giovedì 29 giugno 2017

Che cosa non sappiamo sul Trattato di Lisbona?

Il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, presente in aula, soddisfatto per il consenso generale Frattini: “Speriamo entri in vigore prima delle elezioni europee”. L’Italia ha ratificato il Trattato di Lisbona, recentemente respinto dalla volontà popolare in Irlanda, unico Paese alla cui cittadinanza era stato democraticamente sottoposto mediante referendum, e respinto da Polonia e Repubblica Ceca. Il Trattato al 96% la bozza di Costituzione Europea respinta con referendum dai popoli olandese e francese. Perché queste bocciature? Magari perché questi popoli sono “antieuropeisti” o piuttosto perché sono più informati di noi? (I governi di Francia e Olanda hanno poi ratificato la “costituzione europea” quando questa ha cambiato nome in “Trattato di Lisbona” in totale spregio al risultato referendario). Secondo lo studio dell’Avv. Klaus Heeger, consulente per il gruppo democratico del parlamento europeo: la Costituzione garantiva alla U.E. 105 nuove aree di competenza, esattamente lo stesso numero di competenze che sono attribuite al Trattato di Lisbona. In quest’ultimo, rispetto alla costituzione rimangono fuori i simboli U.E.: bandiera inno e motto, ma entra il cambiamento climatico. Le rimanenti nuove 104 aree di competenza (aree cioè nelle quali la possibilità da parte degli stati di legiferare in modo difforme da quanto deciso in sede U.E. è illegale), sono identiche. Negli ultimi mesi si sono tenute numerose manifestazioni contro la ratifica del Trattato a Vienna, Berlino, e in tutta la Francia, manifestazioni in cui eminenti costituzionalisti hanno sottolineato la violazione di numerose norme costituzionali, tra cui quella della neutralità prevista dalla Costituzione. Il Presidente della Repubblica tedesco non ha firmato la ratifica perché sono immediatamente scattati tre ricorsi alla Corte Costituzionale. Purtroppo, invece, un lungo applauso bipartisan ha accompagnato il sì della Camera che, come il Senato, ha approvato all’unanimità il Trattato. L’unica eccezione arriva dai banchi della Lega Nord: i deputati del Carroccio al momento della proclamazione sono rimasti seduti in silenzio. Un atteggiamento che ha provocato la reazione di Emanuele Fiano (Pd) che si è alzato in piedi per urlare contro i leghisti. Per il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, “l’approvazione unanime è l’espressione di una bella pagina dell’antica tradizione parlamentare del nostro Paese che è co-fondatore dell’unione europea”. Il premier Silvio Berlusconi, presente in aula, in una nota esprime “grande soddisfazione per il voto all’unanimità”. Il presidente del Consiglio ha sottolineato “il contributo dell’Italia al rilancio dell’Europa che sta attraversando una fase di difficoltà. L’auspicio - prosegue - è che il voto di oggi possa servire anche agli altri paesi che ancora devono completare l’iter parlamentare”. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, parla di “bell’esempio che l’Italia dà al resto d’Europa”. Per il titolare della Farnesina “il Trattato è uno strumento non una soluzione. Con la sua approvazione - prosegue - togliamo l’alibi a chi non vuol fare camminare in avanti l’Europa”. Frattini ha poi auspicato che “il Trattato entri in vigore prima delle elezioni europee del prossimo anno”. La speranza che tutti i paesi ratifichino il Trattato prima delle elezioni europee è condivisa anche dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha espresso tutta la sua soddisfazione per il voto di oggi: “L’approvazione unanime della legge di ratifica del Trattato di Lisbona rappresenta un titolo d’onore per il parlamento italiano e un fattore di rinnovato prestigio per il ruolo europeo del nostro paese”. Più critico il giudizio della Lega Nord che ha approvato il Trattato votando sì con riserva. Per il capogruppo alla Camera, Roberto Cota, “abbiamo toccato il punto più basso dell’Europa dei burocrati, oggi dobbiamo dare la spinta per una Europa diversa”. La stella polare che dovrebbe guidare l’azione di un politico responsabile non è il conformismo a “qualsiasi Europa purché Europa”, ma la libertà morale di instaurare un’Europa dei Popoli capace di perseguire il “bene comune”, dimostrando così di avere il contatto con la vita reale dei cittadini rappresentati, ossia il miglioramento del loro benessere come base per “il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3, 2° co. Cost.). Finora non abbiamo avuto questo, e lo stato dell’economia reale è lì a dimostrarlo. Il sunto complessivo dei quindici anni trascorsi è rappresentato dal tenore di vita reale della popolazione, e dal rapporto debito pubblico su p.i.l. Quest’ultimo – nonostante privatizzazioni e smobilizzi dell’industria pubblica che dovevano servire a ridurre il debito – era nel 1991 al 98% ed è oggi al 104%. Non si tratta di un’anomalia tutta italiana bensì di una costante che riguarda le locomotive trainanti l’eurozona. Infatti per la Germania il rapporto è passato da 40,31% a 67,54% e per la Francia da 35,28% a 64,19% (valori del 2006). Il prof. Giuseppe Guarino, ex ministro dell’industria, afferma:
“Nei quindici anni dall’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, che ha introdotto la moneta unica, l’euro, lo sviluppo medio annuo del Prodotto interno lordo (PIL) italiano è rallentato, è risultato la metà di quello del quindicennio anteriore, un quarto di quello del periodo dal 1945 al 1980. Nel trentacinquennio, a partire dalla fine della ricostruzione, l’Italia era stata prima assoluta tra i Paesi occidentali nello sviluppo. Ed era ancora in testa nel quindicennio anteriore a Maastricht, seconda solo alla Germania, tra i Paesi europei con più popolazione. Negli anni dal 1992 ad oggi siamo all’ultimo posto.”
Le ragioni principali dell’opposizione al Trattato sono queste:
1. La sovranità nazionale sull’imposizione fiscale verrà abolita e non sarà più possibile il progetto di federalismo fiscale su cui si è basata la vittoriosa campagna elettorale del governo italiano in carica.
2. Ma è in politica economica che si sentiranno di più gli effetti nefasti di quella che molti definiscono una vera e propria “dittatura dell’Unione e della Banca Centrale Europea”, che è il cuore e dominus della costituzione materiale europea. La Bce non è un ente democratico. La Bce è formalmente un ente di diritto pubblico, ma nella sostanza è un ente dominato dalle banche private. La Bce decide la politica monetaria e finanziaria, e conseguentemente decide la politica economica dell’Europa. Grazie al Trattato di Lisbona, adesso, i burocrati dell’Unione Europea avranno pieno titolo a bocciare qualunque misura decisa dal nostro governo, e dagli altri governi europei, per difendere la propria economia, l’occupazione, i redditi, l’industria e l’agricoltura, ed intervenire sui prezzi. I livelli salariali dei lavoratori italiani saranno messi a rischio dalla liberalizzazione salariale che toccherà i 27 Stati Membri. la disoccupazione di massa sarà incoraggiata da un’incredibile politica monetaria delle istituzioni europee, contraria all’interesse generale: la lotta contro l’inflazione come missione assolutamente prioritaria e intangibile di una Banca Centrale Europea (BCE) rigorosamente indipendente dai rappresentanti del popolo (artt. 119, 130 e 282 §2 e §3 del TFUE) è una priorità contestabile fissata al più alto livello del diritto, dunque inaccessibile a qualunque riconsiderazione da parte dell’opinione pubblica. Questa priorità che avvantaggia soltanto chi dispone di una rendita, fissata per sempre dalle istituzioni europee, incoraggia deliberatamente la disoccupa-zione di massa e i bassi salari, cosa che presenta il vantaggio – per alcuni - di rendere tutti molto docili, mentre i più ricchi possono profittarne liberamente. Anche solo su questo punto tutti i salariati (il 91% della popolazione attiva) dovrebbero essere contrari al Trattato. Perché non esistono libertà, solidarietà, diritti delle minoranze, pace tra i popoli, non esistono diritti civili, se ad ogni cittadino non è garantito il diritto ad un lavoro “in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36, 1° co. Cost.). La crisi La crisi alimentare è un esempio del problema, che verrà aggravato dal Trattato di Lisbona. Mentre in tutto il mondo si moltiplicano gli appelli a intervenire per frenare la corsa al rialzo dei prezzi delle derrate alimentari, e mettere fine alla folle politica di sussidi ai “biofuels” che ne è tra le cause, l’Unione Europea, nella persona del Commissario Agricolo Mariann Fischer Boel, continua ad insistere nell'abolire la PAC (Politica Agricola Comune) che difende gli agricoltori, e nel mantenere l’obiettivo del 10% di consumi energetici coperti dai biocarburanti, il che significa che riceveranno sussidi solo gli agricoltori che producono per i biofuels, e non per nutrire il mondo, benchè da più parti (il Ministro dell’Agricoltura francese Michel Barnier, il ministro Giulio Tremonti e l’ex ministro del Commercio Estero Emma Bonino) questa sia stata definita una politica “criminale” che aumenterà le carestie in tutto il mondo e provocherà rivolte non solo nei paesi poveri ma anche in quelli “intermedi”, quali Egitto, Indonesia e Pakistan. Nel nome del “mercatismo” e del “libero commercio”, Unione Europea e WTO impediscono ai governi di intervenire contro la speculazione finanziaria sui prezzi, non solo delle derrate alimentari, ma anche del petrolio, su cui si arricchiscono i grandi speculatori, mentre la gente comune non arriva a fine mese. Interventi come quello del ministro dell’Agricoltura francese Barnier in difesa dei pescatori, o del governo italiano in difesa dell’Alitalia, potranno essere vietati dalla burocrazia di Bruxelles nel nome del Trattato di Lisbona (è la Commissione che autorizza l’applicazione di prezzi e condizioni di sostegno da parte di uno Stato nel settore,art. 96.La Commissione procede all’esame permanente degli aiuti concessi dagli Stati. Decide che lo Stato deve sopprimere l’aiuto incompatibile. Se lo Stato non ottempera, adisce la Corte di Giustizia, art. 108), che dà la precedenza a delibere europee. Infatti la Dichiarazione n. 17 del Trattato afferma:“ Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia si evince che la preminenza del diritto comunitario è un principio fondamentale del diritto comunitario stesso.” Dunque laddove la previsione della Commissione confligga con quella nazionale, quest’ultima soccombe.
Ci sono almeno 2 articoli della Costituzione italiana che prevedono tali interventi dello Stato, e che dovrebbero avere la precedenza sul diktat europeo:
Art. 3. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art. 43. A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.
3. L’ indipendenza militare della nazione verrà totalmente meno. La cosiddetta Forza Militare Europea non dovrà più rispondere ai singoli parlamenti nazionali ma solo a quello europeo. Anche il servizio segreto militare UE risponderà a livello europeo e non sarà sottoposto a controllo popolare democratico. Tutti i cittadini UE potranno essere costretti a servire obbligatoriamente nella Forza Militare Europea nonostante il servizio militare obbligatorio sia stato abolito in Italia da molti anni. Mentre la la politica di difesa del Trattato, prevede oltre alle “missioni di pace” anche missioni “offensive”, che violano l’Art. 11 della nostra Costituzione, che recita “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
4. Tutto il potere decisionale in Europa sarà gestito da 27 Commissari (uno per ogni nazione, non necessariamente eletti dal popolo, che dal novembre 2014 diventerebbero meno di 27, in rappresentanza di solo i 2/3 degli stati), dal Consiglio (anche qui, membri non necessariamente eletti dal popolo), e dalla BCE (Banca Centrale Europea… e figuriamoci se gli “eletti dal popolo” li troviamo proprio qui!), e il Parlamento Europeo continuerà ad avere un ruolo puramente consultivo. Perciò poche persone decideranno del destino di 500 milioni di abitanti e ci saranno delle organizzazioni che possono agire per condizionare le decisioni di organismi gestiti da così poche persone, non elette dal popolo, che hanno un potere assoluto sul popolo stesso ma che non rispondono a nessuno che li abbia eletti. Pensiamo a “Bilderberg” e “Commissione Trilaterale”. Ricordiamo che per far cadere un qualunque governo è necessaria la maggioranza semplice dei rappresentanti (il 50% più uno); mentre per imporre le dimissioni alla “Commissione” è invece necessaria la maggioranza (con voto palese), dei due terzi del parlamento europeo. I Ministri e i Presidenti accumulano i poteri esecutivo e legislativo in una serie di campi nascosti al pubblico con il nome ingannevole di "procedure legislative speciali" (art. 289 §2 del TFUE per il principio stesso; gli altri articoli sono dispersi, cioè nascosti, nel resto del TFUE) e “atti non legislativi” (esempi: art. 24 del TUE, o art. 290 del TFUE). I ministri – in principio agenti dell’esecutivo – si riuniscono in un “Consiglio”, dimenticando curiosamente di precisare che si tratta di un consiglio di ministri, dichiarandosi perfino “co-legislatori” (art. 16 del TUE). Queste chiare violazioni del principio essenziale della separazione dei poteri rivelano una deriva considerata dalla stessa Dichiarazione dei diritti dell’uomo (art. DDUC) come il segno più sicuro del ritorno alla tirannide; poteri non separati sono poteri alla mercé delle potenze private del momento. Il potere legislativo – ordinario, ma anche costituente - è controllato nella sua essenza da organi non eletti. Esempi: Conferenza Intergovernativa (composta di ministri) modificante le istituzioni (art. 48 §4 del TUE); Commissione Europea (non eletta) cui spetta l’esclusiva dell’iniziativa legislativa (art. 17 §2 del TUE, che è un vero e proprio insulto alla democrazia rappresentativa); Banca Centrale produttrice di norme obbligatorie a portata generale (art. 132 del TFUE). Le procedure di revisione permettono all’esecutivo di modificare esso stesso le istituzioni, e soprattutto senza la previa consultazio-ne dei popoli coinvolti (art. 48 del TUE). Ancora una volta, degli organi non eletti sono gli incaricati della revisione della Costituzione europea e del controllo di tutte le proposte di revisione, e soprattutto i cittadini sono tenuti a larga distanza dal processo costituente, che non richiede alcun referendum.
5. Una nuova Polizia Europea pattuglierà e controllerà il territorio di tutti gli Stati Membri. Una forza di polizia non designata né controllata democraticamente (Europolice) avrà il potere di raccogliere informazioni personali su tutti i cittadini europei e schedarle in un ufficio centrale UE. Europolice potrà operare liberamente in ogni nazione e le polizie nazionali saranno obbligate a cooperare con le sue investigazioni. I cittadini europei potranno essere arrestati e trattenuti senza processo fino a 4 anni.
6. Il Pubblico Ministero Europeo avrà potere dominante sui Pubblici Ministeri nazionali.
7. Un sistema legislativo penale sarà imposto con criteri uniformi su tutti gli Stati. Una Commissione UE metterà a punto il sistema della legge penale europea rendendolo obbligatorio in tutti gli Stati. Le procedure per gli imprigionamenti senza processo non saranno garantiste come quelle oggi in vigore in Italia.
8. Eurojust imporrà procedure standard in tutta la UE. La Corte Suprema UE (correntemente in Lussemburgo) sarà la massima autorità giudiziaria dell’Unione.
9. Ogni Stato Membro dovrà accettare le decisioni dei tribunali civili degli altri Stati e si adirà alla Corte Suprema UE per eventuali arbitraggi.
10. Leggi che consentono I matrimoni e le adozioni da parte di coppie omosessuali dovranno essere accettate dagli Stati Membri.
11. Aborto ed eutanasia dovranno essere accettati da ogni Stato Membro. Gli anziani potranno essere messi a morte (anche contro la loro volontà) in virtù del principio di eguaglianza di trattamento di ogni cittadino UE. L’aborto sarà incardinato come un “diritto umano” e reso obbligatorio in tutta la UE.
12. Congelamento degli assetti finanziari. Sulla base di un semplice sospetto di complicità col terrorismo potranno essere congelati gli assetti finanziari di chiunque. Questi fondi saranno poi, eventualmente, restituiti ai proprietari (senza interessi) quando questi avranno dimostrato la propria innocenza.
13. Non si potranno più opporre limiti territoriali od etici su alcuna ricerca (scientifica, militare, medica). La clonazione umana sarà libera su tutto il territorio UE.
14. La UE potrà liberamente disporre delle ricchezze naturali degli Stati Membri senza chiedere permesso e senza risarcimento. Per esempio, l’Italia potrebbe essere obbligata a fornire acqua, risorse energetiche oppure ogni altra risorsa naturale ad altri Stati Membri.
Inoltre, il Trattato reintroduce la pena di morte. Con ambiguità,Il corpus del Trattato di non ne fa direttamente riferimento, anzi la esclude, e neanche i protocolli annessi, ne fanno riferimento. Ma rimanda alla “carta dei diritti fondamentali” che nel suo articolo 2, prevede la pena di morte per reprimere “una sommossa o un’insurrezione”. Nessun esempio è citato per definire il concetto di “sommossa o insurrezione”. A proposito della pena di morte, Il prof. Karl Albrecht Schachtschneider sottolinea come: La Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (CDFUE) permette espressamente nelle "spiegazioni" ai Diritti Fondamentali e nelle sue "definizioni negative" – assorbite nel Trattato di Lisbona – contrariamente all'abolizione della pena di morte vigente in Germania, Austria e altri paesi in conformità con il principio [costituzionale] della dignità dell'uomo, la reintroduzione della pena di morte in caso di guerra o in caso di diretto pericolo di guerra, ma permette anche l'omicidio per reprimere una sommossa o un'insurrezione. Decisivo per questo non è l'Art. 2 Paragrafo 2 della Carta, che proibisce la condanna a morte e l'esecuzione capitale, bensì la spiegazione di quest'articolo, integrata nel Trattato [di Lisbona], che risale alla Convenzione sui Diritti Umani del 1950. Secondo l'Art. 6 Par. 1 e Sottopar. 3 del Trattato sull'Unione Europea (TUE) nella versione di Lisbona, vengono definiti i diritti, le libertà e i principi fondamentali della Carta in conformità con le disposizioni generali del Titolo VII della Carta, che regola l'esposizione e l'applicazione degli stessi, tenendo in debito conto le "spiegazioni" allegate alla Carta, in cui vengono indicate le fonti di queste disposizioni. La rilevanza giuridica delle "spiegazioni" sgorga anche dal Paragrafo 5 S. 2 del Preambolo della Carta, secondo il quale l'interpretazione di questa avviene "tenendo in debito conto le spiegazioni elaborate sotto l'autorità del praesidium della Convenzione europea". Il Paragrafo 5 S. 2 del Preambolo e il Paragrafo 7 dell'Art. 52 sono stati reinseriti nella Carta il 12 dicembre 2007. Erano già presenti nel naufragato Trattato Costituzionale del 29 ottobre 2004. Questo allargamento del testo smentisce il temporaneo successo della politica contro la pena di morte e l'esecuzione capitale. Le "spiegazioni" riguardano anche e proprio l'Art. 2 Par. 2 della Carta (M. Borowsky, in J. Meyer, Kommentar zur Charta der Grundrechte der Europäischen Union, 2003, Art 2, Rdn. 18).
Le deleghe all'Unione nel campo della politica estera e di sicurezza comune sono sufficienti affinché, nell'interesse dell'efficienza delle missioni secondo l'Art. 28 (42) Par. 1 S. 2 (Il numero in parentesi si riferisce alla "Rinumerazione del trattato sull'Unione Europea". Per orientarsi meglio, cfr. la tabella di corrispondenza della Gazzetta ufficiale dell'Unione Europea a http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/...02:0229:IT:PDF.) e Art. 28b (43) Par. 1 TUE, o anche nell'interesse della difesa, sia reintrodotta la pena di morte; ad esempio la delega al Consiglio tramite l'Art. 28b (43) Par. 2 S. 1 TUE sulle decisioni riguardanti le missioni, che permette "di stabilire le condizioni generali di attuazione valide" per le missioni stesse. A ciò non partecipano né il Parlamento Europeo né tanto meno i parlamenti nazionali. Una decisione del genere andrebbe valutata in combinazione con l'Art. 2 Par. 2 della CDFUE, con le sue spiegazioni. Inoltre gli stati membri si impegnano con l'Art. 28 (42) Par. 3 Sottopar. 2 S. 1 TUE, "a migliorare progressivamente le proprie capacità militari". Le guerre del passato e del presente dimostrano che la pena di morte, ad esempio nel caso di soldati che si rifiutano di eseguire gli ordini, tende a incrementare notevolmente le capacità militari di un esercito. L'efficienza di misure militari può essere incrementata, tra l'altro, per mezzo dell'esecuzione di terroristi e sabotatori o anche presunti tali. La prassi dell'Unione di estendere estremamente i testi sui doveri degli stati membri non autorizza ad escludere anche una tale interpretazione, quando la situazione lo comanda o lo consiglia. Per inciso, il dovere di riarmo di questa prescrizione non è compatibile con il principio pacifista, vincolante, delle costituzioni tedesca (preambolo della Grundgesetz, Art. 1 Par. 2, Art. 26 Par. 1) e austriaca.
Nella Dichiarazione riguardante le Spiegazioni della Carta dei Diritti Fondamentali, che secondo l'Art. 49b (51) TUE ("Allegato") sono parte costituente dei Trattati, dunque sono parimenti vincolanti, sta scritto:
3. Le disposizioni dell'articolo 2 della Carta corrispondono a quella degli articoli summenzionati della CEDU e del protocollo addizionale e, ai sensi dell'articolo 52, paragrafo 3 della Carta, hanno significato e portata identici. Pertanto le definizioni "negative" che figurano nella CEDU devono essere considerate come presenti anche nella Carta:
a) articolo 2, paragrafo 2 della CEDU:
"La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario:
a) Per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale;
b) Per eseguire un arresto regolare o per impedire l'evasione di una persona regolarmente detenuta;
c) Per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un'insurrezione";
b) articolo 2 del protocollo n. 6 della CEDU:
"Uno stato può prevedere nella propria legislazione la pena di morte per atti commessi in tempo di guerra o in caso di pericolo imminente di guerra; tale pena sarà applicata solo nei casi previsti da tale legislazione e conformemente alle sue disposizioni ..." (Cfr. il testo sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, in data 14.12.2007, su http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/.7:0035:IT:PDF).
Sommosse o insurrezioni possono essere viste anche in certe dimostrazioni. Secondo il Trattato di Lisbona, l'uso mortale di armi da fuoco in tali situazioni non rappresenta una violazione del diritto alla vita. In guerra si trovano attualmente sia la Germania che l'Austria. Le guerre dell'Unione Europea aumenteranno. Per questo, l'Unione si riarma – anche con il Trattato di Lisbona.
Come sottolinea Schachtschneider, sono il punto a) sub c) ed il punto b) quelli che aprono le porte ad una serie di interpretazioni, che a seconda delle opportunità del caso, possono legittimare la pena capitale da parte del Trattato di Lisbona. In piena crisi finanziaria e nell’avvitarsi di una fase iperinflattiva sui generi di prima necessità, il punto a) sub c) è più attuale che mai. Ma anche il punto b), vista la partecipazione di 14 stati alla sola guerra in Iraq, legittima l’introduzione della pena capitale da parte di molte nazioni.
“Nella Dichiarazione riguardante le Spiegazioni della Carta dei Diritti Fondamentali, che secondo l'Art. 49b (51) TUE ("Allegato") sono parte costituente dei Trattati, dunque sono parimenti vincolanti, sta scritto: ‘Le disposizioni dell'articolo 2 della Carta corrispondono a quelle degli articoli summenzionati della CEDU [Carta europea dei diritti dell’uomo, ndr] e del protocollo addizionale e, ai sensi dell'articolo 52, paragrafo 3 della Carta, hanno significato e portata identici’.” Il prof. Schachtschneider sottolinea come all’art. 2 della CEDU si preveda: “La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario: […] c) Per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un’insurrezione”; e l’articolo 2 del protocollo n. 6 della CEDU dice: “Uno stato può prevedere nella propria legislazione la pena di morte per atti commessi in tempo di guerra o in caso di pericolo imminente di guerra; tale pena sarà applicata solo nei casi previsti da tale legislazione e conformemente alle sue disposizioni ...”. Schachtschneider aggiunge: “Sommosse o insurrezioni possono essere viste anche in certe dimostrazioni. Secondo il Trattato di Lisbona, l'uso mortale di armi da fuoco in tali situazioni non rappresenta una violazione del diritto alla vita. In guerra si trovano attualmente sia la Germania che l'Austria. Le guerre dell'Unione Europea aumenteranno. Per questo, l'Unione si riarma – anche con il Trattato di Lisbona.” Come sottolinea Schachtschneider, questi punti aprono le porte ad una serie di interpretazioni, che a seconda delle opportunità del caso, possono legittimare la pena capitale da parte del Trattato di Lisbona. In piena crisi finanziaria e nell’avvitarsi di una fase iperinflattiva sui generi di prima necessità, che appunto potrebbero sfociare in manifestazioni di protesta, questi punti sono più attuali che mai. E vista la partecipazione di 14 stati alla sola guerra in Iraq, il richiamo esplicito della CEDU rafforza la legittimazione dell’introduzione della pena capitale da parte di molte nazioni. In realtà il Trattato è un “monstrum” (358 articoli a cui sono da aggiungere quelli relativi ai protocolli che rappresentano circa il 45% dell’intero trattato) così complesso e oscuro nella sua esposizione che gli elementi che lo possono metter in conflitto con le legislazioni nazionali sono numerosi e insidiosissimi; ma ciò che può interessare noi italiani è che il Trattato di Lisbona precede e sovrasta la Costituzione Italiana e, cosa più preoccupante, lede e soggioga i diritti della Chiesa Cattolica confinandola ad una religione fra le altre, senza possibilità di obiettare ai diktat di Bruxelles. Il Trattato garantisce l’uguaglianza (reciprocità) tra i membri, ma contemporaneamente garantisce l’ineguaglianza tra essi, consentendo alla Danimarca ed all’Inghilterra di continuare a stampare le loro monete nazionali e l’Inghilterra rimane comunque proprietaria del 15,98% e la Danimarca del 1,72% della Banca Centrale Europea. La limitazione di sovranità che l’Italia ha accettato non è accompagnata dalla compresenza del requisito della parità di trattamento con gli altri stati membri. Gran Bretagna e Danimarca per esempio, hanno deciso di rimandare sine die la loro entrata nella moneta unica; così a fronte di politiche espansive sul tasso d’interesse che i due paesi potranno attuare, attirando così a sé gli investitori, i paesi aderenti all’euro, saranno tutti rimessi a ciò che deciderà la Banca Centrale Europea. Questo dubbio di costituzionalità è in particolare sollevato dal prof. Giuseppe Guarino: “Gli Stati non euro sanno che ratificando il Trattato ne avranno dei vantaggi. Entrano nel grande mercato comune e beneficeranno della stabilità indotta dall’area euro. Nello stesso tempo, non essendo obbligati a partecipare all’euro (quanto meno non in tempi stretti) continueranno a godere dell’asimmetria competitiva di mantenere la sovranità monetaria e di avvalersi di una maggiore flessibilità nella gestione del bilancio e in generale nelle decisioni di politica economica.”
La creazione della moneta è totalmente affidata alle banche private: la costituzione europea (art. 123 del TFUE) vieta alle banche centrali di prestare denaro – senza interessi – agli Stati, cosa che costringe gli Stati stessi a prenderlo a prestito – con interessi – da entità private che hanno moneta da posizionare (per arricchirsi senza lavorare). Questa regola scandalosa vincola gli Stati (cioè noi) a pagare degli interessi rovinosi per finanziare gli investimenti pubblici – e ad accumulare rapidamente un debito esorbitante a danno dell’interesse generale (per la Francia si tratta di una somma che supera i 40 miliardi di euro all’anno, per i soli interessi) – mentre, se la BCE potesse finanziare gli investimenti della zona europea , gli interessi pagati potrebbero essere ridistribuiti tra gli Stati, al posto di arricchire gli “investitori” privati. Il debito pubblico reso inesorabile dalle istituzioni europee, sancisce al più alto livello del diritto l’impotenza dei nostri rappresentanti politici, di fronte ai potentati finanziari. La speculazione finanziaria e le crisi di borsa sono favorite, in modo duraturo, dal divieto per gli Stati membri di limitare i movimenti dei capitali (art. 63 del TFUE). Le delocalizzazioni sono rese possibili dalla libertà di stabilimento (art. 49 del TFUE). Gli interessi degli azionisti diventano primari, esponendo così le nostre economie alla speculazione sfrenata Questi vizi dovrebbe bastare affinché i cittadini, che lavorano e pagano le imposte, boccino il Trattato. Ciò che, infine, preoccupa è il disinteresse che i rappresentanti del popolo italiano hanno dimostrato verso questo Trattato; pochissimi l’hanno letto e nessuno osa opporvisi. Del resto fu proprio Jean Monnet, uno dei fondatori dell’attuale idea di Europa ad affermare che “Le nazioni dell’Europa dovrebbero essere guidate verso il superstato senza che i loro popoli sappiano cosa sta accadendo”. Invece, soltanto i popoli stessi – su proposta di un’Assemblea Costituente disinteressata (cioè composta di membri che non scrivano regole a loro favore) –dovrebbero avere la legittimità politica di fissare e limitare i poteri dei loro rappresentanti, per via referendaria, come esito di un vero dibattito pubblico. Perché i governi ci tengono bene all’oscuro su cio’ che il Trattato comporta? Perché i giornalisti sono pronti a mostrarci il plastico e a radiografare l’ultimo omicidio di provincia ma tacciono sul Trattato di Lisbona, così importante per il nostro futuro e per quello dei nostri figli e nipoti? Quali vantaggi vengono a noi da questo Trattato? A noi che paghiamo la benzina più cara d’Europa, che abbiamo il carovita più alto (stiamo superando anche la Svezia, allontanando così turismo e benessere) insieme alle tasse più dure, che paghiamo persino il latte, il pane, il latte per neonati, le medicine coi prezzi peggiori d’Europa. Il pane 1,50 contro l’1,30 europeo. Il latte 1,50 contro la media UE di 0,90. Diventano, perciò, ridicoli i 2,9 miliardi di € di riduzione del deficit di Prodi. La riduzione sarebbe stata ben più marcata con un conseguente ridimensionamento del tasso degli interessi a cui ognuno di noi è costretto e che tengono al palo questo paese, penalizzando impresa e cittadini. Perché nessuno ci ha mai detto quanto l’Europa delle banche e delle multinazionali peggiorerà la vita dei lavoratori e dei cittadini? Perché dovremmo accettare un Trattato che livellerà i salari al trattamento peggiore vigente tra i paesi europei? O di essere impoveriti da un Banca Europea che usa come unico strumento economico il rialzo del tasso di sconto che produrrà solo un peggioramento dei mutui a tasso variabile (Impossibilitate a pagare le rate del mutuo, l’anno scorso 946 famiglie sono state private della loro casa, con l’aggravante d’aver visto andare in fumo tutti i risparmi investiti. Nel 2000 il numero degli immobili messi all’asta per gli stessi motivi non superava le 100 unità. Ne consegue che in sei anni i pignoramenti sono aumentati dell’846%. In Italia il 91% dei prestiti concessi dalle banche per comprare una casa alle famiglie sono stati concessi a tasso variabile e quindi soggiacciono all’andamento sfavorevole del costo del denaro), senza toccare il carovita o le speculazioni dei mediatori, o le regole perverse della Borsa o delle Banche o del mercato, e che renderà più poveri i poveri, e farà solo crescere la recessione, aggredendo anche gli investimenti della imprese? E tutto perché questa Europa neoliberista si guarda sempre bene dall’aiutare le fasce medie e basse. Il «Rapporto sullo stato sociale 2008» presentato a Roma mostra chiaramente come l’Europa neoliberista marci verso un progressivo smantellamento dello stato sociale, impoverendo di denaro e di diritti le classi piu’ deboli e peggiorando le condizioni dei lavoratori. Quei lavoratori che ora sono sospinti verso il modello cinese in una collusione mostruosa tra il modello capitalista e il modello comunista, dove l’unica cosa chiara è l’aumento della povertà dei lavoratori. Invece di diventare una grande democrazia questa Europa , inserita nella corrente della grande globalizzazione economica, procede solo nella corrosione dei diritti dei lavoratori e in funzione di sudditanza rispetto all’economia americana, di cui surroga il peggio, dagli OGM alla sudditanza petrolifera. Perché dovremmo accettare l’adesione a una Europa, vicina alla Banca Mondiale, al WTO, ad un mercato ipercapitalista incontrollato e cinico, ad un sistema neoliberista che sta affamando il mondo, che inquina il pianeta, che distrugge il clima, un sistema che ha spinto un paese come l’Argentina al collasso e i cui dettami disumani spingeranno presto anche noi italiani al completo fallimento? Proprio la crisi dell’Argentina cominciò quando il ministro Domingo Cavallo decise di adottare il dollaro rinunciando alla sovranità monetaria del proprio paese e delegando alla Fed la politica monetaria argentina. Dimenticando che per potersi permettere il `currency board' sarebbe stato necessario per l'Argentina avere un forte flusso di esportazioni pagate in valuta verso l'area del dollaro. Ma proprio l'adozione del dollaro rese impossibile l'export argentino: mentre Brasile e Cile potevano svalutare e diminuire quindi i prezzi relativi delle merci, l'Argentina era ancorata al dollaro. La cura ovviamente funzionò per l'inflazione, ma cominciò a provocare un crescente squilibro della bilancia commerciale. Per pareggiare la bilancia dei pagamenti furono iniziate, sotto Menem, le privatizzazioni. In pochi anni gli argentini si vendettero tutto: aerei, aeroporti, centri commerciali (sono tutti di Soros) impianti di estrazione del petrolio, telefoni, elettricità ecc. L'Argentina era guardata dal mondo come il paese dove il pensiero unico del F.M.I. e della Banca Mondiale aveva vinto. Un miracolo economico! Ma le privatizzazioni finirono e lo squilibrio commerciale rimase, lo Stato dovette drenare denaro sui mercati internazionali attraverso prestiti internazionali in valuta, ad ogni giro i tassi salivano e il rating diminuiva. I tassi alti scoraggiavano l'economia e per tre anni l'Argentina andò in recessione. Le Grandi Famiglie (3% della popolazione) incominciarono a cambiare i pesos in dollari. Servirono altri prestiti, sempre più cari. A questo punto scoppiò la crisi finanziaria. Nessuno prestava più soldi all'Argentina che fu costretta a tagliare del 13% i salari pubblici e a bloccare totalmente la spesa pubblica. Neanche questo bastava, ed ecco l'F.M.I., caritatevole, giungere in soccorso, prestando 8 miliardi di dollari . con una clausola, però, che l'Argentina aderisse al FTAA cioè si aprisse al libero scambio con gli USA. La crisi finanziaria argentina venne solo rimandata di qualche mese: una boccata d'ossigeno per l'UBS, Citygroup e Chase Manhattan e altre grandi banche che ebbero ancora qualche mese per `securizzare' i propri crediti, cioè farli scomparire nel risparmio gestito di fondi pensione. Quando la stessa cosa avvenne in Messico nel 1995 a rimetterci fu il Fondo Pensione degli Insegnanti della California! Ma ormai è fin troppo chiaro: le ricette virtuose del F.M.I. sono peggio delle cavallette. Dopo il Sud Est asiatico e la Russia rovinarono il Sudamerica. Ma la grande fornace di Wall Street ha bisogno di capitali esteri che tengano su i corsi azionari e quindi `mors tua vita mea'! .Meraviglie della globalizzazione dei mercati finanziari! Ma a dicembre la crisi esplose senza remissione. A giocare con il fuoco ci si brucia. Prima l'annuncio del default sul debito, bonds sovereign e local market instruments collocati compiacentemente sui mercati internazionali per un valore di oltre 58 miliardi di dollari andarono in default. Domingo Cavallo tentò un ultimo colpo da presitigiatore finanziario: lo Swap del debito. Tassi al 7% invece del 30% e più e allungamento delle scadenze. I `mercati' risposero picche. Gli argentini incominciano a dubitare che un dollaro valga un peso. Le banche furono prese d'assalto per cambiare pesos in dollari. I capitali defluirono e con essi la possibilità di far fede agli impegni assunti con il F.M.I. In più la crisi ridusse i profitti e i consumi. Crollarono dunque anche le entrate fiscali e l'obiettivo del `deficit di bilancio zero' tornò ad essere quello che era sempre stato: una pura utopia o come dicono i banchieri anglofoni un'wishfull thinking'. Si limitò la possibilità di ritirare denaro a 1.000 dollari mese. I bancomat vennero presi d'assalto e presto andarono in tilt. Ormai è crisi di liquidità. Il F.M.I. negò la `tranche' di oltre 1 miliardo di dollari dell'ultimo accordo di sostegno. Mi scuso con i lettori per questa lunga digressione che, apparentemente, non ha niente a che vedere con l’argomento del Trattato. Ma era necessaria per rispondere diciamo in “anteprima” alle Cassandre che ad ogni critica nei confronti dell’Unione Europea affermano decisi che “senza l’euro ora saremmo come l’Argentina”. Forse, se si legge, senza paraocchi, la storia del disastro argentino, sembra che sia l’euro a portarci in Sudamerica. Dal «Rapporto sullo stato sociale 2008», elaborato dal dipartimento di economia pubblica della Sapienza di Roma e dal Criss, e curato da Felice Roberto Pizzuti, docente di economia pubblica alla Sapienza risulta bene che “l’accresciuta instabilità dei mercati globalizzati, l’evoluzione demografica e i mutamenti dei sistemi produttivi e di welfare dei paesi più sviluppati hanno concorso ad aumentare l’incertezza nelle relazioni economiche e sociali, e la parte di esse che ricade sugli individui.”. “Più in generale, «nell’ambito di politiche macroeconomiche rivolte essenzialmente al risanamento e alla compressione dei bilanci pubblici, le istituzioni del welfare sono state oggetto di interventi restrittivi». In Italia, come nel resto d’Europa.”. E ora questo innalzamento di un quarto di punto del tasso di sconto in previsione di futuri rialzi? Esempi italiani di questi passaggi peggiorativi e a senso unico sono state le riforme pensionistiche. In peggioramento sono gli orientamenti europei in materia di mercato del lavoro, che hanno aumentato la precarizzazione, i rischi, la distruzione del futuro, la riduzione degli ammortizzatori sociali. Mettiamoci anche i danni prodotti da passaggio all’euro e l’abolizione do qualunque meccanismo di indicizzazione dei salari ai prezzi, con la scusa di combattere l’inflazione, o il contenimento dei redditi da lavoro dipendente e delle pensioni. Cosicché in Italia abbamo i salari e le pensioni più basse del continente. Aggiungiamoci anche la tendenza comune a tutti i governi europei a ridurre la spesa pubblica, non combattendo ma anzi aumentando gli sprechi, riducendo o privatizzando i servizi, che si traduce in un peggioramento di vita del popolo italiano. Si pensi ai continui tagli di bilancio in Italia, Francia e Germania (le locomotive dell’euro): di anno in anno qualcuno si è illuso, attraverso l’abbassamento della spesa pubblica, di essere sulla retta via per lo sviluppo economico e dunque per il risanamento finanziario, invece non è stato raggiunto né l’uno né l’altro obiettivo; l’indebitamento complessivo (in rapporto al pil) dei tre paesi è passato dal 1992 al 2008 dal 98% al 104% per l’Italia, dal 40,31% al 67,54% per la Germania e dal 35,28% al 64,19% per la Francia. La politica dei tagli ha comportato per l’Italia il risultato di ridurre di circa il 70% la crescita della produzione industriale (passata da una media del +1,5% del 1991 a quella attuale del +0,5%). Lamentarsi poi della contrazione della domanda è, dunque, da ipocriti, visto che ognuno sa che la piramide sociale poggia il benessere dell’intera Nazione sui consumi popolari. Le conseguenze di questa perversione economica e insostenibile che chiamiamo neoliberismo globalizzato sono la sottrazione del futuro, il calo delle imprese, la riduzione delle nascite, la precarizzazione dell’esistente, la crisi della speranza, la percezione di una povertà crescente e una progressiva riduzione dei diritti di tutti gli italiani. Dice il rapporto: “L’esempio italiano non è che un tassello di una tendenza di lungo corso in atto in tutta Europa. A differenza dei principali paesi europei però, in Italia è la spesa pensionistica ad assorbire la quota più rilevante della spesa sociale complessiva. La spesa sanitaria è pari al 6,8% del Pil, contro una media europea (l’Europa a 15) del 7,7% del prodotto lordo. Per non dire della spesa per la famiglia (1,1% del Pil, contro una media del 2,2%) e di quella per la disoccupazione (0,5% del Pil, contro l’1,7%). Complessivamente la nostra spesa per gli ammortizzatori sociali è pari a un terzo di quella europea. Anche per quanto riguarda l’istruzione, siamo sotto la media europea, con un investimento di risorse pari al 4,5% del prodotto interno lordo. Povertà e disuguaglianze nella distribuzione del reddito sono in aumento ovunque, ma è ancora l’Italia il paese dove le disuguaglianze intergenerazionali sono più persistenti. E dove più scarsa, per converso, è la mobilità sociale.” Perché noi italiani dovremmo accettare il divieto di un referendum sui trattati internazionali che non esiste in altri paesi quando questi possono peggiorare la nostra vita? Perché la gran parte dei nostri rappresentanti politici si dichiara a favore di questo Trattato? Questo testo non è contro l’integrazione europea ma è per un’integrazione che rispetti le reali esigenze democratiche dei popoli. Questo testo è utile per evidenziare la deleteria esistenza di strutture di potere, create e gestite da poche famiglie a capo di multinazionali, come “Bilderberg” e “Commissione Trilaterale”, che hanno una pesante e illegittima influenza sulle strategie politiche ed economiche che coinvolgono centinaia di milioni di persone. Le critica maggiore che, perciò, rivolgiamo alle istituzioni europee è quella di blindare l’impotenza politica dei cittadini, che non vengono tenuti per nulla in considerazione dalle élite politiche, mediatiche ed economiche: la democrazia diventa, dunque, sempre più chiaramente fittizia. Ratificare il Trattato di Lisbona rappresenta un’ulteriore legittimazione di questo sistema oligarchico che già troppo a lungo è durato ed i cui disastrosi risultati, in termini di tenore di vita reale della popolazione europea, sono sotto gli occhi di tutti. Ratificare il Trattato di Lisbona vuol dire rafforzare ancor più un Eurosistema oligarchico. Il disegno dei padri fondatori dell’Europa, De Gasperi, De Gaulle e Adenauer, era quello di un’Europa dei Popoli non di un’Europa delle banche. In 30 anni, invece, l’Europa dei banchieri, delle grandi multinazionali non è mai diventata l’Europa dei Popoli.
Non lasciamo gli irlandesi soli a difendere le libertà degli italiani e degli europei tutti.
Avremmo dunque bisogno di un Governo che si adoperasse per:
lo scioglimento dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) che attraverso la sola legge del libero commercio prevarica i diritti della persona umana;
la celere convocazione di una “Nuova Bretton Woods” (o “conferenza finanziaria mondiale” così come ideata e proposta da quasi vent’anni dall’economista americano Lyndon LaRouche e riproposta dal ministro Tremonti) per un nuovo sistema monetario e finanziario ed il ripristino dei sistemi di banca nazionale che si riapproprino della funzione sovrana del credito pubblico, attraverso cui porre la base per lo sviluppo economico di tutti i popoli del pianeta;
il rigetto del purtroppo ratificato Trattato di Lisbona;
l’aumento produzione agricola;
l’avvio delle politiche energetiche per superare i diktat “della legge del mercato fatta dai petrolieri” e risolvere il problema energetico;
il lancio di progetti infrastrutturali al più alto livello tecnologico-scientifico nei settori delle vie di comunicazione, dell’agricoltura, della sanità, dell’istruzione, affinché intorno alla crescita della Nazione e dello Stato sociale possa riprendere vita l’iniziativa economica. Infatti se si volesse davvero rilanciare la produttività, la la questione infrastrutturale è centrale. Un sistema infrastrutturale carente, infatti, non può consentire un salto di qualità nella produzione. Sarebbero dunque necessarie politiche volte a finanziare con credito pubblico a lunga scadenza ed a basso tasso d’interesse, opere pubbliche che elevassero il contenuto tecnologico della base infrastrutturale su cui si erge una civiltà. Il credito pubblico, poi, potrebbe andare direttamente verso quelle imprese private che investono in ricerca e puntano su tecnologie produttive avanzate in settori di interesse strategico (non certo verso quelle aziende che si occupano di speculazione finanziaria). Interventi di defiscalizzazione dovrebbero andare nella stessa direzione. Dunque, aumentare la produttività del lavoro, e perciò l’offerta quantitativa e qualitativa di beni e di nuovo, (proporzionalmente) i redditi da lavoro. Esattamente il contrario di quel che sostiene l’oligarchia speculativa, cioè che il credito necessario per lo sviluppo della produttività lo si racimola distraendolo dalle voci del welfare. Un sistema che rimette il costo del futuro sviluppo alla popolazione inerme, già in forte difficoltà, creando un sistema ancor più orientato ad ampliare la forbice tra bassi ed alti redditi.
Tutto ciò vorrebbe dire risanare dalle fondamenta l’attuale modello economico, mettendo fine alla speculazione e rilanciando l’economia reale, come viene ormai chiesto a viva voce da più parti. Noi vogliamo un'Europa a favore di tutti gli italiani.

Fonte: http://ginosalvi.blogspot.com/

https://forum.termometropolitico.it/597230-che-cosa-non-sappiamo-sul-trattato-di-lisbona.html

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