giovedì 28 luglio 2016

Operazione Blue Moon Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Con operazione Blue Moon[1] si intende un'operazione sotto copertura messa in atto dai servizi segreti dei paesi del blocco occidentale all'inizio degli anni settanta, nell'ambito della Guerra Fredda, finalizzata a diffondere l'uso di droghe pesanti, in particolare l'eroina, tra i giovani attivisti dei movimenti giovanili di contestazione, in modo da renderli dipendenti e distoglierli dalla lotta politica. La strategia si attuò mediante una sapiente operazione di "lancio" del prodotto: dapprima vennero bruscamente tolte dal mercato clandestino tutte le altre droghe allora diffuse (in particolare marijuanahashish e anfetamine), al contempo si iniziò una capillare diffusione di piccole dosi di eroina vendute a bassissimo prezzo, così da indurre i consumatori (in particolare giovani e giovanissimi, in buona parte appartenenti alla galassia di gruppi politici di sinistra extra-parlamentare nati nel post-sessantotto) a passare alla nuova sostanza, sfruttando anche la diffusa ignoranza sui gravissimi effetti collaterali in termini di dipendenza che essa comporta. Gli esiti sociali di questa operazione furono un aumento vertiginoso del numero dei tossicodipendenti e delle morti da overdose: il numero degli eroinomani passò da zero nel 1970 agli oltre 300.000 nel 1985.

I primi esperimenti negli Stati Uniti[modifica | modifica wikitesto]

Durante gli anni '60 cominciò a diffondersi nel movimento studentesco statunitense l'uso di stupefacenti come evento di gruppo: era soprattutto l'ideologia hippy ad essere particolarmente a favore dell'uso di droghe psichedeliche a scopo ricreativo e della sperimentazione continua di nuove sostanze. Questa mentalità diffusa era alimentata dal pensiero di alcuni intellettuali, come Timothy Leary, che incoraggiavano l'uso di queste sostanze come sfida alle convenzioni sociali per raggiungere un nuovo grado di conoscenza in campo artistico ed esistenziale. Tale inclinazione dei giovani figli dei fiori venne ben presto sfruttata dal governo americano per finalità di controllo e repressione. In base a documenti desecretati provenienti dagli archivi della CIA e dell'FBI, fin da prima del 1968 il Governo americano avevano infiltrato numerosi agenti sotto copertura all'interno dei movimenti studenteschi con il compito di introdurre l'uso di sostanze psicotrope tra i giovani attivisti; durante la convention hippy di Chicago del 1969 gli agenti infiltrati rappresentavano il 17% dei partecipanti:[senza fonte] si raggiunse così un grado di controllo interno su questi gruppi talmente avanzato da poter cominciare una strategia di immissione massiccia di droghe. L'enorme diffusione di eroina nei ghetti neri fu tra le principali cause della sconfitta e della successiva dissoluzione dei movimenti rivoluzionari afroamericani come le Pantere Nere.

L'operazione Blue Moon in Italia[modifica | modifica wikitesto]

Il 20 marzo 1970 un'operazione antidroga condotta a Roma dai carabinieri porta alla scoperta di un barcone ormeggiato sul Tevere[senza fonte] dove alcuni giovani dei movimenti si radunavano per fumare hashish e marijuana. Da questo momento inizierà una campagna di stampa sui giornali vicini alla destra tesa a stigmatizzare il rischio della diffusione delle droghe nelle strade e a identificare il contestatore (rappresentato icasticamente come "il capellone", secondo la moda allora in voga di portare i capelli lunghi) come consumatore e spacciatore di stupefacenti, un pericolo quindi per i giovani e la società tutta. Secondo alcuni leader del Movimento Studentesco come Luigi Cancrini e Mario Capanna, questo fu un deliberato tentativo di delegittimare il movimento del '68 e le sue istanze di rinnovamento, attuato attraverso il sovradimensionamento a fini allarmistici di un fenomeno come quello del consumo di droghe fino ad allora del tutto marginale. Il quadro storico-politico è quello della Strategia della tensione, con l'attentato di piazza Fontana meno di quattro mesi prima e il fallito "golpe Borghese" nel dicembre dello stesso anno: in questi anni si assiste a un costante aumento dei consensi del Partito Comunista Italiano e parallelamente a un acuirsi dei conflitti sociali e delle manifestazioni di piazza. Si inizia a pensare di attuare anche in Europa e in Italia una strategia di introduzione dall'alto di sostanze stupefacenti, su tutte l'eroina, nei gruppi giovanili, similmente a quanto fatto negli Stati Uniti.
L'operazione Blue Moon venne concepita per la prima volta nel 1972 durante un incontro segreto tra membri dei servizi segreti di vari paesi europei tenutosi in una località segreta sui monti Vosgi[senza fonte]. Secondo Roberto Cavallaro, collaboratore del SID, presente all'incontro, al vertice parteciparono esponenti dei servizi sia dei paesi NATO che del Patto di Varsavia: l'argomento era quello di trovare metodi meno espliciti possibili per mettere a tacere i gruppi di opposizione ai governi in carica, attraverso operazioni di guerra psicologica. Di questa forma di guerra non ortodossa, per l'Europa occidentale, se ne occupò l'Aginter Press di Lisbona, organizzazione parallela dei servizi del patto atlantico che operava in funzione anticomunista. In Italia l'uomo di collegamento con la CIA per l'operazione Blue Moon era Ronald Stark: agente segreto, persona enigmatica, amico personale di Timothy Leary, molto vicino ai gruppi pacifisti americani, che riforniva di grandi quantità di LSD, e per questo usato molto spesso come infiltrato. Arrivato a Roma nel 1972, secondo il SISDE giunge ad avvicinare in carcere alcuni elementi delle Brigate Rosse, tra cui Renato Curcio e altri esponenti di gruppi della sinistra extra-parlamentare. Secondo il giudice Guido Salvini, titolare di molte inchieste relative alla strategia della tensione, Stark può essere considerato il principale realizzatore per l'Italia del piano Blue Moon. Contemporaneamente, negli stessi giorni, si assiste a una improvvisa intensificazione della repressione del traffico di hashish e marijuana nelle piazze di spaccio delle città italiane; viene inoltre approvata la legge Valsecchi, che mette al bando le anfetamine dalla lista dei farmaci ammessi, con trentaquattro anni di ritardo rispetto al resto d'Europa. Tra gli spacciatori comincia a circolare dapprima una grande quantità di morfina venduta a buon mercato, se non addirittura ceduta gratuitamente, che porta molti utilizzatori di anfetamina a passare a questa nuova sostanza. Tra il 1973 e il '74 anche la morfina comincia a scomparire e viene gradualmente soppiantata dall'eroina, anch'essa venduta inizialmente in buona qualità e a bassissimo prezzo. L'unico sequestro significativo di eroina in quegli anni sarà attuato nel 1975 dalla squadra mobile di Roma coordinata dal commissario Ennio Di Francesco, a cui tuttavia verrà avocata immediatamente l'indagine e sarà il giorno stesso allontanato dalla mobile.

Le conseguenze dell'operazione[modifica | modifica wikitesto]

Tra il 1975 e il 1980 l'eroina si fa sempre più diffusa e la tossicodipendenza inizierà a diventare un fenomeno endemico delle periferie urbane italiane ed europee che interesserà un'intera generazione. Sia i media che le istituzioni sembrano non comprendere il fenomeno crescente e diffondono messaggi confusi e contraddittori sugli effetti reali della sostanza; l'attenzione sembra essere ancora rivolta tutta contro la marijuana e le altre droghe leggere. La prima vittima da overdose avviene ad Udine nel 1974, nel '77 i consumatori sono già saliti a 20.000, fino a sfiorare alla metà degli anni ottanta i 300.000 tossicodipendenti. La situazione era aggravata dalla mancanza di un adeguato sistema di cura e prevenzione nelle strutture sanitarie e, sebbene una parte dei gruppi politici si rendesse conto del rischio che l'eroina comportava, la consapevolezza del rischio rimase per molti anni ancora gravemente insufficiente.

https://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Blue_Moon

martedì 26 luglio 2016

LE BUGIE DI CASA AGNELLI - LA FUGA IN OLANDA ANTI-TASSE DI EXOR LA CHIAMANO "INTERNAZIONALIZZAZIONE" - ENTRERANNO BILL GATES, ROTHSCHILD E SAWIRIS PER SOSTITUIRE CHI NON ACCETTERA' IL TRASLOCO AD AMSTERDAM - SALE LA QUOTA DI ELKANN - IL CERVELLO FIAT DOVEVA RESTARE A TORINO, MA I SOLDI SCAPPANO...

Raffaella Polato per il “Corriere della Sera”

Mancava Exor, la capogruppo. John Elkann ha chiuso il cerchio ieri: anche la holding porta la sede in Olanda. A differenza di Fiat Chrysler Automobiles, Ferrari e Cnh Industrial, che l'hanno preceduta trasferendo da Torino ad Amsterdam la base legale ma scegliendo Londra come residenza fiscale, Exor avrà l' una e l' altra nei Paesi Bassi.

Per l' Italia, assicurano al Lingotto, non cambierà nient' altro, a partire dalla Borsa di quotazione: il titolo è e resterà «esclusivamente sul mercato telematico» di Piazza Affari. Novità sul fronte societario però potrebbero essercene: è probabile che entrino, o aumentino partecipazioni già in portafoglio, azionisti di livello globale che fanno parte del «network» costruito negli anni della presidenza Elkann.

Azionisti che si chiamano Bill Gates, attraverso Cascade Investments, o lord Jacob de Rothschild, o quel Nassef Sawiris che non a caso è stato l' esponente del capitalismo familiare internazionale invitato all' ultima assemblea della Giovanni Agnelli & C. Ovvero della cassaforte della dinastia Agnelli-Elkann, che ovviamente manterrà il suo ruolo di socio di maggioranza e potrebbe, anzi, incrementare il proprio 52,99%.
SUN VALLEY CONFERENCE BILL GATESSUN VALLEY CONFERENCE BILL GATES 

Dipenderà dalla risposta del mercato a un' operazione che ha le leggi e il Fisco olandesi come approdo finale ma nasce, spiega il plenipotenziario della famiglia, per le stesse ragioni che hanno portato Fca, Ferrari, Cnh e tutti i maggiori business della holding - inclusa PartnerRe, che una «geografia» simile l' aveva già prima di entrare nel gruppo - ad aprire la strada: «I nostri principali investimenti hanno già riorganizzato le strutture societarie per riflettere meglio la loro attività globale, ed è quindi naturale che Exor si allinei».

«Naturale» che identiche siano anche le modalità attraverso cui il tutto avverrà: quelle della fusione transfrontaliera.

Exor verrà incorporata da Exor Holding N.V, secondo un' agenda che prevede la distribuzione ai soci di un' azione della «nuova» finanziaria per ciascuna «vecchia». Come nelle altre società, ci sarà un meccanismo di fidelizzazione che premierà con diritti di voto multipli (5 e 10) chi manterrà l' investimento prima per cinque, poi per dieci anni.
SAWIRISSAWIRIS

Chiaro che potrà esserci, in parallelo, chi invece non vorrà seguire la società in Olanda.
Ed è qui che, insieme al diritto di recesso fissato a 31,2348 euro (sotto le attuali quotazioni: 33,51 euro ieri), entrerebbero in gioco la Giovanni Agnelli & C. e i grandi investitori internazionali del «network Elkann».

La sostanza è semplice. C' è una sola condizione sospensiva dell' operazione che dovrà essere approvata dall' assemblea straordinaria il 3 settembre: il valore delle richieste di recesso non dovrà superare i 400 milioni. Fino a quella soglia (considerata elevata) il riassorbimento è garantito: per un massimo di 100 milioni dagli stessi Agnelli-Elkann, attraverso la cassaforte di famiglia che in un comunicato «conferma il suo sostegno» pieno; per un massimo di 300 milioni dal gruppo di investitori globali di cui fanno parte i Gates, i Rothschild, i Sawiris.
John Elkann con MArchionneJOHN ELKANN CON MARCHIONNE 

I tempi saranno veloci: se tutto andrà come previsto dal Lingotto, la fusione diventerà efficace entro fine 2016. Quella del 3 settembre potrebbe dunque essere l' ultima assemblea torinese e italiana della finanziaria, ed è ovvio che sotto la Mole (intanto) lo si viva come un abbandono.

Del quale, però, si capiscono le ragioni, se Sergio Chiamparino - oggi presidente della Regione Piemonte, ieri sindaco di Torino - sintetizza così: «Vengono meno anche gli ultimi legami finanziari tra la famiglia Agnelli e Torino: sempre più dobbiamo lavorare per valorizzare il nostro patrimonio del "saper fare" automobilistico per essere città dell'auto senza essere città della Fiat.
RENZI MARCHIONNERENZI MARCHIONNE

Dal momento, però, che come altri trasferimenti di sedi non avviene in paradisi fiscali, ma in uno dei sei Paesi fondatori della Comunità europea, potrebbe essere utile una forte iniziativa in sede Ue per rendere più omogenee le varie legislazioni». Suona come un «invito» al premier Matteo Renzi.

http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/bugie-casa-agnelli-fuga-olanda-anti-tasse-exor-chiamano-129412.htm

CHI EVADE E CHI SEMPLIFICA - GLI AGNELLINI PORTANO LA FIAT E LA EXOR IN OLANDA SOPRATTUTTO PERCHE' SI PAGANO MENO TASSE E LE IMPRESE STRANIERE, DA UNILEVER A NESTLÉ, POSSONO DISEGNARE UN GOVERNO SOCIETARIO SU MISURA - "GENIALE" IL TITOLO DE "LA STAMPA": "EXOR SEMPLIFICA..."

Sara Bennewitz per “la Repubblica”

john elkann andrea agnelliJOHN ELKANN ANDREA AGNELLI
Non è solo merito della «vennootschapsbelasting», una sorta di scioglilingua che in olandese significa «imposta sul reddito delle imprese». L’aspetto fiscale è uno fra quelli che spingono sempre più società europee a battere bandiera olandese, ma ad attirarle tra l’Aja ed Amsterdam sono anche altre caratteristiche di quel sistema: dalla possibilità di disegnare un governo societario su misura per ogni esigenza, fino a un funzionamento da Formula 1 del sistema amministrativo e giudiziario.
MARCHIONNE BORSA FCAMARCHIONNE BORSA FCA

In Olanda l’aliquota media sulle imprese è del 25%. Meno di quanto paga oggi Exor in Italia - visto che l’imposizione media da noi è del 27,5% - ma più di quanto avrebbe pagato l’anno prossimo, visto che nel 2017 la stessa aliquota dovrebbe scendere al 24.

Un vantaggio non enorme, dunque, al quale bisogna però aggiungere altri dati decisamente positivi per chi sceglie di spostarsi in quel Paese: intanto in Olanda è sconosciuta quell’Irap che da noi pesa il 3,9% del fatturato e porta l’imposizione complessiva oltre il 31%; e poi alcune operazioni caratteristiche di una holding, come la vendita di una partecipazione con la relativa plusvalenza, sotto le Alpi pagano un’imposta del 5% mentre tra i polder non hanno imposizione.

john elkannJOHN ELKANN
«Ma il sistema olandese è vantaggioso anche perché offre una serie di servizi e garanzie, tra cui la certezza del diritto, la semplicità del sistema normativo e la velocità dei tempi della giustizia, che lo rendono molto interessante non solo sotto l’aspetto fiscale», spiega Stefano Simontacchi, esperto di diritto tributario e partner dello studio Bonelli Erede che l’Olanda la conoscebene, anche perché da sedici anni ha una cattedra di Diritto tributario internazionale all’Università di Leida.

E in effetti negli ultimi anni le società che hanno trovato una seconda vita olandese sono spuntate - è il caso di dirlo - come tulipani. L’hanno scelta colossi del largo consumo come Unilever e Nestlé, ma anche l’europeissima Airbus, attirati anche dalla possibilità di emettere azioni «di fedeltà », con diritti di voto che si moltiplicano a seconda del periodo per cui sono stati tenuti i titoli: in questo modo Exor si è già assicurata un saldo controllo di Fca, e alla stessa maniera gli Agnelli potranno in futuro rafforzare il controllo sulla finanziaria.

FCAFCA 
Altri vantaggi? «Faccio un esempio concreto - spiega ancora Simontacchi -. Se sei una holding con diverse partecipate in tutto il mondo avere la sede in Olanda ti aiuta perché hai un regime agevolato sulla doppia tassazione, ad esempio per i dividendi e le royalties di una controllata in Cina. Ma hai un vantaggio anche grazie ai trattati bilaterali sugli investimenti che ha stipulato con molti Paesi: se si verifica un problema che deve essere risolto è chiaro fin da subito qual è il foro di competenza e quindi qual è la norma a cui fare riferimento per stabilire chi ha ragione. E ad esempio sulla giustizia tributaria in Olanda si arriva a una sentenza definitiva in tre anni, mentre in Italia ce ne vogliono dieci».

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Anche per questo l’Aja figura in fondo alla lista dei Paesi con maggiore incertezza fiscale, una classifica al contrario dove i peggiori stanno in testa e i più virtuosi in coda. Uno studio presentato dieci giorni fa da Giorgia Maffini dell’Ocse indica l’India come il Paese da incubo per avere a che fare con la macchina fiscale e la sua incertezza, seguita da Brasile e Russia. L’Italia è al sesto posto, mentre l’Olanda veleggia gloriosa in ventunesima posizione. Meglio di lei fa solo la Svizzera.

L’effetto Brexit porterà molte novità anche nella concorrenza, non solo fiscale, per attrarre le imprese straniere. Proprio l’Olanda - che peraltro è tra i Paesi più desiderosi di uscire dall’Unione europea - potrebbe avere nell’immediato forti benefici dalla scelta di Londra. L’Italia, che pure si è mossa con la legislazione sul “patent box”, i brevetti, rischia invece di perdere ancora pezzi del suo sistema industriale e finanziario. La Whirlpool, che di recente ha acquisito Indesit - ad esempio - secondo alcune fonti starebbe meditando anch’essa una mossa «olandese».

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E la speranza di creare in Europa un piano di gioco piatto dal unto i vista fiscale pare destinata a restare per l’appunto una speranza. «La storia non mi rende molto ottimista sulla possibilità che i governi europei si mettano d’accordo sulle aliquote. Se ne parla già dagli anni ‘60. La proposta al momento in discussione di avere un’unica base consolidata per tutta l’Unione Europea sarebbe un passo avanti, ma è difficile immaginare che sia realizzabile politicamente », commenta Micheal Devereux, professore che si occupa di tassazione delle imprese alla Saïd Business School dell’Università di Oxford. Fino ad allora sarà più facile e conveniente affidarsi alla «vennootschapsbelasting ».

http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/chi-evade-chi-semplifica-agnellini-portano-fiat-exor-129430.htm

domenica 24 luglio 2016

Piano Solo Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il Piano Solo fu un tentativo di colpo di Stato, ideato dal capo dell'Arma dei Carabinieri, il generale Giovanni De Lorenzo durante la crisi del I governo Moro.

Il piano[modifica | modifica wikitesto]

Il progetto si proponeva di assicurare all'Arma dei Carabinieri (il cui comandante generale era al tempo il generale Giovanni De Lorenzo) il controllo militare dello Stato per mezzo dell'occupazione dei cosiddetti «centri nevralgici» e, soprattutto, prevedeva un progetto di «enucleazione», cioè il prelevamento e il conseguente rapido allontanamento di 731 persone considerate pericolose del mondo della politica e del sindacato: costoro sarebbero dovuti essere raggruppati e raccolti nella sede del Centro Addestramenti Guastatori di Poglina, vicina a Capo Marrargiu, nel territorio di Alghero (in seguito principale base militare di addestramento della struttura clandestina Gladio), adattata a tempo di record dal SIFAR, e dove sarebbero stati «custoditi» sino alla cessazione dell'emergenza. La lista dei soggetti da prelevare sarebbe stata ricavata ed elaborata sulla base delle risultanze di riservati fascicoli del SIFAR, pretesi da De Lorenzo qualche anno prima. Nel frattempo l'Arma avrebbe assunto il controllo delle istituzioni e dei servizi pubblici principali, compresi la televisione, le ferrovie ed i telefoni[1].
In pratica, all'ordine del comandante generale (che in teoria avrebbe potuto impartirlo anche sua sponte, cioè anche sprovvisto di istruzioni superiori), i carabinieri avrebbero catturato quei personaggi politici loro indicati e li avrebbero inviati in Sardegna via mare o su aerei coi finestrini oscurati, detenendoli in uno dei siti più impervi del territorio nazionale[1]Una delle varianti del piano prevedeva l'uso di sommergibili, ma la circostanza che gli unici adatti fossero posseduti dalla marina degli Stati Uniti fece ripiegare su navi ordinarie della Marina Militare Italiana[senza fonte].

La vicenda[modifica | modifica wikitesto]

Affluenza di reparti militari nella Capitale[modifica | modifica wikitesto]

Il 25 marzo 1964, De Lorenzo si era incontrato con i comandanti delle divisioni di MilanoRoma e Napoli, e aveva posto in essere un piano finalizzato a far fronte a una situazione di estrema emergenza da parte dei carabinieri e solo essi (Piano Solo). Il piano prevedeva di occupare anche questure, sedi di partiti e sindacati[1]. La riunione era stata autorizzata ufficialmente dal Capo di stato maggiore della difesa, generale Rossi.
Nel giugno 1964, la tradizionale parata militare della Festa della Repubblica era stata eseguita da un numero di militari straordinariamente più elevato del solito. In occasione delle successive celebrazioni per il 150º anniversario della fondazione dell'Arma dei carabinieri, rimandata dal 7 al 14 giugno per precedenti impegni del Presidente della Repubblica, il comandante generale Giovanni De Lorenzo fece sfilare l'appena rodata brigata meccanizzata, con un'impressionante dotazione di armi e mezzi pesanti[2].
Dopo la sfilata, adducendo motivazioni di ordine logistico, il Comando generale comunicò che le truppe affluite nella Capitale per le celebrazioni vi si sarebbero trattenute sino alla fine del mese successivo. A Romaarrivarono anche i paracadutisti dei corpi speciali; alcuni gruppi di sottufficiali, addestrati nei mesi precedenti nell'utilizzo di apparecchiature elettroniche di trasmissione, si trasferirono in gran segreto e massima riservatezza a Milano e a Roma per essere preparati, in caso di attuazione del piano, così da poter occupare subito le sedi della Rai.

Caduta del primo governo di centro-sinistra guidato da Aldo Moro[modifica | modifica wikitesto]

Il 25 giugno 1964, rimasto senza maggioranza nella votazione sul capitolo 88 del bilancio della pubblica istruzione, il governo Moro, primo di centro-sinistra della Repubblica, fu costretto alle dimissioni, rassegnate il successivo 26 giugno[3]. La ricomposizione sembrava difficile e un'eventuale riedizione del centrosinistra non sarebbe piaciuta a Segni, poiché vedeva, in prospettiva, rischi gravi di destabilizzazione per la democrazia italiana[3].
Il dibattito politico verteva principalmente sulla nuova fase politica di centrosinistra inaugurata nel 1962 dal quarto governo Fanfani col sostegno esterno dei socialisti e poi proseguita con l'inclusione dei socialisti stessi nel primo governo formato da Aldo Moro.
Negli Stati Uniti la presidenza Kennedy aveva in qualche modo mitigato la netta chiusura americana nei confronti di tali nuove esperienze di governo.

Il generale De Lorenzo mette in preallarme i comandi dei Carabinieri[modifica | modifica wikitesto]

Tra la fine di giugno e i primi giorni del mese di luglio, De Lorenzo pose in preallarme le strutture interessate, convocando i comandanti delle più importanti divisioni e predisponendo l'eventuale richiamo in servizio di militari già congedati detto Piano SIGMA, e fece distribuire le liste con i nomi di coloro che si sarebbero dovuti «prelevare» (o «enucleare»).
Il giorno 28 giugno si svolse in tutta urgenza anche la riunione straordinaria dei tre Comandi di Divisione di MilanoRoma e Napoli. Durante questa riunione sorsero delle perplessità da parte degli alti ufficiali sugli ordini loro impartiti (da ricordare che erano in pochi a conoscere il Piano). Si parlò anche di occupare le prefetture e sequestrare armi in mano i prefetti che opponevano resistenza[senza fonte].
Nella riunione dello stesso 28 giugno si parlò anche del trasporto degli «enucleandi», organizzato in precedenza con i Capi di Stato maggiore della Marina, ammiraglio Giuriati e dell'Aeronautica, generale Remondino[1]; non è ancora emersa la posizione di questi ultimi nella vicenda ma probabilmente non erano a conoscenza del piano e De Lorenzo avrebbe parlato loro solo di trasmissioni e telecomunicazioni e del trasporto dei «sovversivi» in Sardegna.

Il Presidente Segni consulta De Lorenzo sul nuovo incarico governativo[modifica | modifica wikitesto]

Segni, temendo gravi rischi di destabilizzazione per la democrazia italiana, si consultò ripetutamente con i comandanti delle Forze Armate, in particolare con il capo del SIFAR, il generale Giovanni De Lorenzo (comandante dell'Arma dei Carabinieri)[3]. Contemporaneamente, il 15 luglio – fatto inedito ed irripetuto per un comandante militare[senza fonte] – De Lorenzo fu convocato ufficialmente dal Capo dello Stato Antonio Segni, nel corso delle consultazioni per la nomina del nuovo governo. Immediatamente dopo, venne consultato anche il Capo di Stato maggiore della Difesa generale Aldo Rossi[1].

Contrapposizione tra il Presidente Segni e Aldo Moro[modifica | modifica wikitesto]

La contrapposizione politica che si stabilì, a livelli quasi di scontro, fra il Capo dello Stato ed il premier uscente Aldo Moro riguardava appunto il centrosinistra: alle proposte di Moro (cui peraltro Segni doveva buona parte delle sue fortune politiche, compreso il Quirinale), che avrebbe aperto alla sinistra con maggior fiducia, col sostegno di una parte della DC ed un tiepido avvicinamento del PCI, Segni rispose proponendo, o forse minacciando, un governo di tecnici sostenuto dai militari[1].
L'uomo cui Segni prevedeva di dover far riferimento per l'affidamento delle funzioni di governo sarebbe stato il presidente del Senato Cesare Merzagora[4], che si era poco tempo prima fatto notare per una singolare affermazione in cui dichiarava di attendersi che i partiti politici avrebbero avuto vita breve, invocando un governo di emergenza.

Secondo governo Moro[modifica | modifica wikitesto]

Il 17 luglio, invece, Moro si recò al Quirinale, con l'intenzione di accettare l'incarico per formare un nuovo governo di centro-sinistra[1]. Durante le trattative, infatti, il PSI, su impulso di Pietro Nenni, aveva accettato il ridimensionamento dei suoi programmi riformatori. La crisi rientrò, nessun carabiniere dovette muoversi.
Moro, insieme a Nenni (che nel 1967 rievocherà quel periodo come quello del «tintinnio di sciabole»)[3], optò per un più tranquillo e morbido ritorno alla formula governativa precedente, che avrebbe evitato rischi alquanto inquietanti, e il PSI rilasciò prudenti comunicati di rinuncia ad alcune richieste di riforme che prima aveva avanzato come prioritarie[5].

Malattia e dimissioni di Antonio Segni[modifica | modifica wikitesto]

Il 7 agosto, giorno successivo all'insediamento del nuovo governo, Segni fu colpito da un ictus cerebrale nel corso di un'accesissima discussione con Moro e Saragat; la supplenza del Quirinale fu assunta dal presidente del Senato Cesare Merzagora[1].
Qualche mese dopo, perdurando la condizione di impedimento, Segni si dimise definitivamente e al suo posto fu eletto Giuseppe Saragat.

La scoperta del Piano (1967)[modifica | modifica wikitesto]

Nel dicembre del 1965, dopo aver lasciato l'Arma, De Lorenzo diventò Capo di Stato Maggiore dell'Esercito al posto del generale Giuseppe Aloja.
Il piano era stato tenuto ovviamente segreto, sebbene alcune voci avessero sin dall'inizio preso a circolare (sempre più insistentemente, provocando nel 1965 la metamorfosi del SIFAR, evolutosi nel pressoché identico SID, formalizzata l'anno successivo). La sua scoperta pubblica si ebbe soltanto qualche anno dopo, grazie ad alcuni articoli L'Espresso diretto da Eugenio Scalfari, che diede inizio a una campagna giornalistica che ricostruiva le vicende del «bimestre nero» dandone i connotati di un golpe incompiuto ma innegabile[3]. Alla «bomba» dell'Espresso seguirono una causa giudiziaria tra De Lorenzo da una parte, Scalfari e Lino Jannuzzi(autore degli articoli) dall'altra; dopo una condanna dei giornalisti in primo grado tutto si concluse con una remissione di querela[3].

Le conseguenze e le indagini[modifica | modifica wikitesto]

Immediatamente De Lorenzo fu rimosso dal suo incarico allo Stato Maggiore dell'Esercito e furono avviate procedure di inchiesta da parte di diversi enti; per i carabinieri fu il vice-comandante generale, il generale Giorgio Manes, già precedentemente in urto col De Lorenzo (ed anche con uno dei suoi successori, Ciglieri) e uno fra i primi ad ammettere pubblicamente l'esistenza del piano, a dirigere un'investigazione che si risolse nel famoso «rapporto Manes». Manes, in realtà, era ben partecipe (come subordinato) del piano e anzi taluni suoi appunti privati del tempo furono in seguito esaminati in sede giudiziaria per ricostruire le fasi dell'approntamento del piano[6].
Fu istituita una commissione parlamentare d'inchiesta che, insieme alle inchieste militari, censurò con espressioni dure il comportamento tenuto da De Lorenzo, ma ritenne che il suo piano illegittimo (perché approntato all'insaputa dei responsabili governativi e delle altre forze dell'ordine e affidato unicamente ai carabinieri) fosse irrealizzabile e fantasticante, bollandolo come «una deviazione deprecabile» ma non come un tentativo di colpo di Stato[3].
Parte del materiale raccolto dagli organismi che avevano indagato fu coperto da omissis per motivi di sicurezza[3], facendo mancare perciò il necessario materiale d'esame, e anche la lista degli «enucleandi» andò perduta (mentre dei fascicoli SIFAR si dispose la distruzione).
Nel frattempo, nel 1968, De Lorenzo diventò deputato nelle fila del Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica (dal 1971 nel Movimento Sociale Italiano) e, nel nuovo ruolo, con la mozione n.484 del 9 ottobre 1968, tentò di organizzare e decidere come si sarebbero svolti i lavori di inchiesta parlamentare che lo riguardavano.
Nel 1990 il governo presieduto da Giulio Andreotti deliberò la rimozione degli omissis ed emerse che anche la sede del PSI avrebbe dovuto essere occupata, con 20.000 Carabinieri da impiegare[3].

Il dibattito[modifica | modifica wikitesto]

Va detto che simili piani, o quantomeno piani preventivamente messi a punto per fronteggiare evenienze delle più varie nature, e quindi anche contro i rivolgimenti politici o le insurrezioni, erano in realtà normalmente predisposti dai governi dei paesi occidentali in periodo di Guerra Fredda.
Tuttavia, il contesto storico in cui tentò il suo svolgimento il Piano Solo presenta delle peculiarità legate a vicende politiche strettamente italiane. Infatti dal 1962 si era aperta in Italia la fase del tutto nuova del centrosinistra, con promesse di riforme strutturali che solo in parte furono mantenute, ma che comunque andarono a minacciare un assetto burocratico-militare che mutuava uomini e metodi dal periodo fascista.
Come detto, in Italia si avevano numerosi «piani emergenziali» (o «piani di contingenza»), per giunta solo qualche anno prima riordinati da un'accurata circolare del Capo della PoliziaAngelo Vicari. Uno degli aspetti nei quali però il Piano Solo differiva da quelli «ordinari» era la riserva operativa esclusiva a favore dell'Arma, mentre gli altri tuttora sono piani squisitamente interforze, coordinati a livello di prefettura; sono interforze per la ragione di voler sfruttare insieme le diverse competenze specialistiche, ma lo sono certo anche per non consegnare i poteri di emergenza ad una sola istituzione.
Il Piano Solo, del resto, fu chiamato così proprio perché solo i Carabinieri lo avrebbero attuato, ma effettivamente il nome deriva dall'intestazione del documento redatto dal colonnello Luigi Bittoni per le aree vitali della giurisdizione sotto la seconda divisione. Il significato di quell'intestazione è comunque che era un piano a cui avrebbero partecipato solo i carabinieri.
Il piano, che si è ricostruito ex post (ma non ancora con piena nitidezza), avrebbe avuto origine e integrazione insieme con altri progetti militari segreti volti a distribuire sul territorio forze in grado di operare per la reazione ad eventuali svolte sovversive o eversive, o a manovre di invasione (al tempo effettivamente da non potersi escludere, e peraltro rese meno improbabili dall'incontro fra Palmiro Togliatti e Tito, all'inizio del 1964, dal quale emerse una quasi sorprendente concordia), attraverso una rete clandestina già seminata da organizzazioni e strutture del tipo Stay-behind, coordinate dalla NATO attraverso gli uomini della SHAPE infiltrati nei comandi FTASE.
Dal punto di vista storico un punto fondamentale è rimasto irrisolto; il ruolo del Presidente della Repubblica Antonio Segni. Secondo Gianni Flamini De Lorenzo ebbe l'approvazione di Segni, se non si fosse ridimensionato il programma di centro-sinistra del costituendo II governo Moro[1], mentre per Giorgio Galli e Indro Montanelli non era nelle intenzioni del Presidente eseguire un colpo di Stato, ma agitarlo come uno spauracchio a fini politici[2][5]; Montanelli aggiunse che De Lorenzo teneva Segni sotto l'incubo del golpe, e che quindi aveva bisogno di protezioni da un eventuale colpo di Stato, non che lo volesse fare lui[7]. Inoltre affermò che quel piano avrebbe favorito, sia pur indirettamente, il PCI (essendo l'unica forza ben organizzata e padrona delle fabbriche e delle piazze)[8] che avrebbe proclamato uno sciopero generale a cui avrebbe aderito tutta la popolazione, di fronte al quale i Carabinieri avrebbero combinato poco o nulla[8] e che, sul piano politico, avrebbe portato alla costituzione di un fronte nazionale democratico a guida comunista[8].
Nel celebrare il centenario della nascita di Segni, nel 1991, Giulio Andreotti (Ministro della Difesa nel 1964) escluse con sicurezza che potesse covare propositi golpisti, aggiungendo che non vi fu alcuna seria minaccia di putsch[3].
https://it.wikipedia.org/wiki/Piano_Solo