sabato 31 maggio 2014

L'INSOSTENIBILE PESO DEI DERIVATI - COME MAI PER UNIPOL ERA NORMALE METTERE 7,6 MILIARDI DEI PREMI INCASSATI DAGLI ASSICURATORI IN UN ENORME PANIERE DI DERIVATI SENZA UN PREZZO DI MERCATO? ECCO COSA C’E’ ALLA BASE DELL'INCHIESTA DEL PM ORSI Ancora a fine 2012, a fusione già partita con Fondiaria-sai, Unipol aveva a bilancio strutturati per 7,6 miliardi di cui oltre 5 miliardi classificati a livello 2 e 3, cioè di fatto senza prezzi accertati dal mercato. Un'enormità, visto il volume totale di investimenti normali per poco più di 20 miliardi… Fabio Pavesi per "Il Sole 24 Ore" C'è una ragione, una qualsivoglia logica perché una grande compagnia assicurativa investa oltre un terzo del suo portafoglio in titoli strutturati, derivati cioè di complessa fattura e con rischi amplificati rispetto a normali investimenti in azioni o BTp? Apparentemente nessuna. Eppure per Unipol, caso unico tra gli assicurativi, mettere 7,6 miliardi dei premi incassati in un enorme paniere di derivati, molti dei quali del tutto illiquidi cioè senza un prezzo di mercato era normale. derivati Morgan Stanleyderivati Morgan Stanley Il peso dei derivati Ecco perché l'inchiesta del Pm Luigi Orsi e la spaccatura feroce dentro la Consob sul reale valore di quelle poste a bilancio non deve sorprendere più di tanto. Ancora a fine 2012, infatti, a fusione già partita con l'ex galassia assicurativa dei Ligresti, Unipol aveva a bilancio strutturati per 7,6 miliardi di cui oltre 5 miliardi classificati a livello 2 e 3, cioè di fatto senza prezzi accertati dal mercato. Un'enormità, visto il volume totale di investimenti normali (titoli di Stato italiani e azioni) per poco più di 20 miliardi. Cinque miliardi di dubbia valutazione su un attivo di 40 miliardi che poi salirà a 80 miliardi post-fusione con FonSai e Milano assicurazioni. Ma soprattutto con un patrimonio netto ante-fusione di poco più di 3 miliardi. Il confronto Tanto per fare un confronto le Generali hanno attività investite per oltre 300 miliardi, cioè oltre 10 volte più della vecchia Unipol e i titoli di livello 3 cioè i più illiquidi valgono solo 7,5 miliardi poco più del 2% del portafoglio quando Unipol sfiora il 30%. Dieci volte più piccola quanto a portafoglio investito ma con derivati e compagnia al 30% del portafoglio. O a Generali sono particolarmente prudenti, vien da pensare, o sono quelli di Unipol ad aver preso rischi oltre misura. Non è finita. DERIVATIDERIVATI Basta guardare FondiariaSai, oggi incorporata nella grande Unipol. Nel 2012 la ex FonSai dei Ligresti, pur fiaccata dalle manovre dissipatorie della famiglia aveva titoli di livello 3 (i più tossici) di soli 2,9 miliardi su un totale attività per investimenti per 28 miliardi. Siamo al 10% del portafoglio assai lontani da quel 30% del compratore Unipol. Ma Unipol è anomala non solo a confronto con le altre compagnie italiane. Pensiamo al colosso tedesco Allianz. Lontano mille chilometri dalla compagnia bolognese quanto a dimensioni, ha tuttora in portafoglio titolo di livello 3 che sono solo il 2,1% del totale. Un'inezia rispetto all'Unipol sotto indagine. Ebbene quanto valevano davvero quegli strutturati di Unipol? Questa è la domanda chiave che ha impegnato la Consob in un duro scontro interno con il responsabile analisi quantitative dell'Autorità Marcello Minenna che valutava una differenza negativa tra i 592 e i 647 milioni di euro. GeneraliGenerali Le minusvalenze accertate Ma è la stessa Unipol a dire che quei titoli avevano minusvalenze importanti. In un documento di presentazione, Unipol dichiara che a fine 2012 sui 7,6 miliardi di strutturati c'era una minusvalenza di 524 milioni, rispetto a valori di mercato, dedotti in realtà dalla stessa Unipol. A novembre del 2013, sempre come riporta il documento della compagnia bolognese, la massa dei derivati è scesa a 6,6 miliardi con minusvalenze ancora presenti. In misura minore ma comunque per un valore stimato di 194 milioni. Il tempo sembra quindi giocare a favore di Unipol che in parte sta rivendendo i derivati . Le perdite incorporate sembrano scendere più il tempo scorre. Ma sono comunque stime perché di fatto il prezzo di valutazione è fatto dagli stessi vertici di Unipol, mancando un mercato che assegni prezzi non aleatori. Ora con le minori perdite potenziali e con la mega-fusione, il capitale e la massa dell'attivo sono raddoppiati consentendo di annacquare in un bilancio più grande la grana degli strutturati. ALLIANZ ASSICURAZIONIALLIANZ ASSICURAZIONI Ma questo non cambia il quesito iniziale che ha portato all'inchiesta e che sta facendo rispulciare in questi giorni i conti della società assicurativa bolognese pre-nozze con Fonsai e Milano. Quale era il vero valore di quel portafoglio? Se è stato tenuto artificialmente elevato ha inficiato (alzandoli) i valori di patrimonio di Unipol e di conseguenza i concambi della fusione, avvantaggiando Unipol a scapito degli azionisti di Fonsai e Milano. Sarà la Procura a doverlo dimostrare. Next ▶◀ Prev Home Dagobest 1. DINASTY A CINQUE STELLE! 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Fabio Pavesi per "Il Sole 24 Ore"
C'è una ragione, una qualsivoglia logica perché una grande compagnia assicurativa investa oltre un terzo del suo portafoglio in titoli strutturati, derivati cioè di complessa fattura e con rischi amplificati rispetto a normali investimenti in azioni o BTp? Apparentemente nessuna. Eppure per Unipol, caso unico tra gli assicurativi, mettere 7,6 miliardi dei premi incassati in un enorme paniere di derivati, molti dei quali del tutto illiquidi cioè senza un prezzo di mercato era normale.
derivati Morgan Stanleyderivati Morgan Stanley Il peso dei derivati
Ecco perché l'inchiesta del Pm Luigi Orsi e la spaccatura feroce dentro la Consob sul reale valore di quelle poste a bilancio non deve sorprendere più di tanto. Ancora a fine 2012, infatti, a fusione già partita con l'ex galassia assicurativa dei Ligresti, Unipol aveva a bilancio strutturati per 7,6 miliardi di cui oltre 5 miliardi classificati a livello 2 e 3, cioè di fatto senza prezzi accertati dal mercato.
Un'enormità, visto il volume totale di investimenti normali (titoli di Stato italiani e azioni) per poco più di 20 miliardi. Cinque miliardi di dubbia valutazione su un attivo di 40 miliardi che poi salirà a 80 miliardi post-fusione con FonSai e Milano assicurazioni. Ma soprattutto con un patrimonio netto ante-fusione di poco più di 3 miliardi.
Il confronto
Tanto per fare un confronto le Generali hanno attività investite per oltre 300 miliardi, cioè oltre 10 volte più della vecchia Unipol e i titoli di livello 3 cioè i più illiquidi valgono solo 7,5 miliardi poco più del 2% del portafoglio quando Unipol sfiora il 30%. Dieci volte più piccola quanto a portafoglio investito ma con derivati e compagnia al 30% del portafoglio. O a Generali sono particolarmente prudenti, vien da pensare, o sono quelli di Unipol ad aver preso rischi oltre misura. Non è finita.
DERIVATIDERIVATI Basta guardare FondiariaSai, oggi incorporata nella grande Unipol. Nel 2012 la ex FonSai dei Ligresti, pur fiaccata dalle manovre dissipatorie della famiglia aveva titoli di livello 3 (i più tossici) di soli 2,9 miliardi su un totale attività per investimenti per 28 miliardi. Siamo al 10% del portafoglio assai lontani da quel 30% del compratore Unipol.
Ma Unipol è anomala non solo a confronto con le altre compagnie italiane. Pensiamo al colosso tedesco Allianz. Lontano mille chilometri dalla compagnia bolognese quanto a dimensioni, ha tuttora in portafoglio titolo di livello 3 che sono solo il 2,1% del totale. Un'inezia rispetto all'Unipol sotto indagine.
Ebbene quanto valevano davvero quegli strutturati di Unipol? Questa è la domanda chiave che ha impegnato la Consob in un duro scontro interno con il responsabile analisi quantitative dell'Autorità Marcello Minenna che valutava una differenza negativa tra i 592 e i 647 milioni di euro.
GeneraliGenerali Le minusvalenze accertate
Ma è la stessa Unipol a dire che quei titoli avevano minusvalenze importanti. In un documento di presentazione, Unipol dichiara che a fine 2012 sui 7,6 miliardi di strutturati c'era una minusvalenza di 524 milioni, rispetto a valori di mercato, dedotti in realtà dalla stessa Unipol. A novembre del 2013, sempre come riporta il documento della compagnia bolognese, la massa dei derivati è scesa a 6,6 miliardi con minusvalenze ancora presenti. In misura minore ma comunque per un valore stimato di 194 milioni.
Il tempo sembra quindi giocare a favore di Unipol che in parte sta rivendendo i derivati . Le perdite incorporate sembrano scendere più il tempo scorre. Ma sono comunque stime perché di fatto il prezzo di valutazione è fatto dagli stessi vertici di Unipol, mancando un mercato che assegni prezzi non aleatori. Ora con le minori perdite potenziali e con la mega-fusione, il capitale e la massa dell'attivo sono raddoppiati consentendo di annacquare in un bilancio più grande la grana degli strutturati.
ALLIANZ ASSICURAZIONIALLIANZ ASSICURAZIONI Ma questo non cambia il quesito iniziale che ha portato all'inchiesta e che sta facendo rispulciare in questi giorni i conti della società assicurativa bolognese pre-nozze con Fonsai e Milano. Quale era il vero valore di quel portafoglio? Se è stato tenuto artificialmente elevato ha inficiato (alzandoli) i valori di patrimonio di Unipol e di conseguenza i concambi della fusione, avvantaggiando Unipol a scapito degli azionisti di Fonsai e Milano. Sarà la Procura a doverlo dimostrare.

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LA POLITICA PAGA. QUANDO SI ABBANDONA - TONY BLAIR E I CONTRATTI MILIARDARI NEL GOLFO, IL SOCIALISTA SCHROEDER AL SOLDO DEI RUSSI, PRODI ALLA CORTE DI NAZARBAYEV: LA SECONDA VITA MILIONARIA DEI LEADER Ex presidenti e ministri si garantiscono una pensione d’oro (oltre a quella statale) con le ricche consulenze. Spesso con regimi non democratici e in pieno conflitto d’interessi - Schroeder appena lasciata la carica, dopo aver approvato vari gasdotti per la Germania, si è consolato con Gazprom. Aznar fa affari con le miniere, Prodi “consiglia” la Cina e i dittatori asiatici…

Maurizio Ricci per “la Repubblica
ROMANO PRODI NAZARBAYEV ROMANO PRODI NAZARBAYEV
Come spesso nelle (nostre) barzellette, è il tedesco a far la figura del goffo e dell’ingenuo. E così, per onorare il suo stipendio da 250 mila euro l’anno come presidente di Nord Stream, il gasdotto russo-tedesco di Gazprom, ecco Gerhard Schroeder, ex cancelliere di Germania, abbracciare calorosamente Putin a San Pietroburgo, davanti alle telecamere, qualche settimana fa, negli stessi giorni in cui buona parte del mondo già guardava al leader russo come una minaccia alla pace mondiale.
TONY BLAIR NAZARBAYEV TONY BLAIR NAZARBAYEV
Più abili, come nelle barzellette, anche se altrettanto spregiudicati, l’inglese, gli spagnoli e l’italiano hanno, finora, salvaguardato la loro immagine pubblica, nonostante ripetuti incontri e calorosi abbracci con personaggi discutibili come Gheddafi, l’iraniano Ahmadinejad o il kazako Nazarbayev, pezzi forti di un vorticoso giro d’affari ai quattro angoli del mondo. Schroeder, infatti, non è l’unico grande ex della politica ad essersi fatto una seconda vita fornendo i propri buoni uffici al business internazionale.
PUTIN E SCHROEDER PUTIN E SCHROEDER
Anzi, è quello che, a quanto pare, ci guadagna di meno, rispetto a gente con più pelo sullo stomaco, come Tony Blair, Felipe Gonzalez e José Aznar, con i loro incassi milionari.
A spendere serenamente la pensione, contentandosi di dipingere, anche con qualche talento, ritratti e nature morte pare, in effetti, essere rimasto solo George W. Bush.
putin schroeder putin schroeder
Gli altri ex — da Clinton a John Major ad Al Gore — come minimo tengono lezioni e conferenze, assai ben pagate. Di solito — nel circuito degli ex della politica — da 40 mila a 80 mila euro per un’ora e mezza di prestazione. A questo, molti — lo stesso Gore, Peter Mandelson e, per farla breve, quasi tutti — affiancano un seggio in uno o più consigli di amministrazioni di multinazionali e grandi aziende.
Il fisico di Blair che attrae Miss Deng Il fisico di Blair che attrae Miss Deng
E qui il terreno comincia a farsi scivoloso, anche se solo sul piano del buon gusto. Perché una cosa è sedere in un consiglio d’amministrazione, più o meno come testimonial, un’altra è agire attivamente come consulente, mettere sul piatto competenze e conoscenze per aprire investimenti o mediare affari. È il terreno su cui troviamo l’ex presidente del Consiglio e l’ex presidente della commissione Ue, Romano Prodi.
Il consulente economico internazionale, Prodi l’ha sempre fatto, fin da prima della politica e ha anche le credenziali accademiche e professionali per farlo.
blair gheddafi blair gheddafi
Nulla di strano che ci si ritrovi, una volta tornato privato cittadino. Peccato che questo lo porti in sgradevoli compagnie. Come il collegio dei consulenti, chiamati a suggerire riforme al leader kazako Nazarbayev, che molti giudicano uno spietato dittatore. Non è chiaro quali riforme siano state suggerite, ma il consesso è illustre, visto che, accanto a Prodi, siedono star come Schroeder e, soprattutto, Tony Blair.
BLAIR IN VACANZA IN COMPAGNIA DI SAWIRIS BLAIR IN VACANZA IN COMPAGNIA DI SAWIRIS
L’ex leader laburista, in effetti, incarna meglio di ogni altro la figura di «giovane emergente di ritorno », nella veste di politico trombato a 50 anni, che si sta riciclando come promettente uomo d’affari. A Londra gli rimproverano di mischiare troppo attività di beneficenza, incarichi politici internazionali (come inviato speciale per il Medio Oriente) e trattative d’affari.
Ma ha l’aria di essere un deliberato e non casuale modello di business. Accuratamente organizzato. C’è una società ombrello, la “Tony Blair Associates”, per le operazioni dichiaratamente commerciali, che sono, dichiara il sito relativo, consulenze a governi, multinazionali, investitori istituzionali. In questa veste, ad esempio, Blair ha recentemente firmato un contratto con il governo della Mongolia. Ma è assai attivo anche nel Golfo Persico. Per conto proprio, di singoli governi o aziende, di una grande banca come J.P. Morgan, di cui è ufficialmente consulente?
Felipe Gonzalez Felipe Gonzalez
Difficile saperlo, perché i conti della Tony Blair Associates sono assai poco trasparenti. Le due controllate, Windrush e Firerush, sono a responsabilità limitata e dunque tenute a comunicare pubblicamente l’indispensabile. Della prima si sa che, nel 2012, ha fatturato per circa 20 milioni di euro. In totale, secondo le stime, Blair dovrebbe arrivare ad incassare più di 30 milioni di euro l’anno: un fatturato più che rispettabile per un’azienda che, al servizio dell’ex leader, impiega uno staff di 150 dipendenti.
CARLOS SLIM CARLOS SLIM
La strada a Blair l’aveva indicata un altro grande leader socialista, Felipe Gonzalez, anche lui spinto fuori dalla politica, poco dopo aver compiuto 50 anni. Gonzalez (oggi un vispo ultrasettantenne, fresco di nuove nozze) ha fondato, una decina d’anni fa, una società di consulenza, la Ialcan, insieme ai tre figli.
È qui che canalizza la sua attività di mediatore. Quale? Sostanzialmente, Felipe è l’uomo in Europa di Carlos Slim, il magnate messicano delle tlc, il secondo uomo più ricco al mondo dopo Bill Gates (secondo le indiscrezioni, è un ruolo che gli vale circa mezzo milione di euro l’anno). Contemporaneamente, Gonzalez (che non ha mai imparato l’inglese) cura gli interessi in America latina del gruppo informatico ed editoriale Prisa, che pubblica, fra gli altri, El Pais .
jose maria aznar e moglie jose maria aznar e moglie
Ialcan fattura mezzo milione di euro l’anno e, partita con un capitale sociale di 3.100 euro, ha oggi un patrimonio accumulato di 2,6 milioni. Chi l’inglese si è preoccupato di impararlo a tappe forzate, una volta lasciata la politica, è Josè Aznar, il leader di centrodestra che sostituì Gonzalez alla Moncloa, per uscirne anch’egli appena cinquantenne.
berlusconi aznar da bush berlusconi aznar da bush
Infatti, a parte un contratto di consulenza con Endesa, la società elettrica spagnola, per l’America latina (ma ora che la proprietà è dell’Enel, il contratto potrebbe saltare), il grosso dell’attività di Aznar coinvolge aziende Usa. Il partner di Bush, Blair e Berlusconi nell’avventura irachena è consigliere o consulente della News Corp. di Murdoch, di giganti legali-contabili come Kpmg e Dla Piper, di colossi energetici come Doheny, del maggior produttore di oro al mondo, il canadese Barrick Gold, per cui Aznar ha appena concluso un accordo per una miniera a Santo Domingo.
I rapporti fra Blair e Murdoch si sono interrotti I rapporti fra Blair e Murdoch si sono interrotti
Un vorticar d’affari che lo ha ormai separato dalla politica: nel 2013 Aznar è stato in viaggio, lontano dalla Spagna, per 190 giorni su 365, peregrinando attraverso 22 paesi diversi.
Amato e Prodi alla conferenza sulla Cina Amato e Prodi alla conferenza sulla Cina
Dicono gli esperti che ognuno di quei ruoli porta ad Aznar 200 mila euro l’anno. Il totale sarebbe di un milione di euro l’anno, ma la società di consulenza di cui è amministratore unico, Famaztella, nel 2013 ha fatturato solo 242 mila euro. Il patrimonio accumulato dalla società, partita con un capitale sociale di 3 mila euro, è, comunque, di 2 milioni.

 http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/politica-paga-quando-si-abbandona-tony-blair-contratti-miliardari-78208.htm

PERCHÉ RENZI TAGLIA 150 MILIONI DI EURO ALLA RAI? “PERCHÉ VUOLE PORTARE SINDACATI E DIPENDENTI ALL’ESASPERAZIONE, ALLA ROTTURA E POI AL COMMISSARIAMENTO” - 2. PAROLA DI BISIGNANI, CHE CONOSCE BENE IL GIOCO TRA PALAZZO CHIGI E LE POLTRONE PUBBLICHE: “RENZI È RIUSCITO A PIAZZARE SOLO GENTE DELLA SUA CERCHIA RISTRETTA” - 3. “ORA TUTTI SONO RENZIANI, È IL TRASFORMISMO NAZIONALE. MA DEVE STARE ATTENTO AI VOLTAGABBANA. I TIPI COME MARIO DRAGHI, NOMINATO ALLA BCE GRAZIE A BERLUSCONI CONTRO IL VOLERE DI TREMONTI, E CHE NON HA MAI SPESO UNA PAROLA A FAVORE DI SILVIO” - 4. “HA VINTO ANCHE PERCHÉ NON HA AVUTO OPPOSIZIONE. E GRAZIE AGLI AIUTI ESTERNI. L'AMBASCIATA USA IN QUESTE ELEZIONI HA GIOCATO DIVERSE PARTITE: UNA CONTRO BERLUSCONI, UNA A FAVORE DI GRILLO PERCHÈ AGLI USA NON DISPIACE UN EURO DEBOLE, E POI UNA PER RENZI GRAZIE AL LEGAME CON IL NUOVO AMBASCIATORE JOHN PHILLIPS”


Paolo Bracalini per “il Giornale
Luigi Bisignani Luigi Bisignani
«Mario Draghi». Il primo che gli viene in mente è lui, il presidente della Bce. «Berlusconi si battè con tutte le forze contro il veto di Tremonti, che detestava Draghi, nemmeno si parlavano e non lo voleva alla Bce. Alla fine fu grazie all'appoggio di Berlusconi, con il tramite di Gianni Letta, che Draghi ce la fece. Beh, lei si ricorda dopo una parola spesa a favore di Berlusconi da Draghi?».
Nell'enorme archivio mentale di Luigi Bisignani ci sono tutti: i potenti della prima, seconda e terza repubblica (la renz-pubblica), il codazzo di estimatori interessati (manager pubblici, banchieri, giornalisti, peones ambiziosi, delfini e tonni), e poi il silenzio che scende quando il potente cade.
«Ricordo il professor Zichichi, chiamava tutte le mattine Andreotti, parlandogli di astronomia. Poi quando Andreotti cadde in disgrazia non si fece più sentire. Una volta si incontrarono e Andreotti gli chiese perché: “Pensavo che lei fosse morto” fu la risposta. Il trasformismo, il voltagabbanismo è nel dna della nazione».
GUBITOSI E TARANTOLA jpeg GUBITOSI E TARANTOLA jpeg
Sarebbe da scriverci un romanzo, genere in cui Bisignani è tornato, dopo il bestseller L'uomo che sussurra ai potenti, con un thriller, Il Direttore (sempre Chiarelettere), che parla ancora di potere (anche editoriale, ed ogni riferimento alle vicende del Corriere non è casuale...), tra le stanze dove si decide, spesso nell'ombra.
Bisignani, siamo sempre lì. Potenti, cortigiani, voltagabbana, corse sfrenate sul carro del vincitore.
«Con qualche differenza. Nelle prima Repubblica il cambio di casacca era molto ridotto. Ci furono solo due casi emblematici, quello di Fortebraccio che passò dalla Dc al Pci ma per motivi nobili, e quello di Franco Bassanini (attuale presidente della Cassa depositi e prestiti, ndr), che quando andò via dal Psi per la Sinistra indipendente, la dependance del Pci, fu preso a schiaffi da Ganci, tesoriere del Psi, che gli aveva pagato la campagna elettorale. Bassanini dice anche di non avermi mai conosciuto, ma non è vero, ci eravamo conosciuti nell'ufficio di Signorile».
Berlusconi - Draghi Berlusconi - Draghi
Voltare le spalle conviene.
«In politica sì, il tradimento paga. Parliamo di personaggi in cerca di autore e di collocazione, tradendo e cambiando casacca intanto galleggiano, e poi magari, se in quel momento il loro voto è decisivo, ottengono quello che cercano, una poltrona, una nomina, una ricandidatura... Per questo la seconda Repubblica è piena di trasformisti».
MARIO DRAGHI E TREMONTI MARIO DRAGHI E TREMONTI
Berlusconi ne ha fatto una collezione.
«Lui ha creato dal nulla molti personaggi che si sono convinti di essere degli statisti. Uno come Schifani, o come Angelino Alfano, che già nel 2011 lavoravano al dopo Berlusconi, tessendo la tela con Casini, con Enrico Letta, e poi, in tandem con Lupi, col Vaticano, in particolare con l'arcivescovo Rino Fisichella, per costruire una nuova alleanza dei moderati con Monti...».
CRAXI-ANDREOTTI CRAXI-ANDREOTTI
Poi Monti è finito maluccio, e il progetto di Alfano si chiama Ncd.
«L'unica salvezza di Alfano è che Renzi resti in sella. Infatti ognuno del Ncd cerca di convincere qualcuno a passare con la maggioranza, per durare il più possibile».
Mario Monti Angelino Alfano Mario Monti Angelino Alfano
Non sarà impossibile, visto che ora sono tutti renziani.
«Anche gente insospettabile, e come sempre quelli dello spettacolo, come fu con Craxi. La Vanoni e la Wertmüller pendevano dalle labbra di Bettino e poi da un giorno all'altro se ne dimenticarono. E anche i manager, sempre pronti a fare armi e bagagli. Mario Moretti nasce sindacalista, poi entra nell'orbita di Gianni Letta e ora va in Finmeccanica con Renzi. O Bernabè, anche lui un ex del giro Psi, che adesso sta con Renzi, grazie al legame con Carrai».
John R Phillips ambasciatore USA in Italia John R Phillips ambasciatore USA in Italia
E Renzi sembra faccia salire tutti sul carro.
«Lui li ingloba tutti, anche perché quelli del suo partito sono terrorizzati dal non essere più ricandidati. Ma anche Renzi deve stare attento, e D'Alema, che è il più intelligente da quelle parti, gli ha subito ricordato che senza il partito non avrebbe vinto così. Va detto che Renzi ha avuto anche altri aiuti. Non ha avuto opposizione, con Mediaset che è stata neutrale e Berlusconi che ha fatto passare il messaggio che lui non è un nemico. E poi aiuti esterni».
Da dove?
«L'ambasciata Usa in queste elezioni ha giocato diverse partite: una contro Berlusconi, una a favore di Grillo perchè agli Usa non dispiace un euro debole, e poi una per Renzi grazie al legame con il nuovo ambasciatore John Phillips, che è amico personale di Renzi. Serve anche la fortuna... Ma finora nella gestione del potere Renzi si sta rivelando diabolico, quasi arrogante».
alfano berlusconi alfano berlusconi
Altro che Berlusconi, che - cito lei - «non sa comandare, non usa il potere», fa decidere ad altri.
«C'è una differenza fondamentale tra i due, e si vede benissimo nel metodo usato nelle nomine delle società pubbliche. Berlusconi, da premier, mediava e finiva per accettare nomi che non erano ascrivibili direttamente a lui, ma magari ad An o ad altri partiti della sua maggioranza. Renzi invece no, mette persone sue, al massimo accetta le condizioni di veto di un partito, com'è successo con Forza Italia che ha messo il veto sulla Mondardini e Mangoni, due manager legati a De Benedetti.
monica mondardini arianna monica mondardini arianna
Ma quando deve decidere chi nominare poi Renzi si consulta solo con se stesso. Rompendo gli schemi, come in Enel. Se c'è stato manager pubblico che lo aveva sdoganato è stato Fulvio Conti. E Renzi non solo non l'ha premiato ma al suo posto ha messo Starace, un suo nemico. La verità è che finge di usare un metodo».
Finge come?
«Dice: dobbiamo nominare un terzo di donne. Ma è solo per mettere le persone che ha già in mente lui. Tutta gente che gravita attorno a Firenze, addirittura ad una cerchia comunale ristrettissima. Anche con la Rai sta facendo un lavoro di grande astuzia. Renzi è l'unico che è riuscito a ricompattare tutti, sindacati e dirigenti, contro il taglio dei 150 milioni di euro alla Rai. Ma perché? Perché così li porterà all'esasperazione per poi arrivare alla rottura e mettere un commissario».
Così si prende pure la Rai. Ci aspetta un ventennio renziano?
viale mazzini viale mazzini
«Intanto sono sicuro che Renzi non andrà alle elezioni. Lui vede Ncd, Scelta civica e M5s in disfatta, e quindi allargherà la maggioranza. Poi deve passare da Peter Pan a Harry Potter, mettersi a studiare. Come? Prendendo il controllo dell'amministrazione pubblica, dei burocrati che gli stanno già mettendo i bastoni tra le ruote. Ma è un metodo che non appartiene a Renzi, non lo conosce. E quindi farà una fatica bestiale».

 http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/perch-renzi-taglia-150-milioni-euro-rai-perch-vuole-portare-78203.htm

mercoledì 28 maggio 2014

BENVENUTI NELLA REPUBBLICA DEI MANDARINI - NEL NOSTRO PAESE LA VERA CASTA E' RAPPRESENTATA DAI BUROCRATI. E' PER QUESTO CHE E' ARDUO SE NON IMPOSSIBILE CAMBIARE VERAMENTE LE COSE IN ITALIA Come racconta Bracalini, Bassanini, presidente della Cdp, aveva proposto, nella primavera 2013, una soluzione per il problema dei miliardi di debiti della pubblica amministrazione verso le imprese private. Ma si è scontrato con i mandarini del Tesoro e della Ragioneria generale dello Stato, che hanno bloccato tutto…

Testo tratto dal libro di Paolo Bracalini, giornalista del Giornale, "La Repubblica dei mandarini. Viaggio nell'Italia della burocrazia, delle tasse e delle leggi inutili" (Marsilio, 198 pagine, 14 euro), in libreria da pochi giorni

Da "il Foglio"
LA REPUBBLICA DEI MANDARINI - PAOLO BRACALINILA REPUBBLICA DEI MANDARINI - PAOLO BRACALINI PUBBLICO ALLA PRESENTAZIONE DI PARTITI SPA DI PAOLO BRACALINI PH MARIO CASTIGLIONIPUBBLICO ALLA PRESENTAZIONE DI PARTITI SPA DI PAOLO BRACALINI PH MARIO CASTIGLIONI Ispettorato generale del bilancio della Ragioneria dello Stato. Mai sentito nominare? Probabilmente no. Eppure è l'ufficio che governa la spesa pubblica italiana, un enorme centro di potere al riparo da sguardi indiscreti, nella penombra in cui ama stare la grande burocrazia italiana, quel "mandarinato" pubblico che è il vero governo occulto del paese.
"Ho fatto quattro volte il ministro e qualsiasi cosa tu possa scrivere per denunciare quanto contano queste persone sarà sempre una parte infinitesimale della realtà. Lo stato sono loro e la Repubblica è appesa alle loro decisioni", racconta Altero Matteoli, ex ministro delle Infrastrutture, parlando dei superburocrati che decidono tutto nei ministeri.
"Nel 2001 nominai capo di gabinetto ai Lavori pubblici un professore, Paolo Togni, e la Corte dei conti rifiutò di registrarlo perché, dissero, non aveva i titoli. Chiesi allora che titoli servissero. Muta risposta. Ma nel silenzio fecero pressioni su Palazzo Chigi per far nominare uno dei loro: un magistrato contabile o uno del Consiglio di Stato o uno del Tar".
Ci volle un mese perché Togni fosse messo nelle condizioni di ricoprire l'incarico. Ma non sempre si vince il braccio di ferro con la burocrazia ministeriale, più spesso sono loro a trionfare. "Il monopolio delle informazioni è il vero motivo della potenza della burocrazia", spiega l'economista Francesco Giavazzi.
"Gestire un ministero è una questione complessa: richiede dimestichezza con il bilancio dello stato e il diritto amministrativo e soprattutto buoni rapporti con i burocrati che guidano gli altri ministeri e la presidenza del Consiglio. Gli alti dirigenti hanno il monopolio di questa informazione e di questi rapporti, e tutto l'interesse a mantenerlo". Giavazzi ha imputato alla scelta di mantenere al loro posto, "quasi senza eccezioni, tutti i grandi burocrati che guidano i ministeri", il vero motivo dell'insuccesso di Mario Monti nel taglio alla spesa pubblica.
Ma il professore ricorda come questo problema sia una costante per i ministri. Anche quelli più lontani dall'apparato burocratico pubblico finiscono inevitabilmente per sbatterci la testa. Successe a Giancarlo Pagliarini, primo ministro delle Finanze della Lega Nord, nel 1994. Un marziano a Roma, un fiscalista del Nord che mai aveva avuto a che fare con quel mondo. Al suo primo giorno di lavoro Pagliarini si trovò di fronte un documento della Ragioneria generale dello Stato, a suo avviso incomprensibile: "Bisogna rifare il bilancio dello Stato da zero. Se continuano a scriverlo così, solo la Ragioneria generale lo capisce e solo loro decideranno".
Inutile dire chi, tra la Ragioneria e Pagliarini, ha vinto la battaglia. L'ex ministro del Bilancio leghista ricorda perfettamente l'enorme potere di interdizione della burocrazia ministeriale. "Prendiamo come esempio la legge più importante che approva il governo", spiega Pagliarini, "e cioè la legge finanziaria. Negli ultimi anni la legge finanziaria è sempre passata con il maxiemendamento. Bene, il Parlamento lo approva di fatto senza averlo letto. Ma non l'ha letto perché non è scritto.
Sì, ci sono dei punti generali, ma poi sono i burocrati che lo scrivono due o tre mesi dopo l'approvazione. E quindi come si fa a sapere come lo scrivono? In sostanza il testo che tu approvi, magari come ministro, quindi anche con delle responsabilità importanti, non lo leggi nemmeno perché non c'è, non esiste ancora".
E a proposito delle sorprese che i burocrati possono riservare nell'implementare una legge, ecco che Pagliarini ci porta un esempio davvero sconcertante. "Quando si parla di burocrazia amo raccontare la storia dei Giochi del Mediterraneo di Bari. Ecco come è andata: il giorno prima del Consiglio dei ministri va in scena il preconsiglio dei ministri. Al preconsiglio ci vanno i vari capi di gabinetto che discutono e poi tornano dal ministro e gli riferiscono i risultati dell'incontro.
Quindi vengono da me e mi dicono che ci sarebbero queste venti leggi da approvare e che mi consigliano di farlo poiché ci sono dei problemi da approfondire l'indomani. Il problema principale è che la destra vorrebbe 5 miliardi di lire per finanziare i Giochi del Mediterraneo di Bari. Al che mi dicono che è inutile far casino per 5 miliardi, anche perché, se il ministro si dovesse impuntare su ogni singola voce di spesa, non se la caverebbe più e che quindi sarebbe consigliato concederglieli. Il giorno dopo la prassi vuole che si approvino le voci non problematiche, si leggano solo i titoli e si approvino.
C'è una cartellina con i documenti, ma di solito non si guarda mai. Bene, io quel giorno per curiosità la guardo e cosa scopro? Una cosa incredibile! Mi avevano detto 5 miliardi, ma qualcuno di notte aveva aggiunto uno zero ed erano diventati 50! E la frase non era più... "per finanziare i Giochi del Mediterraneo di Bari", ma... "per consentire l'inizio dei Giochi del Mediterraneo di Bari". Io di queste cose ho le fotocopie a casa.
Così funziona la burocrazia. E i giochi di Bari, dovete moltiplicarli per mille. Qualcuno negli uffici, a livello amministrativo cambia le carte in tavola! Loro sono consapevoli che nemmeno il Padre Eterno riuscirebbe a leggere sempre tutta la documentazione e se ne approfittano. Sanno che il linguaggio burocratico lo capiscono solo loro e che il politico è sostanzialmente obbligato ad approvare anche per via di pressioni esterne. Perché, per esempio, a me dicevano che bisognava approvare entro una certa scadenza sennò scattava l'esercizio provvisorio".
Un po' più ottimista è invece Adriano Teso, sottosegretario del ministero del Lavoro e della previdenza sociale nel 1994. Uno che, con il ruolo che aveva, di magagne burocratiche ne ha viste parecchie. "Hai il potere di cambiare tutto", ha spiegato Teso, "se porti in Parlamento politici di una certa pasta. Ci vuole etica e capacità. Certo che se parti con politici con etica e capacità discutibili, il risultato è scarso.
Pensate che io avevo addirittura portato nel mio gabinetto una mia persona per controllare i testi di legge perché capita che i tuoi dirigenti ti preparino delle leggi diverse rispetto a quelle che tu dicevi che dovevano essere fatte. E vi assicuro che sono degli artisti in questo, con il loro linguaggio criptico (come da decreto, rinviato al, la legge del... ecc.). E se un giorno ti impunti e dici di non voler firmare più niente e che vuoi vedere le carte, ti arrivano carrelli di roba alti un metro e mezzo per leggi anche di una pagina. Secondo me", prosegue, "esistono due aspetti di questa burocrazia deleteria. Uno che parte dal legislativo, perché hai un'infinità di leggi che poi, per gestirle e implementarle, ti portano per forza a un eccesso di burocrazia. Non per niente nel nostro paese c'è un eccesso legislativo.
Abbiamo un impianto legislativo senza paragoni nel mondo. Poi c'è la parte organizzativa della burocrazia e quello è un processo interno dei burocrati. In più c'è anche un discorso di buona fede. Perché spesso la burocrazia non è allineata con gli obiettivi della legge, ma con obiettivi propri". A detta di Sabino Cassese, invece, il sabotaggio burocratico è una prassi. "Ricordo che Andreotti si portò come capo di gabinetto a Palazzo Chigi l'ex ragioniere generale Milazzo, e non c'è dubbio che Milazzo avesse un potere enorme", racconta Cassese intervistato da Andrea Cangini sul "Quotidiano Nazionale".
"Persino Stammati, ministro del Tesoro ed ex ragioniere a sua volta, faticava a farsi ascoltare. Il fenomeno del sabotaggio burocratico è stato ampiamente studiato, accade quando le burocrazie si sostituiscono al potere politico e decidono cosa fare e quando farlo. Ricordo il caso di un noto capo di gabinetto contrario a certi cambiamenti nell'amministrazione previsti da una legge appena varata. Sapeva che il governo sarebbe durato massimo 12 mesi e fissò in 18 mesi il termine per emanare il decreto legislativo che avrebbe dovuto dare attuazione alla legge.
L'Italia è caratterizzata dal fatto che i governi o durano poco, o hanno una scarsa coesione e una modesta capacità di leadership, o entrambe le cose contemporaneamente. Tutto ciò, unito all'incultura e all'inesperienza di certi ministri, fa sì che si formino sacche di amministrazione che vanno in direzione diversa da quella voluta dalla politica".
La precarietà dei ministri, in confronto all'eternità dei burocrati, rende questi ultimi spesso molto più potenti dei politici, trattati con sufficienza dai mandarini di Stato che sanno di essere più forti. L'oscurità e la complessità delle leggi, invece, è fatta apposta per perpetuare il potere della casta burocratica. "I burocrati ministeriali scrivono le norme e gestiscono le informazioni in maniera iniziatica, in modo da risultare indispensabili", dice a Cangini un ex ministro che vuole restare anonimo.
Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi e prestiti, la cassaforte finanziaria del paese, aveva proposto, nella primavera 2013, una soluzione per il problema dei miliardi di debiti della pubblica amministrazione italiana verso le imprese private, ma si è scontrato con i mandarini del Tesoro e della Ragioneria generale dello Stato, che hanno bloccato tutto. La soluzione era una semplice cartolarizzazione: i debiti, garantiti dallo Stato, vengono trasferiti dalle imprese alle banche, che liquidano immediatamente le imprese immettendo così miliardi nell'economia. Poi lo Stato garantisce, attraverso la Cassa depositi e prestiti, che le banche vengano rimborsate dalla Pa, con un piano di rientro distribuito in un arco di più anni.
"Le banche italiane avrebbero comprato volentieri i 90 miliardi di euro di debiti garantiti dallo Stato", racconta Bassanini, intervistato da Alan Friedman. "Sarebbe stata un'operazione virtuosa che immetteva in un colpo solo 60-70 miliardi nell'economia italiana e dava benzina all'economia, senza incidere sul deficit neanche dello zero per cento".
Le imprese verrebbero pagate subito (dalle banche), lo Stato potrebbe ripagare i debiti nel tempo, mentre le banche avrebbero la convenienza di poter compensare i propri crediti con le imprese. Tutti contenti, dunque. La Spagna lo ha fatto e ha funzionato, nel Parlamento italiano, poi, c'era la maggioranza pronta a votare il piano Bassanini. E allora, come mai non si è fatto? "C'è stata una forte resistenza burocratica... In questo caso specifico la tesi (dei vertici del Tesoro e della Ragioneria generale dello Stato) era che l'Europa non ce lo avrebbe permesso. La burocrazia italiana, tanto più quando è preparata e forte, spesso usa l'Europa come pretesto per non fare le cose che non vuole si facciano. Ci sono diverse cose che servirebbero alla crescita del paese e che trovano resistenze non politiche ma burocratiche".
La vera casta sono i burocrati. Per questo è arduo, se non impossibile, cambiare veramente, in Italia. Prova ne sia il documento di "passaggio di consegne" affidato dal ministro dell'Economia uscente, Fabrizio Saccomanni, a quello entrante, Pier Carlo Padoan. Ventisei fogli A3, meticolosamente annotati, che illustrano la bellezza di 465 fra decreti e regolamenti previsti dalle riforme dei governi Letta e Monti, ancora da attuare, alcuni fermi da due anni. Su quel macigno di leggi immobili i funzionari dei ministeri spesso specificano: "L'attuazione (del decreto per una piattaforma elettronica per i debiti Pa, ndr) presenta oggettive difficoltà attuative".
"Per un altro decreto", scrive Fabrizio Forquet sul "Sole 24 Ore", "l'annotazione a uso interno è la fotografia dello stallo burocratico: "Sollecitata Rgs da Ulf, ufficio legislativo Finanze (nota 1418 del 10 febbraio). Il Dipto Finanze concorda con l'Ag. Entrate riguardo all'opportunità di abrogare la disposizione. Anche Rgs è d'accordo. Evidenziate dagli Uffici (Ag. Entrate, Dipto Finanze, Rgs) difficoltà applicative all'adozione del decreto. Opportuna abrogazione della disposizione"". Il responso, riportato nella colonna a fianco, è inesorabile: "Non attuabile".
Il sigillo dell'alta burocrazia gattopardesca italiana: riscrivere tutto, perché nulla cambi. chi comanda nei ministeri Ci racconta un ex ministro della Giustizia di lungo corso che preferisce restare anonimo: "La legge Bassanini che ha riformato la pubblica amministrazione divide nettamente la classe politica da quella amministrativa. Il ministro può soltanto dare gli indirizzi di natura generale e politica, tutto il resto lo fa l'amministrazione del suo ministero, al punto che ormai gli atti che firma il ministro sono quasi soltanto di natura formale, mentre quelli attuativi sono in mano all'amministrazione.
Faccio un esempio. Un ministro non firmerà mai una gara d'appalto o un affidamento, queste pratiche competono tutte all'amministrazione. La conseguenza è che quando sei lì, ti trovi dentro un macchinone immenso, quello del tuo dicastero, e qui c'è già il primo problema. Lei pensi che al ministero della Giustizia avevo sotto di me 120 mila dipendenti, il ministro dell'Istruzione ne ha un milione... Con queste dimensioni significa che il ministero è diviso in una serie di dipartimenti che gestiscono realtà enormi, con molti capitoli di spesa e con i funzionari che fanno passare i soldi da una parte all'altra senza che il ministro possa controllare nulla.
Come la storia degli esodati della Fornero. E' chiaro che le hanno dato delle cifre sbagliate i suoi funzionari... Un ministero è un macchinone gigantesco, il ministro non sa tutto, anzi spesso sa poco. Pensi che a me avevano messo una centrale di ascolto al ministero senza dirmi nulla. I funzionari tendono a ragionar così: tu fai il ministro, ma le cose importanti le decidiamo noi, i capi dipartimento. Una figura strapotente al ministero della Giustizia è il capo del Dap, il Dipartimento di amministrazione penitenziaria.
Gestisce un budget di 5 miliardi di euro su 7 totali del ministero, 50 mila poliziotti della penitenziaria. Immagini il potere che ha. Poi molto dipende anche dalla personalità dei vari ministri. Con un ministro debole i burocrati hanno uno spazio di intervento enorme... Naturalmente se sei esperto della materia puoi in qualche modo capire cosa sta succedendo nel tuo ministero. Bisogna stare molto attenti alle cifre che ti vengono date dall'apparato". Caso tipico è al ministero delle Infrastrutture.
"Il nostro problema", ha spiegato al Fatto Quotidiano Alessandro Fusacchia, ex consigliere per la diplomazia economica alla Farnesina, "è fondamentalmente l'incertezza giuridica. Abbiamo migliaia di leggi e leggine che insistono sullo stesso argomento, per esempio il lavoro, e nessuno sa esattamente quali siano le regole. In questo modo nessuno si assume dei rischi e tutto diventa lentissimo".
In questo caos acquista potere la casta dei giuristi di Stato, dei capi di gabinetto e degli uffici legislativi. "Stiamo parlando di circa 50 persone che controllano l'essenziale ", ha detto Fusacchia. la ragioneria (di stato) ha sempre ragione Ma non ci sono soltanto i grandi boiardi dei ministeri: capi di gabinetto, capi di dipartimenti, esperti legislativi, consiglieri. Ci sono anche organismi terzi, composti da tecnici o da magistrati, che contano moltissimo sull'attuazione (e soprattutto sulla non attuazione) di riforme, leggi e decisioni politiche. Uno di questi è il Cipe, il comitato interministeriale per la programmazione economica.
"I ministeri di spesa passano tutti dal Cipe. Le spese per l'edilizia scolastica, le infrastrutture, i fondi per l'industria, la banda larga, passa tutto da lì. E' composto dai ministri, ma anche dalla Ragioneria generale dello Stato che ha un enorme potere di veto. Se non vedono che dal punto di vista finanziario è tutto a posto, non ti danno il benestare. Se non c'è la famosa bollinatura, la bollinatura della Ragioneria, non passa niente. Allora non è più soltanto una questione tecnica, ma anche politica, perché se si decide che un'opera non va bene, non si farà mai. E capita spessissimo".
Le bollinature, cioè il via libera contabile della Ragioneria a ogni provvedimento di spesa, "vengono concesse solo se il provvedimento rientra nella "visione" politica del ragioniere generale. In caso contrario vengono negate o subordinate a scelte "politiche" diverse", racconta un ex ministro diessino che vuole restare anonimo.
L'ha sperimentato sulla propria pelle l'ex senatore Mario Baldassarri, che da presidente della commissione finanze provò a metter mano a quella parte di spesa pubblica, per acquisto beni e servizi (40 miliardi l'anno), che fa capo alle grandi burocrazie ministeriali. L'emendamento non piaceva al capo del legislativo dell'economia e alla Ragioneria generale dello Stato, che non gli diede la "bollinatura".
Lui andò avanti, finché alcuni compagni di partito gli dissero di aver ricevuto una telefonataccia da un importante direttore generale di ministero che consigliava di ritirare quell'emendamento. Baldassarri si infuriò, minacciò di chiamare l'autorità costituita e di denunciare il ragioniere generale dello Stato per "palesi falsi e giudizi politici". Ma alla fine tutto fu insabbiato.


 http://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/benvenuti-nella-repubblica-dei-mandarini-nel-nostro-paese-la-vera-casta-e-rappresentata-dai-77996.htm

È TORNATO IL BILDERBERG! E STAVOLTA LA GUEST STAR ITALIANA È MONICA MAGGIONI - 2. L’ANNO SCORSO BERNABÈ (‘CAPO’ DEL GRUPPO ITALIANO) SI ERA PORTATO IN GITA LILLI GRUBER, STAVOLTA TOCCA ALLA DIRETTRICE DI RAINEWS, UN CANALE CON LO 0,6% DI SHARE - 3. INSIEME A ERIC SCHMIDT DI GOOGLE E AL GENERALE PETRAEUS TROVIAMO JOHN ELKANN PER DIRITTO DINASTICO, E L’ORMAI DIMENTICATO MARIO MONTI, EX STELLA DEL CLUB - 4. L’INCONTRO DELLA “SPECTRE” SI TERRÀ AL MARRIOT DI COPENHAGEN DAL 29 MAGGIO AL 1 GIUGNO - 5. QUEST’ANNO IL GRUPPO DISCUTERÀ DI COME FARE PER ARGINARE IL POTERE CRESCENTE DI PUTIN, L’ASSE RUSSIA-CINA E L’ONDA ANTI-EURO E ANTI-BILDERBERG RAPPRESENTATA DAI VARI GRILLO, LE PEN E DAL DANESE MESSERSCHMIDT (27% ALLE EUROPEE) -

DAGOREPORT
La direttrice di RaiNews parteciperà all'incontro della "Spectre" internazionale, che stavolta si terrà al Marriot di Copenhagen in Danimarca, dal 29 maggio al 1 giugno - L'incontro si terrà in un'Europa, tra Le Pen, Grillo, e il partito del Popolo Danese che ha preso il 27%, che ha fatto campagna sulla guerra ai principi Bilderberg...
Monica MaggioniMonica Maggioni
LA LISTA BILDERBERG 2014
CURRENT LIST OF PARTICIPANTS - STATUS 26 MAY 2014
Chairman
FRA Castries, Henri de Chairman and CEO, AXA Group
DEU Achleitner, Paul M. Chairman of the Supervisory Board, Deutsche Bank AG
DEU Ackermann, Josef Former CEO, Deutsche Bank AG
GBR Agius, Marcus Non-Executive Chairman, PA Consulting Group
FIN Alahuhta, Matti Member of the Board, KONE; Chairman, Aalto University Foundation
GBR Alexander, Helen Chairman, UBM plc
USA Alexander, Keith B. Former Commander, U.S. Cyber Command; Former Director, National Security Agency
Franco BernabeFranco Bernabe USA Altman, Roger C. Executive Chairman, Evercore
FIN Apunen, Matti Director, Finnish Business and Policy Forum EVA
DEU Asmussen, Jörg State Secretary of Labour and Social Affairs
HUN Bajnai, Gordon Former Prime Minister; Party Leader, Together 2014
GBR Balls, Edward M. Shadow Chancellor of the Exchequer
PRT Balsemão, Francisco Pinto Chairman, Impresa SGPS
FRA Baroin, François Member of Parliament (UMP); Mayor of Troyes
FRA Baverez, Nicolas Partner, Gibson, Dunn & Crutcher LLP
USA Berggruen, Nicolas Chairman, Berggruen Institute on Governance
ITA Bernabè, Franco Chairman, FB Group SRL
DNK Besenbacher, Flemming Chairman, The Carlsberg Group
NLD Beurden, Ben van CEO, Royal Dutch Shell plc
SWE Bildt, Carl Minister for Foreign Affairs
NOR Brandtzæg, Svein Richard President and CEO, Norsk Hydro ASA
INT Breedlove, Philip M. Supreme Allied Commander Europe
AUT Bronner, Oscar Publisher, Der STANDARD Verlagsgesellschaft m.b.H.
SWE Buskhe, Håkan President and CEO, Saab AB
TUR Çandar, Cengiz Senior Columnist, Al Monitor and Radikal
ESP Cebrián, Juan Luis Executive Chairman, Grupo PRISA
FRA Chalendar, Pierre-André de Chairman and CEO, Saint-Gobain
CAN Clark, W. Edmund Group President and CEO, TD Bank Group
INT Coeuré, Benoît Member of the Executive Board, European Central Bank
IRL Coveney, Simon Minister for Agriculture, Food and the Marine
GBR Cowper-Coles, Sherard Senior Adviser to the Group Chairman and Group CEO, HSBC Holdings plc
BEL Davignon, Etienne Minister of State
SERGIO MARCHIONNE E JOHN ELKANNSERGIO MARCHIONNE E JOHN ELKANN USA Donilon, Thomas E. Senior Partner, O'Melveny and Myers; Former U.S. National Security Advisor
DEU Döpfner, Mathias CEO, Axel Springer SE
GBR Dudley, Robert Group Chief Executive, BP plc
FIN Ehrnrooth, Henrik Chairman, Caverion Corporation, Otava and Pöyry PLC
ITA Elkann, John Chairman, Fiat S.p.A.
DEU Enders, Thomas CEO, Airbus Group
DNK Federspiel, Ulrik Executive Vice President, Haldor Topsøe A/S
USA Feldstein, Martin S. Professor of Economics, Harvard University; President Emeritus, NBER
CAN Ferguson, Brian President and CEO, Cenovus Energy Inc.
GBR Flint, Douglas J. Group Chairman, HSBC Holdings plc
ESP García-Margallo, José Manuel Minister of Foreign Affairs and Cooperation
USA Gfoeller, Michael Independent Consultant
TUR Göle, Nilüfer Professor of Sociology, École des Hautes Études en Sciences Sociales
USA Greenberg, Evan G. Chairman and CEO, ACE Group
GBR Greening, Justine Secretary of State for International Development
NLD Halberstadt, Victor Professor of Economics, Leiden University
USA Hockfield, Susan President Emerita, Massachusetts Institute of Technology
NOR Høegh, Leif O. Chairman, Höegh Autoliners AS
David PetraeusDavid Petraeus NOR Høegh, Westye Senior Advisor, Höegh Autoliners AS
USA Hoffman, Reid Co-Founder and Executive Chairman, LinkedIn
CHN Huang, Yiping Professor of Economics, National School of Development, Peking University
USA Jackson, Shirley Ann President, Rensselaer Polytechnic Institute
USA Jacobs, Kenneth M. Chairman and CEO, Lazard
USA Johnson, James A. Chairman, Johnson Capital Partners
USA Karp, Alex CEO, Palantir Technologies
USA Katz, Bruce J. Vice President and Co-Director, Metropolitan Policy Program, The Brookings Institution
Regina Sofia di spagnaRegina Sofia di spagnaCAN Kenney, Jason T. Minister of Employment and Social Development
GBR Kerr, John Deputy Chairman, Scottish Power
USA Kissinger, Henry A. Chairman, Kissinger Associates, Inc.
USA Kleinfeld, Klaus Chairman and CEO, Alcoa
TUR Koç, Mustafa Chairman, Koç Holding A.S.
DNK Kragh, Steffen President and CEO, Egmont
USA Kravis, Henry R. Co-Chairman and Co-CEO, Kohlberg Kravis Roberts & Co.
USA Kravis, Marie-Josée Senior Fellow and Vice Chair, Hudson Institute
CHE Kudelski, André Chairman and CEO, Kudelski Group
INT Lagarde, Christine Managing Director, International Monetary Fund
BEL Leysen, Thomas Chairman of the Board of Directors, KBC Group
USA Li, Cheng Director, John L.Thornton China Center,The Brookings Institution
SWE Lifvendahl, Tove Political Editor in Chief, Svenska Dagbladet
CHN Liu, He Minister, Office of the Central Leading Group on Financial and Economic Affairs
PRT Macedo, Paulo Minister of Health
FRA Macron, Emmanuel Deputy Secretary General of the Presidency
ITA Maggioni, Monica Editor-in-Chief, Rainews24, RAI TV
GBR Mandelson, Peter Chairman, Global Counsel LLP
USA McAfee, Andrew Principal Research Scientist, Massachusetts Institute of Technology
PRT Medeiros, Inês de Member of Parliament, Socialist Party
GBR Micklethwait, John Editor-in-Chief, The Economist
RE JUAN CARLO E LA REGINA SOPHIA DI SPAGNARE JUAN CARLO E LA REGINA SOPHIA DI SPAGNAGRC Mitsotaki, Alexandra Chair, ActionAid Hellas
ITA Monti, Mario Senator-for-life; President, Bocconi University
USA Mundie, Craig J. Senior Advisor to the CEO, Microsoft Corporation
CAN Munroe-Blum, Heather Professor of Medicine and Principal (President) Emerita, McGill University
USA Murray, Charles A. W.H. Brady Scholar, American Enterprise Institute for Public Policy Research
NLD Netherlands, H.R.H. Princess Beatrix of the
ESP Nin Génova, Juan María Deputy Chairman and CEO, CaixaBank
FRA Nougayrède, Natalie Director and Executive Editor, Le Monde
DNK Olesen, Søren-Peter Professor; Member of the Board of Directors, The Carlsberg Foundation
FIN Ollila, Jorma Chairman, Royal Dutch Shell, plc; Chairman, Outokumpu Plc
TUR Oran, Umut Deputy Chairman, Republican People's Party (CHP)
GBR Osborne, George Chancellor of the Exchequer
FRA Pellerin, Fleur State Secretary for Foreign Trade
USA Perle, Richard N. Resident Fellow, American Enterprise Institute
USA Petraeus, David H. Chairman, KKR Global Institute
CAN Poloz, Stephen S. Governor, Bank of Canada
INT Rasmussen, Anders Fogh Secretary General, NATO
DNK Rasmussen, Jørgen Huno Chairman of the Board of Trustees, The Lundbeck Foundation
INT Reding, Viviane Vice President and Commissioner for Justice, Fundamental Rights and Citizenship, European Commission
Tom DonilonTom DonilonUSA Reed, Kasim Mayor of Atlanta
CAN Reisman, Heather M. Chair and CEO, Indigo Books & Music Inc.
NOR Reiten, Eivind Chairman, Klaveness Marine Holding AS
DEU Röttgen, Norbert Chairman, Foreign Affairs Committee, German Bundestag
USA Rubin, Robert E. Co-Chair, Council on Foreign Relations; Former Secretary of the Treasury
USA Rumer, Eugene Senior Associate and Director, Russia and Eurasia Program, Carnegie Endowment for International Peace
NOR Rynning-Tønnesen, Christian President and CEO, Statkraft AS
NLD Samsom, Diederik M. Parliamentary Leader PvdA (Labour Party)
GBR Sawers, John Chief, Secret Intelligence Service
NLD Scheffer, Paul J. Author; Professor of European Studies, Tilburg University
NLD Schippers, Edith Minister of Health, Welfare and Sport
USA Schmidt, Eric E. Executive Chairman, Google Inc.
AUT Scholten, Rudolf CEO, Oesterreichische Kontrollbank AG
USA Shih, Clara CEO and Founder, Hearsay Social
FIN Siilasmaa, Risto K. Chairman of the Board of Directors and Interim CEO, Nokia Corporation
ESP Spain, H.M. the Queen of
USA Spence, A. Michael Professor of Economics, New York University
FIN Stadigh, Kari President and CEO, Sampo plc
USA Summers, Lawrence H. Charles W. Eliot University Professor, Harvard University
IRL Sutherland, Peter D. Chairman, Goldman Sachs International; UN Special Representative for Migration
SWE Svanberg, Carl-Henric Chairman, Volvo AB and BP plc
TUR Taftali, A. Ümit Member of the Board, Suna and Inan Kiraç Foundation
Obama e il Consigliere per la sicurezza nazionale Tom DonilonAP resizeObama e il Consigliere per la sicurezza nazionale Tom DonilonAP resize USA Thiel, Peter A. President, Thiel Capital
DNK Topsøe, Henrik Chairman, Haldor Topsøe A/S
GRC Tsoukalis, Loukas President, Hellenic Foundation for European and Foreign Policy
NOR Ulltveit-Moe, Jens Founder and CEO, Umoe AS
INT Üzümcü, Ahmet Director-General, Organisation for the Prohibition of Chemical Weapons
CHE Vasella, Daniel L. Honorary Chairman, Novartis International
FIN Wahlroos, Björn Chairman, Sampo plc
SWE Wallenberg, Jacob Chairman, Investor AB
SWE Wallenberg, Marcus Chairman of the Board of Directors, Skandinaviska Enskilda Banken AB
USA Warsh, Kevin M. Distinguished Visiting Fellow and Lecturer, Stanford University
GBR Wolf, Martin H. Chief Economics Commentator, The Financial Times
USA Wolfensohn, James D. Chairman and CEO, Wolfensohn and Company
NLD Zalm, Gerrit Chairman of the Managing Board, ABN-AMRO Bank N.V.
GRC Zanias, George Chairman of the Board, National Bank of Greece
USA Zoellick, Robert B. Chairman, Board of International Advisors, The Goldman Sachs Group

 http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/tornato-bilderberg-stavolta-guest-star-italiana-77970.htm

martedì 27 maggio 2014

BISIGNANI IL VEGGENTE – ‘’NEL 1988, PARLAVO DI UN IMPRENDITORE CHE DIVENTA CAPO DEL GOVERNO. DUE ANNI FA, HO ANTICIPATO CHE ALFANO AVREBBE TRADITO BERLUSCONI. ED ORA L’INCHIESTA SU BAZOLI…” ‘’La dissoluzione dei poteri forti è la cornice del romanzo ‘Il Direttore’ (Chiarelettere).» spiega Bisignani, che proprio in questo contesto inquadra l'inchiesta su Bazoli: «Non essendoci più i poteri forti di una volta, quelli rimasti sono più vulnerabili»…

Damiano Iovino per "Panorama"
Nascerà un film dall'ultimo libro di Luigi Bisignani, Il Direttore (Chiarelettere). A interpretare Mauro De Blasio, il direttore del quotidiano milanese di cui parla il romanzo potrebbero essere George Clooney, Fabrizio Bentivoglio o Giancarlo Giannini. Molti sono convinti che il potente banchiere Ludovico Bogani e il direttore protagonisti del libro che in due settimane è già in classifica, in realtà siano il presidente di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli e il direttore del Corriere del/a sera Ferruccio de Bortoli, ma Bisignani, coinvolto in alcune delle più scottanti inchieste degli ultimi anni, nega con forza.
bisignani internabisignani interna Sorridendo. «Da quando è venuta fuori la notizia delle inchieste su Bazoli, sono sommerso dalle telefonate di amici che mi chiamano la Slbilla Cumana», spiega. «Ma quando ho scritto, chiaramente non ne sapevo nulla». Non è la prima volta che anticipa il futuro: «Nel mio primo thriller, "Il sigillo di porpora", scritto nel 1988, sei anni prima dell'esordio di Silvio Berlusconi in politica, parlavo di Silvio Bruschi, un imprenditore che diventa capo del governo» e nel successo letterario di due anni fa, "L'uomo che sussurrava ai potenti, aveva anticipato che Angelino Alfano avrebbe tradito Berlusconi.
Ferruccio de Bortoli Paolo Mieli Scott Jovane e Laura Donnini, amministratore delegato di RCS Libri. Ferruccio de Bortoli Paolo Mieli Scott Jovane e Laura Donnini, amministratore delegato di RCS Libri. Comunque, «"Il Direttore" ha tutti gli elementi del thriller, dai morti ammazzati al sesso,. e racconta personaggi amati dai lettori perché verosimili. La dissoluzione dei poteri forti è la cornice del romanzo» spiega Bisignani, che proprio in questo contesto inquadra l'inchiesta su Bazoli: «Non essendoci più i poteri forti di una volta, quelli rimasti sono più vulnerabili».
Tornando al libro, l'autore ammette che "ognuno mette una maschera ai miei personaggi: un gioco nel quale quello che si diverte di più sono io. Mi hanno raccontato che al "Corriere" c'è un caporedattore che non ho mai conosciuto convinto che parli di lui. Qualcuno mi ha addirittura chiamalo chiedendomi "parlavi di me?" e sono stato costretto a deluderlo».
LUIGI ABETE ALESSANDRO PROFUMO FEDERICO GHIZZONI GIOVANNI BAZOLI FOTO LAPRESSELUIGI ABETE ALESSANDRO PROFUMO FEDERICO GHIZZONI GIOVANNI BAZOLI FOTO LAPRESSE «Alla fine il complimento più bello l'ho avute proprio sul Corriere, dove Pigi Battista ha scritto che il mio libro è un fotoromanzo. Negli anni 70 quelle riviste vendevano milioni di copie» conclude Bisignani, osservando che «se il personaggio Bogani sia Bazoli è un giochino che può piacere in certe stanze di Roma o di Milano: l'Importante è che il banchiere che descrivo sia come se lo immaginano gli italiani».

 http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/bisignani-il-veggente-nel-1988-parlavo-di-un-imprenditore-che-diventa-capo-del-governo-77922.htm

BLACKSTONE MANGIA ITALIA - IL FONDO CHE HA COMPRATO LA SEDE DEL "CORRIERE" ORA PUNTA PURE AI PALAZZI DI STATO E FA UN'OFFERTA PER UN PACCHETTO DI 800 MILIONI DEL FONDO IMMOBILI PUBBLICI GESTITO DALLA FINNAT DELLA FAMIGLIA NATTINO L'offerta per l'intero perimetro è un'altra mossa a sorpresa di Blackstone sul territorio italiano, anche per spiazzare gli altri fondi di private equity stranieri come Cerberus. Oltre al palazzo di via Solferino, negli ultimi mesi, il gruppo americano ha comprato anche una quota di minoranza della maison di moda Versace… - -

Carlo Festa per ‘Il Sole 24 Ore'
Il colosso finanziario statunitense Blackstone punta a comprare centinaia di milioni di immobili dello Stato: uffici ministeriali e dell'agenzia delle entrate ma anche caserme e uffici della Guardia di Finanza.
BLACKSTONEBLACKSTONE Questi palazzi fanno parte del fondo immobiliare Fip (Fondo immobili pubblici), gestito dalla Sgr Investire Immobiliare (la società controllata dalla Banca Finnat della famiglia Nattino). Di recente è infatti finito sul mercato un portafoglio di Fip di oltre una ventina di immobili.
L'offerta di Blackstone, secondo le indiscrezioni, sarebbe per l'intero portafoglio, del valore di circa 800 milioni di euro. Il fondo Usa punterebbe a fare massa critica in Italia sugli immobili che hanno la garanzia di avere lo Stato come affittuario.
Sul piatto, però, ci sarebbe anche l'offerta di un altro private equity statunitense, cioè Cerberus che sarebbe però interessato soltanto a una parte del portafoglio in vendita (del valore di circa 300 milioni di euro).
L'offerta per l'intero perimetro è un'altra mossa a sorpresa di Blackstone sul territorio italiano, anche per spiazzare gli altri fondi opportunistici stranieri come Cerberus, dopo le operazioni che il gruppo Usa fondato da Stephen Schwarzman ha chiuso negli ultimi mesi nel Belpaese.
SEDE CORRIERE DELLA SERASEDE CORRIERE DELLA SERA Il colosso americano, quotato al Nyse, ha infatti rilevato alla fine dello scorso anno da Rcs Mediagroup il palazzo del Corriere della Sera in via Solferino per 120 milioni di euro. Nel febbraio scorso il gruppo americano ha inoltre lanciato un'Opa sul fondo immobiliare quotato Atlantic 1, gestito da Idea Fimit. Se poi si guarda oltre il settore immobiliare, Blackstone ha rilevato una minoranza della maison Versace qualche mese fa.
Giampietro Nattino Giampietro NattinoInfine Blackstone è in corsa in due delle maggiori aste attualmente in corso sui non performing loan (Npl) italiani: da una parte quella su Release, la bad bank del Banco Popolare dove sono confluiti i crediti problematici di natura immobiliare del gruppo Italease. Blackstone sarebbe poi in corsa anche nell'asta su Uccmb, la Credit Management Bank del gruppo Unicredit leader in Italia nel settore della gestione degli Npl. In Italia Blackstone è rappresentato da Paolo Bottelli, ex-amministratore delegato di Prelios.
Giampietro Nattino Giampietro NattinoLa notizia dell'avvio del processo di vendita sul Fondo immobili pubblici, affidato all'advisor Cbre, era stata anticipata dal Sole 24 Ore lo scorso 19 maggio. Ora arrivano invece le prime indiscrezioni sui due fondi sttaunitensi che sarebbe in pole position per l'acquisto.Fip è il primo fondo immobiliare promosso nel 2004 dallo Stato italiano, che vi ha inserito 394 immobili sul territorio nazionale per un valore di portafoglio di circa 3,9 miliardi di euro. Le prime cessioni sono iniziate nel 2007, quando Investire Immobiliare ne ha ceduti in modo progressivo 150 per un controvalore di oltre un miliardo di euro.
I 21 asset del portafoglio che sono oggetto dell'asta gestita dall'advisor Cbre sono distribuiti su tutto il territorio nazionale e ad occuparli sono uffici della pubblica amministrazione (in particolare, agenzia delle Entrate, agenzia delle Dogane, Inail, Inps, ministero dei Trasporti, ministero del Lavoro) oltre a caserme e uffici della Guardia di Finanza.

 http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/blackstone-mangia-italia-il-fondo-che-ha-comprato-la-sede-del-corriere-ora-punta-77928.htm

venerdì 23 maggio 2014

Next ▶◀ Prev Home 23 mag 2014 16:58 E IO NON PAGO! - GRAZIE A SCARICABARILI E CAVILLI LEGALI, LE LOBBY DEL GIOCO NON HANNO VERSATO QUASI NULLA PER LE CAMPAGNE INFORMATIVE PER SALVARE I TOSSICI DEL GIOCO D’AZZARDO Si dà infatti il caso che nella convenzione di concessione stipulata da Monopoli e aziende del gioco ci sia un passaggio in cui si spiega che “il concessionario, per la realizzazione degli interventi di comunicazione e informazione istituzionali disposti dall’Agenzia, si impegna espressamente a stanziare, l’importo annuo previsto dal piano di sviluppo e comunque non superiore a 1 milione di euro”….

Angelo Perfetti e Stefano Sansonetti per "www.lanotiziagiornale.it"
slot machines e casino sulla tiburtina jpegslot machines e casino sulla tiburtina jpeg Il solito ginepraio fatto di scaricabarili. Un azzardo, verrebbe da dire, a valle del quale a rimetterci sono i ludopatici, ovvero tutti coloro che sono incappati nella dipendenza da gioco. La questione è amaramente complessa. I big delle slot machine e videolottery, in pratica le aziende concessionarie, sulla carta dovrebbero stanziare fino a 1 milione di euro del loro bilancio per sviluppare piani di comunicazione e informazione sulla ludopatia.
slot machineslot machine Peccato che per il momento siano stati messi sul piatto pochi spiccioli, il cui utilizzo non è nemmeno pienamente controllabile dal controllore, ovvero l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato guidata da Giuseppe Peleggi, con il vice Luigi Magistro competente proprio sul settore del gioco. Per carità, il tutto ha un che di paradossale. Sarebbe come chiedere alla McDonald's di pagare un piano di comunicazione per mettere in guardia dai rischi che si corrono mangiando panini con l'hamburger. Ma nell'ipocrisia generale del gioco d'azzardo succede anche questo.
slths18 gente agli slot machineslths18 gente agli slot machine IL PUNTO
Si dà infatti il caso che nella convenzione di concessione stipulata da Monopoli e aziende del gioco ci sia un passaggio che sta sollevando un vespaio. In esso si spiega che "il concessionario, per la realizzazione degli interventi di comunicazione e informazione istituzionali disposti dall'Agenzia, si impegna espressamente a stanziare, a decorrere dall'avvio della concessione, l'importo annuo previsto dal piano di sviluppo e comunque non superiore a 1 milione di euro".
Il piano di sviluppo di cui si parla deve essere predisposto dall'Agenzia dei Monopoli e prevedere iniziative per promuovere il gioco legale e responsabile. Ora, la convenzione di concessione è stata sottoscritta dai big del gioco d'azzardo il 20 marzo del 2013, cioè più di un anno fa, dopo che l'Agenzia dei Monopoli ha perfezionato l'aggiudicazione delle gare per le concessioni addirittura indette nell'agosto 2011. In ballo ci sono 12 gruppi, la crema della lobby del gioco: Cirsa, Codere, Cogetech, G.Matica, Gamenet, Hbg Connex, Intralot, Lottomatica, Netwin, Nts Network, Sisal e Snai. Ebbene, quanti soldi hanno tirato fuori, finora, per iniziative anti-ludopatia? Praticamente nulla.
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Tra le ragioni di questa inconcludenza ci sono i tempi di predisposizione del piano di sviluppo. I Monopoli, interpellati da La Notizia, ieri hanno spiegato che il documento è stato inviato ai concessionari a fine 2013. Come dire: dalla sottoscrizione della convenzione del marzo 2013 fino alla fine di quell'anno nessun intervento poteva essere finanziato perché mancavano le linee guida dei Monopoli.
Tutta colpa della struttura guidata da Magistro? Non integralmente, a quanto pare, perché la stessa struttura ha spiegato che il piano di sviluppo non fa altro che inserirsi nella scia del Piano nazionale per la prevenzione del gioco d'azzardo, a suo tempo approvato da un Osservatorio ad hoc previsto dal decreto Balduzzi del 2012. Peccato che questo Piano Nazionale, al momento, sia ancora all'attenzione del governo per le valutazioni sul suo impatto finanziario.
E dato che le iniziative del Piano di sviluppo dei Monopoli si inquadrano nelle aree di intervento del Piano nazionale, "il relativo avvio in forma sistematica è stato posticipato in attesa che il predetto documento venisse compiutamente vagliato a livello politico".
gratta e vincigratta e vinci Va da sé, hanno ancora precisato i Monopoli, che "ove il detto vaglio non intervenga in tempi brevi, le iniziative stesse saranno comunque poste in essere, sotto il controllo dei Monopoli, nei termini di realizzazione del piano annuale di sviluppo, che saranno a breve fissati con riferimento al piano di avanzamento del primo semestre". Comunque la si giustifichi, la situazione finora è tale che la lobby del gioco ha scucito poco o nulla per programmi informativi antiludopatia.
gratta e vincigratta e vinciIL CAVILLO
Anche perché, come sempre accade, il diavolo è nascosto nei dettagli. I Monopoli fanno notare che all'art. 14, comma 10 della convenzione di concessione c'è scritto che i concessionari si impegnano a stanziare un importo annuo "comunque non superiore a 1 milione di euro". Traduzione: possono spendere per le campagne informative molto meno, senza che i Monopoli possano contestare le cifre.
In più le somme non devono essere girate all'Agenzia, ma sono gestite direttamente dagli stessi concessionari. A quanto pare un sistema a prova di bomba. Nei mesi scorsi il Codacons, presieduto da Giuseppe Ursini, ha chiesto ai Monopoli e a otto concessionari l'accesso ai documenti per verificare se e come i big del gioco stiano finanziando iniziative informative. Ma la richiesta è stata respinta.

 http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/io-non-pago-grazie-scaricabarili-cavilli-legali-lobby-gioco-77765.htm