ed è un ulteriore regalo ai giganti delle assicurazioni private americane. Domanda: quanto denaro ha preso Obama in campagna elettorale dalle lobby assicurative e sanitarie? Risposta: oltre 20 milioni di dollari. Allora, chi comanda? Il Presidente o le lobby del Potere?
Washington è invasa ogni santo giorno da qualcosa come 16.000 o 40.000 lobbisti a seconda che siano registrati o meno, la cui percezione del potere che esercitano è cristallina al punto da spingere uno di loro, Robert L. Livingston, a sbottare entusiasta “Ci sono affari senza limiti per noi là fuori!”, mentre dalle finestre del suo ufficio spiava le sedi del Congresso USA.

Ma l’ultimo sketch del potere dei ‘suggeritori’, sempre in ambito americano, è quello delle lobby ebraiche. Qui il dibattito è aperto, fra coloro che sostengono che sono quelle lobby a gestire interamente la politica statunitense nel teatro mediorientale, e coloro che lo negano. Personalmente credo più alla prima ipotesi, ma la sostanza non cambia: di fatto ci troviamo ancora una volta di fronte alla dimostrazione che neppure il governo più potente del mondo può sottrarsi ai condizionamenti del Potere vero. Ecco un paio di illustri esempi: nella primavera del 2002, proprio mentre l’esercito israeliano reinvadeva i Territori Occupati con i consueti massacri indiscriminati di civili, un gruppo di eminenti sostenitori americani d’Israele teneva una conferenza a Washington, dove a rappresentare l’amministrazione di George W. Bush fu invitato l’allora vice ministro della difesa Paul Wolfowitz, noto neoconservatore di estrema destra e aperto sostenitore della nazione ebraica. Lo scomparso Edward Said, professore di Inglese e di Letteratura Comparata alla Columbia University di New York e uno degli intellettuali americani più rispettati del ventesimo secolo, ha raccontato un particolare di quell’evento con le seguenti parole: “Wolfowitz fece quello che tutti gli altri avevano fatto – esaltò Israele e gli offrì il suo totale e incondizionato appoggio – ma inaspettatamente durante la sua relazione fece un fugace riferimento alla ‘sofferenza dei palestinesi’. A causa di quella frase fu fischiato così ferocemente e per così a lungo che non potè terminare il suo discorso, abbandonando il podio nella vergogna.” Stiamo parlando di uno dei politici più potenti del terzo millennio, di un uomo con un accesso diretto alla Casa Bianca e che molti accreditano come l’eminenza grigia dietro ogni atto dello stesso ex presidente degli Stati Uniti. Eppure gli bastò sgarrare di tre sole parole nel suo asservimento allo Stato d’Israele per essere umiliato in pubblico e senza timori da chi, evidentemente, conta più di lui nell’America di oggi. Le lobby ebraiche d’America hanno nomi noti: AIPAC (American Israel Public Affairs Committee), ZOA (Zionist Organization of America), AFSI (Americans for a Safe Israel), CPMAJO (Conference of Presidents of Major American Jewish Organisatios), INEP (Institute for Near East Policy), JDL (Jewish Defense League), B’nai Brith, ADL (Anti Defamation League), AJC (American Jewish Committee), Haddasah. Nei corridoi del Congresso americano possono creare seri grattacapi a Senatori e Deputati indistintamente. Un fronte compatto che secondo lo stesso Edward Said “può distruggere una carriera politica staccando un assegno”
Nel 1992 George Bush senior ebbe l’ardire (e la sconsideratezza) a pochi mesi da una sua possibile rielezione alla Casa Bianca di minacciare Tel Aviv con il blocco di dieci miliardi di dollari in aiuti se non avesse messo un freno agli insediamenti ebraici nei Territori Occupati. Passo falso: gli elettori ebrei americani, che già per tradizione sono propensi al voto Democratico, svanirono davanti ai suoi occhi in seguito alle sollecitazioni delle lobby, e nel conto finale dei voti Bush si trovò con un misero 12% dell’elettorato ebraico contro il 35% che aveva incassato nel 1988. Al contrario, la campagna elettorale del suo rivale Bill Clinton fu invece innaffiata dai lauti finanziamenti proprio di quelle organizzazioni di sostenitori d’Israele, che l’allora presidente aveva in tal modo alienato.

E in ultimo l’Europa, cioè l’Unione Europea. Che alla fine significa Brussell, cioè la Commissione Europea, che è il vero centro decisionale del continente, e che dopo la ratifica del Trattato di Lisbona è divenuta il super governo non eletto di tutti noi, con poteri immensi. A Brussell brulicano dai 15.000 ai 20.000 lobbisti, che spendono un miliardo di euro all’anno per ‘suggerire’ le politiche e le leggi a chi le deve formulare. E come sempre, eccovi i nomi dei maggiori gruppi: Trans Atlantic Buisness Dialogue (TABD) - European Services Leaders Group (ESLG) – International Chamber of Commerce (ICC) – Investment Network (IN) – European Roundtable of Industrialists (ERT) – Liberalization of Trade in Servicies (LOTIS), European Banking Federation, International Capital Market Association e altri. Il loro strapotere può essere reso dicendovi che per esempio l’Investment Network si riuniva direttamente dentro il palazzo della Commissione Europea a Bruxelles, o che il TABD compilava liste di suoi desideri che consegnava alla Commissione da cui poi pretendeva un resoconto scritto sull’obbedienza a quegli ordini. Le aziende rappresentate sono migliaia, fra cui cito una serie di nomi noti: Fiat e Pirelli, Barilla, Canon e Kodak, Johnson & Johnson, Motorola, Ericsson e Nokia, Time Warner, Rank Xerox e Microsoft, Boeing (che fa anche armi), Dow Chemicals, Danone, Candy, Shell, Microsoft, Hewlett Packard, IBM, Carlsberg, Glaxo, Bayer, Hoffman La Roche, Pfizer, Merck, e poi banche, assicurazioni, investitori…

Mi fermo. Il rischio nel continuare è che si perda di vista il punto capitale, ovvero l’assedio che i lobbisti pongono alla politica. Esso, oltre a dimostrare ancora una volta che il potere reale sta nei primi e non nella seconda, è un vero e proprio attentato alla democrazia. Poiché ha ormai snaturato del tutto il principio costituzionale di ogni nazione civile, secondo cui i rappresentanti eletti devono fare gli interessi delle maggioranze dei cittadini e tutelare le minoranze, non essere gli stuoini delle elite e dei loro ‘suggeritori’.



Quarto organo: Think Tanks.

Letteralmente “serbatoi di pensiero” nella traduzione in italiano, le Think Tanks sono esattamente ciò, ovvero fondazioni dove alcuni fra i migliori cervelli si trovano per partorire idee. Il loro potere sta nell’assunto che apre questa mia trattazione, e cioè che sono le idee a dominare sia la Storia che la politica, e di conseguenza la nostra vita, in particolare l’idea economica.
Lewis Powell lo comprese assai bene nel 1971, quando diede il via alla riscossa delle elite e alla fine della democrazia partecipativa dei cittadini (si legga ‘Ecco come morimmo’, paolobarnard.info). Infatti egli scrisse: “C’è una guerra ideologica contro il sistema delle imprese e i valori della società occidentale”. La parola ‘ideologica’ è la chiave di lettura qui, volendo dire che se le destre economiche ambivano a riconquistare il mondo, se ambivano a sottomettere la politica, cioè a divenire il vero Potere, si dovevano armare di idee in grado di scalzare ogni altro sistema di vita. Ecco che dalle sue parole nacquero le prime Think Tanks, come la Heritage Foundation, il Manhattan Institute, il Cato Institute, o Accuracy in Academe. La loro strategia era semplice: raccogliere denaro da donatori facoltosi, raccattare nelle università i cervelli più brillanti, pomparli di sapere a senso unico, di attestati prestigiosi, e immetterli nel sistema di comando della società infiltrandolo tutto. Per darvi un’idea di che razza di impatto queste Think Tanks sono riuscite ad avere, cito alcuni fatti. Nel solo campo del Libero Mercato, cioè dell’idea economica del vero Potere, ve ne sono oggi 336, piazzate oltre che nei Paesi ricchi anche in nazioni strategiche come l’Argentina e il Brasile, l’Est Europa, l’Africa, l’India, la Cina, le ex repubbliche sovietiche dell’Asia, oltre che in Italia (Adam Smith Soc., CMSS, ICER, Ist. Bruno Leoni, Acton Ist.). Alcune hanno nomi sfacciati, come la Minimal Government, la The Boss, o la Philanthropy Roundtable; una delle più note e aggressive è l’Adam Smith Institute di Londra, che ostenta un’arroganza di potere tale da vantare come proprio motto questo: “Solo ieri le nostre idee erano considerate sulla soglia della follia. Oggi stanno sulle soglie dei Parlamenti”. Di nuovo, il fatto è sempre lo stesso: la politica è la marionetta, o, al meglio, è il braccio esecutivo del vero Potere. Infatti, l’osservatore attento avrà notato che assai spesso i nostri ministri economici, i nostri banchieri centrali, ma anche presidenti del consiglio (Draghi e Prodi su tutti) si trovano a cene o convegni presso queste fondazioni/Think Tanks, di cui in qualche raro caso i Tg locali danno notizia.
In apparenza cerimonie paludate e noiose, in realtà ciò che vi accade è che ministri, banchieri e premier vi si recano per dar conto di ciò che hanno fatto per compiacere all’idea economica del vero Potere. Nel 1982, l’Adam Smith pubblicò il notorio Omega Project, uno studio che ebbe ripercussioni enormi sulla gestione delle nostre vite di lavoratori ordinari, e dove si leggeva che i suoi scopi erano di “fornire un percorso completo per ogni governo basato sui principi di Libero Mercato, minime tasse, minime regolamentazioni per il business e governi più marginali (sic)”. In altre parole tutto ciò che ha già divorato la vita pubblica in Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e che sta oggi “sulla soglia del Parlamento” in Italia.


Quinto organo: l’Europa dei burocrati non eletti.

Non mi ripeto, poiché questo capitolo è già esaustivamente descritto qui http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=139. Ma ribadisco il punto centrale: dopo la ratifica del “colpo di Stato in Europa” che prende il nome di Trattato di Lisbona, 500 milioni di europei saranno a breve governati da elite di burocrati non eletti secondo principi economici, politici e sociali interamente schierati dalla parte del vero Potere di cui si sta trattando qui, e che nessuno di noi ha potuto scegliere né discutere. Il governo italiano ha ratificato questo obbrobrio giuridico senza fiatare, obbedendo come sempre.


Sesto Organo: il Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali.

Era il 16 Settembre del 1992, un mercoledì. Quel giorno un singolo individuo decise di spezzare la schiena alla Gran Bretagna. Si badi bene, non al Burkina Faso, alla Gran Bretagna. E lo fece. George Soros, un investitore e speculatore internazionale, vendette di colpo qualcosa come 10 miliardi di sterline, causando il collasso del valore della moneta inglese che fu così espulsa dal Sistema Monetario Europeo. Soros si intascò oltre 1 miliardo di dollari, ma milioni di inglesi piansero lacrime amare e il governo di Londra ne fu umiliato.

Era l’agosto del 1998, e nel caldo torrido di New York un singolo individuo contemplò il crollo dei mercati mondiali per causa sua. John Meriwether, un investitore e speculatore internazionale, aveva giocato sporco per anni e irretito praticamente tutte le maggiori banche del mondo con 4,6 miliardi di dollari ad alto rischio. La sua compagnia, Long-Term Capital Management, era nota a Wall Street perché i suoi manager si fregiavano del titolo di ‘I padroni dell’universo’, cioè pochi individui ubriachi del proprio potere. Meriwether perse tutto, e i mercati del mondo, che alla fine sono i nostri posti di lavoro, tremarono. La Federal Reserve di New York dovette intervenire in emergenza col solito salvataggio a spese dei contribuenti.

Era l’anno scorso, e in un ufficio londinese dell’assicurazione americana AIG, un singolo individuo, di nuovo un investitore e speculatore internazionale di nome Joseph Cassano, dovette prender su la cornetta del telefono e dire alla Casa Bianca “… ho mandato al diavolo la vostra economia, sorry”. E lo aveva veramente fatto. Questa volta la truffa dei suoi investimenti era di 500 miliardi di dollari, le solite banche internazionali (italiane incluse) vi erano dentro fino al collo con cifre da migliaia di miliardi di dollari a rischio. Panico mondiale, fine del credito al mondo del lavoro di quasi tutto il pianeta e, sul piatto di noi cittadini, ecco servita la crisi economica più pericolosa dal 1929 a oggi. Ovvero le solite lacrime amare, veramente amare, per le famiglie di Toronto come per quelle di Perugia, per quelle di Cincinnati come per quelle di Lione, a Vercelli come a Madrid ecc. Per non parlare degli ultimi della Terra…

Tre storie terribilmente vere, che descrivono chiaro, anzi, chiarissimo, cosa si intende per il ‘Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali’, e quale sia il loro sterminato potere nel mondo di oggi. Altro che Tremonti o Confindustria. Nel mondo odierno esiste una comunità di singoli individui privati capaci di movimentare quantità di ricchezze talmente colossali da scardinare in poche ore l’economia di un Paese ricco, o le economie di centinaia di milioni di lavoratori che per esse hanno faticato un’intera vita, cioè famiglie sul lastrico, aziende che chiudono. Le loro decisioni sono come sentenze planetarie. Inappellabili. Si pensi, se è possibile pensare un’enormità simile, che costoro stanno facendo oscillare sul Pianeta qualcosa come 525 mila miliardi di dollari in soli prodotti finanziari ‘derivati’, cioè denaro ad altissimo rischio di bancarotta improvvisa. 525 mila miliardi… Vi offro un termine di paragone per capire: il Prodotto Interno Lordo degli USA è di 14 mila miliardi di dollari. Rende l’idea? L’Italia dipende come qualsiasi altra nazione dagli investitori esteri, per cifre che si aggirano sui 40 miliardi di euro all’anno, cioè più di due finanziarie dello Stato messe assieme. Immaginate se una cifra simile dovesse sparire dalla nostra economia oggi. Nel 2008 è quasi successo, infatti ne sono scomparsi di colpo più della metà (57%) col risultato in termini di perdita di posti di lavoro, precarizzazione, e relativo effetto domino sull’economia di cui ci parla la cronaca. Ripeto: qualcuno che non sta a palazzo Chigi, decide che all’Italia va sottratto il valore di oltre un’intera finanziaria. Così, da un anno all’altro, una cifra pari a tutto quello che lo Stato riesce a spendere per i cittadini gli viene sottratta dal ‘Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali’, a capriccio.
Questa tirannia del vero Potere prende il nome tecnico di Capital Flight (letteralmente capitali che prendono il volo), ed è interessante constatare il candore con cui il ‘Tribunale’ descrive la pratica: basta leggere Investors.com là dove dice che “Capital Flight è lo spostamento di denaro in cerca di maggiori profitti… cioè flussi enormi di capitali in uscita da un Paese… spesso così enormi da incidere su tutto il sistema finanziario di una nazione”. Peccato che di mezzo ci siano i soliti ingombranti esseri umani a milioni. Oltre al caso italiano, si pensi alla Francia, altro Stato ricco e potente, ma non a sufficienza per sfuggire alle sentenze del ‘Tribunale’, che ha punito l’Eliseo con una fuga di capitali pari a 125 miliardi di dollari per aver legiferato una singola tassa sgradita al business.


Conclusione.

Gli organi esecutivi del vero Potere non si limitano a questi sei, vi si potrebbe aggiungere il World Economic Forum, il Codex Alimentarius, l’FMI, il sistema delle Banche Centrali, le multinazionali del farmaco. Ma quelli menzionati sono gli essenziali da conoscere, i primari.
Un’ultima brevissima nota va dedicata alle mafie regionali, che sono spesso erroneamente annoverate fra i poteri forti (e non posso purtroppo entrare qui nel perché siano un così caratteristico fenomeno italiano). La lotta ad esse è sacrosanta, ma il potere che gli verrebbe sottratto da una eventuale vittoria della società civile è prima nulla a confronto di quanto illustrato sopra, e in secondo luogo è comunque un potere concessogli da altri. Traffico di droga, prostituzione, traffico d’armi, e riciclaggio di rifiuti tossici sono servizi che le mafie praticano per conto di committenti sempre riconducibili al vero Potere, o perché da esso condizionati oppure perché suoi ingranaggi importanti.
Serva qui quanto mostrato nel 1994 dal programma d’inchiesta ‘Panorama’ della BBC, dove un insider della criminalità organizzata britannica si rese disponibile a condurre il reporter nel cuore della “mafia più potente del mondo”, a Londra. L’auto su cui viaggiavano con telecamera nascosta si fermò a destinazione… nel centro della City finanziaria della capitale. Indicando dal finestrino i grattacieli dei giganti del business internazionale, il pentito disse: “Eccoli, stanno tutti lì”. (si pensi che il giro d’affari mondiale delle Cosche è stimato sugli 80 miliardi di dollari, che sono un terzo del giro d’affari di una singola multinazionale del farmaco come la Pfizer) Se queste mie righe sono state efficaci, a questo punto i lettori dovrebbero volgere lo sguardo a quegli ometti in doppiopetto blu che ballonzolano le sera nei nostri Tg con il prefisso On., o il suffisso PDL, PD, UDC, e dovrebbero averne, non dico pietà, ma almeno vederli per quello che sono: le marionette di un altro Potere. Ma soprattutto, i lettori dovrebbero finalmente poter connettere i punti del puzzle, e aver capito da dove vengono in realtà i problemi capitali della nostra vita di cittadini, o addirittura i drammi quotidiani che tante famiglie di lavoratori patiscono, cioè chi li decise, chi li decide oggi e come si chiamano costoro.
Da qui una semplice considerazione: se vi sta a cuore la democrazia, la giustizia sociale, e la vostra economia quotidiana di lavoro e di servizi essenziali alla persona, allora dovete colpire chi veramente opera per sottrarceli, cioè il vero Potere. Ci si organizzi per svelarlo al grande pubblico e per finalmente bloccarlo. Ora lo conoscete, e soprattutto ora sapete che razza di macchina micidiale, immensa e possente esso è. Risulta ovvio da ciò che gli attuali metodi di lotta dei Movimenti sono pietosamente inadeguati, infantili chimere, fuochi di paglia, che mai un singolo attimo hanno impensierito quel vero Potere. Di conseguenza lancio un appello ancora una volta:
VA COMPRESO CHE PER ARGINARE UN TITANO DI QUELLA POSTA L’UNICA SPERANZA E’ OPPORGLI UN’ORGANIZZAZIONE DI ATTIVISTI E DI COMUNICATORI ECCEZIONALMENTE COMPATTA, FINANZIATA, FERRATA, DISCIPLINATA, SU TUTTO IL TERRITORIO, AL LAVORO SEMPRE, IMPLACABILE, NEI LUOGHI DELLA GENTE COMUNE, PER ANNI.

Altra speranza non c’è, sempre che ancora esista una speranza.
Paolo Barnard
Fonte: www.paolobarnard.info