mercoledì 9 agosto 2017

DIECI ANNI FA SI ACCENDEVANO I SEGNALI DI ALLARME PER IL CRAC DEI MUTUI SUBPRIME: FU L’INIZIO DELLA GRANDE CRISI DALLA QUALE NON SIAMO VERAMENTE USCITI - LE CAUSE PROFONDE DI QUELLA SCOSSA NON SONO STATE CURATE E UN ALTRO SHOCK, MAGARI INNESCATO DA UN DETONATORE DIVERSO, NON SI PUÒ AFFATTO ESCLUDERE - ECCO PERCHÉ

Federico Rampini per “la Repubblica”



Dieci anni fa si accendevano segnali di allarme per il crac dei mutui subprime: l' inizio della Grande Crisi. È una storia dalla quale non siamo veramente usciti. Le cause profonde di quell' evento non sono state curate. Un altro shock, magari innescato da un detonatore diverso, non si può affatto escludere.

LA finanza domina il mondo più che mai, anche grazie ad un' alleanza di ferro con i giganti delle tecnologie digitali. Inoltre la Grande Crisi ci ha lasciato in eredità una svolta politica inaudita. Donald Trump non sarebbe alla Casa Bianca, se quella maxi-recessione non avesse generato disastri economici, sofferenza sociale, un profondo senso di ingiustizia mescolato a risentimento, che il populismo di destra ha cavalcato con efficacia.


L' antefatto? La crescita americana era già segnata dalle diseguaglianze sociali (una patologia in peggioramento costante da 30 anni); classe operaia e ceto medio faticavano a mantenere il tenore di vita. Il sistema bancario "curò" quegli squilibri a modo suo: speculandoci sopra. Wall Street facilitò l' accesso alla casa in modo scriteriato. Mutui ad alto rischio venivano concessi a debitori in situazioni precarie, che al primo shock congiunturale sarebbero diventati insolventi.

I banchieri si disinteressavano degli enormi rischi accumulati, spalmandoli sul mercato, nascondendoli dentro complicati titoli strutturati. Sullo sfondo, altri macro-squilibri: l' eccesso di risparmio in paesi esportatori come Cina e Germania, protagonisti di un vasto "riciclaggio" dei surplus commerciali.


Episodi di iperinflazione delle materie prime. In un clima torbido, con controlli inadeguati e conflitti d' interessi a gogò, arrivò il Dies Irae: prima il crac di alcuni fondi immobiliari Bnp (9 agosto 2007), qualche mese dopo l' insolvenza di Bear Stearns, un anno dopo il crac di Lehman. Una spirale di panico, seguita dal contagio all' economia reale in tutto l' Occidente. Si salvò solo la Cina, irrobustendo il dirigismo di Stato.

Dieci anni dopo, il paesaggio sembra irriconoscibile. L' economia americana è nell' ottavo anno di crescita consecutiva, il pieno impiego è vicino. Eppure l' 8 novembre ha prevalso la narrazione trumpiana su un paese allo sfascio. Il candidato più catastrofista della storia ha conquistato i voti dei metalmeccanici, i cui posti di lavoro erano stati salvati da Barack Obama. Una volta al potere, Trump ha riempito la sua Casa Bianca di uomini (e una donna) della Goldman Sachs.


E sta lavorando per smantellare i controlli su Wall Street introdotti dal suo predecessore, la legge Dodd-Frank. Le banche si riconquistano un pezzo alla volta la libertà di far danno. Non che fossero veramente rinsavite negli ultimi anni.

Malgrado le multe miliardarie la propensione della finanza a delinquere non è diminuita: alcuni degli scandali più gravi (come la manipolazione del Libor di Londra) sono avvenuti diversi anni dopo il 2007. Dalla Deutsche Bank alla Popolare di Vicenza e Banca Etruria, l' Europa non si è dimostrata migliore. Certo alcune falle del sistema sono state tappate, i requisiti di capitalizzazione (leggi: solidità) delle banche sono più severi.


 
Tuttavia Obama dovette ammettere che «nessun banchiere è finito in prigione» per i disastri del 2009, e la causa la indicò nelle leggi sbagliate, piegate agli interessi delle lobby. Ma lo stesso Obama appena è andato in pensione si è adeguato al vizietto di Hillary Clinton: conferenze a Wall Street lautamente pagate (centinaia di migliaia di dollari "all' ora") dagli stessi banchieri. Le élite progressiste sono apparse troppo spesso organiche agli interessi della finanza.

 

Fu proprio questa una scintilla iniziale dell' ondata di populismo. Precursore di Trump fu il Tea Party. Movimento radicale di una destra anti-tasse e anti-Stato, nacque nel 2009 per protestare contro il maxi- salvataggio delle banche di Wall Street: 800 miliardi sborsati dai contribuenti. È vero che quell' operazione si saldò in pareggio e perfino con un piccolo guadagno per le finanze pubbliche, molti anni dopo.

Ma nel 2008-2009 ci fu un' ecatombe di piccole imprese, una carneficina di posti di lavoro, e con loro lo Stato non fu così solerte e generoso. Poi arrivò una terapia d' eccezione: il "Quantitative easing" della banca centrale, quando la Federal Reserve comprò titoli in quantità enormi per inondare l' economia di credito a buon mercato. Un' alluvione da 4.000 miliardi solo negli Stati Uniti; in ritardo, la ricetta fu copiata dalla Bce.


 
Ha funzionato a metà. La crescita rimane "sub-ottimale", nettamente inferiore rispetto all' Età dell' Oro tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta. La finanza continua a esercitare un peso eccessivo, prelevando rendite parassitarie dall' economia reale. Il mondo galleggia sulla liquidità creata dalle banche centrali. Gli stessi Padroni della Rete, le "cinque sorelle" Facebook, Apple, Amazon, Netflix, Google privilegiano la finanza sull' innovazione. (Le diseguaglianze più estreme si registrano proprio nella Silicon Valley).

Ci sono gli ingredienti di una stagnazione secolare perché si sono guastati i motori storici dello sviluppo capitalistico: demografia, diffusione di potere d' acquisto, progresso della produttività, decollo di paesi emergenti. E ora che i repubblicani al potere a Washington lanciano ai banchieri il segnale del "liberi tutti" con la deregulation finanziaria, un nuovo incidente non è davvero da escludere.

http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/dieci-anni-fa-si-accendevano-segnali-allarme-crac-mutui-154079.htm

martedì 8 agosto 2017

GABANELLI E' VIVA E LOTTA INSIEME A NOI! PADOAN METTE IL SEGRETO DI STATO SUI DERIVATI DEL TESORO. VIETATO SAPERE COSA C'È SCRITTO NEI CONTRATTI CHE CI HANNO FATTO PERDERE 32 MILIARDI FRA IL 2011 E IL 2016 E CHE CE NE FARANNO PERDERE ALTRI 15 DA QUI AL 2020 2. INTANTO LA CORTE DEI CONTI HA RINVIATO A GIUDIZIO SINISCALCO, GRILLI, LA VIA E LA DIRIGENTE DEL DEBITO MARIA CANNATA. L'ACCUSA È DI DANNO ERARIALE PER CIRCA 4 MILIARDI. MENTRE SIAMO SEDUTI SU UNA BOMBA A OROLOGERIA E' BELLO DISCUTERE DI VITALIZI

Milena Gabanelli per il Corriere della Sera


Notizia buona: qualche settimana fa la Camera ha approvato le mozioni della maggioranza per aumentare la trasparenza sui contratti derivati del Tesoro. D'ora in poi il ministero dell' Economia dovrà pubblicare sul sito del Dipartimento del Tesoro con maggiore frequenza, «preferibilmente trimestrale», i dati aggiornati sul valore di mercato dei contratti e sul valore su cui si calcolano i flussi finanziari (nozionale) .

Notizia cattiva: bocciata la mozione del M5S che chiedeva di vedere cosa c'è scritto nei singoli contratti. Il ministero si è appellato al segreto di Stato.

La storia comincia a marzo 2012, quando Bloomberg-news rende noto che il Tesoro Italiano, a fine 2011, ha chiuso in anticipo un contratto con Morgan Stanley liquidando senza batter ciglio 2,57 miliardi di euro. Si poteva negoziare e pagare meno, o abbiamo esaudito i desiderata della banca d' affari?


Senza conoscere le clausole ti puoi solo fidare. Subito dopo però emergono indiscrezioni su altre operazioni in derivati con perdite miliardarie per il Tesoro, proprio mentre il ministro Fornero produceva «esodati» per mancanza di fondi.

Parte una commissione di indagine parlamentare, una raffica di interrogazioni e question time . Le dichiarazioni dei ministri pro-tempore e del direttore del debito Maria Cannata sono sempre state rassicuranti qualificando il tema derivati di Stato come un problema estemporaneo e comunque sotto controllo.


Purtroppo i dati del Def ed Eurostat mostrano che il problema non è per niente sotto controllo e che le perdite effettive sono una costante nel bilancio dello Stato. In soldoni: 32 miliardi dal 2011 al 2016. Ma in essere ci sono ancora un centinaio di contratti per un controvalore di poco meno di 150 miliardi di euro e che possono produrre perdite negli anni a venire per 40 miliardi di euro.

Lo stesso Tesoro le ha già stimate in 15 miliardi tra il 2017 e il 2020. Ma come fa il ministero a quantificare in modo così preciso le perdite, se ha sempre dichiarato di aver usato i derivati per proteggere il debito pubblico dal rischio di rialzo dei tassi di interesse?
Che senso ha se la maggior parte del debito è già a tasso fisso?


Chi ha analizzato le risposte fornite dal ministero di volta in volta, e sempre farcite di tecnicismi, non ha dubbi: si tratta di operazioni speculative che coprono in realtà i rischi delle banche dal calo dei tassi. Perché stipulare contratti che ti impegnano a pagare un tasso fisso prefissato per 30-40 anni, se non hai la sfera di cristallo?

Inoltre molte di queste operazioni sono swaption , ovvero scommesse. Per semplificare si potrebbero paragonare alla vendita del diritto di prelazione su una casa, dopo 1 anno, alla metà del suo valore corrente.
Queste «vendite» hanno consentito allo Stato di incassare subito e sistemare qualche bilancio difficile, ma lo hanno esposto al rischio di perdite ingenti negli anni a venire. Tre miliardi solo nel 2016, e almeno altrettanti sembra si spenderanno tra il 2017 e il 2018. Dove sta l' interesse dello Stato?


Intanto a luglio il procuratore della Corte dei Conti Massimiliano Minerva rinvia a giudizio per danno erariale per più di 4 miliardi di euro, Morgan Stanley, i ministri e direttori generali del Tesoro pro-tempore Domenico Siniscalco, Vittorio Grilli, Vincenzo La Via e l' inossidabile Maria Cannata, da più di 3 lustri direttore del debito pubblico.

 Per la Corte dei Conti il derivato con Morgan Stanley e ciò che ne è conseguito non sembrano riflettere l' interesse dei contribuenti.

E tutti gli altri contratti contengono invece qualche vantaggio per noi? Bisognerebbe vederli, ma il ministro Padoan taglia la testa al toro: «Mettere in chiaro i contratti equivale a danneggiare il Paese, ad esporlo al rischio di speculazioni degli operatori di mercato».

Finora pare che siano state queste chiusure anticipate e le rinegoziazioni opache a rappresentare una speculazione ai danni del Paese. Conoscere i contratti, vedere le condizioni a cui sono stati stipulati, come sono stati gestiti nel tempo e analizzarli attraverso gli «scenari di probabilità» (cioè con gli stessi strumenti che usano le banche), ci farebbe capire se lo Stato ha fatto bene a farli, ha ricevuto i giusti compensi per i rischi che si è assunto, e magari anche a fare luce su come mai dirigenti del Mef, come Grilli e Siniscalco, sono finiti proprio a lavorare per quelle banche straniere che avevano stipulato questi contratti con lo Stato italiano.



C' è da dire che quando Consob e Bankitalia proposero di utilizzare gli scenari di probabilità per i derivati degli enti locali, il Mef prima prese tempo, poi li fece rimuovere da qualsiasi ipotesi di lavoro con un provvedimento del governo Letta. E infatti sui derivati degli enti locali luce non verrà mai fatta, anzi non abbiamo neanche i dati aggregati che con tanta fatica sono stati ottenuti per quelli dello Stato italiano.



In un Paese dove non si trova il denaro per mettere in sicurezza le scuole, mantenere efficiente la sanità pubblica e manutenere le infrastrutture per prevenire rischi sismici ed idrogeologici, è bello discutere dei vitalizi.

http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/gabanelli-padoan-mette-segreto-stato-derivati-tesoro-153990.htm

martedì 1 agosto 2017

COSI' L'ITALIA E' TENUTA SOTTO RICATTO DAGLI INVESTITORI INTERNAZIONALI - ENTRO DICEMBRE SCADONO 163 MILIARDI DI EURO DI BOT E DI BTP - IN TUTTA LA PROSSIMA LEGISLATURA IL DEBITO PUBBLICO DA RIFINANZIARE AMMONTA A OLTRE 900 MILIARDI DI EURO

(LaPresse) - Il debito pubblico da rinnovare nella prossima legislatura ammonta complessivamente a 900 miliardi di euro. Tra gennaio 2018 e la fine del 2022, arrivano a scadenza, nel dettaglio, 47 miliardi di bot, 734 miliardi di btp, 85 miliardi di cct e 32 miliardi di ctz. Il totale dei titoli di Stato attualmente in circolazione è di 1.879 miliardi: 163 miliardi scadono entro la fine del 2017, 236 miliardi entro il prossimo anno, 187 miliardi nel 2019, 162 miliardi nel 2020, 162 miliardi nel 2021, 152 miliardi nel 2022, 141 miliardi nel 2023, 128 miliardi nel 2024, 62 miliardi nel 2025, 79 miliardi nel 2026, 48 miliardi nel 2027; altri 355 miliardi, poi, arrivano a fine corsa tra il 2028 e il 2067.

Questi i dati principali di un'analisi del Centro studi di Unimpresa sui titoli di Stato in circolazione, secondo la quale considerando i circa 100 miliardi annui di bot emessi e rinnovati l'ammontare complessivo di debito da rifinanziare nella prossima legislatura è ampiamente superiore a 1.000 miliardi.


"In attesa dei tanti numeri che ascolteremo dai leader politici nella prossima campagna elettorale, mettiamo a disposizione dell'opinione pubblica un dato che, a nostro giudizio, è sottovalutato e invece è centrale: il peso del debito pubblico, che supera quota 2mila miliardi, ci sta schiacciando, e le scadenze dei titoli di Stato sono il cappio al collo del nostro Paese con il quale gli investitori, le case d'affari internazionali e le banche italiane ci tengono sotto schiaffo" commenta il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci.

Secondo l'analisi dell'associazione, che ha incrociato dati della Banca d'Italia e del ministero dell'Economia, il totale complessivo dei titoli di Stato in circolazione è pari a 1.879,6 miliardi. Nel dettaglio, i sottoscrittori di debito italiano hanno 'in mano' 115,9 miliardi di bot, 1.581,4 miliardi di btp, 137,4 miliardi di cct e 44,8 miliardi di ctz. Entro il 2017, scadono 163,6 miliardi di titoli: 68,8 miliardi di bot, 69,4 miliardi di btp, 12,9 miliardi di cct e 12,3 miliardi di ctz. Nel 2018 va rinnovato debito per 236,4 miliardi: 47,1 miliardi di bot, 137,1 miliardi di btp, 25,7 miliardi di cct e 26,4 miliardi di ctz. Nel 2019 scadono titoli per 187,01 miliardi: 168,2 miliardi di btp, 12,6 miliardi di cct e 6,05 miliardi di ctz.


Le emissioni da rimborsare nel 2020 valgono 162,01 miliardi: 146,6 miliardi di bot e 15,3 miliardi di cct, mentre nel 2021 arrivano a scadenza solo btp per 162,6 miliardi. Nel triennio 2022-2024 arrivano a fine corsa btp e cct: in totale, 152,08 miliardi nel 2022 (120,08 miliardi di btp e 32 miliardi di cct); 141,8 miliardi nel 2023 (126,4 miliardi di btp e 15,4 miliardi di cct); 128,6 miliardi nel 2024 (105,4 miliardi di btp e 23,2 miliardi di cct). Nei tre anni successivi scadono solo btp: 62,3 miliardi nel 2025, 79,5 miliardi nel 2026, 48,1 miliardi nel 2027. Nel periodo 2028-2067 vanno rimborsati 355,3 miliardi di btp.La prossima legislatura comincerà tra febbraio e marzo del 2018 per terminare, salvo interruzioni anticipate, entro la primavera del 2023.

Se si analizzano le emissioni in circolazione e quelle in scadenza dall'inizio del prossimo anno fino al dicembre del 2022, si osserva che l'ammontare del debito pubblico da rifinanziare nella prossima legislatura è pari a 900,1 miliardi: si tratta di 47,1 miliardi di bot, 734,7 miliardi di btp, 85,7 miliardi di cct e 32,4 miliardi di ctz. E, considerando i circa 100 miliardi annui di bot emessi e rinnovati ogni 12 mesi, l'ammontare complessivo di debito da rifinanziare nella prossima legislatura è ampiamente superiore a 1.000 miliardi.

http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/cosi-39-39-italia-39-tenuta-sotto-ricatto-investitori-153510.htm