giovedì 16 giugno 2016

Perchè Ford, GM e Esso armarono Hitler?



Sì, ma gli stessi statunitensi ci hanno liberati nel 45!”  Quante volte, l’ho sentito! Sui banchi di scuola. Ma anche nei dibattiti sulle guerre attuali degli USA.  40-45, la sola ‘buona’ guerra USA? Forse.  Qualche fatto sconcertante è stato documentato in un eccellente libro dello storico Jacques Pauwels (1).
I Suoi documenti irrefutabili provano che una grande parte delle società USA ha accuratamente collaborato con Hitler, e non solo all’inizio della guerra: Du Pont, Union Carbide, Westinghouse, General Electric, Goodrich, Singer, Kodak, ITT, JP Morgan…  Peggio. La grande novità strategica di Hitler, fu la “Blitzkrieg“, la guerra-lampo: portare assai velocemente le sue truppe nel cuore dell’avversario. Perciò, due condizioni indispensabili: camion e benzina. La Germania non aveva nessuno dei due, fu l’Esso che fornì la benzina, mentre i camion provenivano dalle officine tedesche della Ford e General Motors. “Che questa guerra duri il più a lungo possibile!
Pauwels mostra che:
1. Una grande parte del padronato USA era pro-Hitler negli anni ’30 e ’40.
2. Ciò non mutò che al momento in cui le vendite delle aziende USA furono messe in pericolo dall’aggressività commerciale tedesca negli USA America latina e altrove. E dalle occupazioni giapponesi che confiscavano tutto il commercio in Asia.
Infatti, gli USA facevano il doppio gioco. Desideravano che la guerra durasse per molto tempo. Perché? Da un lato, gli enormi profitti che le loro società realizzavano in Germania erano in crescita. Dall’altro lato, si arricchivano facendo prestiti alla Gran Bretagna che sopportava tutto il peso finanziario della guerra.
Washington poneva, d’altronde come condizione che Londra abbandonasse le sue colonie dopo la guerra. Cosa che fu fatta. Gli USA riuscirono a approfittare della Seconda Guerra mondiale per indebolire i propri rivali e divenire la sola superpotenza capitalista.
Henry Ford: “Né gli Alleati, né l’Asse devono vincere la guerra. Gli USA dovranno fornire ai due campi i mezzi per continuare a battersi fino all’annientamento di tutte e due.
Il futuro presidente Harry Truman, 1941: “Se la Germania vince, dobbiamo aiutare la Russia e se la Russia vince, dobbiamo aiutare la Germania, affinché otteniamo il massimo vantaggio da entrambi.
Tale gioco cinico non cessò che quando l’URSS iniziò a battere Hitler. Solo allora, gli USA si precipitarono per salvare i loro interessi in Europa.
Domani 6 giugno, si farà come se la guerre sia stata vinta in Normandia e non a Stalingrado. Non si dirà che Hitler perse il 90% dei suoi soldati all’Est. Che per ogni soldato USA ucciso, Ce ne furono 53 sovietici. I manuali scolastici sono a volte bizzarri, no? Ecco, desolato di avervi dissipato l’ultima vostra illusione. Domani, 6 giugno, potrete pensare a tutto ciò quando su una spiaggia normanna, si festeggerà George Bush mentre suo nonno finanziò Hitler. In quale mondo viviamo?
PS. Se siete storici, se rifiutate miti, tabù, segreti della storia ufficiale, o se conoscete tali storici, scriveteci. Il nostro sito in costruzione farà conoscere, ben presto, “l’Altra Storia”…
(1). Pubblicato in olandese con il “Il mito della guerra buona (l’America e la Seconda Guerra mondiale)” EPO 2000. La versione francese uscirà presto. Da raccomandare, è anche pieno di rivelazioni su Roosevelt, Truman, la minaccia d’invadere l’URSS, il recupero delle spie e dei criminali nazisti, Churchill, De Gaulle, Yalta… (In Italia “Il mito della guerra buona” di Jacques Pauwels è pubblicato da Datanews. NdT)
Traduzione di Alessandro Lattanzio
Fonte: Aurorasito 

http://informatitalia.blogspot.it/2016/06/perche-ford-gm-e-esso-armarono-hitler.html

giovedì 9 giugno 2016

Moro, gli indizi che smontano il racconto delle Br La nicotina in corpo. La ferita alla mano. E quei granelli di sabbia sui vestiti. Un'inchiesta di Cucchiarelli smentisce le Brigate rosse. L'anticipazione di L43. di Fabrizio Colarieti | 09 Giugno 2016

Si tratta di dettagli nascosti, elementi rimasti sotto la superficie, solo in apparenza marginali, che sollevano nuovi interrogativi sul sequestro e sull'omicidio di Aldo Moro.
E raccontano un’altra storia rispetto a quella narrata finora dai brigatisti, ma anche dai rappresentanti dello Stato.
L'ANALISI DI INDIZI MATERIALI. Dare una risposta alle tante domande su quanto avvenne nel tempo trascorso tra la strage di via Fani del 16 marzo 1978, la prigionia nel covo di via Montalcini e il ritrovamento del corpo del presidente Moro, in via Caetani, il 9 maggio successivo, è l’obiettivo delle indagini che sta conducendo, da quasi due anni, la Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Beppe Fioroni.
Per cogliere quell’«evidenza invisibile», di cui aveva parlato Leonardo Sciascia già nell’agosto del 1978, Paolo Cucchiarelli, giornalista dell’Ansa, nel libro Morte di un presidente (Ponte alle Grazie), propone una minuziosa ricostruzione fondata sull’analisi dei tanti indizi materiali. Che Lettera43.it è in grado di anticipare.
BUGIE E CONTRADDIZIONI. Un lavoro che disegna una trama complessa, ma capace di demolire il castello di bugie e contraddizioni che negli anni ha reso impossibile l’accertamento della verità, fuori e dentro i tribunali.
Ciò che fino a oggi sembrava incomprensibile o caotico – le allusioni delle lettere di Moro dalla “prigione del popolo”, il comportamento paradossale dei suoi carcerieri, le oscillazioni dei politici, il coinvolgimento del Vaticano, della malavita organizzata, di Gladio, della P2, dei servizi segreti statunitensi, e soprattutto l’identità di chi uccise il presidente della Democrazia cristiana – appare così dotato di saldatura logica.
LA SABBIA SUI VESTITI. Piccoli elementi, in alcuni casi inediti, in altri già noti ma su cui nessuno prima aveva ragionato, assumono un altro significato.
Come i granelli di sabbia marina del tratto tra Focene e Palidoro, ma anche di Fregene, che furono trovati sul telone cerato che accolse il corpo di Moro in via Caetani, nel risvolto dei pantaloni, sulle suole delle scarpe (proveniente da due luoghi diversi), sui parafanghi della R4, sul cappotto e la giacca del presidente.
Durante l’autopsia i medici trovarono tracce di sabbia anche su un calzino che, con ogni probabilità, si era depositata per contatto diretto. E c’era salsedine sul colletto della camicia di Moro e sui proiettili utilizzati per ucciderlo. E sul corpo c’erano anche un capolino, una spighetta, foglie di Bosso, peli di cane e alcuni capelli rossi di una donna.
E IL BITUME SULLE SUOLE. Sempre sulle suole fu evidenziata anche la presenza di bitume fresco utilizzato per il lavaggio al largo delle cisterne delle petroliere e di materiale polimerico termoindurente, di solito usato per riparare le barche di resina, per contrastare la presenza della salsedine in piccoli ambienti, tipo rimesse, cantieri e stabilimenti balneari.
L'attenzione sulla costa romana, come possibile ultima prigione, prima dell'uccisione a Roma, fu immediata, ma con il tempo passò in secondo piano.
L'ipotesi, in base a incroci documentali, testimoniali e fattuali, è che Moro sia stato tenuto, poco prima di essere portato a Roma, in uno stabilimento balneare.

Quelle dosi consistenti di nicotina ritrovate nel corpo di Moro

Aldo Moro nella prigione di via Montalcini.
(© Ansa) Aldo Moro nella prigione di via Montalcini.
Ci sono poi piccoli e banali elementi che la vittima “racconta” con il suo corpo.
È noto, ad esempio, che Moro fumasse per allentare la tensione, ma era solo un vezzo. Non si capisce, quindi, come mai nelle urine del presidente fu ritrovata, durante l'autopsia, un’alta percentuale di nicotina. LA 'PRIGIONE'? TROPPO PICCOLA. Un elemento, apparentemente insignificante, su cui nessuno si era mai concentrato.
Sappiamo che durante quei 55 giorni il presidente fu costretto a vivere chiuso in una “prigione”, ricavata nell'appartamento di via Montalcini, lunga circa due metri e larga poco più di uno.
Ed è altrettanto noto che il presidente soffrisse di claustrofobia, tanto che una volta si sentì male in un ascensore che si era bloccato.
Dunque, nel luogo dove era detenuto, non solo rischiava continue crisi, ma, di certo, non avrebbe potuto fumare e assorbire un tasso così alto di nicotina.
DOV'ERA DETENUTO VERAMENTE? Quando il brigatista Mario Moretti, la mente del sequestro, uscì da quel tugurio dopo la prima visita a Moro, raccontò un'altra carceriera, Anna Laura Braghetti, si sfilò il passamontagna con un gesto di esasperazione perché gli sembrava di soffocare.
Mezz’ora dopo il presidente ebbe la prima crisi respiratoria che spinse i brigatisti a lasciare aperta la porta per un po’ di tempo.
Nessuno accenna al fatto che Moro fumasse durante la prigionia, nonostante i precisi racconti che lo mostrano immobile a leggere e scrivere per 55 giorni o ad ascoltare la messa registrata.
Se questo è vero, come ha fatto il presidente a incamerare nel suo corpo tanta nicotina? La assorbì passivamente? Oppure quello non era il luogo dove fu realmente detenuto?
LA POSIZIONE DEL CADAVERE. Ma non è tutto. Il presidente, al momento del ritrovamento nel baule della R4 rossa, era steso sul fianco sinistro, la testa verso il muro di via Caetani, al quale era accostata l'auto, i piedi, in posizione innaturale, piegati verso il centro della strada.
Sembra impossibile che, avendo saputo che sarebbe stato trasferito altrove in tali condizioni, possa aver accettato, anche solo per un secondo, di subire quella postura del tutto innaturale.
Le foto danno l’impressione netta di una sorta di “deposizione” nel portabagagli. Da morto o agonizzante.

L'espressione di un uomo che attende di essere liberato

Roma: il corpo senza vita di un agente della scorta di Aldo Moro dopo l'agguato in via Fani.
(© Ansa) Roma: il corpo senza vita di un agente della scorta di Aldo Moro dopo l'agguato in via Fani.
Se è vero che tutto fu meticolosamente preparato la sera prima, dopo che la decisione di uccidere Moro era stata votata, perché i brigatisti non sgomberarono per tempo l'auto dalle catene per la neve e dal triangolo trovato sui sedili posteriori?
Sembra quasi che la scelta di costringere Moro, alto un metro e settantotto, in un “loculo” largo un metro e quindici nella parte più stretta sia stata il frutto di un’emergenza, di “qualcosa” di imprevisto.
Un dettaglio che non ricorda nessuno dei tre Br presenti nel garage quella mattina.
Evidentemente, scrive Cucchiarelli, furono tolti dal portabagagli all’ultimo minuto, in fretta e furia, dopo che – secondo i brigatisti – a Moro, appena uscito dalla cesta di vimini, era stato detto di stringersi in quello spazio angusto. Di certo Moro ha il volto sereno; non sembra aver avuto sentore che stava per essere ucciso; non se lo aspettava. La sua espressione è quella di un uomo che attende di essere liberato.
DETTAGLI CHE NON TORNANO. Moro fu colpito nella parte sinistra del torace, dunque in una zona ristretta.
Ma se non era stato spostato dal momento dell’uccisione, perché, quando si aprì il portabagagli della R4, il suo corpo giaceva sulla sinistra mostrando il fianco destro verso il portellone e non il contrario? Come poteva essere stato colpito a sinistra, dettaglia ancora Cucchiarelli, se chi apre il portellone “vede” e potrebbe colpire solo la parte destra del corpo del presidente?
I periti, al contempo, sostengono che Moro non sia stato colpito dal sedile posteriore dell’auto: quindi, come e da dove è stato colpito?
LA FERITA ALLA MANO. C’è un altro particolare che cozza con la logica del racconto delle Br: Moro ha una ferita, ben visibile, alla mano sinistra, come se l’avesse alzata per difendere il torace dai colpi in arrivo. Un proiettile attraversò infatti il pollice sinistrò da parte a parte. Eppure, anche la mano destra è insanguinata, come se il presidente le avesse alzate entrambe per ripararsi e il sangue della mano trapassata dal colpo fosse schizzato anche sul pollice destro.
Innanzitutto, la ferita sul pollice sinistro non ci dovrebbe nemmeno essere perché Moro, secondo la ricostruzione delle Br, non si rese conto che stava per essere ucciso e non era certo in grado di percepire, da sotto la coperta stesa su di lui, la direzione da cui gli si stava per sparare.
MORO DOVEVA AVERE IL VISO SCOPERTO. Quello rimasto impresso sulle due mani è un gesto naturale, istintivo, possibile solo, però, se Moro avesse avuto il viso scoperto, se avesse visto cosa gli stava per accadere e da dove proveniva la minaccia. Inoltre, perché alzare anche la mano destra se a essere colpito fu il lato sinistro del corpo?
Moro si è forse piegato e girato di poco verso la sua destra come per “parare un colpo” che stava giungendo, indirizzato verso l’emitorace sinistro, con una inclinazione leggermente dal basso verso l’alto?
Ha chiuso le mani “a conchiglia”, alzandole, per difendere il cuore dai proiettili in un istintivo gesto di protezione?

http://www.lettera43.it/esclusive/moro-gli-indizi-che-smontano-il-racconto-delle-br_43675248687.htm