martedì 31 gennaio 2012

ATENE IN CATENE - SOLO SE LA GERMANIA AVRÀ IL CONTROLLO SUI CONTI DELLA GRECIA, SGANCERÀ IL PRESTITO DA 145 MLD € (SENZA IL QUALE C’È IL CRAC) - IL GOVERNO GRECO S’INCAZZA: NON POSSIAMO PERDERE LA SOVRANITÀ, OGGI NE DISCUTERÀ IL VERTICE DI BRUXELLES - LA MOSSA DELLA MERKULONA È STATA ESPRESSAMENTE RICHIESTA DALLA SUA MAGGIORANZA IN SUBBUGLIO, CHE LA STA OBBLIGANDO A CHIEDERE SANGUE E RIGORE FISCALE AI MALEDETTI PIIGS

Andrea Tarquini per "la Repubblica" MERKEL È il momento della verità per la crisi greca e per il futuro dell'euro,a poche ore dal vertice straordinario dei capi di Stato e di governo dell'Unione europea. La Germania, a quanto rivela il Financial Times, ha proposto un commissariamento europeo della politica fiscalee di bilancio di Atene. Il governo ellenico ha subito respinto l'ipotesi. La richiesta tedesca veniva contemporaneamente a importanti aperture di Berlino a un aumento di fondi per il Fondo salvastati europeo Fesf e per il suo successore Esm. In tal modo Angela Merkel verrebbe incontro all'urgente richiesta pronunciata ieri dalla direttrice del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde. grecia - Papademos A Bruxelles, la Commissione ha annunciato che rafforzerà il controllo sul bilancio greco, anche in relazione alla prossima tranche di aiuti. Nelle stesse ore, il negoziato tra il governo ellenico e i creditori privati internazionali è a un passo da una conclusione positiva. Ma nella Ue, e nell'establishment tedesco, cresce l'allarme per l'apparente aumento della cifra di aiuti necessari nella nuova tranche: ci vorrebbero almeno 145 miliardi di euro, non i 130 stimati finora, per evitare un default ellenico, dicono i tedeschi. In ogni caso, precisa Berlino, per controlli europei sul bilancio greco un consenso di Atene è indispensabile. IL CRAC DELLA GRECIA Secondo il Financial Times, la Germania ha chiesto che le autorità elleniche vengano sostanzialmente commissariate dalla Ue per quanto riguarda la spesa pubblica e l'attuazione delle manovre di risanamento, negoziate con l'Unione in cambio degli aiuti. Si tratterebbe di una revoca di sovranità nazionale senza precedenti nella storia dell'Europa unita. La sovranità, secondo la bozza di proposta ufficiosa inviata a Bruxelles, andrebbe affidata a un commissario europeo. «È escluso un nostro sì, perché le competenze di cui stiamo parlando sono parte della sovranità nazionale», hanno risposto fonti governative elleniche. Nel pomeriggio arrivava la precisazione, quasi un compromesso, di Amadeu Altafaj, portavoce del Commissario europeo al Bilancio: vogliamo rafforzare i controlli, non revocare la sovranità greca. Resta il fatto che la proposta tedesca ha creato un serio precedente: la prima potenza europea ha chiesto di intaccare la sovranità di uno Stato membro. Violato il tabù, domani idee simili potrebbero venire suggerite dalla Germania (che secondo alcune fonti deve ancora ad Atene diversi miliardi di debiti di guerra) anche per altri membri dell'eurozona. Grecia 2- UE/ SOTTO PRESSIONE INTERNA, MERKEL ESIGE MAGGIORE DISCIPLINA... (TMNews) - La richiesta del governo di Berlino di commissariare la Grecia deriva dai timori del cancelliere tedesco Angela Merkel di una rivolta interna tra le fasce più conservatrici della sua maggioranza. Ma il nodo che Angela Merkel deve sciogliere non riguarda solo la Grecia. Secondo il Financial Times, il quotidiano che per primo sabato ha rivelato l'esistenza di una volontà tedesca di controllare più da vicino le decisioni di bilancio di Atene, Merkel, oltre al dossier greco, è sottoposta anche a crescenti pressioni politiche interne affinché oggi, al vertice straordinario di Bruxelles, esiga dai partner europei una disciplina di bilancio ancor più rigida. grecia pallone "Per come è adesso, la bozza del fiscal compact non è sufficiente", afferma un parlamentare Cdu. L'ala più conservatrice vuole sanzioni automatiche ancor più stringenti nei casi di mancato rispetto dei limiti di deficit e di debito e una tabella di marcia più rapida per l'introduzione di vincoli costituzionali sulle regole di bilancio nei 17 Paesi dell'eurozona. Pari se non maggior rigore è preteso sul fronte greco: "Se Atene non metterà in atto il programma di riforme, non ci saranno più aiuti", ha affermato ieri Horst Seehofer, leader dei cristiano sociali bavaresi, il partito gemello della Cdu di Merkel. Gli fa eco il ministro dell'Economia, il liberaldemocratico Philipp Roesler: "Se i greci non sono in grado di agire da soli, deve esserci una leadership più forte e una supervisione esterna, per esempio europea". by dagospia

sabato 28 gennaio 2012

LA TRUFFA DA 489 MILIARDI DI EURO DI DRAGHI

La nuova struttura per i prestiti del presidente della BCE Mario Draghi – le Operazioni di Rifinanziamento A Lungo Termine - ha aiutato ad allontanare il sistema finanziario da un’altra catastrofe del genere Lehman, ma non ha risolto i problemi fondamentali che hanno creato la crisi (squilibri di conto, flussi di capitale). Il LTRO permette alle banche dell’UE di scambiare collaterali inaffidabili per ottenere prestiti illimitati a tre anni al tasso dell’1 per cento. La quasi metà di trilione di euro presa in prestito perpetua l’idea che le banche siano solvibili, fondamentalmente perché l’enorme quantità di asset a rischio che erano nei bilanci delle banche è stata trasferita al rendiconto patrimoniale della BCE. (La Fed ha realizzato un'operazione simile (QE1) quando acquistò 1,25 trilioni di dollari di titoli appoggiati sulle ipoteche dalle banche statunitensi nel 2009.) Quindi, in questo momento il sistema bancario dell’UE è inondato di liquidità e il tasso che le banche pagano per prendere in prestito è calato di parecchio. Tutto a posto, giusto? No. Anche se i tassi per i prestiti interbancari hanno toccato il minimo da dieci mesi (questo lunedì), le banche stanno ancora parcheggiando i soldi presi a prestito presso la BCE. Venerdì scorso, i depositi overnight alla BCE hanno fissato il nuovo record di 528 miliardi di euro, che sono 39 miliardi in più rispetto ai 489 miliardi che le banche hanno preso in prestito grazie al LTRO. Come è possibile? Ciò significa che i soldi non vengono prestati ai consumatori e alle aziende come aveva predetto Draghi, ma vengono accumulati dalle banche per poter rinnovare i propri debiti e continuare a fare deleveraging per riuscire a ottenere i nuovi requisiti di capitale corrispondenti al 9 per cento. Si tratta di uno specchietto per le allodole. Draghi sta solo iper-pagando asset che hanno perso gran parte del valore. Perché dovrebbe essere una cosa positiva? Pensate a quale potrebbe essere la reazione se la Fed dovesse avviare un programma simile per contrastare gli effetti della bolla immobiliare. Diciamo, il direttore della Fed Bernanke ha lanciato una struttura che sborserebbe la differenza di valore a ogni proprietario che ha perso soldi sul suo mutuo dal 2006 in poi. Pensate che ciò potrebbe ridurre il numero di famiglie angosciate e di case sgomberate? Si, potrebbe. Ma la "gente comune" non ottiene benefici del genere. Si aspetta solo di fallire. Tutti i regali vanno a coloro che hanno già parecchi soldi. Questo è il LTRO. La BCE sta fornendo tonnellate di denaro a poco prezzo ai suoi amici su collaterali che non valgono i soldi che sta prestando. È fondamentalmente quindi, un sussidio (fregatura). E la BCE sta tentando di nascondere quello che fa, asserendo che il mercato di finanziamento per le banche non sta funzionando come dovrebbe. O, con le parole del signor Draghi, [le preoccupazioni sul mercato delle obbligazioni governative] ha "portato a severi disturbi nel normale funzionamento dei mercati finanziari". Avete mai sentito una simile idiozia? Quando i banksters gonfiano una bolla creditizia gigantesca che scoppia e annienta 8 trilioni di dollari di valore delle proprietà, nessuno dice che "il mercato non ha funzionato nel modo giusto", perché siamo solo noi ad aver perso. Ma ogni qualvolta i banchieri sono in pericolo, arrivano le scuse. "Oh no, questo non può succedere", si lamentano. "Il mercato non ha funzionato nel modo corretto." Ma è una cosa priva di senso. Non c'è niente sbagliato nel mercato, stiamo parlando solo di acquirenti e venditori, non di qualche intricato meccanismo che richiede specialisti con le cartelle piene di appunti e il camice bianco. Il problema è che nessuno sta comprando le stronzate che le banche vogliono vendere, perché questa rumenta ha perso gran parte del valore nell'ultimo anno. Di questo si tratta. Ecco come funziona il sistema: le banche non riescono a guadagnare soldi da Joe Blow e dal suo compenso che versa ogni settimana quando gli arriva la busta paga. Oggi le banche si stanno rifinanziando grazie a enormi quantità di soldi sotto forma di fondi che devono poi parcheggiare a breve termine, mentre cercano di capire come possono investirle. E quindi le banche emettono prestiti a breve termine abbinando i collaterali che hanno nei propri bilanci. Il mercato repo – quello di cui stiamo parlando – è solo un enorme e sregolato banco dei pegni. Il problema che nasce inevitabilmente è che le persone che hanno tanti soldi (i manager dei fondi) diventano più riluttanti nel trattare con le banche quando comprendono che ci sia qualche dubbio sul valore reale dei collaterali offerti dalle banche. Quindi queste saranno costrette a sborsare ancora più collaterali per ottenere la stessa quantità di denaro. È l’equivalente di un haircut, e ciò significa che le banche stanno perdendo sempre più soldi da ogni transazione. Allo stesso tempo è sempre più difficile per le banche reperire fondi con l’emissione di azioni o vendendo obbligazioni. Perché? Perché da questo momento in poi, tutti sanno che le banche sono sedute su un’enorme e fetente castello di immondizia finanziaria che nessuno toccherebbe con un palo lungo tre metri. Ma ciò significa che il mercato non funziona correttamente? No, in effetti il mercato sta funzionando a meraviglia. Gli investitori stanno facendo quello che fanno da sempre. Stanno separando il grano dal loglio, niente di più, niente di meno. È Draghi che sta distorcendo il mercato, pompando centinaia di miliardi di euro in una bolla obbligazionaria che è scoppiata già da tempo. Avete dato ultimamente uno sguardo alla Grecia? Facciamo un esempio che ci potrebbe essere di aiuto: diciamo che abbiamo bisogno di 500 dollari per pagare la rata del mutuo per l’auto. Decidiamo di andare a frugare in cantina per trovare qualcosa da poter vendere su Craig’s List per reperire questi soldi. Nel frattempo, troviamo un vecchio calcetto con tre gambe che è stato ben macchiato nel corso di una Oktoberfest di alcuni fa anni e mettiamo l’annuncio per 500 dollari. Poi ci sediamo, ci apriamo una bella birra fredda e aspettiamo che le chiamate arrivino copiose. Ma il telefono non suona mai, e allora dobbiamo chiamare la concessionaria dell’auto che ci sta stressando per il pagamento mancante e dirgli, "Mi dispiace, ma non è colpa mia. Il mercato non sta funzionando correttamente!" Quanta tregua pensate che vi darà il rivenditore? Il fatto che nessuno voglia il vostro tavolo da calcino non è un segnale che il mercato non sta funzionando. La stessa regola si applica anche alle fetenti obbligazioni delle banche. Nessuno le vuole perché sono immondizia; tutto qui. Inoltre, c'è sempre un prezzo per gli assetfinanziari; (anche per l'immondizia) è solo una questione di quanto la gente sia disposta a pagare. In questo caso, le offerte per le obbligazioni sovrane sono così basse che molte delle banche dell’UE andrebbero in malora se le vendessero e riportassero le perdite a bilancio. Ecco perché loro stanno contando su Draghi perché le salvi. E lui le ha salvate. Ma cosa sarebbe successo se le banche avessero dovuto ristrutturare il proprio debito, di modo che i contribuenti dell’eurozona non avessero dovuto pompare altri trilioni in questo regime di istituzioni zombie che un’altra volta saranno considerate troppo grandi per fallire? Ma la gigantesca operazione di reflazione di Draghi è solo uno dei tanti problemi del LTRO. Un altro è dato dal fatto che lo stock di collaterali delle banche sta costantemente diminuendo, e ciò renderà sempre più difficile alla BCE prestare alle banche in difficoltà a febbraio quando la fase 2 (stimata in 400 miliardi di euro) verrà abbandonata. Ma, davvero? Ciò vorrebbe dire che le banche non hanno né soldi né collaterali decenti, e che il moderno sistema bancario è solo un gioco delle tre carte. Effettivamente, è un gioco delle tre carte. Vedete, le banche stanno prendendo in prestito mucchi di denaro con lo stesso collaterale più e più volte. Viene definita reipotecazione e, in alcuni casi, è perfettamente legale. Ma nasce un problema nei cicli di deleveraging quando il valore degli asset finanziari in cassaforte non corrisponde a quello presente in bilancio. E poi...? Come indicato dal blog del Financial Times, FT Alphaville: "Le banche possono facilmente esaurire i collaterali, e, in presenza di questo contesto, fallire (Dexia!)." (“Death sanitised through credit", FT Alphaville) Tutto questo fa sorgere dei dubbi sull'efficacia dell’imminente Fase 2 dell’LTRO. Ci sono, dopo tutto, limiti anche per il grado di fetecchie che la BCE possa accettare per concedere prestiti. Ci sono anche altri problemi con l’LTRO, come il fatto che stia poggiando su di sé tutto il sistema, sostituendo lo stato con le banche. Come è riuscito a farlo? Fornendo alle banche garanzie implicite sul loro debito, mentre le obbligazioni sovrane hanno perso il sostegno generalizzato della BCE, portando così il debito statale al livello di un’obbligazione junk. Ciò è avvenuto perché Draghi ha segnalato al mercato che la BCE AGIRÀ da prestatore di ultima istanza per le banche, ma non per gli stati membri. Quindi, i rendimenti sulle obbligazioni governative sono saliti, mentre quelli sui debiti bancari sono calati. Ovviamente, ciò ha messo pressione sui bilanci statali proprio quando i deficit continuano a esplodere. Chiedetevi questo: in che razza di mondo idiota viviamo quando gli istituti privati che agiscono per profitto (come le banche) possono prendere soldi in prestito a un tasso più conveniente rispetto agli stati? Lo stato assume decine di migliaia di lavoratori, fornisce programmi per lo stato sociale, per la polizia, per l’istruzione, la disoccupazione, per la salute e i servizi alla persona, la sicurezza, eccetera, e opera nell’interesse del pubblico, e invece – sotto il regime di Draghi – i banchieri senza scrupoli possono prendersi dalle banche centrali risorse illimitate a un tasso preferenziale. Me lo spiegate? Chiaramente, questo è ciò che accade quando le nazioni rinunciano al potere di stampare la propria valuta. Perdono la capacità di controllare il proprio destino. E tutto questo crea una falla che consente alle élite finanziarie di penetrare e di afferrare le leve del controllo politico-economico, quello che ora sta avvenendo. La grande finanza ha preso possesso dell'Europa e sta facendo esattamente quello che la grande finanza fa ovunque, ovvero sta smantellando sistematicamente le istituzioni che offrono cure sanitarie, le pensioni e la sicurezza lavorativa a milioni di lavoratori comuni, riducendo grosse fette della popolazione a una miseria nera e abbietta. Non è questa la tattica? Non è ciò che il losco Maestro Italiano ha davvero in mente? Un'ultima cosa: il LTRO non ha un meccanismo di trasmissione. In altre parole, non c’è modo di convogliare la liquidità che si sta formando nel sistema bancario nella vera economia. Si è piazzata lì, come è successo con i trilioni di dollari di riserve del sistema bancario statunitense. Quindi il prodigo regalo da 500 miliardi di euro di Draghi non verrà investito in edilizia residenziale o per costruire nuove fabbriche o per sviluppare nuovi farmaci o veicoli più efficienti dal punto di vista energetico. Infatti, non verranno assolutamente allocati in una qualsiasi attività di formazione sociale. Invece, verrà utilizzata allo stesso modo in cui le banche statunitensi usarono i 700 miliardi di dollari del TARP o i 1,25 trilioni di dollari dal primo giro di QE; turbo-addebitando asset rischiosi e mandando le azioni nella stratosfera per un anno o due. E questo renderà gli ombrosi compari investitori di Draghi davvero felici perché potranno rastrellare profitti record dalle azioni, mentre il resto dell'Europa languirà in una mini-Depressione prolungata. fonte http://www.nocensura.com/2012/01/la-truffa-da-489-miliardi-di-euro-di.html

Alfonso Tuor : Il vero potere è detenuto dai grandi gruppi finanziari

Francesco De Maria: Lei è un celebre “economista catastrofista” e come tale gode di un notevole e consolidato successo. Questi nostri ultimi anni di spaventoso marasma economico sembrano incoronare il suo trionfo. Oggi nel disastro lei è un vincente! Alfonso Tuor: Non sono un vincente, poiché non sono affatto contento del disastro che ci circonda. Le devo anche confessare che non mi piace tanto la definizione di “economista catastrofista”. Io sono convinto di essere una persona che osserva la realtà senza pregiudizi ideologici o di altra natura. Alcuni mi definiscono un pessimista e io amo rispondere che il pessimista è l’ottimista informato. Le ragioni del mio pessimismo sono semplici: da più di una ventina d’anni nel mondo occidentale ci si è indebitati e, quando si è investito, lo si è fatto prevalentemente nella finanza oppure in bolle speculative, come quella immobiliare negli Stati Uniti. Si è invece investito molto poco nell’economia reale. Oggi stiamo pagando il prezzo di queste scelte sciagurate. FDM: La decisione della Banca nazionale di sostenere “a ogni costo” il corso dell’Euro a un livello minimo di 1,20 CHF – e già si sentono voci richiedere l’1,30 – è una vera soluzione del problema oppure un rimedio peggiore del male? Può spiegare al profano come avviene tecnicamente questa difesa del corso dell’euro? AT: A mio parere, la decisione della Banca Nazionale è pericolosa. I rischi non sono destinati ad emergere nell’immediato. Infatti nel breve termine il rischio più evidente è solo quello di alimentare ulteriormente la bolla che si sta formando nel nostro mercato immobiliare. A lungo termine bisognerà scoprire se la nostra banca centrale riuscirà a riassorbire l’enorme quantità di franchi che sta stampando per acquistare euro e per difendere il tasso minimo di cambio. E’ pure probabile, come lasciano intendere numerose dichiarazioni, che prossimamente decidano di alzare questo tasso minimo, poiché 1,20 franchi per un euro non sono sufficienti a ridare competitività al nostro turismo e alla nostra industria di esportazione e poiché vi è un rischio di caduta in deflazione (ossia in una tendenza alla diminuzione di prezzi e salari) della nostra economia. A mio parere sarebbe stato più saggio e meno costoso usare la zecca della BNS per esentare il settore turistico dal pagamento dell’IVA e l’industria di esportazione dal pagamento degli oneri sociali (AVS, disoccupazione, ecc.) a carico delle aziende. Questa via avrebbe aiutato in modo puntuale le imprese che soffrono per il superfranco e avrebbe permesso di evitare di stampare una grande quantità di franchi che non sappiamo dove stanno andando a finire. Per un Consiglio federale e un mondo politico elvetico, ancora prigioniero di vecchi schemi, una decisione di questo tipo era ed è incomprensibile e quindi inaccettabile. FDM: Chi sta annegando si aggrappa a ogni possibile speranza di salvezza. L’Occidente attanagliato dalla crisi del debito sarà salvato dai paesi emergenti, dalla Cina o dall’India o dal Brasile? AT: Credo che questi Paesi non si sveneranno per aiutare l’Europa. Del resto non si capisce perché una Cina, che ha un reddito pro capite di 4’000 dollari, debba aiutare un’Europa che vanta un reddito pro capite di 28’000 dollari. Prima di chiedere aiuti, i Paesi occidentali dovrebbero dare maggiore spazio ai grandi Paesi emergenti nelle grandi istituzioni internazionali, come il Fondo Monetario e la Banca Mondiale. Ma quando se ne discute, la disponibilità verbale dell’Occidente non si traduce mai in fatti concreti. FDM: Anche le notizie più recenti sembrano confermare che le banche svizzere – per non parlare del governo – non sono in grado di reggere la dura pressione del fisco americano. Il segreto bancario svizzero, “croce e delizia” del nostro potentato finanziario – è ormai vicino alla fine. O è forse già morto? AT: Mi sembra che sia le grandi banche svizzere sia il Consiglio federale abbiano deciso di puntare sul cosiddetto modello Rubik, che prevede il mantenimento dell’anonimato del cliente che pero’ paga le imposte nel suo Paese di origine grazie a banche svizzere che si assumerebbero il ruolo di esattori fiscali. Mi sembra pero’ che questa strategia sia destinata al fallimento. Sia il Parlamento tedesco sia quello britannico non sembrano disposti ad approvare gli accordi in tal senso parafati dai loro rispettivi Governi. Inoltre, mi sembra che le campane a morto per il modello Rubik le abbia suonate il recente G20 di Cannes. Il Presidente Nicolas Sarkozy ha infatti dichiarato che i Paesi presenti hanno concordato di lottare contro i cosiddetti paradisi fiscali, tra i quali hanno incluso di nuovo la Svizzera e di volere arrivare allo scambio automatico di informazioni in materia fiscale. In pratica, siamo ancora ai piedi della scala e molto probabilmente nel prossimo futuro assisteremo ad una nuova escalation delle pressioni internazionali nei confronti della Svizzera. FDM: Nel libro “Too big to fail” di Andrew Ross Sorkin viene descritta una finanza – a Wall Street, ma potremmo essere anche in altri luoghi – che, perso il contatto con i bisogni e i valori reali dell’economia, si è trasformata in pura avidità e folle speculazione. Dopo tante amare esperienze, questa finanza irresponsabile e in certi casi criminale sarà debellata? AT: Finora questa finanza non solo non è stata debellata, ma continua ad agire come prima e forse anche peggio di prima. Credo che nei principali Paesi occidentali il vero potere è detenuto dai grandi gruppi finanziari. In altre parole, non è Obama che governa gli Stati Uniti, ma Wall Street. Purtroppo nulla o molto poco (soprattutto allo scopo di confondere le idee dell’opinione pubblica) è cambiato. Credo che questi gruppi finanziari, sempre piu’ fragili e sull’orlo del collasso, cerchino di sopravvivere succhiando le ultime risorse ancora esistenti nell’economia reale. Quindi o c’è una reazione popolare e, quindi, anche politica contro queste politiche oppure nulla cambierà. Anzi, continueremo ad assistere al continuo impoverimento delle nostre economie e del nostro tenore di vita. FDM: Lei ha visitato la Cina, questo gigante che si sta levando in piedi. Ci descriva il paese con la sua mitizzata economia rampante, della quale probabilmente noi sappiamo troppo poco. AT: E’ impossibile descrivere la Cina in un’intervista di questo genere. Si puo’ comunque dire che anche il Governo di Pechino ha molti problemi da risolvere, ma sono nulla in confronto ai nostri, poiché la Cina negli ultimi 30 anni ha investito enormemente nell’economia reale. fonte http://www.nocensura.com/2012/01/leconomista-francesco-de-maria-il-vero.html

venerdì 27 gennaio 2012

LA CASTA DI CARTA CHIAGNE E FOTTE: UN MILIARDO DI EURO ANNUI È LA TORTA DI CONTRIBUTI PUBBLICI CHE SI MANGIANO GLI EDITORI DEI GRANDI GIORNALI - 2- MA SUI LORO MEDIA SI CONCIONA (E SI STIGMATIZZA) SOLO DELLE BRICIOLE LASCIATE AI GIORNALI (TAROCCCATI) DI PARTITO E ALLE COOPERATIVE (FITTIZIE) - 3- DALL’IVA AL 4% (CONTRO IL 21%) AI RIMBORSI SULLA CARTA (FASULLI), OGNI COPIA DI GIORNALE COSTA AL CONTRIBUENTE 179 EURO OLTRE AL PREZZO PAGATO AL GIORNALAIO - 4- NELLA BARBERIA DI “REPUBBLICA” VENGONO TOSATI A ZERO GLI EX AMBASCIATORI - 5- AL “CORRIERE” IL CDR FA APPELLO AI LETTORI PER EVITARE IL TRASLOCO DA VIA SOLFERINO

DAGOREPORT de bortoli VENDITE GIORNALI DICEMBRE DA ITALIAOGGI1- I SOLDI "RUBATI" (DEGLI ALTRI). Prima di mettere mano alle loro denunce moraleggianti i giornalisti farebbero cosa saggia (e giusta) a ricordarsi il precetto secondo il Vangelo di San Giovanni: "Chi di voi è senza peccato, getti su di lei la prima pietra". Mercoledì 25 gennaio il "Corriere della Sera" (Sergio Rizzo) è tornato sullo scandalo, perché di scandalo vero si tratta, dei contributi alla cosiddetta stampa di partito (850 milioni). L'occasione è stata l'uscita del libro di Elio Veltri e Francesco Paola "I soldi dei partiti". UNA TORTA PUBBLICA PER POCHI. I Gabibbo dalla virgola (accigliata) e le Gabanelle (ingabbiate) che si battono come leoni contro gli sprechi pubblici nel campo dell'editoria (altrui), ogni volta che tornano a ruggire nello zoo di carta, dimenticano sempre - o fanno finta, trasformandosi in docili conigli - il miliardo (1.000.0000.000 di euro) che ogni anno incassa il 71% dei Poteri marci che controllano i media. monti tessera dei giornalistihsGetImage Stiamo parlando dell'Rcs (21,3 % del mercato), del gruppo Mondadori (18,3%), dell'Espresso-Repubblica (18,6%) e di Caltagirone (4,9%). TRASPARENZA ALL'ITALIANA. Di questa munifica Befana non c'è alcuna traccia nel sito governo.it che, recentemente, ha messo online tutti i dati riguardanti i poverelli del Villaggio globale (giornali di partito, cooperative etc). Tant'è che "il Fatto" di Padellaro&Travaglio nella querelle con "l'Unità", beneficiaria dei contributi, ha parlato di "trasparenza all'italiana". ezio mauro foto mezzelani gmt Già, per il miliarduccio che ogni anno i grandi editori ricevono dallo Stato, registrati da palazzo Chigi sotto la voce "contributi indiretti", non c'è nessuna voce tra le carte diffuse via web dalla presidenza del Consiglio. Alla faccia, appunto, della trasparenza. Invocata ogni giorno dagli editorialisti puntuti riguardo alle lobby altrui (notai, tassisti, avvocati, ingegneri etc). GIORNALI Come tutto ciò sia potuto accadere da decenni, a volte truffando addirittura lo Stato), senza che nessuno ci mettesse il becco andrebbe chiesto, appunto, ai moralizzatori a la carte che s'aggirano nelle redazioni dei giornali. E, in più, stampano libri di successo sulla Casta. IVA AL 4% PER I GRANDI EDITORI. La domanda andrebbe (ri)girata ai Gabibbo e alle Gabanelle che possono indagare "liberamente" sull'incredibile numero di strumenti legislativo-finanziari a cui fanno ricorso gli editori. Una super-lobby (Fieg-sindacato dei giornalisti) che dallo Stato e con i soldi pubblici del contribuente riceve una montagna di benefici: agevolazioni sui crediti d'imposta e per l'acquisto della carta; riduzione delle tariffe postali. CARLO DE BENEDETTI E ancora: credito agevolato per le ristrutturazioni (sempre a spese dei giornalisti e dei poligrafici, non per creare nuovi posti di lavoro) e provvidenze per le teletrasmissioni dei quotidiani all'estero. E poi c'è l'Iva. Mentre chi stampa diari o altro materiale paga un'imposta ordinaria del 20%, chi "commercia" in quotidiani dà all'erario appena il 4%. "Nel 2008 ogni copia venduta è costata ai contribuenti 179 euro oltre a il prezzo di copertina", ha calcolato da Marco Cobianchi nel suo volume "Mani bucate" (Chiarelettere). Diceva Samuel Johson che il "patriottismo è l'ultimo rifugio del farabutto". Anche nel giornalismo. 2- UNA SPUNTATINA PURE ALLE EX FELUCHE. Sotto a chi tocca! La premiata barberia di largo Fochetti intanto fa il pelo e il contropelo alle ex feluca "riciclatesi" dopo l'addio alla Farnesina. Per carità non saremo noi a sconsigliare qualche shampoo (al vetriolo) all'alta burocrazia pubblica. Molti di loro non meriterebbero neppure di ricoprire certi incarichi diplomatici. Anche se andava scritto quando erano in carica. Sorprende tuttavia l'eccesso di zelo (e di reticenza) da parte dei tosatori di "Repubblica". E anche di quelli della Premiata Ditta di figaro, in servizio (permanente) nella parruccheria di via Solferino. Sede del Corriere della Sera in via Solferino DA BOIARDI DI STATO A ULTRACASTA. Già, poveri boiardi di stato. Elite di cui, da sempre, il quotidiano di Ezio Mauro si onora di far collaborare sul proprio giornale: dal costituzionalista Andrea Manzella all'ex ambasciatore Fernando Salleo. Tanto per ricordarne i più illustri. Come ai tempi di Mani pulite, i colpi di spazzola non sembrano risparmiare nessuno. Eccoli, gli "inamovibili" accusati di restare al proprio posto nonostante le varie (e variegate) stagioni politiche. Senza mai chiedersi, da parte della Casta di carta, se nel loro ruolo hanno fatto bene o male; se hanno imbrogliato le carte o meno. Una volta i gran comis venivano considerati una risorsa, dei servitori dello stato. A prescindere al politico di turno che saliva al potere. Era il loro distintivo di riconoscimento. GLI ARLECCHINI DELLA FARNESINA. Ora sono considerati tout court degli Arlecchino, servitori di più padroni. Colpisce soprattutto la reticenza (meglio dire l'omissione colposa) con cui sono stilate queste liste di proscrizione. Difficile che una volta in pensione "un diplomatico vada ai giardinetti", scrive euforico su Repubblica l'autore dell'articolo. Antonello Perricone E da quando il nostro archeologo delle virgole accigliate ha fatto questa clamorosa scoperta? Forse ignora che alcune delle mejo feluche nostrane svolgono tuttora compiti importanti. Qualche nome di pensionati illustri che non sono finiti ai giardinetti? Fino alla sua scomparsa Boris Bianchieri è stato alla guida della Federazione editori; Vanni d'Archirafi fa il consulente in Spagna per le aziende italiane; Lucio Fulci ricopre un importante incarico alla Ferrero; Renato Ruggiero è stato nel board della Fiat (come l'attuale premier Mario Monti) prima di fare il ministro. Sergio Romano tiene posta sul Corrierone. ANCHE I DIRETTORI SI RICLICANO. E forse i giornalisti-direttori sono immuni dalla "sindrome da giardinetto"? Giulio Anselmi ha sostituito Bianchieri alla presidenza della Fieg; il grande Alberto Ronchey trovò l'Eldorado, per dirla con il ragazzo spazzola di largo Fochetti, alla guida del ministero dei Beni culturali (governo Ciampi); Arrigo Levi ha lavorato con Ciampi al Quirinale; Paolo Mieli una volta sostituito alla guida del "Corriere della Sera" da Flebuccio de Bortoli è presidente dell'Rcs libri. Tanto per stare ai giorni nostri. Del resto, per dirla alla maniera di Dagobert D.Runes, anche il dilettante (in redazione) "si riconosce dalla qualità delle sue omissioni". 9be 16 elio veltri 3- CDR E GRANDI MAGAZZINI SOLFERINO. E' arrivato il comunicato numero 2 del sindacato dei giornalisti del Corrierone (leggi sotto). Un'altra tappa della via crucis cui sta andando incontro il direttore Flebuccio de Bortoli a causa delle decisioni (condivise?) dell'azienda più amata (e disastrata) dai Poteri marci. L'ultima trovata dei management dell'Rcs, impegnati a disfarsi del mega immobile di via San Marco (ma c'è un acquirente?), sarebbe quella di scorporare la redazione del quotidiano dalla tipografia (èer quest'ultima destinazione Crescenzago). Una follia? Una delle tante alla quale hanno assistito, spesso consenzienti, le maestranze del gruppo. MARIO MONTIe SOS DEI GIORNALISTI AI LETTORI (IN CALO). Che presto potrebbero trovarsi a fronteggiare un nuovo stato di crisi come pare intenzionata a procedere l'azienda, a corto di liquidità (e di idee). L'unica novità del comunicato del Comitato di redazione è l'appello finale ai lettori per "salvare" il Corriere. Sì, un Sos lanciato proprio a quella piccola, media e grande milanesità che, non passa giorno, non si ritrovi "criminalizzata" all'interno di qualche Casta o castuccia. I dati ultimi sulle vendite in edicola del quotidiano di via Solferino segnalano intanto al Cdr, che la disaffezione dei propri lettori non sembra al momento arrestarsi.

La profezia di Soros: crisi economica Usa scatenerà rivolte di strada - Dossier Soros

LA DOMANDA CHE CI PONIAMO È LA SEGUENTE; PERCHÈ UN FINANZIERE, SPECULATORE INTERNAZIONALE SULLE MONETE SOSTIENE ORA L’EURO DOPO ESSERSENE AVVANTAGGIATO IN TEMPI PASSATI PROPRIO DALLA ASSENZA DI UNA MONETA UNICA? Per quanto riguarda la profezia sulle rivolte in Usa, il nostro è bene informato visto che è il finanziatore di Occupy o meglio colui che ne ha preso in mano le redini mediatiche. Ricordiamo inoltre che sempre Soros, ebreo ungherese, ha finanziato tutte le rivoluzioni colorate in Europa ed Eurasia. Lo stesso personaggio ha fondato una organizzazione per la liberalizzazione e diffusione delle droghe leggere. Non è cambiato nulla dalla Guerra dell’Oppio evidentemente. Ah dimenticavo, è un uomo Rotschild. ndrArticolo di: WSI Pubblicato il 24 gennaio 2012| Ora 09:41 L’investitore di origini ungheresi George Soros durante un’intervista concessa a Bloomberg. New York – Le proteste come quelle del movimento Occupy diventeranno ingestibili se l’economia americana continuera’ a peggiorare e assumeranno i connotati di una rivolta civile. Gli Stati Uniti si devono preparare a un’insurrezione sociale violenta nelle strade, secondo l’investitore miliardario George Soros. “Per le autorita’ – ha spiegato il magnate di origini ungheresi in un’intervista a Newsweek – sara’ una scusa per utilizzare tattiche repressive molto dure, che, se verranno portate a un estremo, rischiano di creare un sistema politico repressivo, una societa’ dove le liberta’ individuali saranno soggette a vincoli sempre maggiori, iul che rappresenterebbe una rottura con la tradizione degli Stati Uniti”. Le crescenti proteste in America saranno uno dei tanti sintomi di un peggioramento delle condizioni economiche mondiali: non piu’ arricchirsi, bensi’ preservare il proprio stato di benessere diventera’ la priorita’. Si perche’ “in tempi come questi, la sopravvivenza e’ la cosa piu’ importante”. “Non sono qua per tirarvi su di morale. La situazione e’ la piu’ grave e difficile che io abbia mai sperimentato nella mia carriera”, confida Soros che e’ diventato famoso per le sue scommesse al ribasso contro la sterlina nel 1992 che gli hanno consentito di incassare 1 miliardo di dollari. “Siamo in un periodo estremamente critico, che ricorda per molti versi gli Anni 30, la Grande Depressione. Siamo in un periodo di restrizioni e stenti nel mondo industralizzato, una situazione che minaccia di farci cadere in un decennio di stagnazione”. “Nel migliore dei casi dobbiamo prepararci alla deflazione. Nel peggiore dei casi al collasso del sistema finanziario”. Per questo motivo le autorita’ politica, strette nella morsa di una crisi del debito e di un rallentamento delle attivita’ economiche in tutto il mondo, dovranno cercare di tenere in vita l’area euro nella sua forma attuale. Un default disordinato e un’uscita dal blocco dei 17 anche di un paese soltanto destabilizzera’ il mondo intero. Alleghiamo un dossier Soros da Movisol il sito del senatore americano Lyndon LaRouche Due procure indagano su Soros I procuratori Guerriero e Martellino hanno accolto le indicazioni dell’esposto del Movimento Solidarietà.Un segnale di resistenza al liberismo Due indagini sono state aperte sul conto del finanziere internazionale George Soros, una dalla Procura della Repubblica di Roma e l’altra dalla Procura della Repubblica di Napoli, per accertare il suo ruolo nell’attacco speculativo contro la lira e contro altre monete europee avvenuto nel settembre del 1992. La notizia è stata diffusa dal quotidiano romano Il Tempo che il 3 febbraio ha scritto con molto risalto in prima pagina “Soros, l’ammazzalira, nel mirino dei giudici.” La notizia è stata ripresa tra gli altri anche da Il Giornale. Il sostituto procuratore di Roma Cesare Martellino ha annunciato di aver ordinato una serie di accertamenti alla Guardia di Finanza. Il pubblico ministero di Napoli Antonio Guerriero ha iniziato le indagini sulle attività della Banca d’Italia nella crisi della lira del 1992. I due dirigenti della banca centrale, Carlo Azeglio Ciampi, che era Governatore, e Lamberto Dini, che era direttore generale, sono poi diventati Presidenti del Consiglio dei due governi di “tecnici” responsabili della politica di privatizzazione su tutto il fronte e di tagli alla spesa pubblica per soddisfare la logica del Trattato di Maastricht. L’attacco speculativo del settembre 1992 portò ad una svalutazione della lira del 30% ed al prosciugamento delle riserve della Banca d’Italia, che fu costretta a bruciare 48 miliardi di dollari nel vano tentativo di arginare l’attacco speculativo. La crisi portò anche allo scioglimento del Sistema Monetario Europeo. Le indagini ora aperte sono state sollecitate da un esposto di Paolo Raimondi e Claudio Ciccanti, rispettivamente presidente e segretario generale del “Movimento Internazionale per i Diritti Civili – Solidarietà”, inoltrato alla fine dell’ottobre 1995 alle Procure di Milano, Roma, Napoli e Firenze. Il noto avvocato romano Giuseppe de Gori rappresenta il Movimento Solidarietà nella procedura legale. Il movimento si rifà alle idee politiche ed economiche di Lyndon LaRouche, l’economista americano e candidato alla presidenza nel partito democratico. L’esposto (pubblicato sul numero 5 di Solidarietà, ottobre 1995) documenta le dirette responsabilità di Soros nell’attacco alla lira e stabilisce inoltre un collegamento tra questa manovra e l’incontro segreto tenuto a bordo del panfilo reale “Britannia” della regina Elisabetta II d’Inghilterra, avvenuto il 2 giugno 1992, nel corso del quale esponenti del mondo bancario e finanziario anglo-olandese incontrarono delle personalità italiane per complottare la completa privatizzazione delle partecipazioni statali a prezzi stracciati. Tra i partecipanti di quell’incontro c’erano i rappresentanti delle banche Barings e S.G. Warburg, Mario Draghi, direttore generale del ministero del Tesoro, e Beniamino Andreatta. L’esposto chiede alle autorità giudiziarie di stabilire se le attività di Soros costituiscano una violazione dell’articolo 501 del codice penale, secondo il quale è prevista una pena carceraria fino a quattro anni per chi provoca la svalutazione della moneta nazionale e dei titoli di stato con mezzi illeciti. Queste azioni riflettono il tentativo di retroguardia di alcune forze politiche ed economiche che stanno cercando di fermare, o almeno rallentare il processo di disintegrazione delle istituzioni dello stato. Esse si agganciano anche a quelle forze e interessi americani, sopratutto intorno al Presidente Clinton, che stanno cercando di arginare le folli politiche di tagli proposte da Gingrich, che è nel contempo uno dei più accesi sostenitori della “libera” speculazione della finanza derivata. Infatti, le attività di George Soros sono oggetto di indagini da parte di organi ufficiali americani, soprattutto a partire dal giugno 1993 quando l’allora presidente della commissione bancaria del Congresso, il democratico Henry Gonzalez sollevò la questione della grande speculazione e di Soros in una storica seduta. La crisi in Italia ha già raggiunto l’orlo dell’abisso e minaccia adesso di gettare la nazione in un caos totale aprendo le porte ad una cannibalizzazione dell’economia italiana da parte delle forze finanzarie ispirate dalla City di Londra. Dini e Fazio In questo contesto è interessante notare il fatto che il 26 gennaio il Primo ministro uscente Lamberto Dini ha presentato al Parlamento il rapporto semestrale sulla politica informativa e della sicurezza, in cui si diceva che i servizi segreti italiani erano stati chiamati a svolgere delle indagini sulle continue operazioni di destabilizzazione economica e finanziaria dell’Italia. Nel documento si leggeva che “i mercati valutari e le Borse delle principali piazze mondiali continuano a registrare correnti speculative ai danni della nostra moneta originate, specie in passaggi delicati della vita politico-instituzionale, dalla diffusione incontrollata di notizie infondate riguardante la compagine governativa e da anticipazioni di dati oggetto delle periodiche comunicazioni sui prezzi al consumo.” L’azione dei servizi è quindi stata indirizzata “alla verifica di eventuali strategie di aggressione sistematica alla nostra sicurezza economica, in un momento in cui è possibile attendersi la reiterazione di manovre speculative fraudolente.” Il rapporto presentato da Dini, ma certamente da lui non preparato, evitava di identificare il noto caso di George Soros. Lo stesso giorno, il prof. De Gori, per conto del Movimento Solidarietà, ha mandato una nota al Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, chiedendogli di sollecitare un intervento del Consiglio Superiore della Magistratura. Il giorno dopo, 27 di gennaio, parlando a Roma in occasione del Cinquantesimo Anniversario dell’Ufficio Italiano Cambi (UIC), il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, denunciava che i mercati finanziari sono troppo forti e le banche centrali non sono più in grado di resistere alle operazione speculative sui mercati dei cambi. “Oggi, diceva Fazio, se le banche di emissione tentano di far cambiare direzione o di fermare il vento (delle operazioni finanziarie) non ce la fanno per la dimensione delle masse in movimento sui mercati rispetto alla loro capacità di fuoco”. Per l’Italia, il cambiamento del clima c’è stato nel 1990 e il vento ha cominciato a soffiare nel 1992: nell’arco di quei dodici mesi l’UIC ha utilizzato tutte le sue riserve di 8 miliardi di DM per cercare inutilmente di smorzare la furia dei venti speculativi. Sul mercato italiano dei cambi si registra una esplosione delle transazioni internazionali che toccano i 50 mila miliardi giornalieri. Fazio concludeva ammettendo che le banche centrali del mondo non possono far altro che assecondare i “venti” finanziari e monetari. La dichiarazione di Fazio, tardiva, conferma la giustezza dell’analisi e degli interventi del movimento di LaRouche a livello internazionale e del Movimento Solidarietà in Italia. Ad esempio, il 28 giugno 1993 il Movimento Solidarietà tenne una conferenza a Milano dove vennero denunciate le operazioni speculative del Britannia e della finanza derivata contro gli interessi nazionali. (Vedi Solidarietà dell’ottobre 1993 anno 1, numero 1). Siamo adesso in campagna elettorale. Il governo Dini e il tentativo di Antonio Maccanico, due civil servant della grande finanza internazionale, sono colati a picco su due scogli: il primo si chiama Maastricht, e la sua sostanza è la logica infernale di tagli al bilancio, che, contrariamente alle paranoie monetariste, non pareggiano i bilanci ma fanno detonare le mine sotto i resti dell’economia reale; il secondo è costituito da una resistenza, seppur tardiva e disorganizzata, alla speculazione e alle privatizzazioni selvagge complottate sul Britannia. Inoltre, anche se molti non se ne sono ancora accorti, la campagna elettorale americana insegna che le forze sociali e produttive hanno già sconfitto i candidati e le politiche dei neo conservatori di Gingrich e vogliono invece dibattere i temi strategici del rilancio dell’economia produttiva, dell’occupazione, della tecnologia. Una campagna elettorale può essere momento di lavaggio del cervello di massa se si impone agli elettori un dibattito su argomenti virtuali, oppure un momento di educazione e di responsabilizzazione se si introducono le grandi sfide di oggi, contro il neo malthusianesimo, il post industriale, la geopolitica destabilizzante e la cultura della morte. -------------------------------------------------------------------------------- ESPOSTO ALLA MAGISTRATURA CONTRO GEORGE SOROS Il seguente documento è stato presentato dal Movimento Solidarietà al Procuratore della Repubblica di Milano il 27 ottobre 1995 PAOLO RAIMONDI, IN QUALITÀ DI PRESIDENTE del “Movimento Internazionale per i Diritti Civili – Solidarietà” e Claudio Ciccanti, in qualità di segretario generale dello stesso Movimento, portano all’attenzione del signor Procuratore della Repubblica di Milano alcuni fatti e cosiderazioni relative alle attività speculative contro la lira, intraprese dal cittadino americano George Soros a partire dal 1992. Il 30 ottobre 1995 il signor George Soros, controllore del fondo di investimento “Quantum Fund”, dovrebbe ricevere una laurea `honoris causa’ in economia all’Università di Bologna e, secondo i bollettini stampa, uno dei coordinatori di tale manifestazione sarebbe il prof. Romano Prodi. Si chiede l’apertura di un procedimento giudiziario nei confronti del sig. George Soros e per motivare tale richiesta si espongono i seguenti fatti: I. Il sig. George Soros, per sua stessa ammissione in molte interviste alla stampa e alla televisione, è stato uno dei principali promotori, organizzatori e beneficiari del gigantesco attacco speculativo contro la lira, la sterlina britannica, il franco francese e altre monete europee nel settembre 1992, che ha costretto alla libera fluttuazione al di fuori del Sistema Monetario Europeo (SME) ponnedo una seria ipoteca sul futuro dello stesso SME. Secondo resoconti della stampa economica, George Soros avrebbe incassato in pochi giorni almeno 400 miliardi di lire (28 milioni di dollari) nella speculazione contro la lira e ben 1.200 miliardi di lire operando contro la lira sterlina. Soros e il suo fondo di investimento”Quantum Fund” sono tra i più abili operatori sui mercati speculativi dei derivati, strumenti finanziari contrattati globalmente per una media di 1.000 miliardi di dollari al giorno. La tecnica utilizzata dagli speculatori in derivati permette loro di operare su cifre enormi disponendo in realtà solo una minima parte dell’ammontare nominale. La stessa tecnica sarebbe stata utilizzata da Soros anche nella speculazione contro la lira, per la quale ha potuto mobilitare un miliardo di dollari impegnando di suo solo 50 milioni di dollari e raccogliendo il resto in crediti, utilizzando i 50 milioni come garanzie collaterali. La nostra moneta, da 760 lire per un marco tedesco, ha perso subito il 30% del suo valore ed è continuata a scivolare fino alle 1200 lire per un marco con conseguenze drammatiche per le risorse dello stato, con perdite in ricchezza reale e in occupazione (la lira si è ovviamente anche indebolita nei confronti delle altre monete a partire dal dollaro). Tutte le importazioni di energia, materie prime e tecnologia sono in dollari o in marchi. La Bundesbank, la banca centrale tedesca, ha speso inutilmente 60 miliardi di marchi per la difesa del franco francese, della lira e delle altre monete dello SME. La Banca d’Italia avrebbe utilizzato tra il giugno e il settembre 1992, 48 miliardi di dollari di riserve per difendere, senza successo, il valore della lira. II. La precisione dell’attacco, spiegato dai media come frutto di qualità quasi “magiche” del sig. Soros, dovrebbe invece sollevare dubbi su possibili azioni illegali e criminali di aggiotaggio e di “insider trading”, di possesso di informazioni riservate che, se utilizzate, danno allo speculatore un margine di vantaggio e di sicurezza per poter anticipare movimenti su titoli, valori e cambi delle monete. È stato infatti annotata nel 1992 l’esistenza, per esempio, di un contatto molto stretto e particolare del sig. Soros con Gerald Carrigan, presidente della Federal Reserve Bank di New York, che fa parte dell’apparato della Banca centrale americana, luogo di massima circolazione di informazioni economiche riservate, il quale, stranamente, una volta dimessosi da questo posto, venne poi immediamente assunto a tempo pieno dalla finanziaria “Goldman Sachs & co.” come presidente dei consiglieri internazionali. La Goldaman Sachs è uno dei centri della grande speculazione sui derivati e sulle monete a livello mondiale. La Goldman Sachs è anche coinvolta in modo diretto nella politica delle privatizzazioni in Italia. In Italia inoltre, il sig. Soros conta sulla strettissima collaborazione del sig. Isidoro Albertini, ex presidente degli agenti di cambio della Borsa di Milano e attuale presidente della “Albertini e co. SIM” di Milano, una delle ditte guida nel settore speculativo dei derivati. Albertini è membro del consiglio di amministrazione del “Quantum Fund” di Soros. III. L’attacco speculativo contro la lira del settembre 1992 era stato preceduto e preparato dal famoso incontro del 2 giugno 1992 sullo yacht “Britannia” della regina Elisabetta II d’Inghilterra, dove i massimi rappresentanti della finanza internazionale, soprattutto britannica, impegnati nella grande speculazione dei derivati, come la S.G. Warburg, la Barings e simili, si incontrarono con la controparte italiana guidata da Mario Draghi, direttore generale del ministero del Tesoro, e dal futuro ministro Beniamino Andreatta, per pianificare la privatizzazione dell’industria di stato italiana. A seguito dell’attacco speculativo contro la lira e della sua immediata svalutazione del 30%, codesta privatizzazione sarebbe stata fatta a prezzi stracciati, a beneficio della grande finanza internazionale e a discapito degli interessi dello stato italiano e dell’economia nazionale e dell’occupazione. Stranamente, gli stessi partecipanti all’incontro del Britannia avevano già ottenuto l’autorizzazione da parte di uomini di governo come Mario Draghi, di studiare e programmare le privatizzazioni stesse. Qui ci si riferisce per esempio alla Warburg, alla Morgan Stanley, solo per fare due tra gli esempi più noti. L’agenzia stampa EIR (Executive Intelligence Review) ha denunciato pubblicamente questa sordida operazione alla fine del 1992 provocando una serie di interpellanze parlamentari e di discussioni politiche che hanno avuto il merito di mettere in discussione l’intero procedimento, alquanto singolare, di privatizzazione. IV. Il “Quantum Fund”, il fondo di investimento controllato da Soros, registrato nelle Antille Olandesi, annovera i seguenti personaggi nel suo consiglio di amministrazione: Alberto Foglia ( Banca del Ceresio di Lugano); Isidoro Albertini (Albertini e co. SIM Agenti di Cambio, di Milano); Richard Katz ( direttore della Rothschild Italia Spa); L. Amedée de Moustier ( IFA Banque di Parigi); Boat Notz di Ginevra; Edgar de Picciotto (Union Bancaire Privée (UBP) di Ginevra); Claudio Segré di Ginevra; Nils O. Taube(socio d’affari di lord Rothschild nella finanziaria “St. James’s Place Capital plc”); Un esempio dell”ambiente’ del “Quantum Fund”: Edgar de Picciotto. De Picciotto presiede la UBP , la terza banca svizzera, nata dalla fusione della Compagnie de Banque et d’Investissements, la banca privata della famiglia Picciotto, e della Trade Development Bank (TDB) appartenente ad Edmund Safra. Safra fu coinvolto in un’inchiesta aperta nel 1989, assieme alla Shakarchi Trading Company, accusata dalla DEA, l’agenzia anti droga americana, di essere legata al cartello colombiano della cocaina. L’inchiesta su Safra fu poi archiviata. Il 27 novembre 1994 la polizia americana ha arrestato in Florida Jacques Handali, funzionario della Union Bancaire Privée sotto l’accusa di riciclaggio di soldi della droga tra gli USA e la Svizzera. Su richiesta americana, la procura di Ginevra aveva aperto un’inchiesta parallela e il giorno dopo furono perquisiti gli uffici della UBP di Ginevra. Contemporaneamente a New York venivano arrestati diversi individui accusati di aver svolto le mansioni di corrieri, trasportando valigette di narcodollari dagli USA alle casse della UBP in Svizzera. Mentre i vertici della UBP si dichiarano innocenti accusando Handali di aver agito per proprio conto, gli inquirenti americani sostengono il contrario, grazie alle prove ottenute attraverso un cliente di Handali che in realtà era un informatore della polizia. Ad uno degli incontri tra Handali e il cliente-informatore, questi viene invitato a Ginevra dove incontra nella sede dell’UBP una persona di più alto livello nell’operazione. Il cliente-informatore viene incoraggiato a investire in uno dei principali fondi di investimento europei. V. Come è stato menzionato già all’inizio, è lo stesso George Soros ad ammettere pubblicamente di essere uno dei principali speculatori internazionali. Ad esempio, in un’intervista rilasciata al quotidiano inglese The Guardian il 19 dicembre 1992, riportata anche nel documento “Lo sviluppo moderno dell’attività finanziaria alla luce dell’etica cristiana”, preparato dalla Commissione Pontificia “Justitia et Pax”, Soros testualmente dice: “Sono certo che le attività speculative hanno avuto delle conseguenze negative. Ma questo fatto non entra nel mio pensiero. Non può. Se io mi astenessi da determinate azioni a causa di dubbi morali, allora cesserei di essere un efficace speculatore. Non ho neanche l’ombra di un rimorso perchè faccio un profitto dalla speculazione sulla lira sterlina. Io non ho speculato contro la sterlina per aiutare l’Inghilterra, né l’ho fatto per danneggiarla. L’ho fatto semplicemente per far soldi.” Questa dichiarazione vale anche per la lira italiana. In un altro articolo scritto per il Times di Londra il 12 settembre 1995, Soros dice a riguardo del suo operato speculativo: “Mi sono mosso nell’ambito di regole decise da altri. Se le regole falliscono, non è colpa mia in quanto partecipante, ma di coloro che le hanno decise… quando gli speculatori fanno profitti, in qualche modo le autorità hanno fallito.” VI. Per queste sue attività speculative, il signor Soros è stato in più occasioni oggetto di indagini dirette o di richieste di indagini. Il caso più importante risale al 18 giugno 1993, quando in un discorso pronunciato al Congresso americano, il parlamentare democratico texano Henry Gonzalez, Presidente della Commissione Bancaria e Finanze del Congresso USA, ha richiesto un’inchiesta sulle attività finanziarie internazionali dello speculatore George Soros. Nello stesso discorso, l’on. Gonzalez aveva anche detto: “Quello che fanno le grandi banche non è un’attività normale ma è speculazione. In effetti giocano d’azzardo… Siamo ormai ad oltre mille miliardi di dollari che circolano nel sistema, ma le nostre autorità, che per la vigilanza del sistema bancario internazionale dovrebbero essere quelle del Federal Reserve Board, non si rendono conto di quanto accade.. Anche per questo la nostra Commissione ha aperto un’inchiesta sui proventi della droga. Si stima che ammontino a circa 300 miliardi di dollari le attività di riciclaggio dei soldi della droga.” In Italia il 6 agosto 1993, il deputato democristiano Raffaele Tiscar ha presentato un’interrogazione al ministro del Tesoro per chiedere l’apertura di un’inchiesta su George Soros e sulle sue attività speculative contro la lira nel contesto della politica di privatizzazioni discussa sul “Britannia”. Altri parlamentari di vari partiti e orientamenti politici, tra cui l’On. Antonio Parlato, hanno in varie occasioni presentato interpellanze parlamentari per far luce sulle attività di George Soros in Italia. VII. In varie occasioni, anche le più alte autorità dello stato italiano hanno sollevato pubblicamernte dubbi sull’operato di interessi finanziari internazionali, con eventuali agganci italiani, nelle operazioni speculative e di destabilizzazione contro l’Italia. Marzo 1993. A seguito di una repentina e sorprendente declassificazione di titoli di stato e di altri titoli italiani da parte della agenzia privata di rating “Moody’s”, che aveva portato a un crollo della lira e della Borsa, il Presidente Luigi Scalfaro chiese pubblicamente se dietro una tale decisione ci fosse qualche ragione destabilizzante. Allo stesso tempo da Londra arrivarono voci di un avviso di garanzia contro il Presidente del Consiglio Giuliano Amato, cosa che aiutò l’attacco speculativo. Agosto 1993. Il ministro degli interni Nicola Mancino, a seguito dell’ondata di attacchi terroristici, dichiarò: “Non escludo un ruolo della finanza internazionale”. 5 novembre 1993. Fu il “venerdì nero” della lira anche a seguito di voci provenienti da Londra su un possibile avviso di garanzia nei confronti del Presidente Luigi Scalfaro. Il giorno dopo, l’allora Presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi scrisse una lettera al Procuratore Capo della Republlica di Roma, Vittorio Mele, perchè “avviasse le procedure relative al delitto previsto all’art. 501 del codice penale, considerato nell’ipotesi delle aggravanti in esso contenute.” Cioè si chiedeva di indagare su un possibile reato di aggiotaggio da parte di chi aveva operato contro la lira e i titoli quotati in Borsa. 25 maggio 1994. Ancora una volta la lira crollò e la Borsa perdette il 2,6% in poche ore a seguito di voci provenienti da Londra su un presunto avviso di garanzia contro il nuovo Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. IN BASE AI FATTI ESPOSTI, si chiede l’apertura di un procedimento giudiziario nei confronti del signor George Soros, per verificare se la sua ammessa attività speculativa sia stata svolta in VIOLAZIONE dell’articolo 501 del codice penale (“Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio”). Si fa notare che l’articolo 501 specificamente prevede un raddoppio delle pene “se dal fatto deriva un deprezzamento della valuta nazionale o dei titoli dello stato”. (L’articolo 7 del codice penale prevede che il cittadino italiano o straniero anche se commette in territorio estero il predetto reato deve essere punito secondo la legge italiana.) in VIOLAZIONE dell’articolo 2628 del codice civile (“Manovre fraudolente sui titoli delle società”). in VIOLAZIONE dell’articolo 2595 del codice civile (“Limiti legali della concorrenza”) che dice: “La concorrenza deve svolgersi in modo da non ledere gli interessi dell’economia nazionale…” in VIOLAZIONE dell’articolo 2598, paragrafo 3 del codice civile (“Atti di concorrenza sleale”). in VIOLAZIONE dell’articolo 2041 del codice civile (“Dell’arricchimento senza causa”) . È opportuno anche verificare se tale attività speculativa sia in violazione dell’articolo 41 della Costituzione della Repubblica Italiana secondo cui “l’attività economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana”. È opportuno anche ricordare che l’articolo 3 della stessa Costituzione prevede che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” fonte http://www.nocensura.com/2012/01/la-profezia-di-soros-crisi-economica.html

giovedì 26 gennaio 2012

DIO SALVI LA GRECIA! - LA SVALUTAZIONE VOLONTARIA DEL DEBITO DELLA GRECIA SERVE A POCO: PER IL FMI “I 130 MLD € DI AIUTI DELL’EUROPA ABBASSEREBBERO IL DEBITO ELLENICO ENTRO IL 2020 AL 130, NON AL 120% DEL PIL, E ATENE AVRÀ BISOGNO DI ALTRI SOLDI” - LA BCE, CHE HA 40 MLD € DI BOND GRECI, È SOTTO PRESSIONE MA VUOLE TENERSI LONTANA - SI FA LARGO L’IPOTESI DI SALVARE ITALIA E SPAGNA E DI LASCIARE LA GRECIA AL SUO DESTINO - MA IN CASO DI DEFAULT CI PERDEREBBERO TUTTI...

Tonia Mastrobuoni per "la Stampa" euro Nel braccio di ferro sulla ristrutturazione volontaria del debito greco che ruolo avrà la Bce? Ieri il capoeconomista, Peter Praet, ha smentito la possibilità di un coinvolgimento: «La Bce si attiene a quanto concordato con i governi», ha detto. Ne resta fuori. Ma l'impasse attuale nei negoziati che dovrebbero alleggerire il debito ellenico di 100 miliardi, sta aumentando le pressioni su Francoforte. Christine Lagarde, direttore del Fmi, ha chiesto che anche la Bce entri nel negoziato, «se la ristrutturazione dovesse essere insufficiente». Martedì Charles Dallara, caponegoziatore dei creditori, aveva espresso una posizione analoga. Grecia La consapevolezza che la Bce dovrà essere coinvolta nel taglio del debito c'è da tempo, ai piani alti dell'Eurotower (si veda La Stampa del 13 gennaio). Ma se le pressioni aumentano, secondo fonti qualificate, è anche perché gli emissari Bce inviati ad Atene descrivono i progressi del piano di risanamento, ormai, «catastrofici». E anche il capoeconomista del Fmi, Olivier Blanchard ha dichiarato che i 130 miliardi di aiuti che l'Europa sbloccherebbe dopo l'haircut abbasserebbero il debito ellenico entro il 2020 al 130, non al 120% del Pil. Atene avrà bisogno di altri soldi. Non c'è da meravigliarsi che aumenti la tensione. E come dimostrano proprio l'accerchiamento della Bce la ricerca di un capro espiatorio per l'eventuale precipitare degli eventi. La coperta è corta e ognuno la tira dalla sua parte. Se la ristrutturazione fosse più pesante, l'Europa e il Fondo tirerebbero fuori meno risorse cash. E viceversa. grecia - Papademos Ma intanto, se la Bce partecipasse con i suoi circa 40 miliardi di bond ellenici (comprati sia sul mercato secondario, sia accettati come collaterale dalle banche), la ristrutturazione sarebbe più diluita. A meno che - ed è un'ipotesi sempre più realistica - si mettano al sicuro Italia e Spagna attraverso i «frangifiamme», le dotazioni anticrisi che possono mettere in campo Bce (un'altra asta a tre anni dopo quella da 489 miliardi di dicembre, è prevista a febbraio), Fmi e il fondo salvaStati Ue e si decida di lasciar andare Atene al suo destino. evangelos-venizelos Nel frattempo, tra i 23 banchieri centrali la discussione attorno «alla soluzione che costerebbe di meno» continua, rivela la fonte. Sul piatto della bilancia, due considerazioni. Una, economica, «non insuperabile», è che le perdite eventuali di un haircut peserebbero sui bilanci delle 17 banche centrali dell'Eurozona. La seconda è che se la Bce si sedesse al tavolo del negoziato per lo swap tra vecchi e nuovi titoli, come prevede l'intesa europea di ottobre, lederebbe i Trattati che vietano l'intervento diretto per aiutare i Paesi. MARIO DRAGHI jpeg Draghi è in costante contatto con il premier greco Lucas Papademos. Se il negoziato si incagliasse una volta di troppo, il governo greco è pronto a far scattare il Cac, la clausola che trasforma la ristrutturazione da volontaria in coercitiva. I creditori non avrebbero più diritto di veto come nell'haircut volontario: si procederebbe a maggioranza. E il taglio sarebbe ben più pesante di quello ipotizzato ad oggi (il 4% di coupon per un 60-70% di perdite). Soprattutto, il mercato e le agenzie di rating lo valuterebbero come un pieno default e farebbero scattare i cds, le assicurazioni contro il fallimento. Dinanzi a questo scenario è molto probabile che Draghi, conclude la fonte, ceda un minuto prima. by dagospia

obama sotto elezioni torna il pinocchio di wall street

Maurizio Molinari per "la Stampa" BARACK OBAMA In occasione del discorso sullo Stato dell'Unione Barack Obama ha mostrato una doppia leadership: da Presidente progressista determinato a sconfiggere le diseguaglianze e da comandante in capo in azione contro i nemici dell'America. La sovrapposizione di ruoli così contrastanti ha trasformato l'intervento al Congresso di Washington in qualcosa che assomiglia alla trama di un thriller. Quando Obama alle 21 in punto di martedì sera è entrato nell'aula, ha stretto la mano a Leon Panetta, capo del Pentagono, dicendogli «Ottimo lavoro». Molti hanno sentito ma nessuno ha capito cosa intendesse dire. A posteriori si è saputo che gli stava facendo i complimenti per il riuscito blitz dei Navy Seals a Galkayo in Somalia per liberare l'americana Jessica Buchanan e un danese, da tre mesi nelle mani dei pirati. I NAVY SEALS IN AZIONE NOTTURNA Era stato proprio Obama, due giorni prima, ad autorizzare il blitz di «Team Six», la stessa unità dei Navy Seals che ha eliminato Osama bin Laden ad Abbottabad in Pakistan, e nelle ore precedenti all'arrivo a Capitol Hill il presidente ha seguito quanto avveniva in uno sperduto angolo del Corno d'Africa. Gli incursori si sono paracadutati, hanno raggiunto i pirati, ne hanno eliminati nove e si sono ritirati a bordo di elicotteri con gli ostaggi liberati e tre nemici catturati, volando verso Camp Lemmonier a Gibuti. Obama ha mantenuto il segreto fino a discorso finito. osama-bin-laden-homeSalendo i gradini verso il podio Obama era un comandante in capo in azione ma lo sapevano in pochissimi mentre pronunciava un discorso da leader progressista intenzionato a «sconfiggere falsi profitti e diseguali opportunità». L'importanza del testo è stata nel fare propria l'impostazione di «Occupy Wall Street», lamentando la crescente divaricazione fra ricchi e poveri, promettendo «basta salvataggi di banche con i soldi dei contribuenti» e facendosi portatore di misure tese a «rendere duratura» l'attuale ripresa e «restaurare» il sogno americano di «pari opportunità per tutti». Chiedendo a ogni cittadino di «fare fronte alle proprie responsabilità», a cominciare dal versamento delle tasse che per i milionari «deve significare pagare un'aliquota minima del 30 per cento» come suggerito dal guru di Wall Street, Warren Buffett. Una sterzata a sinistra nella quale potrebbe inserirsi anche un rimpasto del suo team di consiglieri economici. L'aria di cambiamento è avvertita da Tim Geithner, ministro del Tesoro spesso accusato di essere troppo vicino a banchieri e Wall Street, che ieri in un'intervista a Bloomberg ha detto che «Obama non mi chiederà di restare al mio posto se sarà rieletto». l'interno del compound di Osama Bin Laden Terminato il discorso, Obama è si è rinchiuso in una stanza del Capitol con la moglie Michelle, telefonando ai genitori di Buchanan: «Vostra figlia è libera». Alle 5 e 30 del mattino di ieri la Casa Bianca svelava il segreto: «Non potrei essere più orgoglioso dei soldati che hanno portato a termine la missione, l'America non tollera il rapimento di suoi cittadini». Il legame fra Obama e i Navy Seals era d'altra parte emerso con chiarezza nel discorso al Congresso: quando ha svelato di aver ricevuto dal «Team Six» la «bandiera portata nel raid di Abbottabad firmata da ogni soldato» e allorché ha chiesto a deputati e senatori di «prendere esempio» dai Navy Seals capaci di «unirsi e agire per il bene della nazione» senza dividersi fra democratici e repubblicani. I MANIFESTANTI DI OCCUPY WALL STREET SPINGONO SULLA RETE jpeg Al di là del pathos di una giornata non comune, la sovrapposizione fra leader progressista e comandante in capo consente a Obama di rivolgersi ad un ampio spettro di elettori, dai militanti di Zuccotti Park alle truppe speciali di Fort Bragg, lasciando intendere di puntare ad essere rieletto con una maggioranza molto ampia. TIMOTHY GEITHNER TAG: Barack Obama,Osama Bin Laden,Leon Panetta,Navy Seals,Jessica Buchanan,Occupy Wall Street,Warren Buffett,Tim Geithner,Fort Bragg,Zuccotti Park by dagospia

A DAVOS SI SCIA SULLA CRISI - AL FORUM DEI POTERI FOTTUTI IN SVIZZERA, COLORO CHE HANNO MESSO IL MONDO IN GINOCCHIO CON LA “FINANZA CREATIVA”, SI ATTEGGIANO A CASSANDRE - DAGLI ECONOMISTI DEL FMI AL CAPO DI PIMCO, DAL NOBEL STIGLITZ AL MILIARDARIO SOROS, TUTTI D’ACCORDO CHE IL 2012 SARÀ MEDIAMENTE MERDOSO - E ROUBINI, CHE FA LA CASSANDRA COME PROFESSIONE, ORMAI NON FA PIÙ NOTIZIA, ED È STATO RELEGATO A CONFERENZE MINORI…

IN CALO L'AUDIENCE DI ROUBINI PESSIMISTA DI RUOLO Federico Fubini per il "Corriere della Sera" ROUBINI IN MEZZO A MARTIN WOLF E MARIA BARTIROMO DAL TWITTER DI ROUBINI Ieri verso mezzogiorno Nouriel Roubini, professore di economia alla New York University, ha preso il suo smartphone e ha fotografato la folla. I banchieri, i grandi industriali, i capitani degli hedge fund si accalcavano alle tavole del buffet della giornata di apertura del World Economic Forum a Davos. Roubini ha affisso la foto su Twitter, con un commento: «Non solo nutrimento per il pensiero qui a Davos». In quel gesto c'è molto del suo personaggio. Roubini si mischia alla folla di Davos, eppure sottilmente la deride. Fa parte del club, è amico dei banchieri, è una star per i grandi media globali, ma allo stesso tempo si sente fuori. Partecipa alle conferenze delle grande case finanziarie - la sua tariffa di base è di 25 mila dollari - però si fa vedere fra gli indignati di Occupy Wall Street a Zuccotti Park. ROUBINI E KEN ROGOFF A DAVOS DAL TWITTER DI ROUBINI Non sono contraddizioni insostenibili nella società di Davos, per definizione disposta a discutere. Eppure, a differenza degli ultimi anni, quest'anno a Roubini il «World Economic Forum» ha offerto un palcoscenico più piccolo. Ieri è intervenuto a un incontro a porte chiuse un po' oscuro, all'ora di pranzo. E nei prossimi giorni lo faranno parlare in contemporanea al presidente della Banca centrale europea Mario Draghi (ma in un'altra sala) e sull'arte di fare previsioni, non sulle sue previsioni vere e proprie. Per la prima volta da tempo l'organizzazione non lo ha invitato sul palco nei grandi dibattiti di apertura, per i quali sono stati preferiti economisti più ortodossi come Raghuram Rajan e Kenneth Rogoff. Rajan e Rogoff sono entrambi ex capoeconomisti del Fondo Monetario Internazionale; Roubini invece non potrebbe mai diventarlo, esattamente per il motivo che ha fatto di lui il primo economista al mondo con uno status da rockstar: è cronicamente pessimista. Iniziò a esserlo quando non era di moda, e lui era solo un docente poco citato, affrontando la derisione nel 2005 e nel 2006 quando annunciò in anticipo il crac in arrivo della finanza immobiliare americana. Poi non ha più abbandonato la formula che lo ha reso famoso. FOTO ROUBINI ASSALTO AL BUFFET DI DAVOS A novembre, prima che gli spread italiani crollassero di quasi 200 punti-base, Roubini aveva già scritto che l'Italia avrebbe dovuto organizzare il proprio default. Berry Eichengreen, di Berkeley, l'ha (indirettamente) accusato di calcare i toni solo per promuovere se stesso. In ogni caso prevedere sempre il peggio era una tecnica efficace, che faceva sentire più intelligenti i padroni di Wall Street assembrati in sala a Davos ad applaudire. Fino a quando, anche loro, hanno iniziato a chiedere un intrattenimento diverso. 2 - LA GRANDE SFILATA DELLE CASSANDRE IN GARA SULLE PREVISIONI AL RIBASSO Giuliana Ferraino per il "Corriere della Sera" Anni di crisi, tempo di Cassandre. Politici, economisti, manager, analisti sembrano fare a gara nel prevedere terribili sciagure sul futuro dell'euro e del progetto europeo. Con ripercussioni inevitabili sul resto dell'economia globale. Nella mitologia greca Cassandra, figlia di Priamo, re di Troia, e di Ecuba, aveva ricevuto dal dio Apollo, che si era invaghito di lei, il dono della profezia. Ma poi, quando non mantiene la promessa di sposarlo, Apollo decide che nessuno le crederà più. George Soros Oggi è una Cassandra chi vede cupo, preannuncia guai o minaccia disastri, indipendentemente dal fatto che poi le previsioni si avverino. «Cassandra Lagarde», intitolava ieri il Wall Street Journal in un editoriale. Nel mirino del giornale Usa il monito lanciato da Berlino dal numero uno del Fondo monetario internazionale. Senza azioni radicali, il mondo andrà incontro alla prospettiva di un'altra Grande Depressione, aveva messo in guardia Lagarde lunedì. E il giorno dopo il Fmi ha ribassato tutte le stime sulla crescita dell'economia globale per il 2012, e chiesto all'Europa di rafforzare il fondo salva Stati. «Il pessimismo è nell'aria di montagna», titolava ieri il Financial Times. È l'aria di Davos, visto che un sondaggio tra alcuni economisti che partecipano al World Economic Forum rileva quanto siano sfiduciati sul futuro, nonostante l'umore sui mercati finanziari sia migliorato nel 2012 e i dati economici abbiano superato le attese. CHRISTINE LAGARDE Carmen Reinhart, senior fellow al Peterson Institute for International Economics, prevede un «seria stretta economica o un altro anno di alta disoccupazione, debole crescita e ripresa ritardata in generale tutte le economie avanzate». Il Nobel per l'economia Joseph Stigliz mette in guardia contro il rischio di «un nuovo crunch», peggiorato dalla «debolezza di risposte politiche appropriate». Kenneth Rogoff dell'Università di Harvard si chiede se finalmente l'eurozona si sveglierà e realizzerà che almeno due o tre Paesi periferici necessitano di enormi svalutazioni e possibilmente di «un sabbatico dall'euro». La Cassandra del giorno? Ieri a Davos il miliardario George Soros è arrivato a dire che la Grecia sarà espulsa dall'euro entro quest'anno. Non è una posizione isolata. Atene è il bersaglio preferito dei catastrofisti del nostro tempo. Il tedesco Hans Werner Sinn, direttore generale dell'Istituto di ricerca economica Ifo, ha sentenziato più volte che «il rischio di spaccatura è concreto». A suo modo di vedere la fine dell'eurozona non è questione di «se» ma solo di «quando». E per lui la Grecia dovrebbe uscire immediatamente. Mohamed El-Erian, ex economista del Fmi e ceo di Pimco, il maggiore gestore di bond del mondo, di solito centra le sue previsioni. L'ultima volta, in estate, all'indomani del downgrade del debito sovrano americano da parte di Standard & Poor's aveva pronosticato che la Francia sarebbe stata il prossimo Paese a perdere la tripla A. E' successo un paio di settimane fa. Ed El-Erian sostiene ormai da quasi due anni che Atene deve abbandonare, almeno temporaneamente, la moneta comune per salvarsi e salvare l'eurozona. Che dire delle agenzie di rating? Da S&P a Moody's a Fitch, i loro ammonimenti sono profezie che si auto-avverano immancabilmente. Perfino i politici, una volta i primi a promettere un futuro più roseo, di questi tempi sono iscritti ai club dei tenebrosi. Quest'anno, presagiscono, sarà pieno di insidie. MERKEL A DAVOS La cancelliera tedesca Angela Merkel nel suo discorso di fine anno ha predetto che «il 2012 sarà più difficile per l'eurozona del 2011», ma rifiuta di rafforzare il fondo salva Stati. Per il presidente francese Nicolas Sarkozy è «l'anno di tutti i rischi». E il premier italiano Mario Monti ha varato un decreto per salvare l'Italia e un altro per farla crescere, avvertendo che senza riforme strutturali c'è il baratro. Un problema europeo? Forse, ma anche l'economia che corre più forte ha le sue Cassandre. Come James Chanos, fondatore del fondo Kynikos Associates, che scommette da tempo sul crollo dell'economia cinese a causa dello scoppio della bolla immobiliare. Perfino il premier indiano Manmohan Singh ha avvertito che gli indiani non devono credere che la crescita sostenuta sia garantita. A proposito, Cassandra aveva previsto la distruzione di Troia, ma nessuno le ha creduto. by dagospia

lunedì 23 gennaio 2012

ULTIMA CHIAMATA PER EVITARE IL CRAC DELLA GRECIA - L’ACCORDO SUL DEBITO SEMBRAVA CHIUSO, MA LE BANCHE HANNO LASCIATO IL TAVOLO: “ABBIAMO FATTO LA NOSTRA OFFERTA MASSIMA” - I CREDITORI PRIVATI PRONTI AD ACCETTARE UNA SVALUTAZIONE TRA IL 65% E IL 70% DEI BOND GRECI E AD ASPETTARE 30 ANNI PRIMA DI INCASSARE - DALL’ACCORDO DIPENDE LA NUOVA TRANCHE DI AIUTI (160 MLD €) - SE ATENE CONTINUA AD AFFONDARE NELLA RECESSIONE, SARANNO SOLDI AL VENTO…

GRECIA: DALLARA, LE BANCHE HANNO FATTO LA LORO OFFERTA MASSIMA... Corriere.it - Le banche e i creditori privati della Grecia hanno presentato la loro "offerta massima" e raggiunto il limite delle perdite che sono in grado di sopportare. Lo ha detto alle televisione greca Charles Dallara, il capo dei negoziatori bancari dell'Istituto della Finanza Internazionale, rinviando il regolamento del piano di scambio del debito ai creditori istituzionali: Ue, Bce e Fondo Monetario Internazionale. Stara' a loro, ha detto Dallara, decidere tra il piano di scambio volontario dei crediti e il default. "Siamo al bivio e rimango piuttosto ottimista", ha aggiunto. grecia - Papademos 2- EUROGRUPPO: ULTIMA CHIAMATA PER EVITARE IL DEFAULT DELLA GRECIA... Finanzaonline.com - Nulla di fatto nel weekend per le trattative tra Atene e gli investitori privati per trovare un accordo che consenta alla Grecia di evitare il default. Nell'Eurogruppo di Bruxelles che si terrà oggi, quindi, sarà il debito greco a tenere banco. La riunione preparatoria inizierà alle 17 di oggi, e preluderà all'incontro di lunedi prossimo del Consiglio dell'Unione, in cui si discuterà del rafforzamento del fondo salva Stati e del meccanismo di stablità finanziaria europeo. Intanto, la Finlandia ha votato al primo turno il candidato presidente sostenitore dell'Euro Ninisto, mentre la Croazia ha scelto di far parte dell'Ue a partire dal prossimo anno. evangelos-venizelos 3- GRECIA TRATTATIVA A OLTRANZA SUL DEBITO - IL NEGOZIATO PROSEGUE. ACCORDO VICINO... Sandra Riccio per "la Stampa" Vanno avanti a rilento le trattative sullo swap del debito greco con le banche. Nel pomeriggio di ieri si erano diffuse voci di uno stop nei colloqui quando, a sorpresa, Charles Dallara, presidente dell'International Institute of Finance (Iif) che rappresenta le banche creditrici della Grecia, ha lasciato la capitale greca per tornare a Parigi prima di aver raggiunto una intesa definitiva. grecia Eppure sempre ieri la stampa ellenica si diceva certa di una decisione sul taglio del debito pronta e firmata già per lunedì mattina, giusto in tempo per la riunione di inizio settimana dell'Eurogruppo che in agenda ha proprio il complesso dossier ellenico. Eppure il passo finale sembra ormai compiuto. Ancora nella serata di venerdì, dopo un incontro fiume con il premier Lucas Papademos e il ministro delle Finanze Evangelos Venizelos, l'Iif aveva fatto sapere che «un accordo sta prendendo forma». A quel punto era stata anche convocata una conferenza stampa per il 24 gennaio, a riprova del risultato raggiunto. IL CRAC DELLA GRECIA A poche ore di distanza dalle parole di ottimismo, gli sforzi fatti fino ad ora sembrano di nuovo in bilico. La notizia dello stop era arrivata da fonti del governo ellenico mentre per la Tv del Paese i negoziati sarebbero proseguiti via telefono, se necessario. Non una rottura, anzi. «Ci sono stati progressi», «è un momento importante» ha comunicato in serata l'Iif che si è mostrato ottimista «sulla finalizzazione di un accordo storico» col governo greco. Agli invitati al tavolo delle trattative mancherebbe ormai solo la decisione sulle cifre finali. Certo è che la chiusura dell'accordo è la condizione necessaria perché la Grecia riceva un secondo programma di aiuti internazionali da 160 miliardi di euro ed eviti quindi un default disordinato, vale a dire la bancarotta. Il Paese a marzo dovrà rimborsare titoli in scadenza per 14,5 miliardi, un banco di prova che molti analisti hanno già definito insuperabile. grecia pallone Secondo le fonti, si sono comunque registrati notevoli progressi sui dettagli dell'intesa, che dovrà avere però il benestare di Ue e Fmi, che per dare il via al nuovo piano di aiuti insistono su un taglio sostanzioso del carico di debito sulle spalle di Atene. I creditori privati sarebbero pronti ad accettare una svalutazione tra il 65% e il 70% dei bond greci nel loro portafoglio e accettare un'estensione a trent'anni della maturità dei titoli per un tasso di interesse medio del 4%. In cambio riceveranno buoni a breve scadenza dell'Efsf per un valore pari al 15% dei loro crediti nei confronti di Atene. Intanto il governo greco non esclude la necessità di adottare delle nuove misure di austerità per raddrizzare l'economia del Paese che siede su una montagna di debiti da 352 miliardi di dollari, pari al 161% del Pil. In mano ai privati, alle banche e agli Hedge Funds ci sono circa 206 miliardi di dollari. PROTESTE ATENE Se il taglio in programma riuscirà, il debito ellenico dovrebbe abbassarsi al 152%, stando ai calcoli fatti da Bruxelles e dall'Fmi. Per il Fondo monetario la ristrutturazione deve garantire una riduzione del debito al 120% del Pil entro il 2020, traguardo reso ancora più difficile dal deterioramento delle prospettive di crescita del Paese. Il raggiungimento di questo obiettivo, spiega una fonte comunitaria, «dipenderà da come sarà costruita l'analisi di sostenibilità del debito, che non è una scienza precisa ma quasi una forma d'arte». Ma anche a patto che l'economia ellenica esca dalla pesante recessione già nel 2013 per crescere poi a ritmi sostenuti. Una tenda per niente in vista. Grecia by dagospia

venerdì 20 gennaio 2012

Governo ombra

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. -------------------------------------------------------------------------------- Puoi migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le linee guida sull'uso delle fonti. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Il governo ombra (in inglese shadow cabinet) è un'istituzione politica, presente in alcuni sistemi parlamentari, costituita dal capo dell'opposizione, che la dirige, e da parlamentari dell'opposizione (i ministri ombra) incaricati di seguire da vicino, proprio come un'ombra (da cui il nome), l'attività dei corrispondenti ministri del governo in carica. Compito del governo ombra è svolgere un'azione critica verso le decisioni del governo in carica, proponendo alternative. Normalmente se il partito di opposizione successivamente vince le elezioni, il leader dell'opposizione diventa primo ministro e i membri del governo ombra vanno ad occupare i corrispondenti posti nel governo in carica. Sorto in Gran Bretagna, il governo ombra si è diffuso nelle ex colonie britanniche (India, Canada, Australia, Nuova Zelanda, altri stati del Commonwealth, ecc.) e, in seguito, anche in altri paesi con sistemi bipartitici o, quantomeno, bipolari. Tuttavia, mentre negli ordinamenti riconducibili al cosiddetto sistema Westminster il leader dell'opposizione e il suo governo ombra hanno uno status ufficiale, in altri sistemi il governo ombra è, di solito, solamente un organismo interno di partito. In alcuni partiti (ad esempio il Partito Laburista britannico e quello australiano) i membri del governo ombra sono eletti dal gruppo parlamentare e il leader dell'opposizione si limita a distribuire loro gli incarichi. In altri partiti, invece, è il leader dell'opposizione a scegliere i membri del governo ombra.

Dollaro contro Euro

di Marco Giaconi In un documento del 2009 la Commissione Europea prevedeva che tutta l’area dell’Unione raggiungesse il rapporto debito/PIL oltre il 100% entro il 2014. Ovvero, l’attacco ai titoli del debito sovrano europeo avrebbe depauperato tutti i finanziamenti per la riconversione industriale in atto, generato una maggiore necessità di spesa sociale per i poveri, nuovi o vecchi, reso impossibile il rifinanziamento dei debiti industriali. Una riedizione del vecchio Piano Morgenthau USA per la Germania appena denazificata: “un grande pascolo per le greggi, con qualche azienda locale”. Meno male ci fu la “guerra fredda” a salvare l’economia germanica. La guerra fra potenze, soprattutto tra quelle formalmente alleate, è fatta per la conquista pacifica ma non meno feroce di una guerra guerreggiata del mercato-mondo, e gli italiani, incapaci di capire la durezza soffusa e ovattata dello scontro in atto, sono i meno adatti a gestirla. Nel nostro paese di “camerieri e baristi”, secondo il detto di Filippo Tommaso Marinetti, si va da un’adorazione degli States come di coloro “che hanno portato la democrazia” (come se l’infausta invenzione ateniese viaggiasse come una Madonna Pellegrina), all’odio residuo per i tedeschi, cattivissimi come sempre. In effetti, la questione è ancora più semplice: gli USA hanno stampato, e lo chiamano con un eufemismo quantitative easing (visto che la Federal Reserve di Washington ha già speso una quantità di carta moneta tale da sostenere 2.045 trilioni di titoli di stato USA), una massa di dollari tale da far paura anche a Goldfinger, il criminale che voleva irraggiare con l’uranio l’oro di Fort Knox, nel celebre film di 007. La sequenza nell’area Euro è ben nota: i governi della UE, senza capire che la crisi greca è etero-diretta, concedono 110 miliardi per sostenere la finanze pubbliche di Atene, ma la speculazione contro l’Euro prosegue con l’attacco alle risorse, soprattutto private, detenute all’estero da Spagna e Portogallo; la UE, ancora, prevede la creazione di una Financial Stability Authority con una “potenza di fuoco” da 440 miliardi di Euro, alla quale si aggiungono 60 miliardi di Euro da parte della Commissione Europea e 250 miliardi da parte del Fondo Monetario Internazionale. Il problema è “politico” (come dicevano i capetti del sessantotto nelle assemblee studentesche). Gli USA non vogliono assolutamente un Euro che faccia concorrenza al Dollaro come “prestatore di ultima istanza”. Perché per rendere credibile l’uscita del loro paese dalla crisi del 2008, con tutta la carta moneta stampata a cavolo, hanno necessità di collocare una massa di denaro immensa nel mercato-mondo, e quindi vogliono ridurre il peso e l’area dell’Euro nel mercato-mondo. È iniziata la battaglia finale tra il dollaro (che non può non essere la moneta base del mercato universale, a pena di rendere l’economia USA una struttura periferica) e l’Euro, che Washington ha accettato come pegno per l’unione europea e quella germanica, la fine della guerra fredda nella penisola eurasiatica, e che per gli USA non può non essere una “moneta veicolo” del Dollaro. Alcune fonti narrano che Gheddafi abbia inconsapevolmente firmato il suo certificato di morte quando ha affermato che voleva creare un dinaro-oro panafricano, garantito dalla Libia, per pagare il petrolio estratto, l’Iran ha già, da anni, una “borsa” petrolifera, sull’isola del Golfo Persico di Kish, che tratta barili di greggio in Euro. Insomma, la battaglia è chiara: se l’Euro (senza eccessivi quantitative easing) copre il mercato per il dollaro inflazionato che gira dopo la crisi del 2008, allora la situazione per la moneta di Washington diventa molto triste, e l’Euro si trova ad ereditare, senza averne peraltro le palle politiche e strategiche, il ruolo di prestatore di ultima istanza. Quindi, o la UE si prende il rischio di una politica estera, di difesa e sicurezza oltre che finanziaria, del tutto autonoma dagli USA, con una diversa azione verso Pechino, una autonoma linea di intervento sull’India, e una autonoma visione sulla “democratizzazione” del Maghreb, voluta spesso dagli apparati di Washington in correlazione con i Servizi e i vecchi regimi dell’area, oppure diventiamo quelli che scontano i titoli in eccesso degli USA, in attesa che ci aiutino ancora. Il riflesso condizionato della “guerra fredda”. La Germania, come è probabile, ballerà da sola, secondo il Piano N-Euro definito dalla “Università Helmut Schmidt” delle Forze Armate tedesche. Viene in mente la strigliata che il cancelliere socialdemocratico di Amburgo propinò agli americani nel 1979, quando li accusò di rovesciare i loro petrobonds nella speculazione senza costrutto destinata a distruggere le economie latino-americane. Oggi la questione è passata da questa parte dell’Atlantico. Il programma del BND prevede: chiusura delle banche tedesche, timbraggio dei biglietti euro provenienti dall’estero, una settimana per permettere alle banche locali di ridenominare i conti nella nuova valuta “echt deutsch” (magari con l’Olanda), apprezzamento probabile almeno del 22% della nuova valuta sull’Euro, inizio del cambio con il vecchio Euro agli sportelli. Il costo non sarebbe irrilevante: 230 miliardi, ma il problema non è il costo della nuova moneta inserita overnight, come i ladri del Vangelo. Se la quota di presenza stabile dell’export tedesco in Cina, India, e in Africa permetterà questo apprezzamento della nuova valuta, Berlino lascerà l’Euro ai paesi del sud-Europa. La questione vera è quanto Berlino pensa di spendere nel salvataggio delle aree euro disastrate, e quanto pensa di guadagnare, in termini di export, dalla caduta dell’Euro che potrebbe favorire le sue industrie esportatrici: quando il punto di equivalenza tra le due spese sarà raggiunto, i tedeschi molleranno la moneta unica europea, impostagli loro dalla Thatcher e da Mitterrand, e voleranno verso il loro Neues-Neues Deutsche Mark, senza il peso di dover comprare i titoli di Stato di economie UE che gli fanno concorrenza. Quando gli USA capiranno che è meglio avere Berlino dalla loro parte, in una divisione internazionale dell’export, invece che costringere la Germania Unita a tenersi il fardello dei poveri mediterranei, allora l’Euro sarà definitivamente morto. A poco vale la visione a breve periodo di certi “professori” che dicono che una nuova divisa tedesca, o un Euro del Nord, chiuderebbe i mercati all’export di Berlino perché naturalmente “forte”. Berlino calcolerà i vantaggi e gli svantaggi, tra i quali vi sono quelli di una contrazione temporanea delle esportazioni per evitare il carico, probabilmente più che decennale, dei debiti dei “mediterranei” sulle loro finanze pubbliche, il che potrebbe distruggere la formula economica attuale di Berlino, e favorire l’area del Dollaro. Ma ormai la Seconda Guerra Mondiale è davvero finita, e la Germania vuole vincere, nell’economia, come è accaduto al Giappone negli anni ’70, quella guerra contro il “lender of last resort” (“prestatore di ultima istanza”) che ha perso con le armi. Se la svalutazione dell’Euro andrà avanti allegramente, come si prevede adesso, allora il dollaro starà fermo e coprirà, con l’inaffidabilità della moneta unica europea, la propria irrilevanza, se invece l’Euro dovesse mantenere un tasso vicino a quello della divisa di Washington, sarà guerra aperta, e senza quartiere. Le guerre moderne si combattono così, non occorre un carpet bombing per impoverire un paese-bersaglio, basta gestire globalmente i suoi cambi monetari. http://www.alleo.it/content/dollaro-contro-euro

PIANO DEL GOVERNO OMBRA 303

IL PIANO DEL GOVERNO OMBRA 303, PREVEDE DI FAR CROLLARE L EURO E L ECONOMIE DEI PAESI DELLA ZONE EURO ENTRO LA FINE DEL 2012 CON LO SCOPO DI FAR RINASCERE IL POTERE DEGLI STATI UNITI D AMERICA E DEL DOLLARO COME MONETA MONDIALEA DISCAPITO DEL EURO. IL GRUPPO 303 COMPOSTO DA TRE FORSE MASSONI JOHN LUIS WHITE,RUDOLF LINCE JR, ROBERT W.GREEN MEMBRI DI FAMIGLIE FACOLTOSE E SEMBRA DISCENDENTI DAI PADRI FONDATORI DEGLI STATI UNITI D AMERICA . FONTE WHITE BLACK 888

Stato immobile e sprecone: lascia 5 miliardi all'estero

antonio castro Un tesoretto dimenticato - stimato in oltre 5 miliardi l’anno - nelle casse del fisco. Letteralmente regalato al fisco dei Paesi dove i risparmiatori italiani investono. È un problema di doppia imposizione, uno dei problemi a dire il vero (l’altro è quello relativo alla doppia tassa applicata ai beni ereditati), problema che decurta i dividendi. Una prima volta nel Paese in cui si è investito e un’altra in quello dove si fa la dichiarazione dei proventi. In teoria gli oltre 80 accordi bilaterali che l’Italia ha sottoscritto con altrettanti Paesi dovrebbero evitare agli investitori nostrani di pagare due volte. In pratica, però, il meccanismo non prevede un automatismo e quindi se non si fa domanda - e la procedura non è semplice - per recuperare quanto si è pagato in più, la differenza di tasse rimane nei forzieri fiscali del Paese dove ha sede fiscale la società sulla quale si è scelto di “scommettere”. Morale: secondo una multinazionale americana che recuperando parte di queste doppie tasse ha fatto affari d’oro fin dal 1992 (la Globaltax), a livello mondiale ogni anno finiscono per perdersi «centinaia di miliardi di dollari proprio a causa del meccanismo della doppia imposizione». Un esempio pratico aiuta a districarsi nella selva di norme e regolamenti diversi a seconda del Paese. Se si investe in Svizzera, o meglio in un’azienda con sede fiscale tra i Cantoni, la tassazione sui rendimenti o sul dividendo applicata sarà del 35%. Una volta staccato il dividendo il fisco elvetico applica la tassa di competenza (il 35% appunto). Ma non basta. Perché come al cliente italiano arriva l’interesse sull’investimento lo Stato italiano applica la propria di tassa (che fino al 31 dicembre era del 12,5% lievitata dal 1 gennaio al 20%). Insomma, al povero investitore tocca oggi pagare una prima volta in Svizzera (o a secondo dell’aliquota vigente nel Paese d’investimento) e poi una seconda appena varcato il confine fiscale (in Italia). In teoria l’Italia proprio per evitare di far pagare due volte le tasse sul medesimo rendimento ha sottoscritto accordi bilaterali che prevedono generalmente per gli investitori un’aliquota a forfait del 15% sui dividendi (che scende al 10% sugli interessi delle obbligazioni di società). Quindi, nel caso della Svizzera, l’italiano potrebbe recuperare un dignitoso 20%. Peccato che la procedura sia molto complessa (tanto da coinvolge anche l’Agenzia delle Entrate) e che spesso neppure le grandi banche siano in grado di assistere il cliente. Morale: i rimborsi richiesti superano a stento solo il 10% del totale fiscale prelevato nei Paesi stranieri. All’Abi, l’Associazione bancaria italiana, sono consapevoli del problema e le grandi banche si stanno attivando per vedere di recuperare capitali. Forse, però, sarebbe opportuno rendere automatico (e magari telematico) il sistema di richiesta. Cinque miliardi l’anno, per almeno tre anni (termine medio per la prescrizione) fa la bella cifra di 15 miliardi. Che tornerebbero sui conti correnti degli investitori e porterebbero denaro fresco a tutto il sistema bancario e all’intero sistema Paese. Però servirebbe un intervento legislativo ad hoc. Sempre che la doppia imposizione fiscale interessi a qualcuno. A Bruxelles, almeno in materia di beni all’estero, si sta provvedendo. A fine dicembre è stato adottato un pacchetto sulla doppia imposta di successione. Si era arrivati al paradosso di dover vendere il bene ereditato per poter pagare le due diverse tasse. Per il momento è partita la “discussione” tra gli Stati membri. Bisognerà vedere se anche in materia d’investimenti e doppia imposizione l’Italia vorrà rivedere l’impianto normativo. Pagare le tasse è giusto, ma due volte forse è un po’ troppo. di Antonio Castro

IL RICATTO DEI I SIGNORI DEL PETROLIO - PER ABBASSARE IL COSTO DELLA BENZINA INCASSANO DA MONTI IL VIA LIBERA DI TRIVELLARE IN MARE A RIDOSSO DELLE COSTE (IL LIMITE PASSEREBBE DA 12 A 5 MIGLIA MARINE) - TRIVELLE FACILI ANCHE IN BASILICATA (DOVE FIOCCANO LE INCHIESTE PER CORRUZIONE SUGLI APPALTI) - L’ORO NERO ESTRATTO DAI NOI RENDE DI PIÙ PERCHÉ ABBIAMO LE ROYALTIES SETTE VOLTE PIÙ BASSE DEL NORMALE…

Marco Palombi per il "Fatto quotidiano" Pozzi di petrolio Il ministero dell'Ambiente smentisce, fonti dello Sviluppo economico invece confermano eccome: "Ci stiamo lavorando". Il tema sono i tre articoli presenti nella bozza del decreto liberalizzazioni che renderebbero assai più facile trivellare il nostro territorio alla ricerca di nuovi giacimenti di idrocarburi (ve lo abbiamo raccontato ieri): maggiori investimenti infrastrutturali in Basilicata per implementare fin da subito la produzione di petrolio (da 80mila a 104mila barili al giorno), snellimento delle procedure per le concessioni, norme più lasche per l'attività in mare (il limite per "bucare" passerebbe da 12 a 5 miglia marine). pompe di benzina Questo è il progetto del governo, il quale conta in questo modo non solo di incassare più soldi in royalties e tasse, ma ritiene pure che questo ci farebbe fare bella figura con le agenzie di rating: Standard & Poor's - si legge nella relazione al decreto - a settembre ha alzato la sua valutazione su Israele dopo il via libera ai trivellamenti off shore. A voler pensare male, però, si potrebbe considerare il tutto anche come una sorta di partita di giro con le grandi compagnie petrolifere: se da un lato il decreto liberalizzazioni le costringe alla vendita di almeno il 30% per cento dei loro distributori e ipotizza per l'Eni il futuro scorporo di Snam Rete Gas, dall'altro gli concede in regalo il territorio italiano (dove, peraltro, si pagano royalties dalle cinque alle sette volte più basse del normale). Mario Monti D'altronde, nonostante l'esecutivo Monti sostenga il contrario nella sua relazione, non è che richieste e tentativi di trivellazione si siano fermati: sono ben 117, informa un dossier dei Verdi, le concessioni attive per cercare petrolio in mare e sulla terra e ben 21 permessi sono arrivati nell'ultimo anno. Gli operatori sono quasi tutti stranieri: a parte Eni e Edison, ci sono gli inglesi della Northern Petroleum, della Shell, di Puma e di Medoil Gas, gli irlandesi della Celtic, gli australiani della Audax, i francesi della Total. E altri arriveranno, perché si tratta di un affare enorme: solo dalla Basilicata - dove peraltro fioccano le inchieste per corruzione sugli appalti nelle zone petrolifere - le compagnie incasseranno 3,6 miliardi di euro quest'anno per estrarre quello che oggi è l'80% del petrolio italiano. Con queste nuove norme, in ogni caso, sono le ricerche off shore quelle maggiormente incentivate. Anche qui, non è che fossimo fermi fino a ieri, anche se poi la rivolta di cittadini e associazioni ha spesso bloccato le trivelle: fino a maggio 2011, infatti, erano già stati rilasciati 25 permessi di ricerca per trovare idrocarburi in mare per un totale di 12 mila km di mare, una cosa un po' meno grande della Campania. Eni I fondali interessati sono quasi in tutta Italia: 12 richieste riguardano il canale di Sicilia, 7 l'Adriatico settentrionale, 3 il mare tra Marche, Abruzzo e Molise, 2 la Puglia e 1 la Sardegna. Detta in altri termini, rischiano le acque meravigliose di Pantelleria e delle Egadi, rischiano le Tremiti (il Tar ha bloccato tutto, si aspetta il Consiglio di Stato), rischia il mare di Brindisi, rischiano tutte le Marche a nord e a sud di Ancona, rischia in Sardegna il mare tra Bosa e Oristano, rischia la splendida Val di Noto in Sicilia e ancor peggio andrà se le nuove norme saranno approvate. "Potrebbe essere interessata una superficie di 30mila km", dice Angelo Bonelli. Le istanze di ricerca in mare ancora pendenti, per dire, sono quasi 40 (al 90% presentate da compagnie straniere) e adesso potranno riguardare tratti di mare molto più vicini alla costa. shell "Ma il gioco, come ripetiamo da anni, non vale la candela - spiega il presidente dei Verdi - Secondo il ministero dello Sviluppo economico le riserve stimate in Italia sono 187 milioni di tonnellate (11 a mare), che agli attuali tassi di consumo - che nel 2010 ammontavano a 73,2 milioni di tonnellate - verrebbero consumate in meno di trenta mesi, cioè in due anni e mezzo". Le associazioni ambientaliste, ovviamente, sono fuori dalla grazia di dio: "Il nuovo governo - dice Legambiente - sceglie la via più antica e obsoleta: quella di svendere il paese ai petrolieri. Alla faccia della green economy". Greenpeace propone, a partire dalla manifestazione "No Triv" di domani a Monopoli (città davanti a cui si vorrebbe trivellare), di creare una rete nazionale dei territori a rischio. by dagospia

giovedì 19 gennaio 2012

L'Italia fallirà e tornerà alla lira

L'ITALIA E' FALLITA, SI TORNA ALLA LIRA

di Loretta Napoleoni - 28 Novembre 2011 Un team di avvocati è al lavoro da mesi per studiare l'uscita dall'Euro. Bloccheranno i conti correnti per una settimana, servirà per tornare alla vecchia moneta. Il sistema Euro è crollato In finanza, quindi Piazza Affari, Londra, Tokyo e Wall Street, si parla di default multiplo già da giugno e infatti noi ne abbiamo parlato qui su Cadoinpiedi. C'è anche un programma che è iniziato quest'estate di ricerca da parte sia della Germania che della Francia, quindi diciamo i paesi al centro dell'Euro, per trovare una soluzione nel caso in cui Grecia, Italia, Portogallo, Spagna, Irlanda non ce la facciano. Un team di avvocati lavora già da diversi mesi e questo programma è quasi completo, il che vuole dire che c'è la possibilità che questo Euro si spacchi e che quindi una parte che diciamo è la parte del Nord Europa, quella che ha seguito una politica fiscale di maggiore austerità negli ultimi dieci anni, si ricostituisca intorno a un Euro che sarà un Euro forte. Il resto andrà in default . In Italia di queste cose non se ne è parlato perché non se ne è voluto parlare e in realtà se uno parlava con chiunque operava sulle piazze affari internazionali che l'Italia potesse andare in default era una possibilità. Certamente una possibilità abbastanza remota a giugno però oggi siamo quasi arrivati al momento cruciale. Io quello che posso dire è quello che alcuni avvocati di questo team che stanno lavorando al possibile default mi hanno detto è che succederà un po' com'è successo in Argentina, potrebbero chiudere le banche per una settimana, i depositi potrebbero essere congelati, si potrà prelevare una certa quantità di denaro quotidianamente (in Argentina erano l'equivalente di 250 dollari) e in questa settimana di "congelamento" ci sarà la conversione dall'Euro alla moneta che si vuole scegliere, per esempio l'Italia potrebbe tornare alla lira. Però questo comporterà anche dei cambiamenti a livello pratico. Dopodiché i risparmiatori italiani chiaramente si ritroveranno le lire. Questo significa che se uno vive in Italia e non va all'estero non ha grossi problemi, al contrario la debolezza della moneta sarebbe un danno. Certo, chi ha i soldi fuori, chi ha gli Euro fuori, sarà avvantaggiato perché ci sarà una svalutazione della lira e il tasso di cambio sarà il tasso di cambio che verrà deciso chiaramente dalle autorità monetarie e anche dalle autorità europee. Credo sarà molto vicino al tasso di cambio al quale la moneta è entrata e quindi 1936,27 lire. Chiaramente ci sarà una svalutazione e quindi questi soldi varranno di meno alla fine della settimana di conversione di quanto valevano all'inizio. Poi c'è questa notizia che l'Fmi smentisce gli aiuti all'Italia... Questa notizia molto probabilmente è stata passata a chi l'ha pubblicata perché mercoledì c'è l'asta dei Btp decennali e quindi si voleva in un certo senso rassicurare i mercati. E infatti oggi FMI ha smentito qualsiasi aiuto. Questa mattina alla borsa di Londra ci sono state già delle reazioni abbastanza negative perché chiaramente si pensa che gli italiani l'abbiano pubblicata appositamente. E questa è una cosa gravissima perché dà proprio l'impressione anche della poca professionalità del mercato italiano. Del resto il problema fondamentale qui è un problema di fiducia, nel senso che non si ha più fiducia nei confronti dell'Euro. Pensiamo anche a quello che è successo giovedì scorso, con i tedeschi che non sono riusciti a piazzare i loro Bund, ma non solo questo. Il rendimento è arrivato ai livelli del rendimento dei Gilt, quindi dei buoni inglesi. I buoni inglesi hanno un solo elemento di vantaggio rispetto ai Bund: sono in sterline e non in Euro. Ho paura che non ce la faremo a riprenderci, nel senso che questo multiplo default sia in realtà uno scenario molto possibile che vedrà non solo la Grecia e l'Italia ma anche la Spagna e il Portogallo (forse solo l'Irlanda si salverà perché in Irlanda si è fatta una politica completamente diversa e gli indicatori economici sono abbastanza positivi) uscire dall'euro e uscire in modo disordinato. L'ultimo elemento di preoccupazione è questo processo di ricapitalizzazione imposto alle banche che è in preparazione a Basilea 3 e quindi quello che sta succedendo sui mercati adesso è anche una riduzione drastica della liquidità disponibile sui mercati. Il che vuol dire che abbiamo un effetto di sfiducia nei confronti dell'Euro che si sovrappone a una contrazione della liquidità, quindi ci sono meno soldi in circolazione e c'è anche meno volontà di investire in obbligazioni. Le banche vendono la maggior parte delle loro obbligazioni per poter ricostituire la loro liquidità. Per cui vediamo che la Bce per esempio nel mese di settembre ha acquistato quasi 600 miliardi di obbligazioni da parte di tutta quanta l'Europa di cui 100 dalla Francia e 100 dall'Italia e il rimanente dal resto dei paesi europei, perché le banche li scambiano in cambio per poter ricostituire il proprio contante. Quindi c'è una crisi anche all'interno del mercato delle obbligazioni che non riesce a assorbire tutto quello che praticamente gli viene dato. Abbiamo due elementi: la sfiducia ma anche un elemento strutturale che è appunto la mancanza di liquidità. Testo: sbobinatura della video-intervista http://www.cadoinpiedi.it/2011/11/28/litalia_e_fallita_si_torna_alla_lira.html