lunedì 26 settembre 2016

BOMBASTICO LIBRO DI GIGI MONCALVO SUI LATI OSCURI DELLA “FAMIGLIA REALE” ITALIANA - 2- L’AVVOCATO SAPEVA CHE STAVA PER SCOPPIARE “MANI PULITE” E POCHI MESI PRIMA FECE IN MODO CHE LA TITOLARITÀ DEL COMANDO DEL GRUPPO FIAT NON CONDUCESSE A LUI - 3- IL CONTROLLO AL RE DELL’OFFSHORE BATLINER E A RENÉ MERKT, FIDUCIARIO DEL VATICANO - 4- LE LETTERA DI EDOARDO: “ONESTAMENTE ORMAI PAPÀ NON LO RICONOSCO PIÙ. NON HO ANCORA TROVATO UNO PSICOLOGO O PRETE O PADRE SPIRITUALE CHE SIA REALMENTE RIUSCITO A COMPRENDERE IL PERCHÉ DI QUESTO SUO CONTINUO MODO DI COMPORTARSI” - 5- L'AMICIZIA TRA SUSANNA AGNELLI E MARISELA FEDERICI: “TRA MOGLIE E MARITO IL SENTIMENTO SI ESAURISCE, CON SUNI OGNI GIORNO ERA UN’EMOZIONE NUOVA” -

Estratto del libro di Gigi Moncalvo su "Libero"
Gianni Agnelli giovaneGIANNI AGNELLI GIOVANE
Pubblichiamo alcuni estratti dal volume, appena arrivato in libreria, di Gigi Moncalvo ‘'Agnelli segret'' (Vallecchi, pp. 528, euro 19), un viaggio appassionante tra «peccati, passioni e verità nascoste dell'ultima "famiglia reale" italiana», come recita il sottotitolo. A dieci anni dalla scomparsa dell'Avvocato, il libro mette infatti in luce i lati oscuri della famiglia e dei suoi affari, dal clamoroso passaggio del Gruppo Fiat a due prestanome durante gli anni caldi di Tangentopoli, alle sospette elargizioni di denaro ad alcuni big dell'azienda, come Vittorio Valletta. Ma il libro affronta anche gli aspetti privati della dinastia Agnelli: il dramma interiore di Edoardo e gli amori lesbici di Susanna.
GIANNI AGNELLI A SPASSO - Copyright PizziGIANNI AGNELLI A SPASSO - COPYRIGHT PIZZI
Gianni Agnelli sapeva che stava per scoppiare l'indagine Mani pulite? Fu informato in anticipo di Tangentopoli e del fatto che era opportuno «schermare» le proprie attività, renderne più difficile la scoperta e quindi l'attribuzione a determinate persone fisiche, complicando e impedendo il lavoro di ricerca dei magistrati della Procura della Repubblica di Milano e di Torino con l'eventuale aiuto di rogatorie internazionali?
(...) In ogni caso, anche se i magistrati - almeno nella prima fase-non ebbero troppi riguardi per la grande azienda torinese, a mano a mano che ci si avvicinava al vertice del Gruppo, venne meno una certa iniziale decisione, anche a causa degli ostacoli frapposti sia alla Procura di Milano, intenzionata a occuparsi da sola di quel filone di inchiesta, sia a quella di Torino, che rivendicava la competenza territoriale. Fino all'arresto del «numero tre» di Fiat, il direttore finanziario Francesco Paolo Mattioli, i magistrati non trovarono ostacoli.
gianni e susanna agnelli asp imgGIANNI E SUSANNA AGNELLI ASP IMG 
Poi, mentre si avvicinavano inesorabilmente e a grandi falcate, al «numero due», Cesare Romiti, l'inchiesta subì un rallentamento. Forse perché si rischiava di arrivare a toccare anche il «numero uno», Gianni Agnelli? Per la Fiat comunque i processi sostanzialmente non andarono troppo male, e arrivarono solo a sfiorare Agnelli, grazie al famoso principio del «non poteva sapere» invocato dagli avvocati di Romiti.
(...) Comunque sia, sei mesi prima che Antonio Di Pietro arrestasse in flagranza di reato il faccendiere socialista Mario Chiesa mentre incassava una tangente di 7 milioni di lire, dando così il via ufficiale a Mani pulite, Gianni Agnelli portò a compimento una misteriosa e complessa operazione segreta in Liechtenstein che poteva avere una sola spiegazione: impedire che si potesse ricondurre a lui stesso, almeno formalmente, la titolarità del comando del Gruppo Fiat.
Gianni Agnelli durante un incontro a mosca nel 1984 con l'allora presidente dei ministri URSS Tichonov (lapresse)GIANNI AGNELLI DURANTE UN INCONTRO A MOSCA NEL 1984 CON L'ALLORA PRESIDENTE DEI MINISTRI URSS TICHONOV (LAPRESSE)
Il risultato fu che, per alcuni anni, a partire dal 1991, il controllo del gruppo privato più grande d'Italia non fu nelle mani dell'Avvocato ma di due altri veri avvocati, due autentici «prestanome », uno svizzero, l'altro del Liechtenstein. Uno di loro -il vero dominus dell'operazione - era ed è il riconosciuto e indiscusso «grande guru dell'offshore», il principale finanziere di fiducia del Vaticano, molto vicino ai due ultimi papi.
Gianni AgnelliGIANNI AGNELLI 
Si tratta di Herbert Batliner, classe 1928, uno dei più potenti e conosciuti gestori di patrimoni al mondo, cittadino emerito del Liechtenstein, amico personale del principe Hans-Adam II, il sovrano del paradiso fiscale racchiuso tra le montagne tra Svizzera e Austria. L'altro «prestanome» è l'avvocato svizzero René Merkt, classe 1933, titolare di un affermato studio legale in rue du Général Dufour 15, nella città vecchia di Ginevra, un professionista che da sempre si occupa di diritto societario ad altissimo livello, di sofisticate architetture finanziarie, di operazioni high-fly in tutto il mondo.
ANITA EKBERG IN AUTO CON GIANNI AGNELLI NEL CINQUANTANOVE DA CHIANITA EKBERG IN AUTO CON GIANNI AGNELLI NEL CINQUANTANOVE DA CHI 
(...) Per alcuni anni il governo italiano, per di più formato da un gran numero di presunti tecnocrati scelti e imposti personalmente dal presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, si è comportato in modo davvero «strano», per non dire di peggio. Ha versato fiumi di denaro pubblico a un gruppo come la Fiat che, almeno formalmente, era di proprietà di un cittadino svizzero e di un suddito del Principato del Liechtenstein, per di più devoto «fiduciario del Vaticano».
GIANNI AGNELLI SKIPPERGIANNI AGNELLI SKIPPER
Suona davvero come una beffa che siano stati elargiti contributi di Stato, incentivi, agevolazioni, fondi per la cassa integrazione, privilegi fiscali, misure di «protezione» e altre forme di finanziamento o «regalo » (come l'Alfa Romeo), a una società che non era nemmeno... italiana, dato che era controllata da due prestanome stranieri.
GIANNI AGNELLI NUDOGIANNI AGNELLI NUDO
LA SUPER DONAZIONE
Caro prof. Valletta, Le siamo e rimaniamo immensamente riconoscenti per quanto da Lei fatto in favore della Fiat e quindi anche nei confronti nostri e dei nostri famigliari.
La sappiamo giustamente preoccupato nei confronti dei Suoi famigliari e soprattutto di Sua figlia per il caso di Sua morte o di Sua impossibilità a continuare nelle Sue prestazioni retribuite alla Fiat. In conseguenza Le confermiamo che nei deprecati casi di cui sopra ci impegniamo di corrispondere a Sua figlia Fede Valletta in Foccardi l'importo annuo di lire 50.000.000 (cinquanta milioni) pagabili a semestri maturati ed al netto di qualsiasi trattenuta od imposta, importo questo variabile nello stesso rapporto in cui varieranno in avvenire le retribuzioni impiegatizie in conseguenza delle variazioni del costo della vita.
AGNELLI SEGRETI DI GIGI MONCALVOAGNELLI SEGRETI DI GIGI MONCALVO
Il versamento di detta somma verrà fatto vita natural durante della sua figliola e verrà continuato a favore Suo personale nel caso che Ella dovesse sopravvivere a Sua figlia Fede. Terremo nel massimo conto il Suo desiderio a che Suo nipote Franco Fantauzzi possa succederLe nel posto di Amministratore (consigliere) nel Consiglio di Amministrazione della Fiat.
(...) Gianni Agnelli e Marella Torino, 29 ottobre 1955
(...) Nel momento in cui quel documento viene firmato, alla fine di ottobre del 1955, Valletta ha 72 anni e da quasi dieci è il «numero uno» assoluto e incontrastato della Fiat, azienda nella quale era stato assunto nel 1921 come direttore contabile con contratto triennale. Non è un manager o un dirigente qualunque, ma l'uomo chiave di tutto l'impero Fiat, di quegli anni e non solo.
agnelli umberto E GIANNIAGNELLI UMBERTO E GIANNI 
Fin dal suo ingresso in azienda, Valletta aveva fatto dell'azienda una sorta di religione laica. Al punto che era solito dire: «La Fiat, la Fiat, la Fiat, poi la famiglia». La leggenda aziendale racconta che una volta il senatore Agnelli, costretto ad andare in ufficio anche il giorno di Natale, nel palazzo trovò solo quell'uomo piccolo di statura, Valletta appunto, e il sorvegliante. «St'om a fa par mi», quest'uomo fa per me, commentò il Senatore.
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LETTERE PRIVATE 
Edoardo Agnelli scriveva molte lettere. In esse, e nella scelta dei destinatari, c'è l'ostinata riaffermazione proprio di quel «ci sono anch'io». Cerca rispetto e ascolto fuori dall'ambiente familiare, rivendica la sua esistenza prima ancora del ruolo che non ha. (...) Edoardo non nasconde nulla: «Mio padre in terra lo amo perché so che in fondo è buono, anche se onestamente ormai papà non lo riconosco più. Non ho ancora trovato uno psicologo o prete o padre spirituale che sia realmente riuscito a comprendere il perché di questo suo continuo modo di comportarsi.
È chiaro che ne soffro molto perché lo sto perdendo, sto perdendo completamente un rapporto umano con lui. E, di conseguenza, vedo tutte le cose care di famiglia per le quali nutro un obbligo interiore di tutela, andarsi, per le medesime ragioni, a sfasciare senza che veramente possa farci un granché».
1ag17 cesare romiti1AG17 CESARE ROMITI
(...) «Questo perché succede? Eccoci al cuore del problema: la mamma. I motivi del suo comportamento sono due. Primo: fa così perché questa è una richiesta di attenzione su se stessa, perché (come molti, se non tutti) ha dei problemi. Secondo: la mamma conosce qualcuno che lavora in quei lavori infimi (finanziere d'assalto) che gli danno dei consigli fessi come ad esempio: «Metti tuo figlio in condizioni di farsi interdire quando e se l'Avvocato non ci sarà più! Fai che non tocchi mai i soldi e che non abbia un conto in banca».
I LATI BUI DEL LINGOTTO 
La Fondazione del Lingotto è stata costituita il 7 marzo 2002 a Torino. (...). La cronologia di alcune fasi che precedono l'inaugurazione della Pinacoteca suscita perplessità e fa venire in mente qualche cattivo pensiero.La Fondazione è stata costituita il 7 marzo 2002, ottiene il riconoscimento legale della prefettura il 22 maggio, conta su un patrimonio di soli 105mila euro (97mila dei quali versati da Gianni Agnelli e mille euro ciascuno dagli altri otto fondatori), ma non dispone ancora di nessun dipinto. A colmare questa fondamentale lacuna provvede l'11 luglio solo Marella Agnelli. Dona tre tele.
DISEGNO DI FABIO SIRONI - CESARE ROMITI GIANNI AGNELLI ENRICO CUCCIA E DE BENEDETTIDISEGNO DI FABIO SIRONI - CESARE ROMITI GIANNI AGNELLI ENRICO CUCCIA E DE BENEDETTI
(...) Gianni Agnelli sorprendentemente non dona nulla, mentre sarebbe stata logica una sua iniziativa in contemporanea con la moglie. Che cosa sta succedendo? L'Avvocato ha dei ripensamenti? È ancora indeciso sulla scelta delle tele di cui privare la sua vista? O forse sono le sue condizioni di salute a impedirgli di perfezionare l'atto? Il momento in cui Gianni si decide finalmente a firmare, o viene spinto e convinto a farlo, appare quasi incredibile: solo quarantott'ore prima dell' inaugurazione.
ANTONIO DI PIETROANTONIO DI PIETRO
(...). L'inaugurazione della Pinacoteca, avviene il 20 settembre. Mancano solo quattro mesi alla morte dell'Avvocato. E Margherita non ha dubbi, alla luce di quanto è accaduto in seguito, che quello era un modo escogitato da sua madre e dai suoi consiglieri per sottrarre mezzo miliardo di dollari, anzi certamente di più, al patrimonio da dividere con lei in Italia.
OSCAR LUIGI SCALFARO E BERLUSCONIOSCAR LUIGI SCALFARO E BERLUSCONI 
La figlia si chiede anche: «Mio padre in quel periodo era in condizioni tali da intendere e volere, da decidere liberamente e consapevolmente che cosa significasse quella firma che stava per apporre? Se non aveva firmato a luglio, ed era intervenuta l'imprevista donazione di mia madre, vuol dire che nutriva dubbi e perplessità, oppure che non era in grado di farlo? ».
Oscar Luigi ScalfaroOSCAR LUIGI SCALFARO
LA DONNA DI SUSANNA 
Nel desolante panorama editoriale italiano, diventa «coraggiosa» una giornalista che si spinge oltre i confini dell'autocensura: Costanza Rizzacasa d'Orsogna, Il titolo della sua intervista pubblicata su «A» è inequivocabile: Suni, la donna della mia vita. Occhiello: Marisela Federici svela i segreti di Susanna Agnelli. L'intervista è bella e clamorosa, rende pubblica la sussurrata relazione tra l'arcigna Suni e la splendida signora venezuelana Marisela Rivas y Cardona de Federici.
GIOVANNI AGNELLI E MARELLA CARACCIOLO AL BALLO SERRA DI CASSANOGIOVANNI AGNELLI E MARELLA CARACCIOLO AL BALLO SERRA DI CASSANO 
La quale non ha mai fatto nulla per nascondere ciò che anche i suoi due mariti sapevano, comprendevano, tolleravano: Marisela e Suni «si appartenevano», erano una cosa sola. C'erano ventotto anni di differenza fra loro, Suni era del 1922, Marisela del 1950. Si erano conosciute - come racconta la protagonista - «attraverso la mia amica Stella Pende. Lei era la pseudofidanzata di Gianni Bulgari, il Paul Newman ciociaro. Si vestiva da zingara, per strada le gridavano, "A' fata, sembri Sandokan". Un giorno, in auto in via Condotti, Stella indicò: "Ecco Suni". Io mi sono sporta dal finestrino e ho esclamato: "E io sono Marisela".
Edoardo e Gianni AgnelliEDOARDO E GIANNI AGNELLI
Suni era sconcertata per la mia sfrontatezza, e anche Stella mi rimproverò ("Amorcito, come hai potuto?"). Ma io capii subito che tra noi sarebbe nato qualcosa. Suni era affascinata dalla mia esuberanza. Le piaceva che non avessi peli sulla lingua. La maggior parte della gente non sapeva prenderla. Facevano tutti tappetino, lei non lo sopportava. Suni ti amava o ti odiava. E se le stavi antipatico non lo nascondeva».
MARISELA FEDERICI E SUSANNA AGNELLI - Copyright PizziMARISELA FEDERICI E SUSANNA AGNELLI - COPYRIGHT PIZZI
(...) «Suni è stata l'amore della mia vita», spiega Marisela. «Riempiva una parte della mia esistenza in un modo che né mio marito né i miei figli potranno fare mai, perché non hanno la stessa devozione. Tra moglie e marito il sentimento si esaurisce, con Suni ogni giorno era un'emozione nuova».

http://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/1-bombastico-libro-gigi-moncalvo-lati-oscuri-famiglia-reale-45606.htm

sabato 17 settembre 2016

AMERICA AMARA PER DEUTSCHE BANK: CON LA MEGA MULTA RISCHIA IL CRAC - IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA USA CHIEDE 14 MILIARDI DI DOLLARI ALL’ISTITUTO TEDESCO PER CHIUDERE L'INCHIESTA SUI MISFATTI COMPIUTI NELLA STAGIONE DEI MUTUI SUBPRIME - "E’ UNA RITORSIONE AMERICANA PER LA LE CONTESTAZIONI DELLA COMMISSIONE EUROPEA AD APPLE? -

Ugo Bertone per “Libero Quotidiano”

DEUTSCHE BANKDEUTSCHE BANK
Una ritorsione americana per la le contestazioni della Commissione europea ad Apple? Oppure solo l' onda lunga della giustizia statunitense che ha voluto colpire nel giorno dell' anniversario del crack di Lehman Brothers?

Comunque sia, la richiesta di 14 miliardi di dollari arrivata dal ministero della Giustizia americana a Deutsche Bank per chiudere l' inchiesta sui misfatti compiuti dal colosso tedesco nella stagione dei mutui subprime e nella crisi finanziaria del 2008 ha avuto l' effetto di un terremoto che ha fatto tremare in Borsa il titolo (-8% a Francoforte), l' intero comparto bancario europeo e promette di incidere anche sulla stessa stabilità della finanza mondiale.

La banca tedesca era preparata, per la verità, a subire un' ammenda pesante oltre Oceano. Ma l' amministratore delegato, John Cryant, chiamato un anno fa dal Credit Suisse per tentare di sistemare i tanti pasticci e scandali degli anni passati (dai trucchi sul libor alla manipolazione dei cambi), aveva messo in conto una multa attorno ai 2,5 miliardi di dollari, mica poco se si pensa che nel 2015 aveva già sborsato a Washington 1,3 miliardi di dollari sempre per le contestazioni sui mutui subprime. Ma gli Usa hanno deciso di usare la mano pesante.
john cryan deutsche bankJOHN CRYAN DEUTSCHE BANK

Almeno per ora, perché è già iniziata la trattativa per conciliare ad un valore inferiore, come è già successo per altri indiziati. Goldman Sachs, cui era stata comminata una multa di 15 miliardi di dollari se l' è poi cavata con «soli» 5 miliardi. Dato questo ed altri precedenti (in totale le grandi banche Usa hanno versato 23 miliardi alla Giustizia statunitense), a Francoforte («Non abbiamo alcuna intenzione di pagare questo risarcimento civile per un ammontare così alto») si spera di chiudere con una penalità attorno ai 4-5 miliardi.

Una botta, comunque, in grado di assorbire quasi tutte le riserve (6,2 miliardi di dollari) già stanziate per far fronte alle non poche vertenze giudiziarie ancora in corso tra New York, Londra e Bruxelles.

Insomma, anche se alla fine la corazzata della finanza tedesca godrà di uno sconto (come auspica il governo tedesco che avrebbe evitato volentieri questa mazzata a pochi giorni dalle elezioni di Berlino), non c' è da stare allegri. Per più motivi.
-Deutsche Bank per far fronte alla multa dovrà non solo procedere in tempi brevi ad un massiccio aumento di capitale. Almeno dieci miliardi di euro secondo l' opinione della maggior parte degli analisti. Ma prima sarà necessario chiudere il contenzioso con Washington in tempi brevi, meglio se entro l' anno.

john cryan deutsche bankJOHN CRYAN DEUTSCHE BANK
-Nel frattempo la coperta rischia di essere corta. La banca rischia di sforare al ribasso i parametri richiesti alle banche sistemiche avvicinandosi al ribasso alla soglia del 10% di Cet 1. Oltre al crollo delle azioni, si è assistito ieri al calo (-6,2%) dei Coco bond, cioè le obbligazioni che in caso di crisi sistemica, rischiano di essere trattate come azioni, cioè i sottoscrittori dovranno rinunciare agli interessi.

-Un' eventuale retrocessione di Deutsche Bank potrebbe avere effetti devastanti, viste le connessioni mondiali della banca, una delle più globali del pianeta. Anche questo spiega la cautela di S&P che, almeno per ora, ha deciso di non ritoccare al ribasso il rating A-2 dell' istituto.

-Il caso Deutsche Bank minaccia di non essere isolato. Anche Royal Bank of Scotland, il gruppo inglese salvato dalla bancarotta dall' intervento pubblico, sarà presto sanzionato da Washington e per questo ha lasciato sul terreno più del 5%.
Lehman BrothersLEHMAN BROTHERS

-Il dossier Deutsche Bank avrà senz' altro grosse ripercussioni sul futuro dell' Unione Bancaria. La Germania non potrà far uso dell' intervento pubblico, come in occasione del salvataggio di Commerzbank. Ma sarà senz' altro in grado di attrarre capitali nella sua banca più importante, a scapito di Unicredit e Monte Paschi.

http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/america-amara-deutsche-bank-mega-multa-rischia-crac-132234.htm

giovedì 8 settembre 2016

LE BANCHE USA SBUGIARDANO RENZI - IN CASO DI "NO" AL REFERENDUM NON CROLLA IL MONDO: AL MASSIMO ARRIVA UN RIMPASTO CON ALLARGAMENTO DELLA MAGGIORANZA - LO DICONO CITIGROUP E GOLDMAN SACHS: VEDONO UN RENZI BIS ALL'ORIZZONTE -

Gian Maria De Francesco per “il Giornale

Lo storytelling renziano di queste ultime settimane si basa su un messaggio molto semplice: votare sì al referendum conviene anche alle tasche degli elettori.
renzi referendum costituzionale
In primo luogo, perché la legge di Bilancio e suoi eventuali corollari si preannunciano ricchi di bonus, sgravi e benefit (basti pensare agli interventi sulle pensioni minime, al taglio dell' Ires, ai contratti degli statali e alle misure per le partite Iva) e quindi se il governo dovesse cadere, non si potrebbe dar compiutamente corso a queste promesse perché non è detto che, venuto meno il premier, la maggioranza resti la stessa. In secondo luogo - e questo è il substrato alla precedente dichiarazione di principio - perché l' Europa diventerebbe meno benevolente nei confronti dell' Italia.
lloyd blankfein goldman sachs
Lo spin di Renzi, infatti, è quello di mettere sullo stesso piano referendum costituzionale e Brexit equiparando coloro che si oppongono alla riforma agli avversari di una maggiore integrazione europea. E poiché Bruxelles generalmente si mostra inflessibiile nei confronti dei propri detrattori (anche se finora la Gran Bretagna non è stata messa alla porta), si vuol far credere che al no alla nuova Costituzione di Renzi e Boschi seguirebbe immediatamente il no alla flessibilità sui conti pubblici finora concessa all' Italia.

E col Pil fermo e senza le concessioni dell' Ue non ci sarebbero proprio i margini per tradurre in realtà le «mance» elettorali promesse. L' Italia sarebbe così destinata ad avvitarsi ulteriormente nella sua crisi ormai conclamata.
Eppure proprio da alcuni sostenitori internazionali del premier come l' establishment di Wall Street è arrivata una parziale smentita di questa tesi. Due importanti banche statunitensi, Citigroup e Goldman Sachs, hanno vergato report nei quali si sostiene che in caso di esito negativo della consultazione referendaria cambierebbe poco o nulla.
CITIGROUP

Ovviamente, entrambe gli istituti vedono favorevolmente la vittoria del sì, ma in caso contrario non vi sarebbe da stracciarsi le vesti. «Renzi potrebbe dimettersi ed essere nominato capo di un governo di transizione fino alle elezioni del 2018 in modo da cambiare la legge elettorale», scrivono gli analisti di Citi aggiungendo che «Renzi potrebbe anche chiedere un voto di fiducia sul suo attuale governo, probabilmente vincendolo poiché è difficile che si possa formare una maggioranza alternativa».
Lo stesso ragionamento è sostenuto anche da Goldman Sachs. In caso di vittoria del No, si legge nel report, «è più probabile un rimpasto di governo magari con allargamento della coalizione, visto che da nuove elezioni nascerebbe un Parlamento bloccato». E le conseguenze sul piano finanziario?
aula di montecitorio vuota per l informativa di gentiloni su lo porto
http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/banche-usa-sbugiardano-renzi-caso-no-referendum-non-crolla-131638.htm
«È improbabile un allargamento dello spread sia perché non vi sarebbe grande instabilità politica sia perché gli acquisti di Btp nell' ambito del Quantitative Easing della Bce stabilizzerebbero i prezzi». L' unica a soffrire veramente sarebbe Mps perché sarebbe più difficile trovare una soluzione di sistema al problema dei crediti in sofferenza. Ma questa è un' altra storia.

mercoledì 7 settembre 2016

Londra: Cavour assassinato, l’Italia doveva restare docile

Cavour assassinato da un complotto e avvelenato dal medico personale del sovrano, Vittorio Emanuele II, con il quale lo stratega dell’unità nazionale era ormai in rotta. Lo dicono le carte rinvenute a Londra da Giovanni Fasanella, già autore di libri come “Colonia Italia” e “Il golpe inglese” (Chiarelettere, scritti con Mario Josè Cereghino). Già nel 2011, l’autore metteva in luce il ruolo occulto della Gran Bretagna nell’Unità d’Italia, a partire dalla protezione assicurata dalla flotta di sua maestà alla spedizione di Mille, con navi da guerra al largo della Sicilia, pronte a intervenire per dare manforte a Garibaldi. Robustissimo il movente geopolitico: se le élite risorgimentali del centro-nord avevano ormai deciso di spingere per l’unificazione del Belpaese, utilizzando il Piemonte e la massoneria, la nuova Italia doveva restare assolutamente sotto tutela inglese, dato il cantiere aperto nel 1859 per il Canale di Suez. La penisola sarebbe diventata la piattaforma-chiave del Mediterraneo per i traffici dell’Impero britannico. Per unire il centro-nord, Cavour aveva usato soprattutto l’arte dell’imbroglio. Il sud invece era stato colonizzato brutalmente, con il genocidio. “Fatta l’Italia, ora bisogna fare gli italiani”? Cavour non fece in tempo. A liquidarlo però non fu la malaria, come si disse, ma il cianuro.

Lo scrive Fasanella nel suo nuovo libro, “Italia oscura”, scritto con Antonella Grippo. Premessa: inutile stupirsi se così spesso, nella nostra storia recente, emergono strane “trattative” tra il potere istituzionale, attraverso settori dei servizi segreti, e Giovanni Fasanellala criminalità mafiosa. Quello era il metodo inaugurato proprio da Cavour, che reclutò la mafia in Sicilia e la camorra a Napoli per governare i nuovi terrori, largamente ostili all’unificazione e conquistati manu militari, dall’esercito piemontese. La resistenza dell’esercito meridionale (pur superiore) fu molto debole? Certo: l’intelligence di Cavour aveva “comprato” gli alti ufficiali delle Due Sicilie. A pagare il prezzo della conquista, con anni di legge marziale e stragi inaudite, fu la popolazione del Sud: mezzo milione di morti, si calcola, più 15 milioni di profughi, emigrati poco dopo, per lo più in America. «A Cavour non era piaciuta la modalità di conquista del Meridione», spiega Fasanella a Claudio Messora, in una video-intervista per il blog “ByoBlu”. «Si racconta infatti che arrivò a sollevare la scrivania, nell’ufficio del sovrano torinese, quasi volesse gettargliela addosso. Cavour non tollerava che i Savoia avessero concepito l’Unità d’Italia sul piano solo militare. Avrebbe voluto un progetto più graduale, federalista, basato sulla politica».

Il sovrano non era l’unico nemico del primo ministro, racconta l’autore, brillante giornalista di “Panorama”. Cavour era in contrasto anche con Mazzini: non voleva lo scontro con il Vaticano per la conquista immediata di Roma, avrebbe preferito un accordo. Dal canto suo, con Cavour ce l’aveva anche Garibaldi, furioso per la cessione di Nizza alla Francia. E il primo ministro non piaceva neppure ai Rotschild, che miravano a lucrare sul finanziamento delle nuove infrastrutture italiane, mentre Cavour anche in quel caso avrebbe preferito giocare su più tavoli, per non dipendere da un solo potere. Abilissimo, astuto, geniale. E temuto: al punto da subire un complotto mortale? E’ quello che si evince dall’esame degli archivi inglesi, racconta Fasanella. Fonti autorevoli, finora sempre trascurate dagli storici. Una su tutte: le dettagliate relazioni dell’ambasciatore inglese a Torino, James Hudson. Un diplomatico decisivo: era stato lui ad assicurare a Cavour la Nathan Mayer Rothschildprotezione militare inglese per incoraggiare la spedizione di Garibaldi. Rivelazioni clamorose, da Hudson, sulle circostanze della morte dello statista italiano.
Al ministro degli esteri britannico, John Russell, l’ambasciatore Hudson scrive che Cavour si è sentito male il 29 maggio 1961, poco più di due mesi dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia. Era a casa della sua amante, Bianca Ronzani, «che era anche una spia». Dalla Ronzani bevve qualcosa che lo mandò in crisi: spasmi addominali, accessi di vomito. Cavour riparò nella sua casa e si mise a letto. I medici accorsi, racconta sempre la fonte inglese, «lo salassarono come un vitello», estraendogli enormi quantità di sangue e indebolendolo in modo grave. A dargli il colpo di grazia, dopo una settimana di agonia, fu il dottore di corte, medico personale del re, insigne luminare della medicina torinese dell’epoca: «Gli fece bere un infuso di “lauroceraso”, cioè cianuro: il potentissimo veleno si ottiene proprio per infusione da quella pianta». Sulla morte di Cavour – che faceva comodo a troppi poteri – si è anche favoleggiato in modo complottistico, ammette Fasanella. Ma nessuno, prima d’ora, aveva individuato tracce concrete che avvalorino – via Londra, tanto per cambiare – l’ipotesi della cospirazione a scopo di omicidio politico.
Noto per l’estrema disinvoltura, il cinismo e la spregiudicatezza con cui aveva guidato la politica del minuscolo Stato sabaudo per negoziare con i potentati europei la nascita della futura Italia, Camillo Benso – racconta Fasanella – non si era mai fatto scrupoli nel ricorrere alla malavita, attraverso i servizi segreti. Se ne accorse per prima la magistratura torinese, che incastrò un piccolo criminale: stranamente, il governo lo protesse a lungo. Non a caso: era il capo di una banda di malviventi utilizzata per il “lavoro sporco” commissionato da Filippo Curletti, famigerato capo dell’intelligence di Cavour. Un uomo che, s’è scoperto, aveva organizzato brogli in mezza Italia per truccare l’esito dei plebisciti a favore dell’annessione al Piemonte: «Emerge che, spesso, il numero di voti favorevoli era superiore addirittura a quello della totalità degli aventi diritto al voto», racconta Fasanella. E se nel centro-nord gli uomini di Curletti si occuparono soprattutto di aritmetica, nel Sud terrorizzato dalle truppe di Cialdini e La Marmora si bussò direttamente alla mafia: «In Sicilia, i picciotti prepararono il terreno allo sbarco di Garibaldi e Cavouralla sua marcia trionfale. E a Napoli, quando fu smantellata la polizia borbonica, chiamarono la camorra a dirigere i commissariati».
Come dire: nessuno si stupisca se l’Italia è nata così male, unificata in modo truffaldino e spietato. E concepita – fin da subito – come “dependence” dei poteri forti d’Europa, decisi a non lasciarsi scappare il controllo sulla nostra penisola così strategica, vera chiave di volta nel Mediterraneo con l’apertura del Canale. Lungi dal sottovalutare l’importanza storica dell’unificazione, perfettamente coerente con il contesto storico e geopolitico dell’epoca, chiarisce Fasanella, è bene non dimenticare però che molte tappe del Risorgimento (su cui gli storici spesso sorvolano) maturarono in modo decisamente oscuro. Un giallo riguarda la misteriosa fine dello scrittore Ippolito Nievo, il “tesoriere” dei Mille: sapeva molte cose, avrebbe potuto raccontarle ai giudici che volevano interrogarlo. «Dopo lo sbarco – racconta ancora Fasanella – a Torino giunsero voci insistenti sui traffici dei garibaldini con la mafia: contrabbando d’armi, sperperi di denaro, arricchimenti improvvisi di garibaldini. Nievo fu richiamato nel capoluogo piemontese per riferire alla magistratura. Ma il piroscafo si inabissò al largo dell’isola di Capri. Ancora oggi non si conosce la Italia oscuracausa dell’affondamento. Si parlò anche di una bomba a orologeria collocata a bordo. Forse quella è stata la prima strage di Stato della storia italiana».
All’epoca, l’astuto Cavour era ancora al comando. Sapeva perfettamente che l’Italia neonata avrebbe dovuto vedersela con vicini potentissimi, decisi a dettar legge. Sperava, probabilmente, di tenerli a bada ancora una volta con la sua machiavellica diplomazia, in bilico tra Gran Bretagna e Francia? Se davvero è stato ucciso, come dicono gli inglesi, è probabile che gli autori del complotto temessero che potesse riuscire anche nell’impresa di fare dell’Italia un paese autonomo. Uno Stato pienamente sovrano, non infiltrato e dominato da potenze straniere. I documenti, conclude Fasanella, parlano chiaro: a Londra, la morte di Cavour fu archiviata come omicidio politico. «Era entrato in conflitto con troppi soggetti, italiani e stranieri». Il suo progetto, un’Italia davvero indipendente, sembra dunque sfumato quel giorno, il 6 giugno del 1861, con la pozione letale di cianuro somministrata dal medico personale del primo Re d’Italia. In compenso, i suoi “metodi” sono rimasti. E hanno fatto scuola: nel 1943 gli americani conquistarono la Sicilia con l’aiuto di Lucky Luciano e Calogero Vizzini, mentre a Napoli fu utilizzato Vito Genovese, emanazione della “famiglia” di Carlo Gambino, il boss di Brooklyn. Una storia “sbagliata”, che arriva fino ai mandanti delle stragi impunite e all’esplosivo che disintegrò Falcone e Borsellino.
(Il libro: Giovanni Fasanella e Antonella Grippo, “Italia oscura. 1861-1915. Dalla morte di Cavour alla Grande guerra: le trame nascoste che non ci sono sui libri di storia”,  Sperling & Kupfer, 286 pagine, euro 15,72).
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martedì 6 settembre 2016

IL NUOVO IMPERO DI APPLE, GOOGLE, FACEBOOK, AMAZON E COMPAGNIA HI-TECH FINIRA' COME ROMA: SACCHEGGIATA DAI "BARBARI" RIDOTTI ALLA FAME DALLA TIRANNIDE TECNOLOGICA 2. LE BIG DELLA SILICON VALLEY INFLUENZANO I GOVERNI, IMPONGONO LE LORO SCELTE, DRENANO RISORSE DA MEZZO MONDO, PAGANO POCHE TASSE E HANNO IL CONTROLLO DEI NOSTRI GUSTI, DELLA NOSTRA PRIVACY, DI RELAZIONI, CONTATTI, SPOSTAMENTI E SCELTE 3. UNA STRAORDINARIA INCHIESTA DI "NEWSWEEK" VI APRIRA' GLI OCCHI SUL FUTURO PROSSIMO DEL MONDO E SUI CONFLITTI INEVITABILI CHE CI ATTENDONO (DA LEGGERE E STAMPARE) Una straordinaria inchiesta di “Newsweek”, tradotto e pubblicato da “Internazionale” vi aprirà gli occhi sul futuro. "Se i cambiamenti avvenuti dopo il 2007, che hanno portato gli smartphone, i social network e il cloud computing, ci hanno fatto girare la testa, quello che succederà nei prossimi dieci anni potrebbe mandare in corto circuito il cervello"...

Kevin Maney per “Newsweek” - Tradotto e pubblicato da “Internazionale”

la azienda facebookLA AZIENDA FACEBOOKpeter thielPETER THIEL
Peter Thiel, investitore del settore tecnologico, monopolista convinto e sostenitore dell’idea che gli studi universitari si possano saltare, ha generato un senso di angoscia in molte persone preoccupate per la crescente ricchezza e influenza degli imprenditori della Silicon valley.

Di recente si è scoperto che Thiel, fondatore del servizio di pagamenti online PayPal, ha speso dieci milioni di dollari per finanziare segretamente la causa intentata dall’ex wrestler Hulk Hogan contro Gawker, un sito di notizie scandalistiche. Sembra che Thiel volesse semplicemente vendicarsi per alcuni vecchi articoli su di lui. La vicenda è un ulteriore segnale d’allarme sulla capacità dei miliardari della Silicon valley d’imporre la loro volontà.
Silicon Valley Tutto tech e niente sexSILICON VALLEY TUTTO TECH E NIENTE SEXtoga party silicon valleyTOGA PARTY SILICON VALLEYPETER THIELPETER THIEL

Ed è solo uno dei tanti. Facebook è stata accusata di mettere a tacere la stampa conservatrice, e questa accusa non fa che rafforzare le preoccupazioni sul controllo e sulla censura esercitati dal social network sull’informazione. Nel frattempo Mark Zuckerberg, fondatore e amministratore delegato di Facebook, ha fatto sembrare Thiel un taccagno quando ha pagato trenta milioni di dollari per comprare e demolire le quattro case accanto alla sua, in modo che nessuno potesse sbirciare attraverso le sue finestre.

Di recente Marc Beniof, amministratore delegato della Salesforce, un’azienda informatica con sede a San Francisco, ha minacciato di non fare più affari in Indiana se il parlamento dello stato avesse approvato una legge che discriminava le persone Lgbt, e alla fine il provvedimento è stato ritirato. E il successo di Donald Trump alle primarie repubblicane è stato in larga misura alimentato da elettori convinti che la tecnologia gli stesse portando via il lavoro.

oracle building, silicon valleyORACLE BUILDING, SILICON VALLEY
Le preoccupazioni sul potere della Silicon valley non sono limitate agli Stati Uniti. Google e Netlix stanno mandando su tutte le furie la Commissione europea, il governo cinese sta opponendo una strenua resistenza contro la Apple, e di recente l’India ha bloccato un progetto di Facebook per l’accesso gratuito a internet temendo di perdere il controllo delle proprie infrastrutture di connessione.

mappa silicon valleyMAPPA SILICON VALLEY
“Ci sono delle condizioni da rispettare se vogliamo evitare che l’India diventi una colonia digitale”, ha dichiarato ai giornalisti Sharad Sharma, del centro studi iSpirit, con sede a Bangalore. Ma la realtà è che l’impero della Silicon valley è appena nato. Le tecnologie di nuova generazione sviluppate soprattutto da aziende californiane – dall’intelligenza artificiale alle stampanti 3d fino ai codici di sicurezza blockchain – smetteranno presto di essere prototipi e diventeranno servizi di uso comune, che metteranno in discussione i nostri concetti di produzione, denaro, sovranità nazionale e molto altro.

Se i cambiamenti avvenuti dopo il 2007, che hanno portato gli smartphone, i social network e il cloud computing, ci hanno fatto girare la testa, quello che succederà nei prossimi dieci anni potrebbe mandare in corto circuito il cervello. Tutto questo è un bene oppure no? È difficile rispondere, come sarebbe stato difficile rispondere alla stessa domanda duemila anni fa, ai tempi dell’impero romano.

Si spera che a lungo termine il processo in corso sia utile all’umanità, ma potremmo dover aspettare un paio di secoli prima di saperlo davvero. La Silicon valley adora la parola disruption, un termine che fa riferimento alla forza dirompente delle innovazioni tecnologiche. E ora sta usando questa forza contro il vecchio mondo.
MARK ZUCKERBERG E LA MOGLIEMARK ZUCKERBERG E LA MOGLIE 

A giugno Mary Meeker, analista ed esperta di tecnologie, ha pubblicato la sua analisi annuale sul settore, da cui emerge in modo evidente che la Silicon valley ha ormai un ruolo sempre più importante nell’economia globale. Per fare un esempio, Meeker elenca le venti maggiori aziende tecnologiche del 2015. Dodici sono statunitensi, sette sono cinesi e una è giapponese. Nessuna ha sede in Europa, in India o in altre regioni.

Le aziende statunitensi rappresentano il 76 per cento della capitalizzazione azionaria totale e l’87 per cento dei ricavi. Delle dodici società con sede negli Stati Uniti, solo una non si trova nella Silicon valley. Per capire meglio la diffidenza nei confronti dell’industria hi-tech californiana basta considerare il caso dell’India, dove il numero di persone che usano internet sta crescendo più velocemente che in qualsiasi altro posto al mondo. La gran parte del traffico proviene da dispositivi mobili.

Le tre applicazioni più scaricate sugli smartphone degli indiani sono di proprietà di Facebook (Facebook, WhatsApp e Facebook Messenger). Inoltre quasi tutti i telefoni cellulari in India hanno sistemi operativi Android, di proprietà di Google, o iOS, creato dalla Apple. Questo vuol dire che una porzione molto grande del più dinamico settore dell’economia indiana genera profitti che finiscono nella Silicon valley.

PETER THIELPETER THIEL
Processi simili sono in corso in tutti i paesi del mondo, a parte posti come la Corea del Nord. Negli ultimi anni la Silicon valley ha cominciato a ricavare profitti non solo dalla tecnologia ma anche da settori che un tempo non erano digitalizzati o erano legati a dinamiche locali. Uber, l’azienda californiana di trasporto privato, che connette autisti e passeggeri attraverso un’app, è un esempio di questa nuova tendenza. La società trattiene il venti per cento della tariffa di ogni corsa.

Pensate invece alla Francia, dove il cento per cento dei soldi spesi per le corse in taxi rimane all’interno del paese. Se Uber dovesse controllare un’importante fetta del settore dei taxi francese, il venti per cento dei profitti uscirebbe dalla Francia. E ora provate a immaginare questo meccanismo in tutti i settori, in tutti i paesi. Oppure pensate ad Alphabet, l’azienda madre di Google. Secondo la rivista statunitense Adweek, Alphabet controlla il 12 per cento di tutti i soldi spesi globalmente per la pubblicità sui mezzi d’informazione.

ALPHABET - GOOGLEALPHABET - GOOGLE
Non era mai successo prima che un’unica azienda controllasse una quota così grande di questo mercato. E non c’è dubbio sul fatto che Google stia succhiando molto denaro da paesi che non sono gli Stati Uniti: nel 2015 il 54 per cento dei suoi ricavi totali, circa 75 miliardi di dollari (67 miliardi di euro), proveniva dall’estero. Due paesi diversi Osservando la situazione dell’economia globale, si nota che il settore tecnologico è uno dei pochi che sta crescendo in modo significativo.

zuckerberg facebook streamingZUCKERBERG FACEBOOK STREAMING
Le statistiche di Meeker mostrano che in sei degli ultimi otto anni la crescita del pil mondiale è stata sotto la media. Se la crescita globale è stagnante mentre quella del settore tecnologico è sostenuta, vuol dire che gli altri settori se la passano davvero male. E, se la maggior parte delle entrate del settore tecnologico finisce nelle tasche di aziende con sede nella Silicon valley, è evidente che questa regione degli Stati Uniti è oggi uno dei principali motori dell’economia mondiale e sta ricevendo denaro da buona parte del pianeta.
steve jobs lancia l iphone nel 2007STEVE JOBS LANCIA L IPHONE NEL 2007

Nella sua campagna elettorale per le presidenziali statunitensi Trump continua a dire che gli Stati Uniti stanno perdendo. Ma si sbaglia: per quanto riguarda il settore tecnologico, il paese sta chiaramente vincendo, e anche in maniera clamorosa. Il problema è che la Silicon valley è solo una piccola fascia della California tra San Francisco e San Jose, mentre nel resto degli Stati Uniti la realtà economica è molto diversa.
zuckerbergZUCKERBERG

In questo senso la Silicon valley è come Roma ai tempi dell’impero, mentre tutti noi rischiamo di fare la fine della Giudea. Oggi negli Stati Uniti esistono due paesi diversi: uno è composto da atomi, l’altro da bit. Il primo è fatto di manifattura, vendita al dettaglio, servizi e ristoranti, attività all’antica che si possono vedere e toccare con mano. E che se la passano molto male.

A maggio la crescita dell’occupazione negli Stati Uniti è stata la più bassa degli ultimi cinque anni e il settore manifatturiero ha perso circa diecimila posti di lavoro. Da anni gli stipendi della classe media hanno smesso di crescere. Molti dipendenti sono stati sostituiti da software. Nei sondaggi i sostenitori di Trump dichiarano la loro rabbia e il loro senso d’impotenza. Per loro votare per Trump è un modo di reagire a questa situazione.

Dall’altra parte del fossato c’è il paese tecnologico, fatto di persone che scrivono codici, analizzano dati, creano app e investono in startup. Porzioni di questo paese esistono in tutti gli Stati Uniti, ma le concentrazioni maggiori si trovano in città come Boston, New York, Washington e Seattle, dove hanno sede importanti aziende tecnologiche. Ma non sono paragonabili per importanza alla Silicon valley, tempio di miliardari postadolescenti, dove le proprietà immobiliari sono sempre più costose, le autostrade sono piene di macchine elettriche e le università sfornano talenti in continuazione.
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Da quelle parti ci sono sempre più soldi, investiti in un numero sempre maggiore di aziende. Nei primi tre mesi del 2016 le aziende californiane, quasi tutte con sede nella Silicon valley, hanno potuto contare su 396 milioni di dollari di investimenti, circa il triplo di quelli di New York. E la ricchezza creata nella Silicon valley tende a restare nella Silicon valley. Anche quando si quotano in borsa, difficilmente queste aziende fanno la fortuna degli abitanti del resto del paese. Basta vedere chi sono i quaranta principali possessori di azioni di Facebook. Quasi tutti vivono nella Silicon valley (Peter Thiel possiede il 2,5 per cento delle azioni, per un valore di due miliardi di dollari).

L’ANNO DEGLI UNICORNI
ZUCKERBERG REALTA' VIRTUALEZUCKERBERG REALTA' VIRTUALE
Quando le persone in gamba vogliono creare un’azienda tecnologica vanno nella Silicon valley. Patrick e John Collison sono due fratelli cresciuti in un piccolo paesino irlandese. Dopo aver studiato a Boston, nel 2010 hanno creato l’azienda di pagamenti online Stripe, e nel 2011 hanno ottenuto due milioni di finanziamento da tre investitori: Sequoia Capital, Andreessen Horowitz e… Peter Thiel.

Oggi Stripe vale più di cinque miliardi di dollari. Non ha sede in Irlanda né a Boston ma nella Silicon valley. Enrico Moretti, professore d’economia all’università della California, a Berkeley, è l’autore di La nuova geografia del lavoro (Mondadori 2013). Nel suo libro Moretti ha analizzato i dati economici e ha scoperto che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare in quest’epoca iperconnessa, la geografia occupa un ruolo importante nel settore tecnologico.

“Per quanto riguarda l’innovazione, il successo di un’azienda non dipende solo dalla qualità dei dipendenti ma anche da altri fattori, come per esempio l’intero ecosistema che la circonda”, scrive Moretti. “È più difficile delocalizzare l’innovazione rispetto alla manifattura tradizionale”. Il settore dell’acciaio o quello calzaturiero possono spostarsi dove il costo del lavoro e delle risorse è più basso.

il primo profilo facebook fu di zuckerbergIL PRIMO PROFILO FACEBOOK FU DI ZUCKERBERG
L’industria tecnologica, invece, ha bisogno di concentrarsi in pochi luoghi, e la Silicon valley è la più potente delle calamite. Nel 2015 la stampa statunitense ha cominciato a parlare degli “unicorni”, le aziende tecnologiche con una valutazione superiore al miliardo di dollari. Le valutazioni hanno cominciato a raggiungere livelli folli e si è cominciato a parlare di una nuova bolla finanziaria.

Nel libro Play Bigger, che ho scritto insieme a tre consulenti delle startup della Silicon valley, ho cercato di fare luce su questo fenomeno. Un’epoca altamente connessa come quella attuale ha creato un ambiente nel quale un’azienda tende a creare e a dominare un nuovo settore d’affari (come hanno fatto Facebook, Airbnb e molti altri), ottenendo un immenso successo.


La Silicon valley è la regione del mondo che riesce a creare il maggior numero di queste regine del settore, e le prossime esponenti di questa categoria diventeranno le aziende più ricche della loro generazione.

RABBIA POPOLARE 
È probabile che queste future dominatrici faranno sembrare poca cosa quelle attuali come Facebook o Google. L’intelligenza artificiale è una tecnologia rivoluzionaria, e sarà la base per invenzioni che oggi riusciamo a malapena a immaginare. Che ne dite di un piccolo drone che funziona tramite intelligenza artificiale ed è in grado d’imparare a muoversi intorno a un edificio e a sorvegliarlo, sostituendo le guardie giurate? Tra poco sarà realtà.

MICROSOFT SILICON VALLEYMICROSOFT SILICON VALLEY 
Le stampanti 3d diventeranno così efficaci che un’azienda come la Nike non dovrà più produrre scarpe in Asia e poi spedirle negli Stati Uniti. Le basterà “stamparle” in una rete di migliaia di piccole fabbriche sparse in varie città, dove i clienti potranno ritirare le loro nuove scarpe da ginnastica. Blockchain, la complessa tecnologia alla base dei bitcoin, ha appena cominciato a rimodellare il settore finanziario.

La realtà virtuale si evolverà a un punto tale da rivoluzionare cose come il turismo, lo sport e le visite dal medico. A tutto questo si aggiungono i nuovi sviluppi nella biotecnologia e nella robotica. L’impatto sarà enorme. Secondo Hemant Taneja, della compagnia d’investimenti General Catalyst Partners, ci stiamo avviando verso un “ripensamento globale del lavoro”.
SILICON VALLEYSILICON VALLEY 

Tra non molto tutti i prodotti e i servizi cambieranno forma e saranno riassemblati attraverso dati, intelligenza artificiale e altre nuove tecnologie. Naturalmente a trarne vantaggio non saranno solo aziende con sede nella Silicon valley. Ma è importante notare che la maggioranza delle aziende che stanno cominciando a rivoluzionare il mondo del lavoro si trovano in California.

In futuro le poche aziende capaci di dominare i nuovi settori otterranno profitti enormi, in tutto il mondo, e per gli altri sarà sempre più difficile stare al passo. Se prendete in mano il vostro telefono, troverete molte cose per le quali un tempo pagavate e che oggi sono gratuite, come una macchina fotografica o una torcia. Non c’è bisogno di comprare un giornale, perché le notizie sono gratuite. Con Skype le chiamate internazionali sono economiche. E su Spotify la musica è gratis o a buon mercato.

IPHONE SEIPHONE SE
Lo smartphone è solo uno dei tanti esempi dell’impatto della tecnologia e della globalizzazione: rende sempre più cose gratuite o a buon mercato, abbassando per molti versi il costo della vita. Questo vale anche per i beni materiali: la tecnologia e la globalizzazione ci permettono di comprare vestiti da H&M a un prezzo molto più basso di quanto avremmo pagato vent’anni fa. E questa tendenza non farà altro che accelerare. Detta così sembra una cosa positiva.
La notte del coguaro alla Silicon ValleyLA NOTTE DEL COGUARO ALLA SILICON VALLEY 

Ma è proprio questa dinamica che sta distruggendo la classe media, facendo sparire posti di lavoro e riducendo i salari. Se ci sono più cose gratuite o economiche, sono meno le persone che possono guadagnare producendo e vendendole. Al contrario, quando qualcosa si riduce a un’applicazione, le persone che possono produrla e commercializzarla in tutto il mondo sono relativamente poche, e sono loro ad assicurarsi tutti i guadagni. Pensate alle mappe.

konza city tecnology silicon valley savana 2KONZA CITY TECNOLOGY SILICON VALLEY SAVANA 2
Fino a qualche tempo fa c’erano molte aziende che le stampavano e tanti negozi che le vendevano. Oggi per i consumatori di tutto il mondo esiste di fatto una sola azienda produttrice di mappe, Google, che ha sede in California e tiene per sé tutti i soldi generati dal settore delle mappe. E la maggior parte dei posti di lavoro che un tempo erano legati a questo settore oggi sono scomparsi. Per buona parte di chi vive fuori dalla Silicon valley gli effetti negativi causati da questa situazione cominciano a essere più pesanti di quelli positivi.

Google alla Silicon ValleyGOOGLE ALLA SILICON VALLEY 
Amiamo i nostri telefoni, le nostre app e le altre cose a buon mercato, ma non ci piace sentirci economicamente marginalizzati. Una vicenda come quella di Thiel contro Gawker rafforza l’idea che un gruppo molto ristretto di persone abbia sempre più potere. In campagna elettorale Trump ha fatto leva sull’angoscia della classe media per il futuro.

E lo stesso ha fatto il candidato democratico Bernie Sanders, che però non si è accorto che la sua è una guerra del passato: in futuro i cattivi da combattere non saranno più i prevedibili capitalisti di Wall street ma quelli che percorrono la Route 101 della California. Se si osservano tutte le tendenze in corso, si può facilmente concludere che nella Silicon valley esisterà la più grande concentrazione di potere al mondo.
brogrammer il maschio della silicon valleyBROGRAMMER IL MASCHIO DELLA SILICON VALLEY

A farne le spese saranno praticamente tutti gli altri luoghi della Terra. L’unica cosa che potrebbe far deragliare questo treno in corsa è un evento simile alla rivoluzione russa, con i lavoratori che si ribellano contro la tirannide. La prospettiva non sembra imminente ma è un’eventualità che la Silicon valley deve prendere in considerazione e a cui deve cercare di porre rimedio. Altrimenti si troverà a fronteggiare attacchi sempre più forti da parte dei governi, degli attivisti o dei cittadini indignati.
silicon valleySILICON VALLEY

Per il settore sarebbe un incubo dover sottostare a un’autorità di regolamentazione, come succede per l’energia elettrica e le telecomunicazioni: settori che un tempo avevano inventato tecnologie all’avanguardia ma che in seguito, sottoposte all’autorità del governo, si sono trasformati in macchine burocratiche sonnecchianti.

brogrammer il maschilismo della silicon valleyBROGRAMMER IL MASCHILISMO DELLA SILICON VALLEY
Per decenni gli attori più dinamici e influenti del mondo tecnologico si sono concentrati in maniera quasi esclusiva sullo sviluppo dell’innovazione e la creazione di nuove aziende. In questa nuova fase devono assicurarsi che anche il resto del mondo ne ottenga i benefici. Altrimenti, prima o poi, Peter Thiel potrebbe ritrovarsi a dover fare i conti con la rabbia della folla.

http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/nuovo-impero-apple-google-facebook-amazon-uber-etc-fara-fine-128815.htm