domenica 19 febbraio 2017

La Fed trema (di nuovo): boom tossico asset, bolla da $2 trilioni

17 febbraio 2017, di Laura Naka Antonelli


“Aspettare troppo tempo prima di alzare i tassi di interesse non sarebbe saggio”. Lo ha detto chiaramente Janet Yellen, numero uno della Fed, nel corso delle audizioni che si sono svolte in questi giorni al Congresso Usa. Wolf Richter, del sito omonimo Wolfstreet.com, fa notare come questa frase “waiting too long”, ovvero aspettare troppo tempo, sia sempre più presente nei discorsi che vari funzionari della Federal Reserve stanno tenendo da diverse settimane.
Il sospetto è che la Fed sappia qualcosa che noi non sappiamo, o che non conosciamo come dovremmo. Ci sono di fatto segnali, sui mercati Usa, che mostrano una somiglianza spaventosa con quelli che precedettero l’esplosione della crisi finanziaria del 2008.
Segnali di bolla, cheinteressano gli asset CRE – commercial real estate – ovvero il mercato immobiliare commerciale e, di conseguenza, i vari prestiti a entità come fondi, aziende, costruttori, che le banche Usa hanno erogato per finanziare la realizzazione di negozi, centri commerciali, hotel e palazzi.
Si tratta di prestiti che hanno un forte impatto sull’economia, se si considera che hanno un valore di quasi $2 trilioni, $2.000 miliardi, e che sono garantiti, come nel caso dei mutui residenziali, da proprietà immobiliari, in questo caso per uso commerciale.
Il punto è che i prezzi di tali proprietà sono saliti negli ultimi anni a livelli da alert, tanto che ora si teme un crash del mercato.  Che oltre a essere un crash dell’immobiliare metterebbe KO i colossi stessi della finanza.
La bomba tossica che minaccia gli Usa vale infattti $2 trilioni e rischia di esplodere da un momento all’altro. La Fed non fa mistero dei suoi timori, tanto che nel rapporto consegnato al Congresso Usa l’istituto ha affrontato direttamente la questione, anche se l’acronimo CRE non è stato pronunciato direttamente da Yellen, durante le sue audizioni.
Il dettaglio non trascurabile è che non è la prima volta che tale categoria di prestiti viene menzionata nei report che la Fed consegna due volte l’anno al Congresso: è la quinta volta.  E, già in un report di due anni fa, l’istituto aveva parlato di “pressioni sulle valutazioni” del CRE. Da allora, gli avvertimenti sono apparsi sempre, in ogni analisi, inclusa quella resa nota nel giugno del 2016, in cui la Fed scrisse che le valutazioni nel mercato degli immobili per uso commerciale stavano diventando sempre più vulnerabili agli choc negativi.
Ancora prima, nel novembre del 2015 Eric Rosengren, presidente della Fed di Boston, aveva sollevato più di un dubbio sul boom tossico dei prezzi a Boston.
Un deja vù, sicuramente: la questione è la stessa del 2008, visto che tali prestiti sono stati anch’essi oggetto di operazioni di cartolarizzazione. Operazioni che hanno dato vita al mercato “Commercial Mortgage Backed Securities”, ovvero titoli garantiti da prestiti per immobili a uso commerciale: i CMBS (Commercial Mortage-Backed Securities), che ora rischiano di diventare il nuovo incubo delle banche e della Fed.
Quanto è fondato tale timore? Per avere una risposta, basta guardare al trend del Green Street Commercial Property Price Index, che mostra come i prezzi degli immobili a uso commerciale siano crollati negli Usa di quasi il 40% nel periodo della Grande Recessione, poi più che raddoppiando.


Così si legge nell’ultimo report della Fed.
“Le valutazioni del CRE (mercato immobiliare commerciale), oggetto di crescente preoccupazione nel corso dell’ultimo anno, sono cresciute ulteriormente”. Il debito che ha nutrito questo boom è balzato a 1,98 trilioni,  superiore del 14% rispetto al picco della bolla precedente degli anni dell’ultima crisi finanziaria che ha piegato il mondo intero.
In tutto questo c’è da mettere in evidenza il contesto di maggior rischio in cui le banche potrebbero operare, nel caso  in cui la legislazione Dodd-Frankemanata subito dopo la crisi finanziaria del 2008 dovesse essere affossata da Trump.
Janet Yellen & Company tentano al momento di non alimentare il panico sui mercati, e nel rapporto affermano che “un calo significativo” dei prezzi degli immobili a uso commerciale potrebbe pesare “sulle banche più piccole”. Tuttavia, proprio le banche più piccole rischiano di piegare il sistema finanziario, in quanto sono esposte a tali debiti per un valore di $1,22 trilioni.
http://www.wallstreetitalia.com/la-fed-trema-di-nuovo-boom-tossico-asset-bolla-da-2-trilioni/

sabato 18 febbraio 2017

TRUMP RENDE LEGALI LE MAZZETTE PETROLIFERE E WALL STREET VOLA – LE COMPAGNIE QUOTATE NON DOVRANNO DICHIARARE SE PAGANO GOVERNI STRANIERI PER LE CONCESSIONI DEI POZZI – WARREN BUFFET (PRO-HILLARY) INVESTE 12 MILIARDI NELLA BORSA DEI RECORD. E DONALD NON HA ANCORA ABBASSATO LE TASSE…

Ugo Bertone per Libero Quotidiano



Al settimo giorno le Borse Usa hanno deciso di tirare il fiato. Ma la pausa è motivata più dalla volontà di incassare i profitti accumulati nella lunga corsa innescata dall' attesa degli sgravi fiscali già anticipati da Donald Trump che non da un cambio dell' umore degli operatori. È difficile, del resto, trovare un altro rally così robusto e continuo, per giunta senza picchi di volatilità dei prezzi (a conferma che i rischi restano bassi).

In sintesi: nell' ultima settimana i tre indici principali hanno segnato cinque record storici assoluti, tra cui spicca il livello stellare toccato dal paniere più importante, quello dello Standard & Poor' s: 20 mila miliardi di dollari di capitalizzazione. Per giunta, la corsa ha coinvolto buona parte delle Borse non americane, come dimostra il primato toccato dall' indice Ftse Global, ai massimi da due anni.



Una febbre che ha coinvolto le società più amiche del presidente, a partire da Goldman Sachs, tornata sui livelli del 2007. Ma anche i «nemici», come Apple balzata a un nuovo incredibile valore di oltre 700 miliardi di dollari (più di una volta e mezza di Piazza Affari). O Warren Buffett che nello scorso dicembre, dopo aver dichiarato il suo voto per Hillary, si è affrettato a investire su Wall Street (12 miliardi) confidando nel tocco di Trump.

 

La corsa della Borsa Usa, infatti, non è una moda o una semplice manifestazione di simpatia da parte degli americani ricchi. Il rally targato Trump, ancor prima dell' annuncio della promessa «rivoluzione fiscale» (basata su robusti tagli delle aliquote) è il frutto dell' azione del Presidente, che promette così di galvanizzare i fondi pensione e i piani di accumulo della classe media.

Solo promesse? In realtà Trump si è già mosso. Nel giorno di San Valentino Donald Trump ha firmato la sua prima legge da presidente, denominata H.J. Res 41, che allenta le regole per le società petrolifere e minerarie quotate a Wall Street. «È una decisione importante. Stiamo semplificando la regolamentazione del settore energia - ha commentato lo stesso Trump - tanta gente sta tornando al lavoro».



È l' effetto della legislazione che riapre la porta ai nuovi gasdotti, ma anche alla robusta ripresa delle estrazioni di shale oil che stanno mettendo a dura prova il potere di Opec e Russia che dall' inizio dell' anno hanno tagliato la produzione per provocare un rialzo dei prezzi, finora contenuto.

Ma la parte più innovativa e «politicamente scorretta» del provvedimento riguarda il diritto per le società dell' energia quotate a Wall Street di non rendere noti i pagamenti ai governi stranieri per garantirsi lo sfruttamento delle risorse.



Un' inversione di rotta che garantirà un vantaggio competitivo alle Big Oil Usa. È la prima delle modifiche alla Dodd Frank, il sistema di norme sulla trasparenza introdotto dopo la crisi dei subprime, cui presto seguiranno gli interventi che, secondo la Casa Bianca, daranno più spinta agli investimenti e al lavoro, una priorità condivisa dai mercati, i primi sostenitore del presidente.

http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/trump-rende-legali-mazzette-petrolifere-wall-street-vola-compagnie-141679.htm