giovedì 29 giugno 2017

Che cosa non sappiamo sul Trattato di Lisbona?

Il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, presente in aula, soddisfatto per il consenso generale Frattini: “Speriamo entri in vigore prima delle elezioni europee”. L’Italia ha ratificato il Trattato di Lisbona, recentemente respinto dalla volontà popolare in Irlanda, unico Paese alla cui cittadinanza era stato democraticamente sottoposto mediante referendum, e respinto da Polonia e Repubblica Ceca. Il Trattato al 96% la bozza di Costituzione Europea respinta con referendum dai popoli olandese e francese. Perché queste bocciature? Magari perché questi popoli sono “antieuropeisti” o piuttosto perché sono più informati di noi? (I governi di Francia e Olanda hanno poi ratificato la “costituzione europea” quando questa ha cambiato nome in “Trattato di Lisbona” in totale spregio al risultato referendario). Secondo lo studio dell’Avv. Klaus Heeger, consulente per il gruppo democratico del parlamento europeo: la Costituzione garantiva alla U.E. 105 nuove aree di competenza, esattamente lo stesso numero di competenze che sono attribuite al Trattato di Lisbona. In quest’ultimo, rispetto alla costituzione rimangono fuori i simboli U.E.: bandiera inno e motto, ma entra il cambiamento climatico. Le rimanenti nuove 104 aree di competenza (aree cioè nelle quali la possibilità da parte degli stati di legiferare in modo difforme da quanto deciso in sede U.E. è illegale), sono identiche. Negli ultimi mesi si sono tenute numerose manifestazioni contro la ratifica del Trattato a Vienna, Berlino, e in tutta la Francia, manifestazioni in cui eminenti costituzionalisti hanno sottolineato la violazione di numerose norme costituzionali, tra cui quella della neutralità prevista dalla Costituzione. Il Presidente della Repubblica tedesco non ha firmato la ratifica perché sono immediatamente scattati tre ricorsi alla Corte Costituzionale. Purtroppo, invece, un lungo applauso bipartisan ha accompagnato il sì della Camera che, come il Senato, ha approvato all’unanimità il Trattato. L’unica eccezione arriva dai banchi della Lega Nord: i deputati del Carroccio al momento della proclamazione sono rimasti seduti in silenzio. Un atteggiamento che ha provocato la reazione di Emanuele Fiano (Pd) che si è alzato in piedi per urlare contro i leghisti. Per il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, “l’approvazione unanime è l’espressione di una bella pagina dell’antica tradizione parlamentare del nostro Paese che è co-fondatore dell’unione europea”. Il premier Silvio Berlusconi, presente in aula, in una nota esprime “grande soddisfazione per il voto all’unanimità”. Il presidente del Consiglio ha sottolineato “il contributo dell’Italia al rilancio dell’Europa che sta attraversando una fase di difficoltà. L’auspicio - prosegue - è che il voto di oggi possa servire anche agli altri paesi che ancora devono completare l’iter parlamentare”. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, parla di “bell’esempio che l’Italia dà al resto d’Europa”. Per il titolare della Farnesina “il Trattato è uno strumento non una soluzione. Con la sua approvazione - prosegue - togliamo l’alibi a chi non vuol fare camminare in avanti l’Europa”. Frattini ha poi auspicato che “il Trattato entri in vigore prima delle elezioni europee del prossimo anno”. La speranza che tutti i paesi ratifichino il Trattato prima delle elezioni europee è condivisa anche dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha espresso tutta la sua soddisfazione per il voto di oggi: “L’approvazione unanime della legge di ratifica del Trattato di Lisbona rappresenta un titolo d’onore per il parlamento italiano e un fattore di rinnovato prestigio per il ruolo europeo del nostro paese”. Più critico il giudizio della Lega Nord che ha approvato il Trattato votando sì con riserva. Per il capogruppo alla Camera, Roberto Cota, “abbiamo toccato il punto più basso dell’Europa dei burocrati, oggi dobbiamo dare la spinta per una Europa diversa”. La stella polare che dovrebbe guidare l’azione di un politico responsabile non è il conformismo a “qualsiasi Europa purché Europa”, ma la libertà morale di instaurare un’Europa dei Popoli capace di perseguire il “bene comune”, dimostrando così di avere il contatto con la vita reale dei cittadini rappresentati, ossia il miglioramento del loro benessere come base per “il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3, 2° co. Cost.). Finora non abbiamo avuto questo, e lo stato dell’economia reale è lì a dimostrarlo. Il sunto complessivo dei quindici anni trascorsi è rappresentato dal tenore di vita reale della popolazione, e dal rapporto debito pubblico su p.i.l. Quest’ultimo – nonostante privatizzazioni e smobilizzi dell’industria pubblica che dovevano servire a ridurre il debito – era nel 1991 al 98% ed è oggi al 104%. Non si tratta di un’anomalia tutta italiana bensì di una costante che riguarda le locomotive trainanti l’eurozona. Infatti per la Germania il rapporto è passato da 40,31% a 67,54% e per la Francia da 35,28% a 64,19% (valori del 2006). Il prof. Giuseppe Guarino, ex ministro dell’industria, afferma:
“Nei quindici anni dall’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, che ha introdotto la moneta unica, l’euro, lo sviluppo medio annuo del Prodotto interno lordo (PIL) italiano è rallentato, è risultato la metà di quello del quindicennio anteriore, un quarto di quello del periodo dal 1945 al 1980. Nel trentacinquennio, a partire dalla fine della ricostruzione, l’Italia era stata prima assoluta tra i Paesi occidentali nello sviluppo. Ed era ancora in testa nel quindicennio anteriore a Maastricht, seconda solo alla Germania, tra i Paesi europei con più popolazione. Negli anni dal 1992 ad oggi siamo all’ultimo posto.”
Le ragioni principali dell’opposizione al Trattato sono queste:
1. La sovranità nazionale sull’imposizione fiscale verrà abolita e non sarà più possibile il progetto di federalismo fiscale su cui si è basata la vittoriosa campagna elettorale del governo italiano in carica.
2. Ma è in politica economica che si sentiranno di più gli effetti nefasti di quella che molti definiscono una vera e propria “dittatura dell’Unione e della Banca Centrale Europea”, che è il cuore e dominus della costituzione materiale europea. La Bce non è un ente democratico. La Bce è formalmente un ente di diritto pubblico, ma nella sostanza è un ente dominato dalle banche private. La Bce decide la politica monetaria e finanziaria, e conseguentemente decide la politica economica dell’Europa. Grazie al Trattato di Lisbona, adesso, i burocrati dell’Unione Europea avranno pieno titolo a bocciare qualunque misura decisa dal nostro governo, e dagli altri governi europei, per difendere la propria economia, l’occupazione, i redditi, l’industria e l’agricoltura, ed intervenire sui prezzi. I livelli salariali dei lavoratori italiani saranno messi a rischio dalla liberalizzazione salariale che toccherà i 27 Stati Membri. la disoccupazione di massa sarà incoraggiata da un’incredibile politica monetaria delle istituzioni europee, contraria all’interesse generale: la lotta contro l’inflazione come missione assolutamente prioritaria e intangibile di una Banca Centrale Europea (BCE) rigorosamente indipendente dai rappresentanti del popolo (artt. 119, 130 e 282 §2 e §3 del TFUE) è una priorità contestabile fissata al più alto livello del diritto, dunque inaccessibile a qualunque riconsiderazione da parte dell’opinione pubblica. Questa priorità che avvantaggia soltanto chi dispone di una rendita, fissata per sempre dalle istituzioni europee, incoraggia deliberatamente la disoccupa-zione di massa e i bassi salari, cosa che presenta il vantaggio – per alcuni - di rendere tutti molto docili, mentre i più ricchi possono profittarne liberamente. Anche solo su questo punto tutti i salariati (il 91% della popolazione attiva) dovrebbero essere contrari al Trattato. Perché non esistono libertà, solidarietà, diritti delle minoranze, pace tra i popoli, non esistono diritti civili, se ad ogni cittadino non è garantito il diritto ad un lavoro “in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36, 1° co. Cost.). La crisi La crisi alimentare è un esempio del problema, che verrà aggravato dal Trattato di Lisbona. Mentre in tutto il mondo si moltiplicano gli appelli a intervenire per frenare la corsa al rialzo dei prezzi delle derrate alimentari, e mettere fine alla folle politica di sussidi ai “biofuels” che ne è tra le cause, l’Unione Europea, nella persona del Commissario Agricolo Mariann Fischer Boel, continua ad insistere nell'abolire la PAC (Politica Agricola Comune) che difende gli agricoltori, e nel mantenere l’obiettivo del 10% di consumi energetici coperti dai biocarburanti, il che significa che riceveranno sussidi solo gli agricoltori che producono per i biofuels, e non per nutrire il mondo, benchè da più parti (il Ministro dell’Agricoltura francese Michel Barnier, il ministro Giulio Tremonti e l’ex ministro del Commercio Estero Emma Bonino) questa sia stata definita una politica “criminale” che aumenterà le carestie in tutto il mondo e provocherà rivolte non solo nei paesi poveri ma anche in quelli “intermedi”, quali Egitto, Indonesia e Pakistan. Nel nome del “mercatismo” e del “libero commercio”, Unione Europea e WTO impediscono ai governi di intervenire contro la speculazione finanziaria sui prezzi, non solo delle derrate alimentari, ma anche del petrolio, su cui si arricchiscono i grandi speculatori, mentre la gente comune non arriva a fine mese. Interventi come quello del ministro dell’Agricoltura francese Barnier in difesa dei pescatori, o del governo italiano in difesa dell’Alitalia, potranno essere vietati dalla burocrazia di Bruxelles nel nome del Trattato di Lisbona (è la Commissione che autorizza l’applicazione di prezzi e condizioni di sostegno da parte di uno Stato nel settore,art. 96.La Commissione procede all’esame permanente degli aiuti concessi dagli Stati. Decide che lo Stato deve sopprimere l’aiuto incompatibile. Se lo Stato non ottempera, adisce la Corte di Giustizia, art. 108), che dà la precedenza a delibere europee. Infatti la Dichiarazione n. 17 del Trattato afferma:“ Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia si evince che la preminenza del diritto comunitario è un principio fondamentale del diritto comunitario stesso.” Dunque laddove la previsione della Commissione confligga con quella nazionale, quest’ultima soccombe.
Ci sono almeno 2 articoli della Costituzione italiana che prevedono tali interventi dello Stato, e che dovrebbero avere la precedenza sul diktat europeo:
Art. 3. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art. 43. A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.
3. L’ indipendenza militare della nazione verrà totalmente meno. La cosiddetta Forza Militare Europea non dovrà più rispondere ai singoli parlamenti nazionali ma solo a quello europeo. Anche il servizio segreto militare UE risponderà a livello europeo e non sarà sottoposto a controllo popolare democratico. Tutti i cittadini UE potranno essere costretti a servire obbligatoriamente nella Forza Militare Europea nonostante il servizio militare obbligatorio sia stato abolito in Italia da molti anni. Mentre la la politica di difesa del Trattato, prevede oltre alle “missioni di pace” anche missioni “offensive”, che violano l’Art. 11 della nostra Costituzione, che recita “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
4. Tutto il potere decisionale in Europa sarà gestito da 27 Commissari (uno per ogni nazione, non necessariamente eletti dal popolo, che dal novembre 2014 diventerebbero meno di 27, in rappresentanza di solo i 2/3 degli stati), dal Consiglio (anche qui, membri non necessariamente eletti dal popolo), e dalla BCE (Banca Centrale Europea… e figuriamoci se gli “eletti dal popolo” li troviamo proprio qui!), e il Parlamento Europeo continuerà ad avere un ruolo puramente consultivo. Perciò poche persone decideranno del destino di 500 milioni di abitanti e ci saranno delle organizzazioni che possono agire per condizionare le decisioni di organismi gestiti da così poche persone, non elette dal popolo, che hanno un potere assoluto sul popolo stesso ma che non rispondono a nessuno che li abbia eletti. Pensiamo a “Bilderberg” e “Commissione Trilaterale”. Ricordiamo che per far cadere un qualunque governo è necessaria la maggioranza semplice dei rappresentanti (il 50% più uno); mentre per imporre le dimissioni alla “Commissione” è invece necessaria la maggioranza (con voto palese), dei due terzi del parlamento europeo. I Ministri e i Presidenti accumulano i poteri esecutivo e legislativo in una serie di campi nascosti al pubblico con il nome ingannevole di "procedure legislative speciali" (art. 289 §2 del TFUE per il principio stesso; gli altri articoli sono dispersi, cioè nascosti, nel resto del TFUE) e “atti non legislativi” (esempi: art. 24 del TUE, o art. 290 del TFUE). I ministri – in principio agenti dell’esecutivo – si riuniscono in un “Consiglio”, dimenticando curiosamente di precisare che si tratta di un consiglio di ministri, dichiarandosi perfino “co-legislatori” (art. 16 del TUE). Queste chiare violazioni del principio essenziale della separazione dei poteri rivelano una deriva considerata dalla stessa Dichiarazione dei diritti dell’uomo (art. DDUC) come il segno più sicuro del ritorno alla tirannide; poteri non separati sono poteri alla mercé delle potenze private del momento. Il potere legislativo – ordinario, ma anche costituente - è controllato nella sua essenza da organi non eletti. Esempi: Conferenza Intergovernativa (composta di ministri) modificante le istituzioni (art. 48 §4 del TUE); Commissione Europea (non eletta) cui spetta l’esclusiva dell’iniziativa legislativa (art. 17 §2 del TUE, che è un vero e proprio insulto alla democrazia rappresentativa); Banca Centrale produttrice di norme obbligatorie a portata generale (art. 132 del TFUE). Le procedure di revisione permettono all’esecutivo di modificare esso stesso le istituzioni, e soprattutto senza la previa consultazio-ne dei popoli coinvolti (art. 48 del TUE). Ancora una volta, degli organi non eletti sono gli incaricati della revisione della Costituzione europea e del controllo di tutte le proposte di revisione, e soprattutto i cittadini sono tenuti a larga distanza dal processo costituente, che non richiede alcun referendum.
5. Una nuova Polizia Europea pattuglierà e controllerà il territorio di tutti gli Stati Membri. Una forza di polizia non designata né controllata democraticamente (Europolice) avrà il potere di raccogliere informazioni personali su tutti i cittadini europei e schedarle in un ufficio centrale UE. Europolice potrà operare liberamente in ogni nazione e le polizie nazionali saranno obbligate a cooperare con le sue investigazioni. I cittadini europei potranno essere arrestati e trattenuti senza processo fino a 4 anni.
6. Il Pubblico Ministero Europeo avrà potere dominante sui Pubblici Ministeri nazionali.
7. Un sistema legislativo penale sarà imposto con criteri uniformi su tutti gli Stati. Una Commissione UE metterà a punto il sistema della legge penale europea rendendolo obbligatorio in tutti gli Stati. Le procedure per gli imprigionamenti senza processo non saranno garantiste come quelle oggi in vigore in Italia.
8. Eurojust imporrà procedure standard in tutta la UE. La Corte Suprema UE (correntemente in Lussemburgo) sarà la massima autorità giudiziaria dell’Unione.
9. Ogni Stato Membro dovrà accettare le decisioni dei tribunali civili degli altri Stati e si adirà alla Corte Suprema UE per eventuali arbitraggi.
10. Leggi che consentono I matrimoni e le adozioni da parte di coppie omosessuali dovranno essere accettate dagli Stati Membri.
11. Aborto ed eutanasia dovranno essere accettati da ogni Stato Membro. Gli anziani potranno essere messi a morte (anche contro la loro volontà) in virtù del principio di eguaglianza di trattamento di ogni cittadino UE. L’aborto sarà incardinato come un “diritto umano” e reso obbligatorio in tutta la UE.
12. Congelamento degli assetti finanziari. Sulla base di un semplice sospetto di complicità col terrorismo potranno essere congelati gli assetti finanziari di chiunque. Questi fondi saranno poi, eventualmente, restituiti ai proprietari (senza interessi) quando questi avranno dimostrato la propria innocenza.
13. Non si potranno più opporre limiti territoriali od etici su alcuna ricerca (scientifica, militare, medica). La clonazione umana sarà libera su tutto il territorio UE.
14. La UE potrà liberamente disporre delle ricchezze naturali degli Stati Membri senza chiedere permesso e senza risarcimento. Per esempio, l’Italia potrebbe essere obbligata a fornire acqua, risorse energetiche oppure ogni altra risorsa naturale ad altri Stati Membri.
Inoltre, il Trattato reintroduce la pena di morte. Con ambiguità,Il corpus del Trattato di non ne fa direttamente riferimento, anzi la esclude, e neanche i protocolli annessi, ne fanno riferimento. Ma rimanda alla “carta dei diritti fondamentali” che nel suo articolo 2, prevede la pena di morte per reprimere “una sommossa o un’insurrezione”. Nessun esempio è citato per definire il concetto di “sommossa o insurrezione”. A proposito della pena di morte, Il prof. Karl Albrecht Schachtschneider sottolinea come: La Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (CDFUE) permette espressamente nelle "spiegazioni" ai Diritti Fondamentali e nelle sue "definizioni negative" – assorbite nel Trattato di Lisbona – contrariamente all'abolizione della pena di morte vigente in Germania, Austria e altri paesi in conformità con il principio [costituzionale] della dignità dell'uomo, la reintroduzione della pena di morte in caso di guerra o in caso di diretto pericolo di guerra, ma permette anche l'omicidio per reprimere una sommossa o un'insurrezione. Decisivo per questo non è l'Art. 2 Paragrafo 2 della Carta, che proibisce la condanna a morte e l'esecuzione capitale, bensì la spiegazione di quest'articolo, integrata nel Trattato [di Lisbona], che risale alla Convenzione sui Diritti Umani del 1950. Secondo l'Art. 6 Par. 1 e Sottopar. 3 del Trattato sull'Unione Europea (TUE) nella versione di Lisbona, vengono definiti i diritti, le libertà e i principi fondamentali della Carta in conformità con le disposizioni generali del Titolo VII della Carta, che regola l'esposizione e l'applicazione degli stessi, tenendo in debito conto le "spiegazioni" allegate alla Carta, in cui vengono indicate le fonti di queste disposizioni. La rilevanza giuridica delle "spiegazioni" sgorga anche dal Paragrafo 5 S. 2 del Preambolo della Carta, secondo il quale l'interpretazione di questa avviene "tenendo in debito conto le spiegazioni elaborate sotto l'autorità del praesidium della Convenzione europea". Il Paragrafo 5 S. 2 del Preambolo e il Paragrafo 7 dell'Art. 52 sono stati reinseriti nella Carta il 12 dicembre 2007. Erano già presenti nel naufragato Trattato Costituzionale del 29 ottobre 2004. Questo allargamento del testo smentisce il temporaneo successo della politica contro la pena di morte e l'esecuzione capitale. Le "spiegazioni" riguardano anche e proprio l'Art. 2 Par. 2 della Carta (M. Borowsky, in J. Meyer, Kommentar zur Charta der Grundrechte der Europäischen Union, 2003, Art 2, Rdn. 18).
Le deleghe all'Unione nel campo della politica estera e di sicurezza comune sono sufficienti affinché, nell'interesse dell'efficienza delle missioni secondo l'Art. 28 (42) Par. 1 S. 2 (Il numero in parentesi si riferisce alla "Rinumerazione del trattato sull'Unione Europea". Per orientarsi meglio, cfr. la tabella di corrispondenza della Gazzetta ufficiale dell'Unione Europea a http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/...02:0229:IT:PDF.) e Art. 28b (43) Par. 1 TUE, o anche nell'interesse della difesa, sia reintrodotta la pena di morte; ad esempio la delega al Consiglio tramite l'Art. 28b (43) Par. 2 S. 1 TUE sulle decisioni riguardanti le missioni, che permette "di stabilire le condizioni generali di attuazione valide" per le missioni stesse. A ciò non partecipano né il Parlamento Europeo né tanto meno i parlamenti nazionali. Una decisione del genere andrebbe valutata in combinazione con l'Art. 2 Par. 2 della CDFUE, con le sue spiegazioni. Inoltre gli stati membri si impegnano con l'Art. 28 (42) Par. 3 Sottopar. 2 S. 1 TUE, "a migliorare progressivamente le proprie capacità militari". Le guerre del passato e del presente dimostrano che la pena di morte, ad esempio nel caso di soldati che si rifiutano di eseguire gli ordini, tende a incrementare notevolmente le capacità militari di un esercito. L'efficienza di misure militari può essere incrementata, tra l'altro, per mezzo dell'esecuzione di terroristi e sabotatori o anche presunti tali. La prassi dell'Unione di estendere estremamente i testi sui doveri degli stati membri non autorizza ad escludere anche una tale interpretazione, quando la situazione lo comanda o lo consiglia. Per inciso, il dovere di riarmo di questa prescrizione non è compatibile con il principio pacifista, vincolante, delle costituzioni tedesca (preambolo della Grundgesetz, Art. 1 Par. 2, Art. 26 Par. 1) e austriaca.
Nella Dichiarazione riguardante le Spiegazioni della Carta dei Diritti Fondamentali, che secondo l'Art. 49b (51) TUE ("Allegato") sono parte costituente dei Trattati, dunque sono parimenti vincolanti, sta scritto:
3. Le disposizioni dell'articolo 2 della Carta corrispondono a quella degli articoli summenzionati della CEDU e del protocollo addizionale e, ai sensi dell'articolo 52, paragrafo 3 della Carta, hanno significato e portata identici. Pertanto le definizioni "negative" che figurano nella CEDU devono essere considerate come presenti anche nella Carta:
a) articolo 2, paragrafo 2 della CEDU:
"La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario:
a) Per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale;
b) Per eseguire un arresto regolare o per impedire l'evasione di una persona regolarmente detenuta;
c) Per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un'insurrezione";
b) articolo 2 del protocollo n. 6 della CEDU:
"Uno stato può prevedere nella propria legislazione la pena di morte per atti commessi in tempo di guerra o in caso di pericolo imminente di guerra; tale pena sarà applicata solo nei casi previsti da tale legislazione e conformemente alle sue disposizioni ..." (Cfr. il testo sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, in data 14.12.2007, su http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/.7:0035:IT:PDF).
Sommosse o insurrezioni possono essere viste anche in certe dimostrazioni. Secondo il Trattato di Lisbona, l'uso mortale di armi da fuoco in tali situazioni non rappresenta una violazione del diritto alla vita. In guerra si trovano attualmente sia la Germania che l'Austria. Le guerre dell'Unione Europea aumenteranno. Per questo, l'Unione si riarma – anche con il Trattato di Lisbona.
Come sottolinea Schachtschneider, sono il punto a) sub c) ed il punto b) quelli che aprono le porte ad una serie di interpretazioni, che a seconda delle opportunità del caso, possono legittimare la pena capitale da parte del Trattato di Lisbona. In piena crisi finanziaria e nell’avvitarsi di una fase iperinflattiva sui generi di prima necessità, il punto a) sub c) è più attuale che mai. Ma anche il punto b), vista la partecipazione di 14 stati alla sola guerra in Iraq, legittima l’introduzione della pena capitale da parte di molte nazioni.
“Nella Dichiarazione riguardante le Spiegazioni della Carta dei Diritti Fondamentali, che secondo l'Art. 49b (51) TUE ("Allegato") sono parte costituente dei Trattati, dunque sono parimenti vincolanti, sta scritto: ‘Le disposizioni dell'articolo 2 della Carta corrispondono a quelle degli articoli summenzionati della CEDU [Carta europea dei diritti dell’uomo, ndr] e del protocollo addizionale e, ai sensi dell'articolo 52, paragrafo 3 della Carta, hanno significato e portata identici’.” Il prof. Schachtschneider sottolinea come all’art. 2 della CEDU si preveda: “La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario: […] c) Per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un’insurrezione”; e l’articolo 2 del protocollo n. 6 della CEDU dice: “Uno stato può prevedere nella propria legislazione la pena di morte per atti commessi in tempo di guerra o in caso di pericolo imminente di guerra; tale pena sarà applicata solo nei casi previsti da tale legislazione e conformemente alle sue disposizioni ...”. Schachtschneider aggiunge: “Sommosse o insurrezioni possono essere viste anche in certe dimostrazioni. Secondo il Trattato di Lisbona, l'uso mortale di armi da fuoco in tali situazioni non rappresenta una violazione del diritto alla vita. In guerra si trovano attualmente sia la Germania che l'Austria. Le guerre dell'Unione Europea aumenteranno. Per questo, l'Unione si riarma – anche con il Trattato di Lisbona.” Come sottolinea Schachtschneider, questi punti aprono le porte ad una serie di interpretazioni, che a seconda delle opportunità del caso, possono legittimare la pena capitale da parte del Trattato di Lisbona. In piena crisi finanziaria e nell’avvitarsi di una fase iperinflattiva sui generi di prima necessità, che appunto potrebbero sfociare in manifestazioni di protesta, questi punti sono più attuali che mai. E vista la partecipazione di 14 stati alla sola guerra in Iraq, il richiamo esplicito della CEDU rafforza la legittimazione dell’introduzione della pena capitale da parte di molte nazioni. In realtà il Trattato è un “monstrum” (358 articoli a cui sono da aggiungere quelli relativi ai protocolli che rappresentano circa il 45% dell’intero trattato) così complesso e oscuro nella sua esposizione che gli elementi che lo possono metter in conflitto con le legislazioni nazionali sono numerosi e insidiosissimi; ma ciò che può interessare noi italiani è che il Trattato di Lisbona precede e sovrasta la Costituzione Italiana e, cosa più preoccupante, lede e soggioga i diritti della Chiesa Cattolica confinandola ad una religione fra le altre, senza possibilità di obiettare ai diktat di Bruxelles. Il Trattato garantisce l’uguaglianza (reciprocità) tra i membri, ma contemporaneamente garantisce l’ineguaglianza tra essi, consentendo alla Danimarca ed all’Inghilterra di continuare a stampare le loro monete nazionali e l’Inghilterra rimane comunque proprietaria del 15,98% e la Danimarca del 1,72% della Banca Centrale Europea. La limitazione di sovranità che l’Italia ha accettato non è accompagnata dalla compresenza del requisito della parità di trattamento con gli altri stati membri. Gran Bretagna e Danimarca per esempio, hanno deciso di rimandare sine die la loro entrata nella moneta unica; così a fronte di politiche espansive sul tasso d’interesse che i due paesi potranno attuare, attirando così a sé gli investitori, i paesi aderenti all’euro, saranno tutti rimessi a ciò che deciderà la Banca Centrale Europea. Questo dubbio di costituzionalità è in particolare sollevato dal prof. Giuseppe Guarino: “Gli Stati non euro sanno che ratificando il Trattato ne avranno dei vantaggi. Entrano nel grande mercato comune e beneficeranno della stabilità indotta dall’area euro. Nello stesso tempo, non essendo obbligati a partecipare all’euro (quanto meno non in tempi stretti) continueranno a godere dell’asimmetria competitiva di mantenere la sovranità monetaria e di avvalersi di una maggiore flessibilità nella gestione del bilancio e in generale nelle decisioni di politica economica.”
La creazione della moneta è totalmente affidata alle banche private: la costituzione europea (art. 123 del TFUE) vieta alle banche centrali di prestare denaro – senza interessi – agli Stati, cosa che costringe gli Stati stessi a prenderlo a prestito – con interessi – da entità private che hanno moneta da posizionare (per arricchirsi senza lavorare). Questa regola scandalosa vincola gli Stati (cioè noi) a pagare degli interessi rovinosi per finanziare gli investimenti pubblici – e ad accumulare rapidamente un debito esorbitante a danno dell’interesse generale (per la Francia si tratta di una somma che supera i 40 miliardi di euro all’anno, per i soli interessi) – mentre, se la BCE potesse finanziare gli investimenti della zona europea , gli interessi pagati potrebbero essere ridistribuiti tra gli Stati, al posto di arricchire gli “investitori” privati. Il debito pubblico reso inesorabile dalle istituzioni europee, sancisce al più alto livello del diritto l’impotenza dei nostri rappresentanti politici, di fronte ai potentati finanziari. La speculazione finanziaria e le crisi di borsa sono favorite, in modo duraturo, dal divieto per gli Stati membri di limitare i movimenti dei capitali (art. 63 del TFUE). Le delocalizzazioni sono rese possibili dalla libertà di stabilimento (art. 49 del TFUE). Gli interessi degli azionisti diventano primari, esponendo così le nostre economie alla speculazione sfrenata Questi vizi dovrebbe bastare affinché i cittadini, che lavorano e pagano le imposte, boccino il Trattato. Ciò che, infine, preoccupa è il disinteresse che i rappresentanti del popolo italiano hanno dimostrato verso questo Trattato; pochissimi l’hanno letto e nessuno osa opporvisi. Del resto fu proprio Jean Monnet, uno dei fondatori dell’attuale idea di Europa ad affermare che “Le nazioni dell’Europa dovrebbero essere guidate verso il superstato senza che i loro popoli sappiano cosa sta accadendo”. Invece, soltanto i popoli stessi – su proposta di un’Assemblea Costituente disinteressata (cioè composta di membri che non scrivano regole a loro favore) –dovrebbero avere la legittimità politica di fissare e limitare i poteri dei loro rappresentanti, per via referendaria, come esito di un vero dibattito pubblico. Perché i governi ci tengono bene all’oscuro su cio’ che il Trattato comporta? Perché i giornalisti sono pronti a mostrarci il plastico e a radiografare l’ultimo omicidio di provincia ma tacciono sul Trattato di Lisbona, così importante per il nostro futuro e per quello dei nostri figli e nipoti? Quali vantaggi vengono a noi da questo Trattato? A noi che paghiamo la benzina più cara d’Europa, che abbiamo il carovita più alto (stiamo superando anche la Svezia, allontanando così turismo e benessere) insieme alle tasse più dure, che paghiamo persino il latte, il pane, il latte per neonati, le medicine coi prezzi peggiori d’Europa. Il pane 1,50 contro l’1,30 europeo. Il latte 1,50 contro la media UE di 0,90. Diventano, perciò, ridicoli i 2,9 miliardi di € di riduzione del deficit di Prodi. La riduzione sarebbe stata ben più marcata con un conseguente ridimensionamento del tasso degli interessi a cui ognuno di noi è costretto e che tengono al palo questo paese, penalizzando impresa e cittadini. Perché nessuno ci ha mai detto quanto l’Europa delle banche e delle multinazionali peggiorerà la vita dei lavoratori e dei cittadini? Perché dovremmo accettare un Trattato che livellerà i salari al trattamento peggiore vigente tra i paesi europei? O di essere impoveriti da un Banca Europea che usa come unico strumento economico il rialzo del tasso di sconto che produrrà solo un peggioramento dei mutui a tasso variabile (Impossibilitate a pagare le rate del mutuo, l’anno scorso 946 famiglie sono state private della loro casa, con l’aggravante d’aver visto andare in fumo tutti i risparmi investiti. Nel 2000 il numero degli immobili messi all’asta per gli stessi motivi non superava le 100 unità. Ne consegue che in sei anni i pignoramenti sono aumentati dell’846%. In Italia il 91% dei prestiti concessi dalle banche per comprare una casa alle famiglie sono stati concessi a tasso variabile e quindi soggiacciono all’andamento sfavorevole del costo del denaro), senza toccare il carovita o le speculazioni dei mediatori, o le regole perverse della Borsa o delle Banche o del mercato, e che renderà più poveri i poveri, e farà solo crescere la recessione, aggredendo anche gli investimenti della imprese? E tutto perché questa Europa neoliberista si guarda sempre bene dall’aiutare le fasce medie e basse. Il «Rapporto sullo stato sociale 2008» presentato a Roma mostra chiaramente come l’Europa neoliberista marci verso un progressivo smantellamento dello stato sociale, impoverendo di denaro e di diritti le classi piu’ deboli e peggiorando le condizioni dei lavoratori. Quei lavoratori che ora sono sospinti verso il modello cinese in una collusione mostruosa tra il modello capitalista e il modello comunista, dove l’unica cosa chiara è l’aumento della povertà dei lavoratori. Invece di diventare una grande democrazia questa Europa , inserita nella corrente della grande globalizzazione economica, procede solo nella corrosione dei diritti dei lavoratori e in funzione di sudditanza rispetto all’economia americana, di cui surroga il peggio, dagli OGM alla sudditanza petrolifera. Perché dovremmo accettare l’adesione a una Europa, vicina alla Banca Mondiale, al WTO, ad un mercato ipercapitalista incontrollato e cinico, ad un sistema neoliberista che sta affamando il mondo, che inquina il pianeta, che distrugge il clima, un sistema che ha spinto un paese come l’Argentina al collasso e i cui dettami disumani spingeranno presto anche noi italiani al completo fallimento? Proprio la crisi dell’Argentina cominciò quando il ministro Domingo Cavallo decise di adottare il dollaro rinunciando alla sovranità monetaria del proprio paese e delegando alla Fed la politica monetaria argentina. Dimenticando che per potersi permettere il `currency board' sarebbe stato necessario per l'Argentina avere un forte flusso di esportazioni pagate in valuta verso l'area del dollaro. Ma proprio l'adozione del dollaro rese impossibile l'export argentino: mentre Brasile e Cile potevano svalutare e diminuire quindi i prezzi relativi delle merci, l'Argentina era ancorata al dollaro. La cura ovviamente funzionò per l'inflazione, ma cominciò a provocare un crescente squilibro della bilancia commerciale. Per pareggiare la bilancia dei pagamenti furono iniziate, sotto Menem, le privatizzazioni. In pochi anni gli argentini si vendettero tutto: aerei, aeroporti, centri commerciali (sono tutti di Soros) impianti di estrazione del petrolio, telefoni, elettricità ecc. L'Argentina era guardata dal mondo come il paese dove il pensiero unico del F.M.I. e della Banca Mondiale aveva vinto. Un miracolo economico! Ma le privatizzazioni finirono e lo squilibrio commerciale rimase, lo Stato dovette drenare denaro sui mercati internazionali attraverso prestiti internazionali in valuta, ad ogni giro i tassi salivano e il rating diminuiva. I tassi alti scoraggiavano l'economia e per tre anni l'Argentina andò in recessione. Le Grandi Famiglie (3% della popolazione) incominciarono a cambiare i pesos in dollari. Servirono altri prestiti, sempre più cari. A questo punto scoppiò la crisi finanziaria. Nessuno prestava più soldi all'Argentina che fu costretta a tagliare del 13% i salari pubblici e a bloccare totalmente la spesa pubblica. Neanche questo bastava, ed ecco l'F.M.I., caritatevole, giungere in soccorso, prestando 8 miliardi di dollari . con una clausola, però, che l'Argentina aderisse al FTAA cioè si aprisse al libero scambio con gli USA. La crisi finanziaria argentina venne solo rimandata di qualche mese: una boccata d'ossigeno per l'UBS, Citygroup e Chase Manhattan e altre grandi banche che ebbero ancora qualche mese per `securizzare' i propri crediti, cioè farli scomparire nel risparmio gestito di fondi pensione. Quando la stessa cosa avvenne in Messico nel 1995 a rimetterci fu il Fondo Pensione degli Insegnanti della California! Ma ormai è fin troppo chiaro: le ricette virtuose del F.M.I. sono peggio delle cavallette. Dopo il Sud Est asiatico e la Russia rovinarono il Sudamerica. Ma la grande fornace di Wall Street ha bisogno di capitali esteri che tengano su i corsi azionari e quindi `mors tua vita mea'! .Meraviglie della globalizzazione dei mercati finanziari! Ma a dicembre la crisi esplose senza remissione. A giocare con il fuoco ci si brucia. Prima l'annuncio del default sul debito, bonds sovereign e local market instruments collocati compiacentemente sui mercati internazionali per un valore di oltre 58 miliardi di dollari andarono in default. Domingo Cavallo tentò un ultimo colpo da presitigiatore finanziario: lo Swap del debito. Tassi al 7% invece del 30% e più e allungamento delle scadenze. I `mercati' risposero picche. Gli argentini incominciano a dubitare che un dollaro valga un peso. Le banche furono prese d'assalto per cambiare pesos in dollari. I capitali defluirono e con essi la possibilità di far fede agli impegni assunti con il F.M.I. In più la crisi ridusse i profitti e i consumi. Crollarono dunque anche le entrate fiscali e l'obiettivo del `deficit di bilancio zero' tornò ad essere quello che era sempre stato: una pura utopia o come dicono i banchieri anglofoni un'wishfull thinking'. Si limitò la possibilità di ritirare denaro a 1.000 dollari mese. I bancomat vennero presi d'assalto e presto andarono in tilt. Ormai è crisi di liquidità. Il F.M.I. negò la `tranche' di oltre 1 miliardo di dollari dell'ultimo accordo di sostegno. Mi scuso con i lettori per questa lunga digressione che, apparentemente, non ha niente a che vedere con l’argomento del Trattato. Ma era necessaria per rispondere diciamo in “anteprima” alle Cassandre che ad ogni critica nei confronti dell’Unione Europea affermano decisi che “senza l’euro ora saremmo come l’Argentina”. Forse, se si legge, senza paraocchi, la storia del disastro argentino, sembra che sia l’euro a portarci in Sudamerica. Dal «Rapporto sullo stato sociale 2008», elaborato dal dipartimento di economia pubblica della Sapienza di Roma e dal Criss, e curato da Felice Roberto Pizzuti, docente di economia pubblica alla Sapienza risulta bene che “l’accresciuta instabilità dei mercati globalizzati, l’evoluzione demografica e i mutamenti dei sistemi produttivi e di welfare dei paesi più sviluppati hanno concorso ad aumentare l’incertezza nelle relazioni economiche e sociali, e la parte di esse che ricade sugli individui.”. “Più in generale, «nell’ambito di politiche macroeconomiche rivolte essenzialmente al risanamento e alla compressione dei bilanci pubblici, le istituzioni del welfare sono state oggetto di interventi restrittivi». In Italia, come nel resto d’Europa.”. E ora questo innalzamento di un quarto di punto del tasso di sconto in previsione di futuri rialzi? Esempi italiani di questi passaggi peggiorativi e a senso unico sono state le riforme pensionistiche. In peggioramento sono gli orientamenti europei in materia di mercato del lavoro, che hanno aumentato la precarizzazione, i rischi, la distruzione del futuro, la riduzione degli ammortizzatori sociali. Mettiamoci anche i danni prodotti da passaggio all’euro e l’abolizione do qualunque meccanismo di indicizzazione dei salari ai prezzi, con la scusa di combattere l’inflazione, o il contenimento dei redditi da lavoro dipendente e delle pensioni. Cosicché in Italia abbamo i salari e le pensioni più basse del continente. Aggiungiamoci anche la tendenza comune a tutti i governi europei a ridurre la spesa pubblica, non combattendo ma anzi aumentando gli sprechi, riducendo o privatizzando i servizi, che si traduce in un peggioramento di vita del popolo italiano. Si pensi ai continui tagli di bilancio in Italia, Francia e Germania (le locomotive dell’euro): di anno in anno qualcuno si è illuso, attraverso l’abbassamento della spesa pubblica, di essere sulla retta via per lo sviluppo economico e dunque per il risanamento finanziario, invece non è stato raggiunto né l’uno né l’altro obiettivo; l’indebitamento complessivo (in rapporto al pil) dei tre paesi è passato dal 1992 al 2008 dal 98% al 104% per l’Italia, dal 40,31% al 67,54% per la Germania e dal 35,28% al 64,19% per la Francia. La politica dei tagli ha comportato per l’Italia il risultato di ridurre di circa il 70% la crescita della produzione industriale (passata da una media del +1,5% del 1991 a quella attuale del +0,5%). Lamentarsi poi della contrazione della domanda è, dunque, da ipocriti, visto che ognuno sa che la piramide sociale poggia il benessere dell’intera Nazione sui consumi popolari. Le conseguenze di questa perversione economica e insostenibile che chiamiamo neoliberismo globalizzato sono la sottrazione del futuro, il calo delle imprese, la riduzione delle nascite, la precarizzazione dell’esistente, la crisi della speranza, la percezione di una povertà crescente e una progressiva riduzione dei diritti di tutti gli italiani. Dice il rapporto: “L’esempio italiano non è che un tassello di una tendenza di lungo corso in atto in tutta Europa. A differenza dei principali paesi europei però, in Italia è la spesa pensionistica ad assorbire la quota più rilevante della spesa sociale complessiva. La spesa sanitaria è pari al 6,8% del Pil, contro una media europea (l’Europa a 15) del 7,7% del prodotto lordo. Per non dire della spesa per la famiglia (1,1% del Pil, contro una media del 2,2%) e di quella per la disoccupazione (0,5% del Pil, contro l’1,7%). Complessivamente la nostra spesa per gli ammortizzatori sociali è pari a un terzo di quella europea. Anche per quanto riguarda l’istruzione, siamo sotto la media europea, con un investimento di risorse pari al 4,5% del prodotto interno lordo. Povertà e disuguaglianze nella distribuzione del reddito sono in aumento ovunque, ma è ancora l’Italia il paese dove le disuguaglianze intergenerazionali sono più persistenti. E dove più scarsa, per converso, è la mobilità sociale.” Perché noi italiani dovremmo accettare il divieto di un referendum sui trattati internazionali che non esiste in altri paesi quando questi possono peggiorare la nostra vita? Perché la gran parte dei nostri rappresentanti politici si dichiara a favore di questo Trattato? Questo testo non è contro l’integrazione europea ma è per un’integrazione che rispetti le reali esigenze democratiche dei popoli. Questo testo è utile per evidenziare la deleteria esistenza di strutture di potere, create e gestite da poche famiglie a capo di multinazionali, come “Bilderberg” e “Commissione Trilaterale”, che hanno una pesante e illegittima influenza sulle strategie politiche ed economiche che coinvolgono centinaia di milioni di persone. Le critica maggiore che, perciò, rivolgiamo alle istituzioni europee è quella di blindare l’impotenza politica dei cittadini, che non vengono tenuti per nulla in considerazione dalle élite politiche, mediatiche ed economiche: la democrazia diventa, dunque, sempre più chiaramente fittizia. Ratificare il Trattato di Lisbona rappresenta un’ulteriore legittimazione di questo sistema oligarchico che già troppo a lungo è durato ed i cui disastrosi risultati, in termini di tenore di vita reale della popolazione europea, sono sotto gli occhi di tutti. Ratificare il Trattato di Lisbona vuol dire rafforzare ancor più un Eurosistema oligarchico. Il disegno dei padri fondatori dell’Europa, De Gasperi, De Gaulle e Adenauer, era quello di un’Europa dei Popoli non di un’Europa delle banche. In 30 anni, invece, l’Europa dei banchieri, delle grandi multinazionali non è mai diventata l’Europa dei Popoli.
Non lasciamo gli irlandesi soli a difendere le libertà degli italiani e degli europei tutti.
Avremmo dunque bisogno di un Governo che si adoperasse per:
lo scioglimento dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) che attraverso la sola legge del libero commercio prevarica i diritti della persona umana;
la celere convocazione di una “Nuova Bretton Woods” (o “conferenza finanziaria mondiale” così come ideata e proposta da quasi vent’anni dall’economista americano Lyndon LaRouche e riproposta dal ministro Tremonti) per un nuovo sistema monetario e finanziario ed il ripristino dei sistemi di banca nazionale che si riapproprino della funzione sovrana del credito pubblico, attraverso cui porre la base per lo sviluppo economico di tutti i popoli del pianeta;
il rigetto del purtroppo ratificato Trattato di Lisbona;
l’aumento produzione agricola;
l’avvio delle politiche energetiche per superare i diktat “della legge del mercato fatta dai petrolieri” e risolvere il problema energetico;
il lancio di progetti infrastrutturali al più alto livello tecnologico-scientifico nei settori delle vie di comunicazione, dell’agricoltura, della sanità, dell’istruzione, affinché intorno alla crescita della Nazione e dello Stato sociale possa riprendere vita l’iniziativa economica. Infatti se si volesse davvero rilanciare la produttività, la la questione infrastrutturale è centrale. Un sistema infrastrutturale carente, infatti, non può consentire un salto di qualità nella produzione. Sarebbero dunque necessarie politiche volte a finanziare con credito pubblico a lunga scadenza ed a basso tasso d’interesse, opere pubbliche che elevassero il contenuto tecnologico della base infrastrutturale su cui si erge una civiltà. Il credito pubblico, poi, potrebbe andare direttamente verso quelle imprese private che investono in ricerca e puntano su tecnologie produttive avanzate in settori di interesse strategico (non certo verso quelle aziende che si occupano di speculazione finanziaria). Interventi di defiscalizzazione dovrebbero andare nella stessa direzione. Dunque, aumentare la produttività del lavoro, e perciò l’offerta quantitativa e qualitativa di beni e di nuovo, (proporzionalmente) i redditi da lavoro. Esattamente il contrario di quel che sostiene l’oligarchia speculativa, cioè che il credito necessario per lo sviluppo della produttività lo si racimola distraendolo dalle voci del welfare. Un sistema che rimette il costo del futuro sviluppo alla popolazione inerme, già in forte difficoltà, creando un sistema ancor più orientato ad ampliare la forbice tra bassi ed alti redditi.
Tutto ciò vorrebbe dire risanare dalle fondamenta l’attuale modello economico, mettendo fine alla speculazione e rilanciando l’economia reale, come viene ormai chiesto a viva voce da più parti. Noi vogliamo un'Europa a favore di tutti gli italiani.

Fonte: http://ginosalvi.blogspot.com/

https://forum.termometropolitico.it/597230-che-cosa-non-sappiamo-sul-trattato-di-lisbona.html

venerdì 23 giugno 2017

Sapete quanto ci costa all’anno non imitare l’escamotage di Germania e Francia? Pubblicato il 2 marzo 2015 da Domenico Proietti

Come promesso, testo completo della relazione sul danno erariale annuale presentato alla Corte dei Conti per non utilizzare gli strumenti che i trattati consentono: non sono Germania e Francia che barano, ma é l’Italia che non vuole adeguarsi.

Le linee guide del nuovo Trattato europeo sono state gettate durante il Consiglio europeo di Bruxelles del 21 e il 22 giugno 2007.
La nuova conferenza intergovernativa (CIG) ha iniziato il 23 luglio i lavori per definire le modifiche giuridiche necessarie per elaborare il nuovo Trattato che dovrà entrare in vigore nel 2009, modificando e riformando i Trattati esistenti.
Il 3 ottobre la CIG ha licenziato la bozza definitiva del nuovo Trattato europeo poi discussa a Lussemburgo il 15 ottobre dai ministri degli Esteri dei 27 paesi membri e il 18 ottobre dai Capi di Stato e di governo.
Il 19 ottobre 2007 il testo è stato approvato durante il vertice informale di Lisbona dei capi di Stato e di governo dell’Unione Europea e firmato, di nuovo a Lisbona, il 13 dicembre 2007.
Da qui il nome di Trattato di Lisbona.
Ma in sintesi cosa cambia per ogni Stato Europeo con la sua adozione?
Nel tentativo di mediare le diverse posizioni espresse dai vari Governi Europei, sono stati prima modificati, in modo del tutto insignificante, dei termini giuridici di definizione dell’Unione (esempio la bandiera a 12 stelle, l’inno, il motto etc.), che hanno semplicemente cambiato sostantivo ma nella realtà sono rimasti i medesimi.
Sono inoltre stati mantenuti, senza sostanziali cambiamenti, i seguenti aspetti dell’Unione:
il mandato di due anni e mezzo della Presidenza del Consiglio UE, al posto dell’attuale Presidenza di turno di 6 mesi, e la riduzione del numero dei Commissari europei, dal 2014, da 27 a 15;
il riferimento al principio della concorrenza libera e non distorta nel mercato interno, che rimane nei trattati già esistenti;
l’estensione del voto a maggioranza qualificata, soprattutto in materia di cooperazione giudiziaria in materia penale e di polizia. La riforma istituzionale rafforza il ruolo di colegislatore del Parlamento europeo con il Consiglio, per quanto riguarda questi ambiti;
la delimitazione delle competenze fra l’UE e gli Stati Membri. La politica sociale, il mercato interno, l’energia e la ricerca rimangono competenze condivise dalla UE con gli Stati Membri;
la personalità giuridica unica dell’Unione Europea;
la creazione di un Alto Rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che raggruppa le funzioni dell’Alto rappresentante della PESC e del Commissario europeo alle Relazioni Esterne. Sarà il Presidente del Consiglio dei Ministri degli esteri e VicePresidente della Commissione UE;
il diritto di iniziativa civica, che permetterà a un milione di cittadini di invitare la Commissione a proporre soluzioni su determinati problemi;
il riferimento alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa.
Ma il Trattato di Lisbona è fondamentale perché ha introdotto ex novo una serie di provvedimenti che vanno dal nuovo sistema di eleggibilità del Parlamento Europeo, ad un insieme di provvedimenti relativi al controllo climatico, fino al riconoscimento per la prima volta di una qualifica giuridica dell’Unione.
Il Trattato di Lisbona è questo e molto altro, di cui ben pochi sono a conoscenza.
Un esempio: viene chiarito negli articoli dal 2 al 6 come la materia sociale è di competenza concorrente, esclusiva, di coordinamento e di sostegno di ogni Paese membro. Esiste dunque unione laddove il trattato più importante mai ratificato chiarisca che un argomento fondamentale come la cooperazione sociale (con tutte le implicazioni del caso, ovviamente anche economiche), è il frutto della concorrenza tra ogni Stato?
Inutile sottolineare come pensare che non sia una coincidenza che il termine “Costituzione” da quel momento, intendendosi ovviamente una unica europea, sparisce da ogni dissertazione in merito.
Entriamo più nello specifico della concorrenza quindi, esaminando cosa comporta per gli aspetti economico e finanziari, concentrandoci su un articolo del Trattato di Lisbona, il nr. 123, che assume un valore essenziale nella politica economia di ciascun Stato dell’Unione.
Dati giuridici alla mano infatti, l’art. 123 TUE che consente agli Stati dell’Eurozona di dotarsi di una banca statale e di usarla per finanziarsi presso la BCE ai tassi che questa pratica alle banche, cioè ora allo 0,25%; lo Stato italiano potrebbe così risparmiare circa 80 miliardi l’anno: non facendolo si macchia di un gravissimo danno erariale nei confronti non solo dei cittadini ma di tutto il sistema Italia.
A far impennare i tassi di interesse, il deficit, l’indebitamento pubblico, e a scatenare il declassamento, è stata la scelta, fatta nel 1981, di rinunciare alla banca centrale nazionale che garantiva l’acquisto per mandare lo Stato a finanziarsi sui mercati finanziari speculativi sovrannazionali.
Prima, il debito pubblico era sotto controllo. Da allora in poi, e sempre più, l’impennata dei rendimenti sta operando un massiccio trasferimento di redditi e assets, attraverso le tasse e i tassi, dalla popolazione generale e dal settore pubblico alla comunità bancaria-finanziaria sovrannazionale.
L’Italia ha un forte, fortissimo avanzo primario, maggiore di ogni altro paese comunitario, e il suo deficit, che capitalizzandosi nel corso degli anni ha prodotto il debito pubblico attualmente di circa 2.100 miliardi, frutto unicamente degli interessi passivi sul debito pubblico.
Ma gli alti tassi, rectius rendimenti, sono oggettivamente ingiustificati (dato l’avanzo primario del Paese), e vanno intesi come artefatti strumentali a “mungere” il lavoro e il risparmio degli italiani, anche attraverso un artificioso liquidity crunch che li costringe a svendere e a svendersi.
Travaso che avviene anche col fatto che la BCE ha prestato migliaia di miliardi allo 0,50% e meno alle banche europee, che poi li hanno usati per comprare btp che rendono loro (e costano agli italiani) oltre il 4%.
Mentre lo Stato potrebbe finanziarsi direttamente allo 0,25% dalle BCE attraverso la predetta banca statale. Ma i governi non lo fanno perché sono al servizio degli stessi beneficiari di questo passaggio.
Possiamo far ripartire l’economia risparmiando oltre a 70 miliardi di euro l’anno, solo come interessi sul debito pubblico. La soluzione è scritta nell’articolo 123 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.
Il governo può creare una banca di proprietà statale che lo finanzi.
Il sistema è semplice: la Bce crea il denaro e lo presta alla banca pubblica allo 0,25% e la banca pubblica lo presta allo Stato a tassi di interesse nettamente inferiori all’attuale 4%.
Lo specifica la stessa BCE: “l’art. 123 pone il divieto di scoperto bancario e di altre forme di facilitazione creditizia in favore dei governi non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell’offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati”. Ma, in riferimento a banche pubbliche: “gli istituti di credito possono liberamente prestare i soldi ai governi o comprare i loro titoli di stato, nonché prestare soldi a qualsiasi cliente”
Citando letteralmente quando scritto nell’art. 123 del Trattato di Lisbona:
art. 123 della Versione consolidata del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea Comma 1: “Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca Centrale Europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate
«banche centrali nazionali»), a istituzioni, organi od organismi dell’Unione, alle amministrazioni statali,agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali.
art. 123 della Versione consolidata del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea Comma 2: “Le disposizioni del paragrafo 1 non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell’offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati”
Il mancato utilizzo da parte del Governo di questo strumento della normativa europea dalla sua ratifica, ha già fatto è un enorme danno erariale ai cittadini e alla finanze dello stato di ben 240 miliardi di euro! Senza contare posti di lavoro persi, suicidi di massa, fallimenti quotidiani di centinaia di aziende, famiglie ridotte allo stremo.
Ci hanno convinto che l’Italia sia uno Stato senza soldi, mentre ciascuna statistica dimostra l’esatto contrario: in Italia esiste la più grande concentrazione di patrimoni personali, oltre a patrimoni erariali di inestimabile valore.
Quindi il problema è ben altro: il debito pubblico è stato creato ad hoc dai mercati finanziari per consentire agli speculatori di poter mettere mano ai gioielli del nostro Paese (cosa che sta succedendo, visto che le maggiori aziende, nel totale silenzio mediatico, vengono svendute all’estero, si pensi ad esempio alla Cassa Depositi e Prestiti che potrebbe benissimo diventare banca nazionale ed invece è stata per gran parte ceduta alla finanza cinese), che ci vogliono far credere che in Italia si spende di più di quanto si incassa.
Bugie.
Ogni dato dice che il vero problema italiano non è il debito pubblico, ma quello che si è creato per l’eccesso di pagamento di interessi sul medesimo: basta notare che dal 1992-1993 le spese delle Stato in Italia sono sempre inferiori alle entrate e addirittura, se guardiamo alla situazione attuale nel mondo, l’Italia è oggi il paese in cui lo Stato ha il surplus di bilancio più alto!
Allora, in sintesi, come è stato chiesto direttamente alla Commissione Europea in svariate occasioni e si è sempre ottenuta risposta positiva, se l’Italia fosse dotata di una Banca Pubblica, o quanto meno di una partecipazione pubblica in una banca, potrebbe non solo risparmiare quantità impensabili di interessi da pagare su un indebitamento nei mercati esteri, ma addirittura ridare fiato ad un’economia morente, percependo dalla BCE denari al tasso dello 0,25% da redistribuire nell’economia reale.
Uno stato della UE che controlli enti creditizi potrebbe farsi finanziare da loro i deficit, pagando un interesse vicino a quello che la BCE offre, cioè vicino allo zero e comunque non superiore all’inflazione. L’ideale sarebbe non continuare ad emettere BTP, bensì utilizzare prestiti diretti, ad esempio a tre anni, che rispetto all’acquisto di BTP offrono il vantaggio che il loro valore a bilancio non oscilla di anno in anno a causa di andamenti di mercato e quindi elimina il problema degli attacchi speculativi sul BTP.
Nel caso Italia, su un debito pubblico attuale di circa 2.000 miliardi questo significa arrivare a pagare interessi per ad esempio 10-20 miliardi annui invece che gli oltre 80 miliardi attuali. Anche se occorrerà del tempo perché man mano il debito a scadenza venga rifinanziato con prestiti diretti di banche pubbliche, in pratica l’effetto di “calmiere” sul mercato verrebbe avvertito immediatamente, perché il mercato finanziario si renderebbe conto che lo Stato italiano ha di nuovo accesso diretto alla liquidità, ottenendo un effetto calmieratore sul costo del debito simile a quello che ottengono in Giappone, Gran Bretagna, Stati Uniti con l’accesso diretto alla liquidità della loro Banca Centrale.
Sembra fantascienza?
Lo sarebbe, se non esistesse un esempio su tutti: la Germania e la KfW Bankengruppe, uno dei primi tre gruppi bancari tedeschi.
Nonostante sia posseduta all’80% della Repubblica federale e al 20% dai Länder e svolga molti compiti normalmente appannaggio del settore pubblico, resta al di fuori del perimetro del bilancio federale.
Questo è sancito anche da una pubblicazione della Consob del 03 luglio 2012, tramite la quale si parla dei cosiddetti “Fondi Sovrani” e si evince come non solo l’azionariato della KfW è sostanzialmente pubblico, ma ha addirittura assunto l’aspetto di una holding finanziaria che opera sotto la vigilanza dei Ministeri delle finanze e dell’industria e contrae prestiti o emette obbligazioni direttamente garantiti dal Governo federale.
Attraverso la KfW, il Governo tedesco canalizza tutta una serie di operazioni che altrove figurerebbero nei conti dello Stato per cifre ingenti: l’attivo dell’istituto con sede a Francoforte ha sfiorato nel 2011 i 500 miliardi di euro, più del doppio che all’inizio del decennio passato, soprattutto per effetto del trasferimento sotto la sua egida di molte attività in precedenza di competenza dell’amministrazione pubblica, o di nuove attività, come quelle riguardanti la protezione ambientale.
Nel 2011 la KfW ha avanzato prestiti per 70 miliardi di euro, con utile operativo di circa 2 miliardi: a titolo di confronto, si tratta di quasi il doppio di quelli approvati dalla Banca mondiale.
Quasi un terzo è andato appunto al settore ambientale. Nel 2010 aveva toccato gli 81,4 miliardi di euro, avendo fatto da veicolo al piano di stimolo all’economia per favorirne il recupero dopo la brusca contrazione dell’anno prima, che aveva sfiorato il 5%.
Le politiche keynesiane, insomma, non dispiacciono neanche in Germania, a patto che si tengano fuori, almeno formalmente, dai conti pubblici.
Il raggio di operazioni è ampio, per un’istituzione che a ogni decennio di vita sembra aver aggiunto un nuovo mandato alla propria missione: dalla ricostruzione del 1949, si è passati al finanziamento delle piccole e medie imprese che resta tuttora uno dei principali filoni di attività. “Promozione interna” viene definita nei documenti ufficiali.
Negli anni 60 è stata la volta dei finanziamenti all’export, nel decennio successivo del finanziamento delle infrastrutture per conto delle municipalità e delle altre amministrazioni locali, oltre che degli interventi nei Paesi in via di sviluppo, negli anni 90 di nuovo della ricostruzione, stavolta concentrata sull’ex Germania dell’est, dal 2000 in poi del finanziamento dell’innovazione, con un tocco “verde” soprattutto negli ultimi anni.
Ma è utilizzando l’art. 123 che la Germania è riuscita a collocare centinaia di milioni di Bund praticamente a tassi di poco superiori allo 0,25%, riuscendo nel duplice intento di finanziare opere pubbliche e private e camuffare il proprio debito all’interno di quello bancario.
Kfw non paga imposte, né distribuisce dividendi ai suoi azionisti. KfW svolge una molteplicità di ruoli e tra gli altri è da tempo azionista di riferimento sia di Deutsche Telekom (17%) sia di Deutsche Post (21%). Con attività totali superiori a €500 mld, è tra le principali istituzioni finanziarie tedesche e una delle banche di sviluppo più grandi del mondo.
Come riscontrabile anche per istituzioni analoghe operanti altrove, da un lato è sottoposta solo parzialmente alla normativa bancaria nazionale, dall’altro lato la sua adeguatezza patrimoniale viene valutata impiegando i criteri di Basilea (Tier 1 capital ratio a 17,1% a fine settembre 2012).
I fondi necessari per le sue attività sono prevalentemente raccolti attraverso emissioni di titoli a medio-lungo termine (nel quinquennio 2008-2012 €70-80 mld di emissioni ogni anno) che ricevono favorevole accoglienza sia per la copertura statale sia per il massimo rating a lungo termine (AAA) ricevuto dalle tre agenzie internazionali.
Nel 2012 KfW ha raccolto risorse a lungo termine per quasi €80 mld attraverso oltre 200 emissioni in 15 diverse valute (di cui 49% euro, 32% dollaro statunitense). I finanziamenti erogati hanno molteplici finalità e destinatari: imprese (ad esempio, per investimenti in energie rinnovabili o per miglioramento efficienza energetica), enti locali (programmi di housing, costruzione di infrastrutture, etc) ma anche privati.
Nel 2012 l’ammontare complessivo dei finanziamenti di KfW si è attestato a €73 mld. L’attività di promozione internazionale è il focus di KfW IPEX-Bank, costituita nel 2002 e dal 2008 entità giuridica autonoma. Quest’ultimo passaggio è stato espressamente richiesto dalla Commissione Europea per la diretta concorrenza svolta da questa struttura al resto del sistema bancario.
KfW IPEX-Bank è soggetta alle disposizioni di Basilea 3 ed è inserita nell’elenco (provvisorio) delle 27 istituzioni di credito tedesche che prossimamente saranno sottoposte dalla Bce all’esercizio di valutazione complessiva (Comprehensive Assessment).
KfW IPEX-Bank sostiene le imprese tedesche all’estero attraverso credito all’esportazione e finanza di progetto. I finanziamenti possono essere attivati secondo le norme concordate a livello internazionale o anche a prezzo e condizioni di mercato (market window ).
Con una quasi esclusiva proiezione internazionale è anche KfW DEG, una affiliata di minori dimensioni che fornisce consulenza e finanziamenti in occasione di investimenti (statali o privati) in paesi in via di sviluppo, in alcuni casi partecipando direttamente all’investimento con l’acquisizione di quote minoritarie.
Cosa fa in sostanza Kfw?
1) Presta denaro agli enti pubblici (come fa da sempre la CDP usando il risparmio postale).
2) Sostiene (sul serio) le esportazioni delle imprese tedesche (come dovrebbe fare l’ICE).
3) Opera come banca “second tier” che acquisisce denaro dalla BCE a tasso di sconto, dando in cambio propri titoli garantiti dallo Stato, per poi fare leva finanziaria e darlo alle banche a tasso agevolato, affinché queste (obbligatoriamente) lo usino per erogare prestiti alle aziende, “pompando”, così, liquidità nell’economia SENZA interfacciare direttamente i creditori finali, evitando in tal modo pericolosi abusi e distorsioni.
Attenzione. Siamo partiti da un punto basilare decretato dal Trattato di Lisbona: la competizione tra uno Stato e l’altro. Se un competitor diretto come la Germania utilizza questo strumento, non fare lo stesso significa pagarne pesantemente le conseguenze da qualsiasi punto di vista, e basta guardare l’andamento della bilancia dei pagamenti italiana raffrontata con quella tedesca a partire dal 1992 per definirci quanto meno autolesionisti.
La KfW eroga mutui a enti locali e piccole e medie imprese. E detiene anchepartecipazioni cruciali in colossi come Deutsche Post e Deutsche Telekom. È vigilata dai ministeri delle Finanze e dell’Industria, e non dalla Bundesbank. Grazie al legame di ferro con lo Stato, la KfW ha la tripla A nella classifica mondiale dell’affidabilità, stilata da GlobalFinance, nonché il massimo rating da parte di Moody’s, Standard Poor’s e Fitch: come l’intera Repubblica Federale. Le sue obbligazioni sono dunque uguali ai Bund. Ma a differenza dei Bund, magicamente non entrano nel conto del debito pubblico. Se vi entrassero, come la logica del Trattato di Maastricht vorrebbe, il debito pubblico tedesco salirebbe da 2076 miliardi a 2504 miliardi (di gran lunga il più alto debito pubblico europeo), e la sua incidenza sul prodotto interno lordo 2011 balzerebbe dall’80,7% al 97,4%. Una bella
differenza.
Ora la Cassa Depositi e Prestiti italiana è simile alla KfW ed è posseduta per il 70% del Ministero del Tesoro mentre per il restante 30% dalle Fondazioni Bancarie (quindi da entità private). La Cdp emette anno dopo anno obbligazioni che godono della garanzia statale e sono collocate dalle Poste sotto forma di buoni e di libretti. Per approssimazione sono almeno 300 miliardi, due terzi reinvestiti in titoli di Stato e un terzo in mutui agli enti locali.
La Cdp emette anche obbligazioni non garantite per una ventina di miliardi destinate alle iniziative per le imprese e detiene partecipazioni rilevanti. Ma il suo debito è per tutta la parte coperta da garanzia pubblica e soprattutto viene conteggiato nel debito pubblico!
E allora, alla luce di quanto sopra bisognerebbe mettersi d’accordo. Le regole sui bilanci devono essere rigide ed uguali per tutti. Quindi, o anche la Germania conteggia tutte le conteggia tutte le passività, oppure a Paesi come l’Italia andiamo a scorporare quelle che per la Germania non vengono fatte valere.
Fatto ciò il quadro cambia di parecchio e sopratutto bisogna chiedersi se il nuovo governo,così amico della Merkel e di Bruxelles, abbia intenzione (e non lo crediamo) di far valere queste ragioni.
Che di fatto, salverebbero la nostra Italia.
BIBLIOGRAFIA:
– Dal sito web ufficiale di Kfw
Public Corporate Governance Code
On 1 July 2009, the Federal Cabinet adopted the “Public Corporate Governance Code” (PCGC).
It is specifically directed at enterprises in which the Federal Republic holds a majority stake and formulates good corporate governance standards in the form of recommendations designed to make the governance and supervision of these enterprises more transparent and comprehensible.
The PCGC primarily refers to limited liability companies. Legal entities incorporated under public law such as KfW are encouraged to follow the PCGC unless specific legal provisions require otherwise.
Legal entities following the PCGC are obliged to report on corporate governance on a yearly basis. Constituent parts include in particular the report on the individualised disclosure of allowances for its bodies (so called “Allowances Report”) and a joint declaration of the enterprise’s management and supervisory body confirming that the recommendations of the PCGC are met, including a disclosure and comprehensive explanatory statement on potential discrepancies (so called “Declaration of Conformity”).
– Dal sito web ufficiale di Kfw
Corporate Governance Report
At the end of 2009, the Executive Board and the Board of Supervisory Directors of KfW decided to implement the PCGC and to adapt KfW’s rules and standards accordingly. The recommendations of the PCGC were applied as far as permitted by KfW’s particular corporate structure and organisation laid down in KfW’s legal provisions and standards. From 1 January 2011, the statutes of KfW oblige the Executive Board and the Board of Supervisory Directors to issue an annual Corporate Governance Report including an Allowances Report and a Declaration of Conformity affirming compliance with the recommendations of the PCGC and to publish the report permanently on the Internet.
The Executive Board and the Board of Supervisory Directors issued the first Corporate Governance Report concerning the year 2010. The complete report is published as part of KfW’s Annual Report and Financial Report. According to the statutes, all Corporate Governance
– Dal sito web ufficiale di Kfw
Corporate Governance
Corporate Governance takes into account the principles and standards of good corporate management und supervision, which will help to improve the enterprise ‘s management and supervision by its bodies, to raise awareness for good corporate governance and to perform the enterprise ‘s tasks better and more efficiently.
Reports will be published including the Declaration of Conformity and the Allowances Report.
If enterprises in which the Federal Republic holds a majority stake operate a group under uniform management, the PCGC adresses to the group management as well. Consequently, the PCGC is also applied to (large) group enterprises of KfW (KfW IPEX-Bank and DEG) and implemented accordingly, while deviations from the Code are explained. Their Corporate Governance Reports can be downloaded here as well.
– Dal sito web ufficiale di Kfw
Investors Shares & Analytics Shareholder Structure
Deutsche Post AG’s share capital is composed of 1,209,672,789 non par value registered shares (registered shares with a principal book value of €1). All shareholders are kept in an electronic share register. You can see how the share capital has developed since the initial public offering on 20 November 2000 under Share capital.
KfW Bankengruppe holds approximately 254 million shares, corresponding to 21.0 % of the share capital. The free float is 79.0 %, of which 11.2 % are held by private investors.
We are obliged under article 26, section 1 WpHG (German Securities Trading Act) to immediately publish voting rights notifications in accordance with article 21 et seq. WpHG. You will find these voting rights notifications in addition to other announcements of Deutsche Post AG here.
In 2013 KfW Group committed a total financing volume of EUR 72.5 billion. Besides small and medium-sized businesses, environmental and climate protection were another main-focus area.
Here KfW committed EUR 27.8 billion, around 38% of the overall promotional business volume.
This means that in 2013 more than one out of every three euros of KfW’s promotional funds went to climate and environmental protection.
– Dal sito web ufficiale di Kfw
Green Bonds made by KfW
KfW Group is committed to a concept of sustainable development.
Business activities and social responsibility intrinsically go hand in hand. KfW Group’s financing activities support sustainable development in order to improve economic, environmental andsocial living conditions on a local, national, European and global level.
KfW also takes on a responsibility as an institutional investor. We have signed the UN’s Principles for Responsible Investments (PRI) and, in doing so, made a commitment to basing our investments on sustainability, encouraging other market participants to invest sustainably and to reporting on the sustainability aspects of our activities.
KfW issues green bonds since mid 2014. This gives investors the option to combine the security and liquidity typical for KfW bonds specifically with the promotion of environmental and climate protection.
By issuing green bonds, we hope to strengthen this growing market overall. The goal is to continue growing this market segment through a further rise in the number of investors looking for sustainability and to give environmental protection activities additional impulse in future through the strong demand.
Characteristics of Green Bonds – Made by KfW:
First Green Bonds with external validation of environmental and social impacts Impacts per million Euros invested:
– GHG reduction of 800 tons per year over the projects’ life cycle
– 9 jobs created or secured for one year
– EUR 68,000 p.a. energy imports to Germany or fossil burning costs avoided
High creditability: KfW is among global ESG leaders; independent 2 opinion for KfW’s
Green Bond process by CICERO.
Investors invest in green projects, without bearing any project risks.
Value for money: excellent credit quality, large size, attractive yield, regular issuance
intended.
– Il ruolo fiscale della KfW; testo di Bill Mitchell
– KfW boosts support for German energy plan by James Wilson for Financial Times
– KfW, così funziona il “motore” della Germania ; testo di Andrea Tarquini per Bloomberg
– Commento al Trattato di Lisbona, a cura del Professor Cesare Pinelli, ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico alla Sapienza di Roma
– Quaderni Costituzionali: Il rispetto delle identità nazionali nel Trattato di Lisbona: tra riserva di competenze statali e «controlimiti europeizzati», a cura di Barbara Guastaferro, autrice di Legalità Sovranazionale e Legalità Costituzionale
– Quaderni Costituzionali: una valutazione politica del Trattato di Lisbona a cura di Jean-Claude Piris
– Comunicato stampa Cassa Depositi e Prestiti nr. 34/2013
Annuncio del Ministero Federale dell’Economia e della Tecnologia (BMWi) 1 febbraio 2005, Gazzetta ufficiale federale n ° 47 del 9 marzo 2005, pagina 3445. Comunicato stampa del Ministero Federale dell’Economia e della Tecnologia (BMWi) del 3 giugno 2011; Volantino KfW Banking Group, a partire da luglio 2014; KfW informazioni il 14 novembre 2013.
ERP fondo iniziale
Finanziamento: Partecipazione
Area Finanziamento: Start-up & -festigung; Ricerca e Innovazione (restrizioni tematiche)
Regione assistita: Cintura
Finanziamento autorizzato: Imprenditori / a; Affari
Contatto: KfW Banking Group
Obiettivi e finalità
KfW Banking Group partecipa nel quadro del fondo ERP start-up di imprese innovative piccole tecnologiche
nel settore industriale.
L’investimento è quello di coprire le esigenze di finanziamento per lo sviluppo e il lancio di nuovi o sostanzialmente migliorati prodotti, processi e servizi.
I candidati ammissibili sono le piccole imprese tecnologiche innovative nel settore industriale con sede operativa in Germania.
L’azienda deve soddisfare i criteri della definizione di PMI dell’UE per le piccole imprese incontrano (meno di 50 dipendenti e un totale di bilancio o un fatturato annuo non superiore a 10 milioni di euro).
Una partecipazione KfW è possibile nella maggior parte dei casi, se un altro investitore partecipato come investitore principale almeno pari alle aziende di tecnologia e co-supervisione sulla base di un accordo di cooperazione partecipazione di KfW.
Cooperando con gli investitori di piombo KfW holding e privati, persone giuridiche possano essere poste dal capitale partecipazione delle società.
La società di tecnologia può essere il momento della domanda non più vecchio di dieci anni.
Lo sviluppo del gioco per quanto riguarda il nucleo innovativo delle attività della società deve essere eseguita all’interno dell’azienda stessa.
Elaborazione e imprese in difficoltà sono esclusi dalla promozione.
Il finanziamento è erogato nel patrimonio netto, la partecipazione forma KfW dipende principalmente dalla forma di partecipazione da parte del principale investitore. Il livello di coinvolgimento è fino a 5 milioni di euro per impresa e un massimo di 2,5 milioni di euro in un periodo di dodici mesi. C i sono varie tornate di finanziamento possibili.
Le applicazioni sono in forme di KfW insieme a una spiegazione del investitore cooperare per prendere in consegna i propri investimenti in KfW Banking Group Ludwig-Erhard-Platz 1-3 53179 Bonn Info C enter: (08 00) 5 39 90 01 E-mail: info@kfw.de Internet: http://www.kfw.de
Informazioni importanti
La Commissione europea nel novembre 2013, venture sovvenzione agli investimenti di capitale approvati nell’ambito della disciplina di capitale di rischio come aiuti pubblici. Per quanto riguarda la partecipazione congiunta di investimenti sovvenzionati dai business angels, con fondi di venture capital pubblico non notificati – come il fondo di start-up ERP – la C ommissione europea non ha dubbi. Così, i business angels che hanno presentato domanda per una borsa di agire come gli investitori di piombo nei fondi di avviamento ERP. Come legge sugli aiuti di concessione per la Business Angel è considerata capitale pubblico e il Fondo di avvio ERP, tuttavia, può riflettere solo la quota di investimenti privati, l’80% degli investimenti business angel di essere co-regola.
La combinazione con il co-finanziamento da parte Angels Fondo europeo (EAF) il Fondo europeo per gli investimenti (FEI) e dal Ministero Federale dell’Economia e della Tecnologia (BMWi) è possibile, in modo che il pro rata rifinanziato dagli investimenti EAF Angelo con fondi del Fondo di avvio ERP può essere raddoppiata.
Fondatori orientate alla tecnologia possono essere finanziate sotto la High-Tech Start-Up Fondo ottenuto, che è stato lanciato dal governo federale, KfW e l’industria.
Il co-finanziamento di investitori di piombo con maggioranza azionisti pubblici e investitori di piombo i cui investimenti hanno un valore di sovvenzione dal 1 luglio 2007 sono per taciti sulla base del entrambi aperti regolamento de minimis .

http://guardforangels.altervista.org/blog/sapete-quanto-ci-costa-allanno-non-imitare-lescamotage-di-germania-e-francia/