mercoledì 31 luglio 2013

NON DITE A LETTAENRICO CHE OBAMA MEDITA DI TAGLIARE LE TASSE ALLE IMPRESE E COLPIRE I FONDI ESTERI DELLE MULTINAZIONALI Barack vuole tagliare dal 35 al 25-28% le aliquote massime, e coprire andando a succhiare i fondi offshore (circa 840 miliardi) delle aziende paracule come Apple - Ma la maggioranza repubblicana, cara alle Cayman, vuole bloccare la riforma e continuare a paralizzare il bilancio… - -

Marco Valsania per il "Sole 24 Ore" Obama OBAMA Barack Obama ha teso la mano ai repubblicani sulla riforma del fisco. Il presidente ha proposto una semplificazione delle tasse per le aziende che riduca le aliquote da massimi del 35%, tra i più alti al mondo, al 28% e fino al 25% nel caso delle società manifatturiere, venendo incontro a priorità care all'opposizione. In cambio, però, il presidente chiede l'impegno a usare qualunque entrata straordinaria intascata dall'erario nel corso della transizione al nuovo regime impositivo per obiettivi che ritiene irrinunciabili: investimenti pubblici a favore della crescita, dell'occupazione e dei ceti medi. Obama ha presentato il suo "grand bargain" - un grande compromesso con meno tasse e più lavoro - a Chattanooga nel Tennessee in un magazzino di Amazon, parte della crociata per rilanciare sia l'agenda economica della sua presidenza che la competitività internazionale del Paese. «Le idee non mancano - ha incalzato - manca l'azione». MITT ROMNEY ALLA POMPA DI BENZINA MITT ROMNEY ALLA POMPA DI BENZINA Lo scetticismo dell'opposizione non è tardato: la riforma riecheggia promesse del passato e la resistenza a nuove spese federali da parte dei repubblicani, in vista di negoziati sul bilancio e sul tetto del debito, appare ferma. Ma il presidente spera di far breccia nelle correnti moderate: un gruppo di otto senatori conservatori si sta incontrando regolarmente con la Casa Bianca per discutere di budget. Obama ha invocato la necessità di rivedere senza indugi le tasse per le aziende, slegandole da più ampi riesami delle aliquote individuali. «Il nostro sistema è rotto e troppo complesso - ha fatto sapere la Casa Bianca - le aziende che rispettano le regole pagano il 35% mentre altre che possono permettersi eserciti di avvocati riescono a non pagare quasi nulla». JOHN BOEHNER JOHN BOEHNER La riforma creerebbe un sistema piu equo: eliminerebbe scappatoie stabilendo al contempo aliquote più basse, anzitutto per le società manifatturiere in omaggio all'attenzione alla base industriale del Paese. Verrebbero cancellati incentivi a spostare attività e posti di lavoro all'estero. E ancora: Obama auspica facilitazioni particolari delle procedure fiscali per le piccole aziende, migliorando il sostegno agli investimenti con la possibilità di dedurre fino a un milione di dollari. Congresso Americano CONGRESSO AMERICANO I capitoli controversi, però, non mancano neppure sulle tasse. Dalla proposta di Obama sono assenti dettagli sulle revisioni di sgravi e scappatoie, che potrebbe scatenare dure battaglie con i beneficiari. Colossi del calibro di General Electric, Disney e Microsoft hanno già nella riforma fiscale uno degli obiettivi di lobby. Congresso americano CONGRESSO AMERICANO Ed è rimasta nell'ombra una grande incognita: le aziende americane tengono oggi fuori dai confini quasi il 60% delle riserve in contanti, 840 miliardi, per evitare la tassazione americana. In passato sono state discusse soluzioni per il rimpatrio di questi capitali, quali aliquote scontate una tantum che genererebbero fino a 15 miliardi di nuovo gettito. Sui fondi all'estero potrebbero anche scattare penali. Obama ha sottolineato l'importanza di «ricostruire l'infrastruttura del Paese», ponendo l'enfasi sull'ammodernamento, sul coinvogimento del settore privato in una Rebuild America Partnership, e sull'istruzione. Qui per raccogliere finanziamenti sono previste nuove obbligazioni battezzate America Fast Forward, America Avanti. Verranno inoltre creati in dieci anni ben 45 nuovi istituti per l'innovazione, centri di eccellenza tecnologica dedicati proprio allo strategico comparto manifatturiero. E saranno destinati capitali allo scopo di sollecitare i college locali a sviluppare qualifiche necessarie alle carriere del futuro. http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/non-dite-a-lettaenrico-che-obama-medita-di-tagliare-le-tasse-alle-imprese-e-60486.htm

martedì 30 luglio 2013

OBAMA PRESENTA IL CONTO ALLE BANCHE: 120 MILIARDI DI MULTE E RISARCIMENTI PER I LORO CASINI SUI DERIVATI Il conto presentato dalle autorità (soprattutto) americane, e dai risparmiatori truffati potrà arrivare fino a 120 mld $ - In testa Bank of America con oltre 41 miliardi di multe, seguono JpMorgan (8 e più) e Wells Fargo - In Europa regna Ubs con 4 miliardi, poi le inglesi, tra truffe sul Libor e riciclaggi vari…

Marco Valsania per "Il Sole 24 Ore" BANK OF AMERICA BANK OF AMERICA Il conto presentato alle banche dalle autorità statunitensi di regolamentazione per pagare le responsabilità nella crisi si sta ancora allungando. E si gonfia anche la fattura - dai mutui alla manipolazione dei mercati, dal riciclaggio all'evasione fiscale - a carico degli istituti internazionali, anzitutto europei. Alle banche del Vecchio continente le authority a stelle e strisce, a volte ma non sempre coordinandosi con i colleghi d'oltreoceano, hanno negli ultimi quattro anni imposto penali e indennizzi per almeno 8 miliardi di dollari. Almeno altri 10 o 15 miliardi sono considerati possibili. JPMORGAN JPMORGAN La percentuale degli indennizzi coperta dagli istituti europei, a onor del vero, rimane ad oggi minoritaria di fronte agli assegni staccati dalle società di casa. Questi ultimi hanno superato di slancio i 60 miliardi e si avviano verso i 70. Stando ad alcune stime, una volta sommati anche i ricorsi degli investitori la cifra domestica potrebbe facilmente arrivare oltre quota 100 miliardi. Abbastanza da spingere il conto globale oltre l'asticella dei 120 miliardi. Nessuno si avvicina al leader assoluto delle multe, Bank of America, con oltre 41 miliardi. Anche se JP Morgan ha ancora aperte formalmente o informalmente a proprio carico molteplici indagini che potrebbero far alzare il suo conto oltre gli attuali 8 miliardi, che la vedono in un testa a testa con Wells Fargo per il secondo posto. UPS UPS Tra le europee la leadership delle infrazioni punite spetta alla svizzera Ubs, con circa 3,2 miliardi. Una cifra che si gonfiata con il pi recente accordo extragiudiziale: 885 milioni versati alle autorit federali sulla casa Fhsa. L'accusa: aver ingannato i colossi para-statali e ora nazionalizzati Fannie Mae e Freddie Mac sulla qualit di asset a garanzia di titoli a loro venduti. Ubs stata inoltre colpita da altre sanzioni, dal Libor a complicit nell'evasione fiscale di clienti americani.Il conto, su numerosi di questi scandali, destinato a lievitare ancora. Il bubbone immobiliare resta aperto nonostante molteplici intese, che solo sui pignoramenti irrogolari hannno totalizzato 34 miliardi. BARACK OBAMA BARACK OBAMA La Fhsa, in particolare, ha sotto indagine 18 finanziarie tra le quali colossi esteri del calibro di Barclays, Rbs e Hsbc come anche americani, da JP Morgan a Bank of America. Citigroup e General Electric hanno gi raggiunto intese su multe non divulgate. Credit Suisse ha stimato che solo sui mutui Rbs, Barclays e Hsbc potrebbero dover pagare assieme fino a 3,6 miliardi e che gli istituti del Vecchio continente, una volta considerate inchieste e denunce di investitori e autorita' locali, siano esposti a una fattura da 11 miliardi. Jefferies meno allarmata, ma comunque il rischio ipotizzato in miliardi di dollari. Deutsche Bank, di sicuro, ha di recente aumentato le riserve a fronte di possibili oneri legali di 600 milioni di euro a 2,4 miliardi. BARCLAYS BARCLAYS L'altra grande inchiesta da tempo avviata riguarda la manipolazione del Libor e dei tassi d'interesse: finora tre banche europee, ancora Barclays, Rbs e Ubs, sono state punite con multe complessive per 2,5 miliardi orchestrate anzitutto dalle autorità statunitensi. Gli istituti sotto indagine sono tuttavia almeno una decina e le stime sui costi finali variano enormemente, da meno di dieci a oltre cento miliardi. Nuove denunce per danni continuano ad arrivare anche da investitori e municipalità: Houston, la quarta città americana, nei giorni scorsi ha annunciato ricorsi contro Bank of America, Barclays e Citigroup. Altre accuse di manipolazione di indicatori o mercati sono fioccate, dalle valute alle materie prime. Nel caso dei mercati dell'energia elettrica americana, Barclays stata multata della cifra record di 435 milioni e Deutsche ha versato 1,6 milioni. Sotto indagine sono altri colossi quali JP Morgan, che sta trattando una multa da almeno 410 milioni. Non mancano ritorni di indagini tradizionali, quali il riciclaggio o la violazione di embarghi. Hsbc stata inchiodata come istituto usato dai narcotrafficanti al costo di una multa da 1,92 miliardi concordata con la procura federale e appena approvata da un tribunale. Riciclaggio e violazione di sanzioni imposte a paesi quali l'Iran sono costate care a Standard Chartered e Ing, raggiunte da penali superiori ai 600 milioni. http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/obama-presenta-il-conto-alle-banche-120-miliardi-di-multe-e-risarcimenti-per-i-60422.htm

venerdì 19 luglio 2013

COME CADDE UN REGIME - MUSSOLINI SAPEVA DELLA CONGIURA CONTRO DI LUI E NON FECE NULLA: PERCHÉ? - IL VATICANO SI OPPOSE AL PIANO DI UCCIDERE HITLER E MUSSOLINI PER PAURA DELL’ARRIVO DEI COMUNISTI - Giordano Bruno Guerri svela particolari inediti sulla caduta di Benito Mussolini - Il Duce sapeva del Piano-Grandi per defenestrarlo e non agì e salta fuori un manoscritto (tarocco?) sulla notte del 25 luglio 1943 - Lo stesso Mussolini «complottava» contro se stesso?. -

Giordano Bruno Guerri per "il Giornale" e www.giordanobrunoguerri.it benito mussolini BENITO MUSSOLINI Il 25 luglio 1943 è certamente uno degli argomenti più abusati della storiografia e della filmografia documentaristica, ancora a settanta anni dai fatti: la caduta di una dittatura ultraventennale - per via di complotti intrecciati e tuttora misteriosi - e la mancanza di documentazione certa sono ingredienti di sicuro effetto per un'analisi che non avrà mai fine. Tuttavia, tassello dopo tassello, nuova acquisizione dopo nuova acquisizione, è possibile avvicinarsi alla verità. ADOLF HITLER ADOLF HITLER Il mio professore universitario, Gianfranco Bianchi, dedicò metà della sua vita a quella giornata con un volume (Perché e come cadde il fascismo, Mursia 1970) ancora utile, ma che potrebbe trarre nuova linfa dal documentario che sarà possibile vedere stasera su Raitre, alle 21, nel programma La grande Storia: anche il documento cinematografico e fotografico può contenere ricerche storiche originali e dare un contributo utile per una ricostruzione accurata. L'autore, Fabio Toncelli, ha già raggiunto ottimi risultati in questa direzione con Ortona 1943. Un natale di sangue (2008) e con Liberate il Duce! (2010). ciano galeazzo CIANO GALEAZZO Il nuovo documentario, che non trascura l'uso di effetti cinematografici e la ricostruzione degli anni precedenti, si intitola Mussolini, 25 luglio 1943: la caduta, e inizia con la testimonianza di Armando Bettiol, all'epoca giovane antifascista del Partito d'Azione. Nel luglio del '43 Bettiol fece parte di una congiura - una delle tante in quei mesi - per assassinare Mussolini e Hitler durante il loro incontro (splendide le foto a colori, inedite, ritrovate in Germania) a Feltre, il 19 luglio. Bettiol, deceduto da poco, non ne aveva mai parlato in televisione e racconta che, a suo parere, l'operazione fu annullata per l'opposizione del Vaticano: la curia temeva passaggi traumatici che avrebbero favorito le forze clandestine meglio organizzate, ovvero i comunisti. Scopriamo oggi anche che dell'operazione era a conoscenza l'uomo che avrebbe sostituito il Duce alla guida del Paese: Pietro Badoglio. DINO GRANDI DINO GRANDI Il generale appare in un'altra scoperta avvenuta durante le ricerche per il documentario, un episodio che conferma il clima ambiguo di quel periodo. Pochi giorni prima del 25 luglio, a Grazzano, si incontrarono Pietro Badoglio e Rodolfo Graziani, che dopo poche settimane diventeranno acerrimi nemici. Lo scopo, ovviamente, era parlare degli scenari che si stavano preparando. Complotto dietro complotto, anche il ruolo del Vaticano appare sempre più importante. Un altro testimone che finora non aveva mai parlato o scritto, nonostante i tentativi fatti da Renzo De Felice per convincerlo, è monsignor Giovanni Catti, che nel dopoguerra fu amico e confessore di Dino Grandi, il gerarca protagonista del 25 luglio, il «grande traditore» secondo la tradizione fascista. Catti rivela che ci fu una lunghissima udienza - una mattinata intera - di Grandi con Pio XII. Il prelato non sa datarla con precisione, ma ricorda il contenuto dell'incontro, che gli ha raccontato Grandi: fuori confessione perché c'era poco da confessare, trattandosi degli argomenti più ovvi, ovvero la difficile situazione dell'Italia e come uscirne. Il documento più clamoroso e inedito sarebbe, se autentico, un manoscritto intitolato Verbale della seduta del Gran Consiglio del 25 luglio. Mussolini infatti non volle ammettere alla seduta uno stenografo. Il clima descritto nel verbale, burrascoso fino a sfiorare la rissa o addirittura la sparatoria, contraddice molti dei ricordi dei partecipanti, ma lo stesso Toncelli avanza legittimi dubbi sull'autenticità del documento. Anche i falsi, però, hanno un loro interesse: chi lo ha scritto? quando? a quale scopo? Badoglio BADOGLIO Un altro spunto di grande interesse è l'atteggiamento dei tedeschi di fronte ai preparativi per defenestrare Mussolini. Che ne fossero al corrente è fuori di dubbio, e fra l'altro viene mostrato un documento del 17 luglio in cui si avverte Himmler che Badoglio sta per sostituire il duce. Perché i tedeschi non intervennero per sostenere Mussolini? La tesi di Toncelli - avvincente ma non dimostrabile - è che Hitler, in seguito all'incontro di Feltre, considerò che la caduta di Mussolini avrebbe fatto comodo alla Germania: il documentario riporta due testimonianze secondo cui il Führer, aveva esattamente previsto (o progettato?) gli eventi che sarebbero avvenuti in Italia, dalla caduta del fascismo fino alla Repubblica di Salò. Particolarmente interessante è l'atteggiamento di Benito Mussolini. Una importante acquisizione del filmato è la registrazione integrale, ritrovata in un archivio tedesco, del discorso del duce da Radio Monaco il 18 settembre del '43, pochi giorni dopo la liberazione dal Gran Sasso. Il quadro finale, sebbene indiziario, è abbastanza chiaro: Mussolini, come più volte è stato ipotizzato, era al corrente di quanto si andava preparando, persino del ruolo che Grandi avrebbe giocato nel Gran Consiglio: ne avevano addirittura parlato. E, a questo proposito, viene riportata una testimonianza del generale Albert Kesserling. Allora perché il duce non evitò la sua caduta? Il documentario avanza l'ipotesi, sconcertante ma non nuovissima, che lo stesso Mussolini «complottasse» contro se stesso, tentando di manovrare il gioco. Vecchissimo è invece il tentativo di paragonare, nel finale, gli eventi di allora con quelli di oggi: un tentativo che non riesce mai bene se, invece di una conclusione, è un presupposto. http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/come-cadde-un-regime-mussolini-sapeva-della-congiura-contro-di-lui-e-non-fece-59831.htm

domenica 14 luglio 2013

BORSELLINO SAPEVA? - PER I PM DI CALTANISSETTA, IL MAGISTRATO FU ELIMINATO PERCHÉ STAVA INDAGANDO SUI RAPPORTI TRA STATO-MAFIA Nel luglio 1992, il pm investigava su documento scritto dall’anonimo “corvo 2” (Giuseppe De Donno?) in cui si faceva riferimento a un incontro tra Calogero Mannino e Totò Riina - Per la procura è a Subranni che, dopo l’uccisione di Salvo Lima, l’ex ministro Dc chiede aiuto per aprire un “contatto” con i boss

Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza per il "Fatto quotidiano" In piena stagione stragista, a metà giugno del ‘92, un anonimo di otto pagine scatenò fibrillazione e panico nei palazzi del potere politico-giudiziario: sosteneva che l'ex ministro dc Calogero Mannino aveva incontrato Totò Riina in una sacrestia di San Giuseppe Jato (Palermo). Una sorta di prologo della trattativa. Su quell'anonimo, si scopre oggi dai documenti prodotti dal pm Nino Di Matteo nell'aula del processo Mori, stava indagando formalmente Paolo Borsellino. Con un'indagine che il generale del Ros Antonio Subranni chiese ufficialmente di archiviare perché non meritava "l'attivazione della giustizia". PAOLO BORSELLINO CON LA MOGLIE AGNESE PAOLO BORSELLINO CON LA MOGLIE AGNESE IL DOCUMENTO dell'assegnazione del fascicolo a Borsellino e a Vittorio Aliquò, datato 8 luglio 1992, insieme alle altre note inviate tra luglio e ottobre di quell'anno, non è stato acquisito al fascicolo processuale perché il presidente del Tribunale Mario Fontana non vi ha riconosciuto una "valenza decisiva" ai fini della sentenza sulla mancata cattura di Provenzano nel ‘95, che sarà pronunciata mercoledì prossimo. paolo borsellino PAOLO BORSELLINO Ma le note sono state trasmesse alla Procura nissena impegnata nella ricostruzione dello scenario che fa da sfondo al movente della strage di via D'Amelio. In aula a Caltanissetta, infatti, nei giorni scorsi, Carmelo Canale ha raccontato che il 25 giugno 1992, Borsellino, "incuriosito dall'anonimo" volle incontrare il capitano del Ros Beppe De Donno, in un colloquio riservato alla caserma Carini, proprio per conoscere quel carabiniere che voci ricorrenti tra i suoi colleghi indicavano come il "Corvo due", ovvero l'autore della missiva di otto pagine. IL POOL ANTIMAFIA NEL A GIOVANNI FALCONE PAOLO BORSELLINO OSCAR LUIGI SCALFARO GIUSEPPE AYALA IL POOL ANTIMAFIA NEL A GIOVANNI FALCONE PAOLO BORSELLINO OSCAR LUIGI SCALFARO GIUSEPPE AYALA Quale fu il reale contenuto di quell'incontro? Per il pm, gli ufficiali del Ros, raccontando che con Borsellino quel giorno discussero solo della pista mafia-appalti , hanno sempre mentito: una bugia per negare l'esistenza della trattativa, come ha ribadito Di Matteo ieri in aula, nell'ultima replica. Tre giorni dopo, il 28 giugno, a Liliana Ferraro che gli parla dell'iniziativa avviata dal Ros con don Vito, Borsellino fa capire di sapere già tutto e dice: "Ci penso io". CALOGERO MANNINO CALOGERO MANNINO Il primo luglio ‘92, a Palermo il procuratore Pietro Giammanco firma una delega al dirigente dello Sco di Roma e al comandante del Ros dei Carabinieri per l'individuazione dell'anonimo. Il 2 luglio, Subranni gli risponde con un biglietto informale: "Caro Piero, ho piacere di darti copia del comunicato dell'Ansa sull'anonimo. La valutazione collima con quella espressa da altri organi qualificati. Buon lavoro, affettuosi saluti". Toto Riina TOTO RIINA NEL LANCIO Ansa, le "soffiate" del Corvo sono definite dai vertici investigativi "illazioni ed insinuazioni che possono solo favorire lo sviluppo di stagioni velenose e disgreganti". Come ha spiegato in aula Di Matteo, "il comandante del Ros, il giorno stesso in cui avrebbe dovuto cominciare ad indagare, dice al procuratore della Repubblica: guardate che stanno infangando Mannino". Perché Subranni tiene a far sapere subito a Giammanco che l'indagine sul Corvo 2 va stoppata? Venerdì 10 luglio ‘92 Borsellino è a Roma e incontra proprio Subranni, che il giorno dopo lo accompagna in elicottero a Salerno. Borsellino (lo riferisce il collega Diego Cavaliero) quel giorno ha l'aria "assente". Decisivo, per i pm, è proprio quell'incontro con Subranni, indicato come l'interlocutore diretto di Mannino. È a Subranni che, dopo l'uccisione di Salvo Lima, l'ex ministro Dc terrorizzato chiede aiuto per aprire un "contatto" con i boss. Il Capitano dei Carabinieri De Donno Caso Totò Riina IL CAPITANO DEI CARABINIERI DE DONNO CASO TOTÒ RIINA È allo stesso Subranni che Borsellino chiede conto e ragione di quella trattativa avviata con i capi mafiosi? No, secondo Basilio Milio, il difensore di Mori, che ieri in aula ha rilanciato: "Quell'incontro romano con Subranni e' la prova che Borsellino certamente non aveva alcun sospetto sul Ros". Nino Di Matteo NINO DI MATTEO Il 17 luglio, però, Borsellino dice alla moglie Agnese che "Subranni è punciuto". Poche ore dopo, in via D'Amelio, viene messo a tacere per sempre. Nell'autunno successivo, il 3 ottobre, il comandante del Ros torna a scrivere all'aggiunto Aliquò, rimasto solo ad indagare sull'anonimo: "Mi permetto di proporre - lo dico responsabilmente - che la signoria vostra archivi immediatamente il tutto ai sensi della normativa vigente". http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/borsellino-sapeva-per-i-pm-di-caltanissetta-il-magistrato-fu-eliminato-perch-stava-indagando-59426.htm

venerdì 12 luglio 2013

SOLDI, SANGUE E SESSO: UN RICATTO A MARCINKUS DIETRO LA MORTE DI JEANETTE DE ROTHSCHILD? Marco Fassoni Accetti, la “gola profonda” del caso-Orlandi, riapre il giallo della morte di Jeanette : “Doveva accusare il presidente dello Ior di molestie sessuali” - La splendida baronessa ingaggiata dai servizi dell'Est per rovinare Marcinkus e fermare il fiume di denaro dallo Ior a Solidarnosc?...

Da "Corriere.it" Era una splendida donna dal sorriso dolcissimo e di 40 anni appena compiuti quando - il 29 novembre 1980 - sparì in una tormenta di neve. Per l'aristocrazia e l'alta finanza fu uno choc : lei, la baronessa Jeanette de Rothschild, ricca, invidiata, invitata in ogni salotto. Nata a Londra da famiglia borghese, doveva il suo blasone alle nozze celebrate poco più che ventenne con Evelyn de Rothschild, rampollo della dinastia di banchieri. JJEANETTE DE ROTHSCHILDEANETTE Ma anche dopo il divorzio (seguito da un buon secondo matrimonio con l'imprenditore Stephen May) l'ex baronessa non aveva perso né fascino né contatti col bel mondo: frequentava le aste da Christie's, collezionava oggetti d'arte, viaggiava. Fino alla tragedia, che inghiottì lei e un'amica: circa un anno dopo - il 27 gennaio 1982 - gli scheletri calcificati della nobildonna e della sua segretaria Gabriella Guerin furono trovati sui monti del maceratese. Un giallo d'alto bordo su cui la giustizia si era arresa da tempo. Ma che adesso, 32 anni dopo, torna d'attualità. È dall'ininterrotto flusso di autoaccuse, rivelazioni, riscontri, indizi e mezze verità consegnato alla Procura da Marco Fassoni Accetti, il fotografo indagato per i sequestri di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, che si apre questo inaspettato squarcio su un altro torbido mistero del secolo scorso. La connessione tra ciò che il superteste riferisce e la fine della baronessa Rothschild non è diretta: «Il gruppo di laici e religiosi di cui facevo parte, che nell'83 si rese responsabile del sequestro simulato delle due quindicenni - ha messo a verbale l'indagato davanti al procuratore aggiunto, Giancarlo Capaldo - in realtà era operativo da tempo. Iniziammo collocando microspie nell'auto di qualche monsignore e captando informazioni coperte dal Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa. Il nostro principale obiettivo era salvaguardare il dialogo tra Santa Sede e Paesi dell'Est e quindi contrastare la politica anticomunista del papa polacco, basata sui fondi inviati dallo Ior a Solidarnosc». JEANETTE DE ROTHSCHILD ELLEN DOROTHY JEANNETTE BISHOP Questa la premessa: è dunque sulla banca vaticana che il «nucleo di controspionaggio», agendo per conto di religiosi dissidenti con il supporto di qualche elemento deviato dei servizi segreti, punta gli occhi già a fine anni '70. E proprio qui, nel lungo racconto, entra in gioco la sfortunata Jeanette. «Per defenestrare il presidente dello Ior Marcinkus, di cui si conoscevano le debolezze - ha detto Accetti - pensammo d'indurre donne altolocate ad accusarlo di molestie. Una di questa fu la baronessa Rothschild, da noi scelta per i legami d'interesse tra la dinastia e gli ambienti vaticani, nonché per la sua conoscenza personale, rafforzata dalla comune passione per l'araldica, del delegato nel Regno Unito, monsignor Bruno Heim, a noi vicino». Ecco: la ricostruzione, collocata tra il 1979 e l'80, arriva a questo punto. Accetti, se non mente, altro non dice o non sa. Lasciando in sospeso alcune domande. La prima: la baronessa frequentò o no Marcinkus nel torrione dello Ior o nei salotti del potere romano e vaticano, affumicati dall'acre odore del suo sigaro? Secondo punto, cruciale: lo accusò realmente di avances? JEANETTE DE ROTHSCHILD ELLEN DOROTHY JEANNETTE BISHOP E ancora: la scomparsa di Jeanette, avvenuta mentre era nelle Marche con la sua amica per occuparsi di una tenuta, fu forse conseguenza della guerra di potere in corso all'ombra del Cupolone? D'altronde, che la falsa testimonianza della nobildonna ci sia stata o no, non si può escludere che le sole voci di un ricatto sessuale ai danni di Marcinkus possano aver suscitato l'esigenza di «tacitare» tutto. BARONESSA B Nella prima fase dell'inchiesta si parlò di assideramento delle donne durante una passeggiata sotto la neve. Poi le perizie non esclusero il duplice omicidio, ma la magistratura non riuscì a venirne a capo e nell'87 il caso fu archiviato. Oggi, a scanso di equivoci, Marco Accetti in sede d'interrogatorio insiste: «Quando sapemmo della scomparsa della baronessa, pensammo che fosse stata un'operazione della parte a noi avversa, che a sua volta sospettò di noi. Un fatto è certo: il mio gruppo era completamente estraneo». Giallo riaperto, insomma: le concatenazioni del caso Orlandi-Gregori, e tutto ciò che sembrano aver tenuto sotto traccia per oltre tre decenni, non smettono di stupire. http://www.dagospia.com/rubrica-29/Cronache/soldi-sangue-e-sesso-un-ricatto-a-marcinkus-dietro-la-morte-di-jeanette-de-59370.htm

domenica 7 luglio 2013

USCIRE DALL’EURO SI PUÒ: L’ECONOMISTA CHE SPIEGA COME LA GRECIA SI SALVERÀ SENZA MONETA UNICA (E L’ITALIA?) McLeod: “Si può evitare il caos e disporre un’uscita ordinata, con la banca centrale greca che per tre anni ricompra gli euro e restituisce dracme” - Stessa ipotesi per il Portogallo, che ha fatto i compiti della troika, ha i conti a posto e si interroga se ha senso essere poveri per arricchire la Germania…

Ugo Bertone per "Libero" EURO CRAC Uscire dall'euro? Se ne può parlare, finalmente. Proprio quando, grazie all'azione di Mario Draghi (e a gli sforzi dei popoli della cosiddetta «periferia d'Europa») scende la febbre attorno alla moneta unica, il tema della possibile uscita abbandona il girone dell'inferno dei tabù e conquista tribune di tutto rispetto, come «Barron's», il più autorevole magazine finanziario americano, che fa parte del gruppo di The Wall Street Journal. EURO SI SCIOGLIE Il settimanale ospita infatti un lungo intervento di Ross McLeod (ripreso anche sul sito del Wsj), associato dell'Australian University Crawford School dal titolo esplicito: «Come lasciare l'euro». L'ipotesi di un'uscita, attacca McLeod, è associata alla paura di dover affrontare una fase transitoria in cui gli euro potrebbero esser confiscati e sostituiti d'imperio da una moneta nazionale di valore incerto, con la conseguenza di scatenare anni di caos, liti in tribunale o peggio. POVERTA AD ATENE Ma tutto questo, obietta l'autore, si può evitare. La Grecia, il Paese preso come esempio, potrebbe reintrodurre una moneta nazionale lasciando al mercato il compito di fissarne il valore. La banca centrale dovrebbe dichiarare la propria disponibilità a comprare euro da banche e privati utilizzando le nuove dracme. Il processo dovrebbe essere volontario ma, dopo un periodo di transizione, le transazioni col settore pubblico dovranno avvenire solo in dracme. POVERTA AD ATENE Ma il tasso di cambio? La banca centrale ne fisserà uno iniziale, senza promesse sul tasso futuro. Semmai stabilirà la durata della transizione (tre anni) e la quantità di euro che s'impegna a comprare. Una volta che il sistema supererà la fase di rodaggio e ci sarà una " . quantità sufficiente di nuova moneta, la banca centrale potrà recuperare appieno i poteri di signoraggio della moneta. ANGELA MERKEL E SAMARAS Con quali vantaggi per Atene? Mc Leod sottolinea che la ritrovata indipendenza monetaria non risolverà di per sé i guai della Grecia. «Anni di finanza pubblica irresponsabile e di omessi controlli nei confronti del sistema bancario non si cancellano ripudiando l'euro», ammonisce il professore, che vanta una lunga esperienza in materia di crisi, per aver operato in Indonesia come esperto del Fondo Monetario negli anni più duri dell'emergenza asiatica. Ma quel che conta, conclude, «è capire che l'uscita dall'euro non equivale ad una condanna all'inferno: un passo indietro con ordine e senza far drammi è possibile». MERKEL SAMARAS Che valore attribuire alle tesi del professor McLeod? Agli esperti l'ardua sentenza. Merita però segnalare che la novità dell'articolo cade in un clima nuovo nella cosiddetta «periferia» d'Europa, stremata dai tagli ai consumi, ma con un orgoglio e un'autostima nuovi. CRISI IN PORTOGALLO Prendiamo il Portogallo, che nel 2008 accusava un disavanzo delle partite correnti del 13% del Pil e quest'anno sarà in surplus dell'1 e l'anno prossimo, secondo Citibank, del 3, poco sotto alla Germania. Per ottenere questo risultato, Lisbona ha sopportato sacrifici e penitenza. Ma alla fine, messo a posto il saldo delle partite correnti grazie al crollo dei consumi e all'aumento dell'export, è quasi in regola, ovvero quasi pronto dal fornire la garanzia che preme a Berlino: stare in piedi senza far correre il rischio ai tedeschi di prestare un solo quattrino. CRISI PROTESTE IN PORTOGALLO Ma, una volta giunti a quel punto, gli ex poveri potrebbero chiedersi che senso può avere l'appartenenza all'euro, moneta che mette al riparo la Germania dal rischio competitivo di altre economie. In fin dei conti, si può puntare al grande accordo di libero scambio con gli Usa anche senza euro. VITOR GASPAR Si chiede nella sua nota settimanale Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos: «È possibile che la fine dell'euro, se mai ci sarà, non avvenga con un cataclisma, come si è sempre pensato, ma con l'uscita silenziosa di qualcuno che i compiti li ha fatti quasi tutti e che a un passo dal traguardo, per misteriose ragioni, decide di andarsene? Il Portogallo, questa settimana, l'ha fatto pensare». ARIO DRAGHI E CHRISTINE LAGARDEE CF FC E DF C A D 2. COME SI ESCE DALL'EURO - ABBANDONARE LA MONETA UNICA NON DEVE NECESSARIAMENTE DIVENTARE UN INFERNO. Ross Mcleod, traduzione di Henry Tougha per http://vocidallestero.blogspot.it/ L'Eurozona di questi tempi è piena di paesi duramente colpiti e in modo quasi isterico viene accolta l'idea che la miglior strada da percorrere per questi paesi sia di andarsene dal blocco monetario. La grande paura è che reintroducendo una valuta nazionale un certo paese abbia da ridenominare forzatamente gli asset privati e i debiti. Per aziende, famiglie ed investitori, l'incertezza sul fatto che le loro somme in euro potrebbero essere confiscate e rimpiazzate con una moneta nazionale svalutata può portare a fughe di capitali, caos economico e anni di contenziosi, se non peggio. Ma c'è un'alternativa alla ridenominazione forzata. La Grecia, o qualsiasi altro paese nell'Eurozona, potrebbe facilmente reintrodurre una moneta nazionale senza generare quei disastri economici e finanziari che sono stati prefigurati fino ad ora - a patto che segua il meccanismo giusto. LA TELEVISIONE PUBBLICA GRECA ERT Il punto chiave è fissare la quantità iniziale della nuova valuta da emettere, mentre si permette al mercato di stabilire il prezzo al quale essa viene cambiata. In questo scenario, la banca centrale annuncia che è disposta ad acquistare euro dalle banche nazionali, i cittadini greci o chiunque altro, utilizzando le dracme appena emesse per il pagamento. Tutte queste transazioni dovrebbero avvenire durante uno specifico periodo di transizione e dovrebbero essere totalmente volontarie. Cioè non si dovrebbe esercitare nessuna confisca. Finito il periodo di transizione, il Governo greco dovrebbe utilizzare solo dracme nelle sue transazioni finanziarie quotidiane. Nessuno dovrà essere costretto ad usare le dracme, ma coloro che vogliono effettuare transazioni con il Governo ne avranno bisogno. BANCA CENTRALE GRECA All'inizio del periodo di transizione, la Banca Centrale deve annunciare il tasso di cambio iniziale al quale le dracme vengono scambiate con gli Euro, ma non deve fare nessuna promessa esplicita su come il tasso di cambio evolverà in futuro. Il tasso iniziale può essere totalmente arbitrario, così come il nome della nuova moneta. CRISI ECONOMICA GRECA LATUFF Ma supponiamo che si tengano lo stesso nome e scelgano, diciamo, 360 dracme per euro, cioè un valore vicino al tasso di cambio col quale la Grecia aveva adottato l'euro e che, assieme al vecchio nome, darebbe alla nuova moneta un senso di familiarità. In termini economici, comunque, il tasso di cambio iniziale è quasi irrilevante. La Banca Centrale dovrebbe inoltre assicurare l'emissione di una quantità prefissata di dracme durante il periodo di transizione. Questa quantità, nel nostro esempio, sarebbe 360 volte la stima dela Banca Centrale sulla liquidità posseduta dai residenti greci e nei depositi delle banche operanti in Grecia - vale a dire grosso modo la quantità di moneta circolante in Grecia. CRISI GRECA La Banca Centrale deve anche fissare la durata del periodo di transizione. Per esempio se fosse fissato a tre anni, ovvero 36 mesi, allora la Banca Centrale dovrebbe annunciare che la vendita mensile di dracme per euro sarà pari ad almeno un trentaseiesimo della quantità totale da emettere durante il periodo di transizione. La quantità mensile potrebbe eventualmente essere maggiore se la domanda fosse abbastanza forte - cioè se la gente acquistasse rapidamente fiducia nella nuova moneta. POLIZIA GRECA SCHIERATA DAVANTI AL PARLAMENTO DI ATENE Il prezzo offerto per gli euro dovrà essere aggiustato giornalmente per stimolare un flusso sufficiente di vendite di euro verso la Banca Centrale. Le vendite durante il primo giorno potrebbero facilmente essere a zero. Ma nel momento in cui il prezzo di acquisto aumenta, gradualmente le persone sarebbero più disposte a tentare la scommessa. BARROSO Alla fine risulterebbe fissato un prezzo al quale corrispondesse una significativa domanda di nuove dracme. La gente si assumerebbe il rischio di un aumento del prezzo degli euro in futuro - cioè che la nuova dracma si svaluti. D'altro canto c'è anche la possibilità che la dracma si rivaluti, nel qual caso la mancata vendita del proprio stock di euro implicherebbe la rinuncia ad un guadagno speculativo. C'è sempre qualcuno disposto ad assumersi questi rischi, se il prezzo è adeguato. BANCA CENTRALE EUROPEA EURO NELLA POZZANGHERA Una volta che tale prezzo sia trovato, il flusso di dracme verso la cittadinanza e le banche sarebbe grossomodo pari alla quantità minima prevista. Quando la gente inizia a capire che altri operatori e istituzioni finanziarie sono anche disposti ad assumersi il rischio di comprare questi nuovo asset finanziario - il cui valore futuro può soltanto essere indovinato - sempre più persone saranno disposte ad assumersi il rischio. Potrebbe tranquillamente esserci una domanda forte a tal punto che il prezzo offerto per comprare gli euro alla fine si riduca. Davvero non ha importanza dove alla fine si posizionerà il tasso di cambio. La Banca Centrale prende semplicemente qualcosa (euro) in cambio di nulla (pezzi di metallo o carta con l'etichetta "dracma"). Ciò è noto come signoraggio. BANCA_CENTRALE_EUROPEA Una volta che ci siano sufficienti dracme in circolazione, al fianco dello "sportello della dracma" creato dalla Banca Centrale si formerebbe un mercato valutario per scambiare dracme con euro, e questo potrebbe alla fine prendere il sopravvento. A quel punto la Grecia si troverebbe nella condizione di avere una politica monetaria nuovamente indipendente - nel bene e nel male. Il ritorno alla dracma non risolverebbe tutti i problemi della Grecia. Le conseguenze di anni di politiche fiscali irresponsabili, cattive politiche microeconomiche e inadeguata vigilanza sulle banche commerciali non si riaggiustano solamente reintroducendo una moneta nazionale. Ma è comunque importante capire che abbandonare l'euro non scatenerebbe l'inferno sulla Grecia. Una soluzione ordinata, basata sul mercato, è disponibile se e quando si prenderà la decisione di "accendere la miccia". http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/uscire-dalleuro-si-pu-leconomista-che-spiega-come-la-grecia-si-salver-senza-moneta-59024.htm

mercoledì 3 luglio 2013

I RICATTI DI RIINA - TOTÒ U’ CURTU CONTINUA A MANDARE “PIZZINI” ALLA POLITICA PER RICORDARE CHE LUI SA E PUÒ PARLARE - QUANTO COSTA IL SUO SILENZIO? Totò u’ curtu continua a dipingersi come vittima dello Stato e manda avvertimenti, per far capire che lui sa tutto sulle stragi e che il suo silenzio ha un prezzo - In passato elogiò Schifani poi se la prese con Berlusconi, poi attaccò “i comunisti” e ora dice di essere stato “di area andreottiana”…

Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizzo per "il Fatto Quotidiano" TOTO RIINA A farlo parlare provò, il 22 aprile del '96, il capo della Direzione Nazionale Antimafia Pierluigi Vigna, accompagnato dal suo vice Piero Grasso. Ma "Totò ‘u curtu", scuotendo la testa, lo raggelò: "Parlare? Dottore, la prego, si fermi qui, non la pronunci neanche quella parola. Voi sbagliate persona". Si è sempre proposto come il più fedele apostolo dell'omertà. Eppure Riina Salvatore, classe 1930, da Corleone, una decina di ergastoli sulle spalle (compresi quelli per Capaci, via D'Amelio e le stragi del ‘93), negli ultimi vent'anni passati tra l'isolamento del 41-bis e le aule giudiziarie di tutta Italia, di parole ne ha spese tante. Per ribadire, sostanzialmente, sempre lo stesso concetto: "La verità è che allo Stato io servo come parafulmine, perché tutto quello che è successo in Italia alla fine si imputa a Riina". RENATO SCHIFANI L'ossessione del Capo dei Capi, insomma, è una sola: quella di essere un capro espiatorio, una vittima sacrificale di oscuri patti tra politica e magistratura che, come il boss ha spiegato agli agenti del Gom, costituiscono "la vera mafia: si sono coperti tra loro e scaricano ogni responsabilità sui mafiosi". La sua teoria è che i pentiti "dicono fandonie e si prendono per mano", ovvero concordano le loro deposizioni, come dichiarò fresco di cattura il 9 marzo del '93 nell'aula bunker dell'Ucciardone. FALCONE BORSELLINO In quell'occasione venne zittito dall'allora pm Vittorio Teresi. Ma un anno dopo, a Reggio Calabria, nel processo per l'uccisione del giudice Antonino Scopelliti, il superboss alzò il tiro verso il governo e lo mise in guardia dal "giustizialismo di sinistra": "Io dico che un governo vale l'altro. Ma c'è sempre il partito. Sono i comunisti che portano avanti queste cose: il signor Violante, il signor Caselli da Palermo. C'è tutta una combriccola... loro portano avanti queste cose. Il governo si deve guardare da questi attacchi comunisti". La politica è la sua mania. E ai politici sono rivolti quasi sempre i messaggi dello ‘zu Totò dal carcere. Pochi giorni fa si è professato "di area andreottiana", eppure il 10 giugno 2008, durante un colloquio in carcere con moglie e figlia, confidò la sua ammirazione per l'allora presidente del Senato: "Schifani è una mente". GIANCARLO CASELLI E PIERO GRASSO Nel luglio 2010, intercettato in carcere con il figlio, si abbandonò invece a uno sfogo di natura opposta: "Berlusconi, che ci credo poco e niente, la vita che faccio con questo... io mangio come un pazzo e metto su chili". Pillole di veleno. Che siano foriere di ricatti oppure di minacce, le parole del Capo dei Capi hanno sempre un significato doppio e usano i codici mafiosi, mescolando abilmente verità e menzogna. Come quando, nell'estate 2009, incaricò il suo avvocato Luca Cianferoni di divulgare il suo pensiero sullo stragismo. "L'ammazzarono loro", disse, parlando di Paolo Borsellino. E poi - riferendosi agli uomini dello Stato - aggiunse: "Non guardate sempre e solo me, guardatevi dentro anche voi". Da allora il leitmotiv del Riina-pensiero è tutto qui: tirarsi fuori dalla carneficina delle stragi e lanciare avvertimenti, per far capire a chi di dovere che lui sa tutto di quel periodo, che se volesse potrebbe parlare, e che il suo preziosissimo silenzio ha sempre un prezzo. SILVIO BERLUSCONI CON ALFANO E SCHIFANIQATIPM X Ma quale? Il 10 marzo 2009, a Firenze, nel processo per la mancata strage dell'Olimpico, il superboss si scatenò: "Nel processo Falcone c'è un aereo nel cielo che vola mentre scoppia la bomba: questo aereo non si può trovare di chi è, e così si condanna Riina perché fa comodo. E il processo Borsellino? Lì sul monte Pellegrino c'è l'hotel con i servizi segreti, quando scoppia la bomba i servizi scompaiono, però non vengono mai citati perché si condanna Riina, perché l'Italia è combinata così". Il boss, però, volle far sapere che non ci stava, e da capo dell'Antistato si paragonò all'inquilino del più alto Colle: "Signor Presidente, lei ricorda quando Scalfaro disse ‘Non ci sto', io ora devo dire lo stesso: non ci sto, non ci sto a queste condanne così, queste sono condanne di Stato fatte a tavolino". Qualche tempo fa, dopo un'ennesima condanna all'ergastolo, Riina in carcere è sbottato: "Questi vogliono farmi morire, ma sarò io a far morire loro". E come? L'unica arma di un vecchio boss detenuto è la parola. Proprio quella che lui utilizza con un sapiente dosaggio di messaggi, anche nei confronti dei "servizi": "Non ho mai sentito parlare dell'esistenza del signor Franco o del signor Carlo - ha dettato a verbale ai pm nisseni -. Io gliel'ho detto: mi chiamo Riina... Riina... questo è Riina, accetta Riina per quello che è...". http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/i-ricatti-di-riina-tot-u-curtu-continua-a-mandare-pizzini-alla-politica-per-58815.htm

IOR NAME IS 007: DA MARCINKUS A SCARANO, GLI INTRECCI TRA SERVIZI, MASSONI E VATICANO - L’inchiesta su monsignor 500 euro è l’ultimo di una lunga serie di misteri che vedono intrecci tra servizi segreti italiani, Vaticano e massoneria - La morte di Papa Luciani, che voleva riformare lo Ior, e quello scazzo con Villot - Il caso di Emanuela Orlandi… - -

Marco Mostallino per Lettera43.it PAUL MARCINKUS MARCINKUS Tonache, barbe finte e grembiulini. La vicenda dell'Istituto opere religiose (Ior), la banca vaticana i cui vertici sono stati indotti alle dimissioni, si intreccia da 40 anni con gli affari e le manovre di monsignori, agenti segreti più o meno deviati, massoni e piduisti. MONSIGNORI E MASSONI Massone era monsignor Paul Markincus, presidente dello Ior tra il 1971 e il 1989, coinvolto negli scandali del Banco Ambrosiano e nelle misteriose morti di Michele Sindona e Roberto Calvi. Massone era anche monsignor Jean Villot, potente segretario di Stato all'epoca di Paolo VI e protagonista di un duro scontro sugli assetti della banca con Albino Luciani, il pontefice che intendeva rivoluzionare l'Istituto ma che morì prima di poter mettere mano alle riforme. GELLI-CALVI-SINDONA-MARCINKUS IL CASO SCARANO E membri dei servizi segreti italiani erano - o forse sono ancora - il prefetto Francesco La Motta, incarcerato il 28 giugno scorso per il furto di fondi del Viminale passati sui conti Ior, e Giovanni Zito, il carabiniere fermato con l'accusa di aver fatto da spallone tra l'Italia e la Svizzera per muovere i quattrini di Nunzio Scarano, il vescovo arrestato proprio per i traffici di decine di milioni movimentati attraverso i canali riservati della banca vaticana. SCARANO B Marcinkus guidò lo Ior, coltivandone i legami con Calvi, Sindona e il capo della P2 Licio Gelli, fino a quando nel 1987 la magistratura italiana ne ordinò l'arresto per gli intrighi dell'Ambrosiano. Il monsignore massone trovò rifugio per quasi 10 anni prima tra le mura della Santa Sede, che non lo consegnò mai alla giustizia, poi di una piccola parrocchia statunitense, dove morì nel 1997 senza che l'allora papa, Giovanni Paolo II, aprisse mai i segreti della Chiesa agli investigatori italiani. Chi cercò di ripulire le istituzioni vaticane da imbrogli e malaffare fu Albino Luciani. Prima, nel 1972, da patriarca di Venezia, quando si recò in Vaticano per contrastare la decisione di Marcinkus di acquisire due banche venete legate al mondo cattolico. Poi, nel 1978, da papa. NUNZIO SCARANO VESCOVO LA MANO DI JEAN VILLOT Non vi riuscì, poiché il capo dello Ior godeva della piena protezione del segretario di Stato dell'epoca, il cardinale Jean Villot. Il porporato francese era un uomo abile, scaltro, determinato e spregiudicato, messo a capo del governo della Santa Sede nel 1969 da Paolo VI. Membro della massoneria, conservò la carica anche con Luciani, l'uomo che appena eletto pontefice - come confessò egli stesso ai suoi collaboratori fatti giungere a Roma dal Veneto - si trovò subito attorno la terra bruciata creata dalla Curia vaticana. PAPA GIOVANNI PAOLO II 0002 LUCIANI E QUELLA MORTE SOSPETTA Luciani era un uomo limpido e determinato: «Desidero che siano i vescovi e cardinali, con una loro rappresentanza, a decidere cosa fare dello Ior. Chiedo che le sue azioni siano tutte lecite e pulite e consone con lo spirito evangelico», disse. Prima di aggiungere, riferendosi a Marcinkus pur senza farne il nome, che «il presidente dello Ior deve essere sostituito, nel rispetto della persona: un vescovo non può presiedere e governare una banca». Ma accadde esattamente il contrario. A essere sostituito, dopo 33 giorni di pontificato, fu il papa. E a causa di morte. Taluni ipotizzarono che quel «rispetto della persona» non fu garantito a Luciani: il decesso venne classificato per cause naturali, ma nessuna autopsia fu mai eseguita. PAPA LUCIANI Tra le mani, il papa morto teneva alcune carte - notizia che il Vaticano sulle prime nascose - con appunti su un duro colloquio avvenuto poche ore prima con Villot, al quale aveva comunicato di voler cambiare i vertici dello Ior e di alcuni ministeri della Santa Sede, ricevendo in cambio il parere fortemente negativo dell'allora segretario di Stato. I SERVIZI SEGRETI ITALIANI, TRA IOR E CRIMINALITÀ Nelle vicende dello Ior, dell'Ambrosiano e nelle misteriose morti a esse legate i servizi segreti italiani spuntano spesso e volentieri.
L'ombra degli 007 è calata sugli omicidi di Calvi e Sindona mentre, secondo alcune testimonianze, gli agenti italiani avrebbero svolto ruoli di mediazione tra i porporati e la banda della Magliana nel rapimento di Emanuela Orlandi. CARLO CALVI CON LA MADRE E MICHELE E RINA SINDONA ALLE BAHAMAS Ed è accertato da diverse indagini che uffici dello spionaggio italiano hanno spesso utilizzato conti coperti dello Ior per spostare soldi in maniera riservata. Le ultime due inchieste romane hanno poi rivelato che uomini dei servizi sono pesantemente coinvolti nei traffici illeciti che avvengono tramite la banca vaticana. CALVI GLI EX AISI LA MOTTA E ZITO. Il prefetto La Motta, arrestato pochi giorni fa, prima di essere trasferito al Viminale è stato vicedirettore dell'Aisi, il servizio segreto per la sicurezza interna (una dalle agenzie che hanno sostituito Sismi e Sisde, i cui nomi erano diventati impronunciabili). Anche l'uomo accusato di aver trasportato i soldi di monsignor Scarano, il sottufficiale dei carabinieri Giovanni Zito, aveva lavorato per l'Aisi per poi tornare in forza all'Arma. EMANUELA ORLANDI Ma uno 007 è un po' come un prete: la sua scelta vocazionale lo accompagna per tutta la vita e le indagini di questi giorni dimostrano che i film di James Bond in fondo portano con sé una morale veritiera: quando indossi una barba finta, è difficile poi che qualche pelo, magari proprio dei più sporchi, non ti resti addosso per sempre. http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/ior-name-is-007-da-marcinkus-a-scarano-gli-intrecci-tra-servizi-massoni-e-58803.htm

martedì 2 luglio 2013

Chi comanda in Italia? Ce lo dice lo storico Giulio Sapelli

di Michael Pontrelli Commenta Invia Mai come in questo difficile e confuso momento storico è stato difficile capire chi davvero detiene il potere nel nostro Paese. Ci ha provato nel suo ultimo saggio Chi comanda in Italia, edito da Guerini e Associati, Giulio Sapelli, uno dei più autorevoli storici italiani. Lo abbiamo sentito per farci raccontare la sua visione delle cose. Professore iniziamo proprio dal titolo del suo ultimo saggio: chi comanda in Italia? “L’Italia di oggi è un paese devertebrato ovvero un paese in cui il potere si è disgregato. I partiti e le grandi imprese di fatto non esistono più. In passato in circostanze simili sarebbero intervenuti i militari. Oggi questo non è più possibile e il potere è stato occupato dall’alta burocrazia e dalla magistratura”. Non è eccessivo dire che i partiti non esistono più? A me sembra che siano più potenti che mai e un altro libro che parla di potere, l’intervista di Madron a Bisignani, conferma questo quadro. “Quello di Bisignani è sostanzialmente un libro che manda dei segnali mafiosi. Un volume scritto per dire che può ricattare tutti. I partiti di oggi sono dei semplici comitati d’affari che perseguono interessi personali e lobbistici ma che di fatto non esercitano più un potere reale”. Quindi mi sta dicendo che anche un personaggio del calibro di Silvio Berlusconi non ha potere? “Berlusconi è potente ma non ha alleanze. E’ un uomo anti-establishment. Appena ha tirato su la testa per entrare nel salotto buono lo hanno massacrato. E’ vero che ha fatto di tutto per farsi massacrare però i miliardi spesi per intercettarlo credo siano un record mondiale”. Secondo non pochi osservatori l’Italia sarebbe un paese a sovranità limitata ovvero sia il governo Monti che quello Letta in realtà prenderebbero ordini dall’Unione europea o peggio ancora da Berlino. Fantasie o realtà? “Purtroppo la mancanza di una vera sovranità nazionale è una costante del nostro paese. L’Italia è stata una costruzione geografica messa assieme dalla diplomazia inglese per contrastare il dominio francese nel Mediterraneo. Garibaldi, per esempio, venne assoldato direttamente dagli inglesi tramite la massoneria di rito scozzese. La realtà è che non abbiamo mai avuto la nostra autonomia nazionale e la nostra storia va sempre interpretata nell’ambito dei conflitti di potere internazionali”. Mi scusi ma qui stiamo parlando del 1800. Da allora sono cambiate tantissime cose. “Se vuole degli esempi più recenti posso citarle lo smantellamento di alcuni settori industriali italiani voluti da potenze straniere come l’informatica, dove eravamo leader con l’Olivetti, e il nucleare con lo scandalo Ippolito. Per non parlare poi della chimica fine e delle privatizzazioni di Prodi con cui sono state svendute e chiuse intere filiere merceologiche”. E in questo momento? Cosa sta succedendo? “Che Francia e Germania stanno imponendo il loro potere su tutta l’Europa compresa l’Italia. Se ancora ci sono delle resistenze dobbiamo ringraziare gli Stati Uniti. Gli americani non vogliono che l’Italia cada completamente nelle mani dei tedeschi e dei francesi per il semplice motivo che sul nostro territorio hanno le loro basi militari. Fino a quando gli aerei americani partiranno dai nostri aeroporti siamo in buone mani. E’ meglio stare con gli Stati Uniti che non sotto il tallone dei tedeschi”. Prima lei accennava al ruolo della massoneria nel processo di unificazione però non l’ha citata tra i poteri che oggi comandando in Italia. “Oggi la massoneria non ha più il peso di una volta. I grandi intellettuali, come era per esempio Spadolini, l’hanno abbandonata. Alcuni sono morti, altri si sono messi in sonno. La degenerazione di Gelli le ha dato un colpo terribile. Esiste ancora una buona massoneria patriottica raccolta attorno al rito scozzese ma, ripeto, non conta più come prima”. Tornando all’aspetto internazionale, lei ha parlato di un potere franco-tedesco che domina in Europa a cui si oppongono gli Usa. Questa visione presuppone un ruolo molto importante dei singoli Stati e smentisce quanti affermano che il potere del mondo ormai non sarebbe più nelle mani della politica ma in quelle dei grandi gruppi finanziari transazionali. “Le banche hanno sicuramente un enorme peso ma allo stesso tempo hanno anche un forte legame con gli Stati nazionali. Se la Deutsche Bank non avesse delle relazioni strette con il governo tedesco avrebbe già fatto una brutta fine come le banche americane. L’oligopolio finanziario mondiale condiziona gli Stati ma ha anche bisogno di loro. Il quadro è più complesso di quanto possa apparire”.01 luglio 2013 http://notizie.tiscali.it/articoli/interviste/13/07/interviste_sapelli_potere_in_italia.html?fb_action_ids=10200133422326999&fb_action_types=og.recommends&fb_source=other_multiline&action_object_map=%7B%2210200133422326999%22%3A178832382291607%7D&action_type_map=%7B%2210200133422326999%22%3A%22og.recommends%22%7D&action_ref_map=%5B%5D