venerdì 31 gennaio 2014

I VERI LUPI DI WALL STREET – IL FONDO SOVRANO LIBICO, NELLA NUOVA ERA POST GHEDDAFI, FA CAUSA A GOLDMAN SACHS PER AVERE CONVINTO CON REGALI E VIAGGI I PROPRI FUNZIONARI A SOTTOSCRIVERE CONTRATTI DA 1 MILIARDO CHE ORMAI SONO CARTA STRACCIA Il fondo libico sostiene che i banchieri, che hanno portato a casa profitti da 350 milioni di dollari, hanno cercato di influenzare il personale inesperto del fondo sovramo libico con piccoli regali, cioccolatini e dopo-barba, e un viaggio di lusso in Marocco. Un portavoce della banca ha definito queste informazioni "senza fondamento"…

Carlotta Scozzari per Dagospia
GOLDMAN SACHSGOLDMAN SACHS
Il fondo di investimenti nazionale libico, Lybian Investment Authority (Lia), con un patrimonio da 60 miliardi di dollari e noto alle cronache finanziarie di qualche anno fa per essere entrato in forze nel capitale di Unicredit facendo andare su tutte le furie le Fondazioni (che pretesero la testa dell'allora amministratore delegato Alessandro Profumo), ha citato in giudizio Goldman Sachs.
El Mismari Nuri Masaud e GheddafiEL MISMARI NURI MASAUD E GHEDDAFI
In base a quanto riferisce la Corte suprema del Regno Unito, il fondo Lia, nato nel 2006 per gestire i proventi petroliferi della Libia, dove allora comandava il colonnello Gheddafi, accusa il colosso finanziario americano di "avere volutamente sfruttato la sua grande esperienza nel settore" per ottenere un profitto di 350 milioni di dollari a fronte di contratti e, in generale, di affari del valore iniziale di 1 miliardo di dollari ma che poi, complice anche la crisi, si sono rivelati carta straccia.
Gheddafi selezionava le sue vittime a scuolaGHEDDAFI SELEZIONAVA LE SUE VITTIME A SCUOLA
Goldman Sachs, sempre secondo l'accusa, avrebbe "approfittato di manager inesperti del Lia" convincendoli così a investire in contratti e affari non adeguatamente documentati. Un po' la tesi che, in Italia, hanno sostenuto i vari Comuni quando hanno citato le grandi banche d'affari per i contratti derivati che li avevano "costretti" a stipulare.
Il fondo libico sostiene che banchieri di alto livello della Goldman hanno cercato di influenzare il personale inesperto di Lia con piccoli regali, come ad esempio cioccolatini e dopo-barba, e un viaggio di lusso in Marocco. Un portavoce della banca ha definito queste informazioni "senza fondamento" e ha dichiarato che "la società si difenderà" dalle accuse.

http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/i-veri-lupi-di-wall-street-il-fondo-sovrano-libico-nella-nuova-era-post-71095.htm

martedì 28 gennaio 2014

NYT: fumetto-denuncia sull'olio italiano Coldiretti: «Vero, ma un danno enorme»

NYT: fumetto-denuncia sull'olio italiano
Coldiretti: «Vero, ma un danno enorme»

Il prestigioso quotidiano pubblica un fumetto denuncia contro la sofisticazione dell’olio d’oliva «made in Italy»

Un fumetto denuncia contro la sofisticazione dell’olio d’oliva «made in Italy». Lo ha pubblicato il New York Times, con una striscia di quindici vignette, firmate da Nicholas Blechman, l'art director del New York Times Book Review che ha utilizzato come fonte il blog «Truth in Olive Oil» gestito da Tom Mueller autore del libro «Extraverginità» sul mondo dell'olio di oliva, pubblicato da Edt.
IL FUMETTO-DENUNCIA - In «Il suicidio dell’extra vergine» si racconta di come l’olio d’oliva venga importato dall’estero (da Spagna, Marocco e Tunisia), mischiato assieme a oli di bassa qualità (il porto di Napoli sarebbe la centrale per l’importazione), quindi sofisticato col beta carotene per camuffare il sapore e venduto come italiano, grazie a leggi troppo permissive. A tutto questo - scrive il prestigioso quotidiano - si aggiungono le complicità politiche per coprire la truffa, in barba alle forze dell’ordine i cui laboratori di analisi non sono efficaci per svelare la sofisticazione. Il «suicidio», secondo il New York Times, è quello degli stessi produttori di olio che, commerciando olio contraffatto, finiscono per far crollare anche il prezzo dell’extravergine.
Il «suicidio» dell'olio extra vergine italiano
  • Il «suicidio» dell'olio extra vergine italiano sul New York Times
COLDIRETTI TOSCANA - Da parte sua, Coldiretti Toscana non la prende bene, anche perché il 70% dell’Igp prodotto in Toscana e con marchio sicuro, viene venduto negli Stati Uniti: «Le vignette avranno un effetto negativo sull’immagine e sulle vendite all’estero dei nostri prodotti – dice il presidente Tulio Marcelli – purtroppo il New York Times denuncia con forza e con efficacia una situazione che conosciamo bene tutti, politica compresa, ma a cui probabilmente non si vuole dare una risposta chiara». Sotto il pressing della Coldiretti è stata approvata nel febbraio 2013 la cosiddetta legge "salva olio" che contiene misure di repressione e contrasto alle frodi e di valorizzazione del vero Made in Italy. Ancora oggi però, la legge non risulta pienamente applicata.
IL PRESIDENTE DELLA CAMERA DI COMMERCIO -«Il fumetto pubblicato dal New York Times sulla contraffazione dell’olio extravergine d’oliva italiano mette in luce un vero e proprio crimine che prima di essere commesso nei confronti dei consumatori di tutto il mondo, viene compiuto verso la maggioranza dei nostri produttori, che sono e resteranno onesti». Lo sottolinea Vasco Galgani, presidente della Camera di Commercio di Firenze e presidente di Unioncamere Toscana. «Per tutelare il nostro olio extravergne d’oliva da anni la Camera di Commercio si è dotata di un laboratorio chimico merceologico che non solo controlla e analizza secondo i criteri di legge campioni di olio provenienti da buona parte dell’Italia, ma lavora per valorizzare l’eccellenza del prodotto attraverso ricerche nutrizionali e qualitative. Gli esiti di queste ricerche vengono poi trasferiti alle aziende che possono così migliorare ulteriormente la loro produzione. Solo negli ultimi tre mesi sono stati analizzati 480 campioni di olio extravergine di oliva provenienti da 120 aziende diverse e la qualità media è stata molto elevata. La contraffazione va combattuta, l’eccellenza va valorizzata».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Giulio Gori
http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/cronaca/2014/28-gennaio-2014/-ny-times-olio-italiano-contraffatto-pubblica-fumetto-beffa-2223986180732.shtml

IL LUPO, GRAZIE AL VIZIO, FA DI NUOVO I SOLDI - L’AUTRICE DELL’INCHIESTA SUL “WOLF OF WALL STREET” AVVERTE: NON GLORIFICATE I TRUFFATORI, LA FINANZA NE È ANCORA PIENA Roula Khalaf nel 1991 scrisse il profilo di Jordan Belfort per “Forbes” nel quale svelava le sue truffe a vedove e poveracci. Si vede anche nel film: il risultato fu di attrarre centinaia di giovani lupetti affamati di soldi - “Oggi Belfort fa il ‘motivatore’, e il successo del film gli porterà soldi e clienti. La prova che non esiste cattiva pubblicità, solo pubblicità”…

Eugenio Occorsio per ‘Affari &Finanza - La Repubblica'
jordan belfortJORDAN BELFORT
Un film, sia di finzione o come in questo caso tratto da una storia vera, si presta spesso a molteplici interpretazioni. Jordan Belfort, il "Wolf of Wall Street" sugli schermi interpretato da Leonardo Di Caprio, era in realtà un vero mascalzone. Ha rovinato vedove, orfani e una moltitudine di onesti cittadini che gli hanno affidato i risparmi di una vita vedendoli sparire nel gorgo. Ora la sua storia è diventata un film di successo, firmata da un grandissimo regista come Martin Scorsese.
La maggior parte degli spettatori esce giustamente indignata dalla visione, spesso un po' annoiata, perché di tre ore di proiezione le prime due sono dedicate alla vita dissoluta di Belfort, che s'impasticca in ogni modo possibile e si abbandona alle perversioni più diaboliche, anche se lui stesso in un'intervista ha raccontato maliziosamente che la scena più scabrosa che ha vissuto non solo non c'era nel film ma non poteva neanche raccontarla per quanto era sconcertante.
JORDAN BELFORT wolfJORDAN BELFORT WOLF
Si può avere un'impressione positiva di un tipaccio del genere? Di uno che praticava (questo è vero e nel film c'è) il "lancio del nano" in ufficio? Forse sì, purtroppo, almeno a quanto ha scritto la settimana scorsa sul Financial Times Roula Khalaf, che altri non è che il giornalista che ne svelò la vera identità. Era il 1991, Khalaf lavorava a Forbes e pubblicò un'inchiesta- verità in cui rivelava le pratiche criminali della Stratton Oakmont che il "lupo" aveva fondato a Long Island per speculare sulla Borsa di Wall Street, dopo aver lasciato l'onesta ma sicuramente molto meno redditizia attività di venditore di carne e pesce.
DiCaprio interpreta Jordan BelfortDICAPRIO INTERPRETA JORDAN BELFORT
L'articolo sul FT è un accorato appello a non prendere sul serio l'avidità, la spregiudicatezza, la follia criminale di Belfort-Di Caprio. «In un momento in cui stiamo appena riprendendoci da una crisi finanziaria, vecchi banditi sono trasformati in eroi del cinema», scrive con amarezza Khalaf.
È un articolo che fa riflettere. Khalaf, che ora si è trasferito appunto al Financial Times, esorta i suoi colleghi (di auto-esortarsi non ne ha bisogno perché è già abbastanza motivato) a non smettere di perseguire, indagare, screditare senza pietà i tanti "lupi" che si sono affacciati sulla scena finanziaria. «Dopotutto - scrive - in confronto a quello che si è visto dopo, Belfort era un pesce piccolo». Però era un pessimo esempio.
Roula KhalafROULA KHALAF
Ci vollero parecchi anni dopo la sua inchiesta su Forbes, perché Belfort venisse fermato dall'Fbi (nel 1997), processato e infine condannato a 22 mesi di carcere e al rimborso di centinaia di milioni di dollari di cui si era appropriato indebitamente. Ora ha avviato una nuova carriera, nota non senza ironica amarezza Khalaf, e insegna le "tecniche di persuasione".
roula khalafROULA KHALAF
«Ho il sospetto che con tutta la notorietà che Hollywood gli ha consegnato, i suoi affari andranno alle stelle». E anche se si può vedere il lato positivo di questo, nel senso che potrà restituire più rapidamente la montagna di soldi che deve ridare indietro, «non si può non considerare con rabbia che ancora una volta la cattiva pubblicità è pur sempre una pubblicità».

http://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/il-lupo-grazie-al-vizio-fa-di-nuovo-i-soldi-lautrice-dellinchiesta-sul-wolf-70865.htm

L ARTICOLO DI ROULA KHALAF PER FORBES SU JORDAN BELFORTL ARTICOLO DI ROULA KHALAF PER FORBES SU JORDAN BELFORT

domenica 26 gennaio 2014

Europa a caccia della nuova crescita Davos ascolta la lezione giapponese


Nella ricetta di Abe liquidità, meno tasse e investimenti privati L?appello di Rogoff ai governi: più coraggio sulla finanza pubblica

DA UNO DEI NOSTRI INVIATIDAVOS ? Il mondo a lezione da Shinzo Abe. O almeno così vorrebbe il premier giapponese che si presenta sul palco del World Economic Forum di Davos come il candidato leader della ripresa occidentale. Lo dice con una battuta: «Il mio cognome è diventato una formula, ?l?Abenomics?, ma continuerò a usarlo». È la prima giornata del vertice tra capi di governo, banchieri, manager e imprenditori tra le Alpi svizzere. Rispetto agli ultimi appuntamenti, oppressi dalla crisi finanziaria, si coglie qualche segnale di ottimismo, sia nei dibattiti sia nelle conversazioni private. Certo, a parte la Germania, l?Unione europea è sempre in difficoltà. Con una nota di allarme particolare per la Francia e una certa apertura di credito nei confronti dell?Italia. La disoccupazione resta la parola più citata. Ma almeno l?analisi degli esperti e gli annunci dei politici si stanno spostando dal territorio dell?austerità a quello del rilancio. Il premio Nobel Michael Spence, insieme con altri economisti, ha preparato uno studio sui «Nuovi modelli di crescita». Un lavoro che ancora fino all?anno scorso sarebbe stato semplicemente fuori tema.Se è così diventa comprensibile la scelta di assegnare a Shinzo Abe la copertina di questa edizione. Il Giappone ce l?ha quasi fatta, è l?opinione largamente condivisa, dunque, vediamo che cosa può insegnare a tutti gli altri.Abe, però, è un personaggio complesso, non riducibile a una visione economica, per quanto audace e innovativa. Il ?suo? Giappone deve essere in grado di recuperare centralità politica nell?area, a costo di entrare in rotta di collisione con il grande vicino, la Cina. Come dimostra la contesa sugli isolotti disabitati di Senkakus (versione giapponese) o Diaoyus (cinese). «Il Giappone e la Cina si trovano in una condizione simile a quella di Gran Bretagna e Giappone nel 1914», ha dichiarato ieri Abe in un?intervista con il quotidiano «Financial Times». Basterebbero queste parole per macchiare le slides sui progressi economici che lo staff del primo ministro ha distribuito ai giornalisti. Sul palco di Davos il leader di Tokio ha voluto tenere insieme strategie diplomatiche e aperture economiche. Con una qualche enfasi ha lanciato «un appello all?Asia», sostanzialmente alla Cina: «Rendiamo trasparenti i nostri bilanci militari, negoziamo nuove regole sulla navigazione, stabiliamo un canale di comunicazione diretto tra i nostri eserciti». Non prima, però, di dilungarsi sulla «caccia alla crescita» condotta con un modello «a tre frecce». Ecco i titoli: «una coraggiosa politica monetaria», cioè continue iniezioni di liquidità nel sistema per sbloccarlo da un periodo di deflazione (depressione e contrazione dei prezzi) durato 15 anni. Poi: «Politica fiscale flessibile», con massicci interventi pubblici (circa 20 mila miliardi di yen a regime, circa 142 miliardi di euro). Infine: «Promozione degli investimenti privati» e «rafforzamento della partecipazione delle donne alla forza lavoro». Il punto di partenza è già fuori dalla portata di molti Paesi europei: il 68% delle donne tra i 25 e i 44 anni prende parte alla produzione (l?Italia è al 46%). L?obiettivo è di portare la percentuale al 73% entro il 2020. Questo «Giappone vibrante», è la conclusione di Abe, potrebbe offrire ulteriori opportunità di crescita a Cina, Corea del Sud, India; dare slancio alla rincorsa degli Stati Uniti e, di rimbalzo, rianimare anche lo stagno europeo.Anche nella nostra parte del mondo si prova a ragionare su leve simili. Perfino il vice direttore generale del Fondo monetario, Min Zhu, invoca uno sforzo straordinario di politica fiscale, cioè investimenti pubblici, per andare oltre l?insufficiente 1% di crescita media europea. L?economista americano Kenneth Rogoff sollecita i governi Ue a concordare misure di integrazione più aggressive, mettendo mano, se è il caso, anche alla ristrutturazione dei debiti pubblici. Tocca alla politica aprire «la caccia alla crescita», o meglio a governi con piani perseguiti con forza. Questo è il segnale del primo giorno di Davos, nel segno del Giappone (quasi) rinato.© RIPRODUZIONE RISERVATA
Sarcina Giuseppe

http://archiviostorico.corriere.it/2014/gennaio/23/Europa_caccia_della_nuova_crescita_co_0_20140123_1433f41c-8407-11e3-be8e-9c3f23e956c5.shtml

mercoledì 22 gennaio 2014

IL POTERE (NEANCHE TROPPO) SOTTERRANEO DELLE LOBBY - DALLE SLOT ALL’ENERGIA, TUTTI I FAVORI PER RIPAGARLE – E LORO RENDONO IL FAVORE METTENDO SUL PIATTO 61 MILIONI PER LA POLITICA… Micucci, socio dell’ex dalemiano Claudio Velardi in Reti, società di lobbying, ha descritto in una lettera aperta al M5S (che vuole cacciare i lobbisti dal Parlamento) la giungla attuale: “Anche questo governo aveva in programma una regolamentazione della rappresentanza di interessi e non se ne è fatto nulla perché la tecnocrazia dominante ha sbarrato il passo”.

Fabrizio d'Esposito per ‘Il Fatto Quotidiano'
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Anacaitpr. Non è un errore di battitura, magari al posto di Anacapri. Anacaitpr sta per Associazione nazionale allevatori del cavallo agricolo italiano da tiro pesante rapido ed è una delle 84 persone giuridiche portatrici di interessi particolari al ministero delle Politiche agricole, quello di Nunzia De Girolamo. In una sola parola: lobbismo.

In Italia, solo nel mondo dell'agricoltura si è tentato di regolamentare e rendere trasparente questa attività che evoca realtà sinistre che si muovono nell'ombra, capaci di curare solo gli interessi particolari a scapito di quelli della collettività. Un business che è impossibile quantificare e che gira attorno alla politica e alle grandi burocrazie. Ci sono i benefici che si ricavano dalle leggi e dagli assalti alla diligenza. E poi ci sono i contributi a partiti e parlamentari. Per quale motivo un'azienda dovrebbe finanziare un deputato o un senatore?
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I settori più invadenti sono questi: assicurazioni, banche, energia, tabacchi, sanità, editoria, gioco d'azzardo. E il governo Letta, come già con Monti, rappresenta il terreno ideale per le lobby. Massimo Micucci, socio dell'ex dalemiano Claudio Ve-lardi in Reti, società di lobbying, ha descritto in una lettera aperta al Movimento 5 Stelle (che vuole cacciare i lobbisti dal Parlamento) la giungla attuale: "Anche questo governo aveva in programma una regolamentazione della rappresentanza di interessi e non se ne è fatto nulla perché quella ‘lobby del caos' che è la tecnocrazia dominante, ha sbarrato il passo al tentativo di rendere davvero obbligatorie interazione e trasparenza".

L'accusa è rivolta a quelli che preferiscono mantenere il loro potere di mediazione, come capi di gabinetto e funzionari ministeriali, e che bloccano ogni tentativo riformista. Micucci si chiede anche che fine abbia fatto l'Unità per la trasparenza del ministero delle Politiche Agricole, incaricata di redigere l'elenco dei lobbisti "agricoli". L'organismo, infatti, non è stato aggiornato dai tempi del ministro tecnico Catania e sul sito del Mipaaf è possibile leggere tra i componenti il nome di Ernesto Carbone, oggi parlamentare renziano. Dice: "È una sciatteria del ministero di cui non so nulla. Da vicecapo di gabinetto di Catania ne facevo parte, ma ora non più. Se non funziona più è un'occasione persa". Nell'elenco c'è di tutto: associazioni di cavalli, allevatori, frantoi, energie agroforestali, industriali di carni, salumi e vino, consorzi della pesca.

Oltre alla filiera ministeriale, c'è poi quella parlamentare. Micucci riassume altro caos: "I presidenti di commissione favoriscono gli emendamenti che gli piacciono, i gruppi fanno spesso da passacarte. La presenza del governo in aula, nonostante tutta l'attività sia di origine governativa, è scarsa o concertata sulla base dei provvedimenti che interessa seguire. Se un provvedimento interessa i commercialisti ci va un sottosegretario che si occupa o ha rappresentato i commercialisti".

Per gli ex politici, e non solo, il lobbismo è una grande occasione per riconvertirsi e mettere a frutto le loro relazioni nel Palazzo. Da qui nascono società come Reti, ma non solo. In Italia ci sono altre quattro società di spessore, che vantano clienti importanti, bisognosi di curare i loro affari presso i "decisori politici": Cattaneo Zanetto (quest'ultimo è stato un forzista molto inserito), Fb e associati (Fb sta per Fabio Bistoncini), UtopiaLab di Giampiero Zurlo, Open Gate di Franco Spicciariello. Cattaneo Zanetto, sul suo sito, si rifiuta di pubblicare l'elenco dei clienti per una questione di riservatezza, Open Gate invece lo fa e c'è persino l'Uefa-Europa League. Nel suo advisory board c'è Giorgio Mulè, direttore di Panorama, caso ufficiale di giornalista-lobbista. Altro esempio è il sito centrista di Formiche, dove informazione e relazioni si legano a doppio filo. Gli incroci di interessi e nomi sono ampi e fittissimi. Da Open Gate (dove siede anche Tullio Camiglieri, ex uomo Sky) c'è un link che rimanda ad Arel, il centro studi di Enrico Letta. Alcuni numeri della pensosa rivista che produce sono aperti da saggi di Giulio Napolitano, docente universitario di diritto e figlio di Re Giorgio. Questo è il lobbismo italico,bellezza.
E questi iserviziche offre. Da una sito già citato: "Mappatura dei principali decision maker e influencer; programma di accreditamento con i decisori politici di Governo e Parlamento; attività diretta di rappresentanza degli interessi del cliente; presentazione di emendamenti e position paper presso le istituzioni; monitoraggio dell'attività legislativa; reporting periodico sull'iter dei provvedimenti legislativi; intelligence sullo scenario politico italiano". Sì anche l'intelligence. Del resto come auspica Micucci, con una regolamentazione "noi faremmo i consulenti politici e non i peripatetici nei corridoi".
2. MATTONE, TABACCO E SANITÀ: QUEI 61 MILIONI AI POLITICI
Carlo Tecce per ‘Il Fatto Quotidiano'
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I finanziamenti pubblici stanno per mancare, anni e non mesi di estrema sopravvivenza (forse nel 2017 l'addio), ma i partiti stanno già elaborando il lutto. Il segreto sono le donazioni dai privati, amici o sodali, minuscole società o multinazionali e tante, tantissime cooperative. Il 2013 ha segnato una crescita enorme: 61,1 milioni di euro, l'anno prima erano 39 scarsi. Il documento di 64 pagine, che la Tesoreria di Montecitorio custodisce, può sembrare un elenco telefonico: nome, cognome, cifra. Può sembrare, appunto.

Il duello a colpi di emendamenti, articoli e raffinati commi, nello scorso dicembre, ci ha illustrato il potere di Sergio Scarpellini, l'imprenditore romano che ospita la Camera, il Comune e un tempo il Senato: affitti milioni, contratti infiniti. La Milano '90 di Scarpellini, che in un'intervista al Fatto si definì un po' di sinistra, un po' di destra e un po' di centro, finanzia con insistenza il movimento di Mario Baccini. A qualsiasi denominazione, Associazione o Federazione di Cristiano Popolari, corrisponde un bonifico da migliaia di euro per un totale di 38.000.

MILANO ‘90 ci guida fra centinaia di sigle e parlamentari, più o meno conosciuti, più o meno facoltosi, e finiamo alla voce Ugo Sposetti, leggendario amministratore dei Democratici di Sinistra che, seppur politicamente tumulati, valgono un patrimonio da (almeno) mezzo miliardo. A che servono, a Sposetti, i 10.000 euro di Scarpellini? Il senatore democratico, però, ha stravinto la classifica 2013: in dodici mesi, ha incassato 262.660 euro. A maggio, Sposetti ha denunciato 37.000 euro ricevuti dalla Federazione Italiana Tabaccai. Non sappiamo se sia un accanito fumatore, ma va segnalata, per coincidenza storica, la presenza di Sposetti a una manifestazione della Federazione Italiana Tabaccai. Assieme al deputato Alberto Giorgetti (Pdl), il senatore annunciava un emendamento per la regolamentazione delle sigarette elettroniche (che tanto fanno arrabbiare la Federazione).

Se mettiamo insieme Milano ‘90 di Scarpellini e Federazione Italiana Tabaccai troviamo Fabio Bellini (Pd), consigliere regionale laziale, componente della commissione ambiente, lavori pubblici, politica della casa e urbanistica. Oltre ai 10.000 euro dal palazzinaro e dai tabaccai, Bellini ha incassato 20.000 euro da Seci Real Estate, ancora un'immobiliare, sede a Bologna, che ha rapporti con le istituzioni locali. Quando il pubblico s'è diviso sulla trilogia gli Anni spezzati su Rai1 di Albatross, Maurizio Gasparri su Twitter ha elogiato l'opera televisiva. Un gesto di cortesia. Il senatore di Forza Italia, che siede in commissione di Vigilanza Rai, proprio da Albatross di Alessandro Jacchia ha ottenuto un finanziamento di 15.000 euro. Gasparri ha raccolto 75.000 euro, fra mattone e farmaci, ma il contribuito più significativo ha la firma di Mario Guidi, presidente di Confagricoltura. Notoriamente esperto in materia, Gasparri ha partecipato ai convegni su politiche agricole e forestali.
Il mistero curioso riguarda Salvatore detto Totò Cuffaro, in carcere dal gennaio 2011 per una condanna definitiva a 7 anni per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra. L'ex governatore siciliano, il 21 maggio 2013, ha dichiarato una donazione di 220.000 euro da Forza Italia, che in quel periodo era in sonno, ancora non resuscitata da Silvio Berlusconi. Fra risposte negate e smozzicate, fonti di Fi confermano il pagamento, ma non sanno chi l'ha disposto e perché. Agli uffici di Montecitorio è stato motivato come "finanziamento per una candidatura". Però Cuffaro, pare evidente, non è stato candidato (e neanche un suo omonimo).

TEMA AMICIZIE. La munifica Daniela Garnero in Santanchè ha ricevuto soltanto una donazione: 20.000 euro da Paola Ferrari, giornalista Rai, amica. Il finanziere Davide Serra, che ha già sostenuto le primarie di Matteo Renzi, ha sponsorizzato con 10.000 euro anche la campagna elettorale di Pietro Ichino.
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Tra le numerose aziende che hanno conquistato l'attestato per collaborare con il ministero dei Trasporti, ci sono la Todini Costruzioni Generali (Luisa Todini è in Cda Rai) che ha donato 60.000 euro al gruppo Pdl-Fi e anche l'Impresa Pizzarotti & C. di Parma, 20.000 ad Anna Maria Bernini. Una pagina è dedicata a Nicola Latorre, il senatore segue a ruota il collega Sposetti con 225.000 euro. Ci ha rimesso Ilaria Borletti Buitoni, 710.000 a Scelta Civica di Mario Monti. Mentre i soldi, il Cavaliere li fa girare davvero: a fine aprile, Berlusconi ha versato 17 milioni a Forza Italia.

http://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/il-potere-neanche-troppo-sotterraneo-delle-lobby-dalle-slot-allenergia-tutti-i-favori-per-70493.htm

mercoledì 15 gennaio 2014

TUTTO SU MARCO CARRAI, L'UOMO-OMBRA DEL RENZISMO CHE MISCHIA AFFARI E POLITICA - 2. CARRAI NON È SOLO IL CONSIGLIORI DEL POLITICO SU CUI POGGIANO LE SPERANZE DI MOLTI ITALIANI, È ANCHE UN IMPRENDITORE. QUINDI CONDUCE TANTI AFFARI PER SE STESSO - 3. TRA I SOCI DEL TRENTOTTENNE DI GREVE CI SONO ANCHE DUE PERSONE VICINISSIME A FRANCO BERNABÉ: IL SOCIO DI CARRAI IN C&T CROSSMEDIA CHICCO TESTA E MARCO NORBERTO BERNABÉ, FIGLIO DI FRANCO, CHE CON IL VEICOLO DI FAMIGLIA FB GROUP HA INVESTITO NELLE SOCIETA’ DI CARRAI E NEL FONDO DI SPIONAGGIO ISRAELIANO WADI VENTURES - 4. PROFONDAMENTE CATTOLICO È DA SEMPRE VICINO A ORGANIZZAZIONI ASSOCIATE AL POTERE TEMPORALE COME LA COMPAGNIA DELLE OPERE, BRACCIO ECONOMICO DI COMUNIONE E FATTURAZIONE (IN TOSCANA SUO CUGINO PAOLO TRA I FONDATORI) E L'OPUS DEI -

Claudio Gatti per "ll Sole 24 Ore"
MARCO CARRAIMARCO CARRAI
Per Matteo Renzi, e per gli altri amici è Marchino, un vezzeggiativo amichevole dovuto anche alla sua gracilità. Ma il peso specifico di Marco Carrai è inversamente proporzionale alla sua statura, perché da sempre è il collaboratore di maggior fiducia del nuovo segretario del Partito democratico.
Eppure di questo 38enne di Greve in Chianti si sa piuttosto poco. Schivo di natura, Carrai tende a evitare i contatti con i media. Solo con notevole sforzo, Il Sole 24 Ore è riuscito a convincerlo non solo a parlarci di sé ma anche di scrivere quello che ci avrebbe detto.
Abbiamo così saputo che da ragazzo ha trascorso ben otto anni in un letto d'ospedale. E che in quel periodo ha sviluppato un fortissimo senso di lealtà per alcune persone, che gli sono state vicine e lo hanno sostenuto negli anni di malattia. A partire da Matteo Renzi. «La sua amicizia mi ha salvato la vita», dice.
Ma veniamo alle sue attività pubbliche. Negli anni della presidenza della Provincia di Firenze Carrai è stato capo della segreteria di Renzi e consigliere della Florence Multimedia, la società di comunicazione che gli ha fatto da trampolino di lancio mediatico (secondo la Corte dei Conti anche a spese dei contribuenti fiorentini), poi responsabile della campagna elettorale, fondatore del think tank del renzismo, la "Fondazione Big Bang", e consigliere comunale.
marco carraiMARCO CARRAI
Con il tempo sono arrivate le cariche più pesanti: consigliere dell'Ente Cassa di Risparmio di Firenze, amministratore delegato di Firenze Parcheggi, presidente di Aeroporto di Firenze Spa. Oltre a quelle di membro del Cda della Banca di Credito Cooperativo di Impruneta e della Banca di Credito Cooperativo del Chianti fiorentino.
Fin qui le cariche publiche. Ma Carrai non è solo il consigliori del politico su cui poggiano le speranze di molti italiani, è anche un imprenditore. Quindi conduce affari per se stesso. E ha accumulato varie cariche private: consigliere di Cki Srl, presidente di Cambridge Management Consulting Srl, direttore generale di Your Future Srl e socio di quest'ultima, della menzionata Cambridge, di D&C Srl, Panta Rei Srl, ItalianRoom Srl, Imedia Srl, Car.Im Srl e indirettamente anche di C&T Crossmedia Srl. Fin qui in Italia.
All'estero è socio di Wadi Ventures Management Company Sarl, società registrata in Lussemburgo comproprietaria di Wadi Ventures Sca, altro veicolo lussemburghese al quale Carrai partecipa come membro del Consiglio di sorveglianza, e a sua volta omonimo di un fondo di investimento israeliano lanciato da un suo socio.
In termini puramente quantitativi - di accumulazione di cariche o, se si preferisce, di sovrapposizione di ruoli - il suo metodo sembra insomma quello tradizionale del melius abundare quam deficere.
MATTEO RENZI E ANTONELLA MANSIMATTEO RENZI E ANTONELLA MANSI
Passiamo ai comportamenti. «Quando venne la prima volta all'assemblea dei soci dell'Ente Cassa di Risparmio, Carrai si presentò dicendo che Renzi era come un fratello per lui», ricorda un socio. «Il discorso non fu accolto bene. Anzi, fu considerato un passo falso. Perché all'Ente Cassa abbiamo almeno la pretesa di essere indipendenti e quella frase fu interpretata, forse a torto, come il preavviso di una maggiore politicizzazione. Non si deve infatti dimenticare che l'Ente dispensa circa 25/30 milioni all'anno che, in una realtà piccola come la nostra, non è poco».
jacopo mazzeiJACOPO MAZZEI
L'Ente Cassa non è solo un dispensatore di fondi. È anche un importante azionista di Banca IntesaSanpaolo. E qui gli intrecci non mancano. Perché Jacopo Mazzei è stato nominato nel Consiglio di Sorveglianza di Intesa. Così come Francesco Bianchi, ex dirigente di banca e consulente, che assieme al fratello Alberto è amico sia di Carrai sia di Renzi. Mentre nella sua veste di imprenditore privato, Carrai è diventato socio in Italia e/o in Lussemburgo di due ex alti dirigenti di Intesa.
Chicco TestaCHICCO TESTA
Tra i soci del trentottenne di Greve ci sono anche due persone vicinissime a Franco Bernabé, manager di Stato per eccellenza, oggi senza poltrona eccellente. Ci riferiamo al socio di Carrai in C&T Crossmedia, Chicco Testa, ex presidente dell'Enel da anni legato da amicizia e affari a Bernabé. E a Marco Norberto Bernabé, figlio di Franco, che con il veicolo di famiglia FB Group ha investito in Cambridge Management Consulting, in YourFuture e nel fondo israeliano Wadi Ventures (di cui è socio fondatore un veterano dell'Unità 8200, il servizio di signal intelligence delle forze armate israeliane, l'equivalente della Nsa americana).
Chicco TestaCHICCO TESTA
Che anche su questo fronte, i rapporti di affari si intreccino con quelli "politici" lo dimostra l'elenco dei finanziatori della Fondazione Bing Bang, il think tank renziano costituito dallo stesso Carrai nel febbraio 2012. Oltre ai 10mila euro di Jacopo Mazzei, spuntano infatti i 10mila di E.Va. Energie, società di cui Chicco Testa è presidente e FB Group azionista (al 18,60%), e altrettanti della Telit, anch'essa gestita da Testa, storicamente partecipata da FB Group attraverso il veicolo Boostt BV e, attraverso altri veicoli, anche da Massimo Testa, fratello di Chicco.
Franco BernabeFRANCO BERNABE
Insomma, nella vasta rete di contatti che Carrai ha costruito in questi ultimi anni, distinguere quelli attribuibili alla politica da quelli attribuibili agli affari personali non pare facile.
Abbiamo dunque chiesto lumi.
Quando si tratta con lei, come si fa a capire se si sta trattando con il più stretto collaboratore del candidato alla guida del Paese, con un manager pubblico, oppure con un imprenditore privato?
«Non ho capito di cosa sta parlando, scusi?»
Quando si ha lei come interlocutore, come si fa a capire in quale veste lei interloquisce?
«Quando io parlo dell'aeroporto di Firenze interloquisco come presidente dell'Aeroporto di Firenze, quando parlo dei miei business privati interloquisco come imprenditore. Non voglio conflitti di interessi nemmeno a diecimila miglia: nessuna delle mie aziende ha mai lavorato per il Comune o per l'Aeroporto di Firenze. Mi attengo alle leggi italiane, a quello che dovrebbero fare tanti italiani e a quella che è la mentalità americana».
MARCELLO DELLUTRIMARCELLO DELLUTRI
Parlando di mentalità americana sul conflitto d'interesse, non trova inopportuno ricevere denaro con la mano destra in quanto socio-fondatore della Fondazione Big Bang e con la mano sinistra in quanto socio-fondatore di Cambridge Management e YourFutures. Magari dalle stesse persone?
«Che? Scusi, ma cosa dice? Da chi avrei ricevuto soldi io?»
Dai finanziatori di Fondazione Bing Bang e dagli investitori di Cambridge e YourFuture.
«Ma che dice? Cambridge Consulting e YourFuture sono società di consulenza... non ricevo soldi».
Sono entrati dei soci, che hanno investito dei soldi. E le stesse persone hanno messo dei soldi nella Fondazione.
«Io non vado a vedere le visure camerali... non mi competono queste cose. A me compete assicurarmi che tra i miei soci non ci siano dei delinquenti... E' un reato quello che sto facendo? No».
Berlusconi nel con Marcello DellUtriBERLUSCONI NEL CON MARCELLO DELLUTRI
Noi parlavamo di potenziali conflitti di interesse, non di reati. E su quello, in America, vige un motto: better safe then sorry - traducibile in meglio circospetti che pentiti.
A parte la politica, l'amministrazione pubblica e gli affari, c'è la sfera religiosa. Marco Carrai appartiene a una famiglia profondamente cattolica, nella quale è consuetudine andare a Lourdes o farsi il segno della croce prima di mangiare. Profondamente cattolico anche lui, oltre all'Azione cattolica, è da sempre vicino a organizzazioni spesso associate al potere temporale. Ci riferiamo alla Compagnia delle Opere, braccio economico di Comunione e Liberazione (che in Toscana ha avuto suo cugino Paolo tra i fondatori) e all'Opus Dei.
il codice da vinci dan brownIL CODICE DA VINCI DAN BROWN
Sulla scena politica italiana l'Opera si è affacciata in vari modi. Il contributo che probabilmente ha avuto l'impatto più significativo l'ha dato favorendo l'incontro tra Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi. «La mia formazione è legata all'Opera, che lascia un'impronta indelebile sugli uomini che ha formato», ha spiegato il senatore co-fondatore di Forza Italia in un'intervista a La Stampa.
«Cominciai a frequentare la loro residenza universitaria. Direttore era (...) un sacerdote dell'Opera (...) che aveva fatto l'università con un giovane di cui mi parlò molto bene, Silvio Berlusconi. Mi diede il suo numero e mi disse: "Se vai a Milano chiamalo, è un ragazzo in gamba"». Il resto è storia. Politica e non.
Vari articoli di giornale hanno associato Carrai all'Opera. Gli abbiamo perciò chiesto se ne è membro.
«No!», ha risposto pronto.
OPUS DEIOPUS DEI
Che rapporti ha con l'Opus Dei?
«Che rapporti ho con l'Opus Dei??? Zero!».
Nella sua pagina personale del sito LinkedIn, oltre alle cariche pubbliche, viene citata solo Artes, un'associazione dell'Opus Dei. Come mai?
«Artes è una bella cosa, io conosco il direttore... come conosco tante altre persone».
In occasione dell'uscita del film tratto dal bestseller di Dan Brown Il Codice da Vinci, Carrai ha sentito l'urgenza di intervenire a difesa di un'istituzione che riteneva ingiustamente bistrattata. Da un romanzo. E dopo aver ingaggiato due studiosi italiani e un sacerdote dell'Opus Dei, ha curato la pubblicazione di un libello di rettifica intitolato Codice da Vinci: bugie e falsi storici. Gli abbiamo chiesto il motivo.
«In ospedale ho letto tanti libri. Incluso quello di Brown», ha risposto. «E ho trovato che diceva una marea di cazzate».
Compagnia delle OpereCOMPAGNIA DELLE OPERE
Che sapeva lei dell'Opus Dei per arrivare a questa conclusione?
«C'erano scritte cose talmente strane che mi sembravano cavolate... sembravano il peggio del peggio che c'era al mondo... Io alcune persone dell'Opus Dei le conoscevo... il mio professore... uno dei miei professori di economia era dell'Opus Dei, e le assicuro che era una delle persone più buone che abbia mai incontrato in vita... che più mi ha aiutato quando ero in ospedale. E quindi pensai di fare un libretto contro. Punto. Io non sono mai stato dell'Opus Dei. E probabilmente non lo sarò mai».
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