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UNA SUP-POSTA PER TONINO - GLI EUROPARLAMENTARI DE MAGISTRIS E ALFANO, E IL CONSIGLIERE CAVALLI, SCRIVONO UNA LETTERA AL VELENO AL RÀS DI PIETRO - DENUNCIANO UNA GIGANTESCA, E MAI AFFRONTATA, QUESTIONE MORALE NELL’ITALIA DEI VALORI: “LO SCANDALOSO CASO PORFIDIA, INQUISITO PER FATTI DI CAMORRA E ANCORA DIFESO DA QUALCHE DEPUTATO DELL’IDV”, IL FUMOSO PINO ARLACCHI, IL TRADIMENTO DI RAZZI E SCILIPOTI, I “SIGNORI DELLE TESSERE”, LE “MACROSCOPICHE IRREGOLARITÀ NELLA CONSULTAZIONE DEGLI ISCRITTI”… Eduardo Di Blasi per "il Fatto Quotidiano"
antonio di pietro idv Citano Enrico Berlinguer ma parlano all'Italia dei Valori, perchè ritengono che una "questione morale", quella che lo storico segretario icona del Pci sollevò nei confronti della deriva dei partiti di governo, sia all'interno del proprio schieramento. Luigi De Magistris, Sonia Alfano e Giulio Cavalli, i primi due europarlamentari, il terzo consigliere regionale in Lombardia, hanno scelto il web per "prendere posizione", per chiedere che "il presidente Antonio Di Pietro" reagisca "duramente e con fermezza alla deriva verso cui questo partito sta andando per colpa di alcuni".
Premettono subito, prevedendo la tempesta: "Non abbiamo voluto sfruttare l'onda delle ultime polemiche per dire la nostra, per non offrire il fianco a strumentalizzazioni che avrebbero danneggiato l'Idv", ma poi, partendo dalle ineludibili notizie di cronaca, stilano una lista di questioni aperte che dipingono il partito del gabbiano come un vecchio arnese da Prima Repubblica.
SONIA ALFANO
"Sono solo la punta di un iceberg che pian piano emerge nella realtà di questo partito. Come dimenticare lo scandaloso caso Porfidia, inquisito per fatti di camorra e ancora difeso da qualche deputato dell'Idv che parla di sacrificio a causa di ‘fatti privati'. E poi il fumoso Pino Arlacchi, che dopo essere stato eletto con l'Idv e solo grazie all'Idv, ha salutato tutti con un misero pretesto ed è tornato con le orecchie basse al Pd. Ma chi ha portato questi personaggi in questo partito?".
Chiedono ad Antonio Di Pietro una "brusca virata". E la motivano con la necessità di levare terra da sotto ai piedi a chi, all'interno del partito, "spera che l'Idv torni un partito del 4% per poterlo amministrare come meglio crede. Seggi garantiti, candidature al sicuro, contestazioni zero".
LUIGI DE MAGISTRIS
Parlano di territorio, di "signori delle tessere", di "macroscopiche irregolarità nella consultazione degli iscritti". Sanno di compiere un'operazione politica delicata. E non nascondono il problema: "La maggior parte della ‘dirigenza' dirà che con queste nostre parole danneggiamo il partito, altri che danneggiamo il presidente Di Pietro, altri ancora che siamo parte di un progetto eversivo che vuole appropriarsi dell'Idv. Noi crediamo che questo invece sia un estremo atto di amore per tutti gli iscritti, i militanti e i simpatizzanti dell'Italia dei Valori".
La "lettera" di intenti, ha un solo destinatario, ma coinvolge l'intero gruppo dirigente dell'Idv. Tanto che la risposta più dura arriva da una nota con-giunta dei capigruppo di Camera e Senato (Massimo Donadi e Felice Belisario) e dal portavoce del partito Leoluca Orlando.
Giulio Cavalli
L'Idv, scrivono "è un partito giovane che, a differenza di tutti gli altri, non ha ereditato la propria classe dirigente da precedenti formazioni politiche, ma sta costruendo a fatica, e con qualche inevitabile passo falso, una propria classe dirigente nata dalla militanza, dall'impegno, dalla passione e anche da precedenti esperienze politiche, valutate con molta attenzione.
scilipoti person of the year Per questo, parlare di una questione morale all'interno dell'Idv, come fanno oggi Sonia Alfano e Luigi De Magistris, è qualcosa di così offensivo e abissalmente distante dalla realtà del partito che può avere solo due spiegazioni. Un attacco così violento ed incomprensibile può essere solo il frutto di una ingiustificabile mancanza di conoscenza della reale natura e della qualità di questo partito, dei dirigenti e dei quadri locali, oppure è il primo passo di chi immagina il proprio futuro politico al di fuori di Italia dei Valori. Se così fosse, Alfano e De Magistris, tradirebbero il mandato degli elettori non molto diversamente da Razzi e Scilipoti.
Anche perché, in due anni di militanza in Idv, non vi è mai stata, sottolineiamo mai, riunione pubblica, esecutivo nazionale o altra sede istituzionale, in cui Alfano e De Magistris abbiano avanzato anche una sola critica verso un solo aderente o dirigente dell'IdV. Ferisce, in particolare, il fatto che un'accusa così grave abbiano ritenuto di porla sui media e non nel prossimo esecutivo nazionale, fissato a metà gennaio. In questo modo si comporta chi un partito lo vuole danneggiare e non migliorare".
Antonio Razzi
La risposta del leader dell'Idv, ha toni più amicali, con una frecciata finale: "Carissimi Luigi, Sonia e Giulio, il partito che oggi accusate di avere in seno una questione morale da risolvere, è lo stesso partito con il quale siete stati eletti e in cui siete stati candidati proprio in virtù di quello spirito di rinnovamento della politica che l'Italia dei Valori intende portare avanti. Mi auguro che dopo questa lettera possiate anche voi impegnarvi, nel partito e per il partito, con la stessa determinazione e umiltà con cui migliaia di militanti si stanno adoperando. E, soprattutto, voglio credere che tutto questo lo facciate per il bene del partito".
by dagospia
lunedì 27 dicembre 2010
martedì 14 dicembre 2010
OBAMA INDAGA E SVELA GLI AL CAPONE DELLA VERA MAFIA, LA "CUPOLA" DEL DENARO - 2- I PADRONI DELL´UNIVERSO: "IL TERZO MERCOLEDÌ DI OGNI MESE NOVE MEMBRI DI UNA ÉLITE DI WALL STREET SI RIUNISCONO A MIDTOWN MANHATTAN. I DETTAGLI DELLE LORO RIUNIONI SONO COPERTI DAL SEGRETO. RAPPRESENTANO GOLDMAN SACHS, MORGAN STANLEY, JP MORGAN, CITIGROUP, BANK OF AMERICA, DEUTSCHE BANK, BARCLAYS, UBS, CREDIT SUISSE" - 3- IL CLUB DEI NOVE "PROTEGGE GLI INTERESSI DELLE GRANDI BANCHE CHE NE FANNO PARTE, PERPETUA IL LORO DOMINIO, CONTRASTA OGNI SFORZO PER RENDERE TRASPARENTI I PREZZI E LE COMMISSIONI", DENUNCIA IL CFTC, MASSIMO ORGANO DI VIGILANZA USA - 4- LA GRANDE ATTESA PER LE RIVELAZIONI ANNUNCIATE DA WIKILEAKS SULLA BANK OF AMERICA: CHISSÀ CHE NON RIESCA JULIAN ASSANGE DOVE LA MAGISTRATURA DI OBAMA NON ARRIVA…
…
Federico Rampini per La Repubblica
Bank of America
OBAMA COMMUNIST Di nuovo loro: i Padroni dell´Universo. Stessi nomi, stessi vizi, una storia che sembra condannata a ripetersi e col finale che rischia di essere già scritto: l´impunità. Stavolta è l´intero mondo dei titoli derivati - finanza "tossica" che ebbe un ruolo cruciale nella crisi del 2008 - l´oggetto delle loro congiure. Una vera e propria "cupola" di grandi banchieri esercita un potere esclusivo di controllo su questo mercato. Fuori da ogni trasparenza, e al riparo da ogni concorrenza.
«Il terzo mercoledì di ogni mese - rivela il New York Times - nove membri di una élite di Wall Street si riuniscono a Midtown Manhattan. I dettagli delle loro riunioni sono coperti dal segreto. Rappresentano Goldman Sachs, Morgan Stanley, JP Morgan, Citigroup, Bank of America, Deutsche Bank, Barclays, Ubs, Credit Suisse».
Wall Street
GOLDMAN SACHS Ufficialmente, i nove banchieri di questo potentissimo comitato d´affari hanno il compito di «salvaguardare la stabilità e l´integrità» su un mercato che muove ogni giorno migliaia di miliardi di dollari. Di fatto, il club dei nove «protegge gli interessi delle grandi banche che ne fanno parte, perpetua il loro dominio, contrasta ogni sforzo per rendere trasparenti i prezzi e le commissioni». La denuncia raccolta dal New York Times viene dal massimo organo di vigilanza. La fonte più autorevole all´origine dell´inchiesta è Gary Gensler, capo della Commodity Futures Trading Commission.
L´uomo a cui Barack Obama ha affidato il compito di fare pulizia in un mercato altamente speculativo. Ma Gensler è costretto ad ammettere la sua impotenza. «Il costo di quelle pratiche lo paga tutto il resto dell´economia, lo pagano tutti gli americani», lamenta Gensler. E naturalmente anche gli europei, visto che Wall Street è il centro della finanza globale.
lloyd Blankfein DI GOLDMAN SACHS
I derivati infatti hanno innumerevoli usi, una parte dei quali sono "virtuosi" e più vicini a noi di quanto possiamo immaginare. I fondi pensione li utilizzano per ridurre il rischio di perdite sui loro investimenti nel caso che le tendenze di mercato abbiano improvvisi rovesci (per esempio un futuro rialzo dei rendimenti sui buoni del Tesoro che deprime il valore di quelli in portafoglio).
Goldman Sachs CEO Lloyd Blankfein and Warren Buffett
Le compagnie aeree e navali comprano derivati per attutire il colpo di un rincaro del petrolio. L´industria agroalimentare si protegge da aumenti nel costi dei raccolti. Perfino il consumatore, l´automobilista, è vittima di manovre speculative che attraverso i derivati accentuano il boom delle materie prime.
GOLDMAN SACHS Nessuno dei protagonisti dell´economia reale è veramente tutelato dalle manipolazioni su questi strumenti. Nessuno sa cosa decidono i nove membri del club esclusivo che si riunisce il terzo mercoledì del mese. Il Dipartimento di Giustizia ha aperto un´inchiesta «sulla possibilità di pratiche anti-concorrenziali nel clearing e nel trading sui derivati».
I sospetti di collusione e di un vero e proprio cartello non sono nuovi. Ma trovare le prove è difficile. E´ vecchia di nove mesi la notizia di un´altra inchiesta del Dipartimento di Giustizia che aveva fatto scalpore: quella che accusava i più importanti hedge fund (Soros, Paulson, Greenlight, Sac Capital) di aver concordato un attacco simultaneo all´euro, in una cena segreta l´8 febbraio a Wall Street.
logo AIG
Assange Obama Il giorno dopo, 9 febbraio, al Chicago Mercantile Exchange i contratti futures che scommettevano su un tracollo dell´euro erano schizzati oltre 54.000, un record storico. Goldman Sachs e Barclays furono coinvolte nelle cronache su quelle grandi manovre. Ma da allora l´inchiesta sulla congiura ai danni dell´euro non ha avuto sviluppi di rilievo.
Estrarre prove dal club dei Padroni dell´Universo è complicato, almeno se si seguono i metodi "normali". Di qui la grande attesa per le rivelazioni annunciate da WikiLeaks sulla Bank of America: chissà che non riesca Julian Assange dove la magistratura non arriva...
Per quanto riguarda il mercato dei derivati, paradossalmente è proprio per effetto della grande crisi del 2008 che i Padroni dell´Universo hanno assunto un ruolo ancora maggiore. Uno dei momenti più drammatici di quella crisi fu il crac dell´American International Group (Aig), la compagnia assicurativa affondata dalle perdite su un particolare tipo di titoli derivati, i credit default swaps.
Wall Street
In quel frangente il Tesoro e le autorità di vigilanza si accorsero che nessuno riusciva a capire veramente le interconnessioni sul mercato dei derivati, esposto all´effetto-domino: una bancarotta di Aig avrebbe travolto decine di altre istituzioni e forse l´intero sistema bancario. Perciò fu il Tesoro a spingere per la creazione di una "clearing house" o camera di compensazione, affinché le grandi banche si facessero carico di garantire la stabilità del mercato dei derivati.
Logo "Barclays"
A questo però si accompagnava la riforma Obama delle regole della finanza, che doveva aumentare i poteri delle autorità di vigilanza, e rafforzare la trasparenza. Quella riforma oggi è sotto tiro da parte della nuova maggioranza repubblicana al Congresso, vittoriosa alle elezioni di novembre e beneficiata dai generosi finanziamenti di Wall Street.
Nell´applicazione della riforma i repubblicani stanno cercando di svuotarla: giovedì il Congresso ha bocciato la richiesta di Gensler per nuove regole sulla trasparenza. "I derivati - spiega il giurista Robert Litan che per il Dipartimento di Giustizia diresse un´analoga battaglia contro le collusioni al Nasdaq - sono un mercato molto concentrato, e quando il governo di una simile entità è in poche mani, possono succedere brutte cose".
Una certezza è che i Padroni dell´Universo usano il loro potere oligopolistico per estrarre dal resto dell´economia dei profitti esorbitanti. Esempio: su un solo contratto derivato di credit default swap - che protegge l´acquirente dall´eventualità di fallimento di uno Stato sovrano come la Grecia, o di una società quotata - il banchiere intermediario incassa una commissione di 25.000 dollari.
Morgan Stanley
Wall Street
Contratti simili se ne fanno migliaia ogni giorno, rimpinguando i profitti delle varie Goldman Sachs, JP Morgan, Morgan Stanley. Quando negli anni Novanta il Dipartimento di Giustizia riuscì a dimostrare che un´analoga collusione tra banchieri controllava gli scambi sul Nasdaq (la Borsa dei titoli tecnologici), in seguito al cambiamento delle regole le commissioni bancarie scesero a un ventesimo del livello precedente.
BANCHE Ma un rischio ancora superiore è che dentro il "club dei nove", grazie allo scambio di informazioni quotidiane possano maturare operazioni di cartello, manovre concertate, una manipolazione dei mercati. Quelli che dovrebbero "stabilizzare" i derivati, sono i primi a poter profittare delle prossime fiammate speculative.
[13-12-2010]
by dagospia
Federico Rampini per La Repubblica
Bank of America
OBAMA COMMUNIST Di nuovo loro: i Padroni dell´Universo. Stessi nomi, stessi vizi, una storia che sembra condannata a ripetersi e col finale che rischia di essere già scritto: l´impunità. Stavolta è l´intero mondo dei titoli derivati - finanza "tossica" che ebbe un ruolo cruciale nella crisi del 2008 - l´oggetto delle loro congiure. Una vera e propria "cupola" di grandi banchieri esercita un potere esclusivo di controllo su questo mercato. Fuori da ogni trasparenza, e al riparo da ogni concorrenza.
«Il terzo mercoledì di ogni mese - rivela il New York Times - nove membri di una élite di Wall Street si riuniscono a Midtown Manhattan. I dettagli delle loro riunioni sono coperti dal segreto. Rappresentano Goldman Sachs, Morgan Stanley, JP Morgan, Citigroup, Bank of America, Deutsche Bank, Barclays, Ubs, Credit Suisse».
Wall Street
GOLDMAN SACHS Ufficialmente, i nove banchieri di questo potentissimo comitato d´affari hanno il compito di «salvaguardare la stabilità e l´integrità» su un mercato che muove ogni giorno migliaia di miliardi di dollari. Di fatto, il club dei nove «protegge gli interessi delle grandi banche che ne fanno parte, perpetua il loro dominio, contrasta ogni sforzo per rendere trasparenti i prezzi e le commissioni». La denuncia raccolta dal New York Times viene dal massimo organo di vigilanza. La fonte più autorevole all´origine dell´inchiesta è Gary Gensler, capo della Commodity Futures Trading Commission.
L´uomo a cui Barack Obama ha affidato il compito di fare pulizia in un mercato altamente speculativo. Ma Gensler è costretto ad ammettere la sua impotenza. «Il costo di quelle pratiche lo paga tutto il resto dell´economia, lo pagano tutti gli americani», lamenta Gensler. E naturalmente anche gli europei, visto che Wall Street è il centro della finanza globale.
lloyd Blankfein DI GOLDMAN SACHS
I derivati infatti hanno innumerevoli usi, una parte dei quali sono "virtuosi" e più vicini a noi di quanto possiamo immaginare. I fondi pensione li utilizzano per ridurre il rischio di perdite sui loro investimenti nel caso che le tendenze di mercato abbiano improvvisi rovesci (per esempio un futuro rialzo dei rendimenti sui buoni del Tesoro che deprime il valore di quelli in portafoglio).
Goldman Sachs CEO Lloyd Blankfein and Warren Buffett
Le compagnie aeree e navali comprano derivati per attutire il colpo di un rincaro del petrolio. L´industria agroalimentare si protegge da aumenti nel costi dei raccolti. Perfino il consumatore, l´automobilista, è vittima di manovre speculative che attraverso i derivati accentuano il boom delle materie prime.
GOLDMAN SACHS Nessuno dei protagonisti dell´economia reale è veramente tutelato dalle manipolazioni su questi strumenti. Nessuno sa cosa decidono i nove membri del club esclusivo che si riunisce il terzo mercoledì del mese. Il Dipartimento di Giustizia ha aperto un´inchiesta «sulla possibilità di pratiche anti-concorrenziali nel clearing e nel trading sui derivati».
I sospetti di collusione e di un vero e proprio cartello non sono nuovi. Ma trovare le prove è difficile. E´ vecchia di nove mesi la notizia di un´altra inchiesta del Dipartimento di Giustizia che aveva fatto scalpore: quella che accusava i più importanti hedge fund (Soros, Paulson, Greenlight, Sac Capital) di aver concordato un attacco simultaneo all´euro, in una cena segreta l´8 febbraio a Wall Street.
logo AIG
Assange Obama Il giorno dopo, 9 febbraio, al Chicago Mercantile Exchange i contratti futures che scommettevano su un tracollo dell´euro erano schizzati oltre 54.000, un record storico. Goldman Sachs e Barclays furono coinvolte nelle cronache su quelle grandi manovre. Ma da allora l´inchiesta sulla congiura ai danni dell´euro non ha avuto sviluppi di rilievo.
Estrarre prove dal club dei Padroni dell´Universo è complicato, almeno se si seguono i metodi "normali". Di qui la grande attesa per le rivelazioni annunciate da WikiLeaks sulla Bank of America: chissà che non riesca Julian Assange dove la magistratura non arriva...
Per quanto riguarda il mercato dei derivati, paradossalmente è proprio per effetto della grande crisi del 2008 che i Padroni dell´Universo hanno assunto un ruolo ancora maggiore. Uno dei momenti più drammatici di quella crisi fu il crac dell´American International Group (Aig), la compagnia assicurativa affondata dalle perdite su un particolare tipo di titoli derivati, i credit default swaps.
Wall Street
In quel frangente il Tesoro e le autorità di vigilanza si accorsero che nessuno riusciva a capire veramente le interconnessioni sul mercato dei derivati, esposto all´effetto-domino: una bancarotta di Aig avrebbe travolto decine di altre istituzioni e forse l´intero sistema bancario. Perciò fu il Tesoro a spingere per la creazione di una "clearing house" o camera di compensazione, affinché le grandi banche si facessero carico di garantire la stabilità del mercato dei derivati.
Logo "Barclays"
A questo però si accompagnava la riforma Obama delle regole della finanza, che doveva aumentare i poteri delle autorità di vigilanza, e rafforzare la trasparenza. Quella riforma oggi è sotto tiro da parte della nuova maggioranza repubblicana al Congresso, vittoriosa alle elezioni di novembre e beneficiata dai generosi finanziamenti di Wall Street.
Nell´applicazione della riforma i repubblicani stanno cercando di svuotarla: giovedì il Congresso ha bocciato la richiesta di Gensler per nuove regole sulla trasparenza. "I derivati - spiega il giurista Robert Litan che per il Dipartimento di Giustizia diresse un´analoga battaglia contro le collusioni al Nasdaq - sono un mercato molto concentrato, e quando il governo di una simile entità è in poche mani, possono succedere brutte cose".
Una certezza è che i Padroni dell´Universo usano il loro potere oligopolistico per estrarre dal resto dell´economia dei profitti esorbitanti. Esempio: su un solo contratto derivato di credit default swap - che protegge l´acquirente dall´eventualità di fallimento di uno Stato sovrano come la Grecia, o di una società quotata - il banchiere intermediario incassa una commissione di 25.000 dollari.
Morgan Stanley
Wall Street
Contratti simili se ne fanno migliaia ogni giorno, rimpinguando i profitti delle varie Goldman Sachs, JP Morgan, Morgan Stanley. Quando negli anni Novanta il Dipartimento di Giustizia riuscì a dimostrare che un´analoga collusione tra banchieri controllava gli scambi sul Nasdaq (la Borsa dei titoli tecnologici), in seguito al cambiamento delle regole le commissioni bancarie scesero a un ventesimo del livello precedente.
BANCHE Ma un rischio ancora superiore è che dentro il "club dei nove", grazie allo scambio di informazioni quotidiane possano maturare operazioni di cartello, manovre concertate, una manipolazione dei mercati. Quelli che dovrebbero "stabilizzare" i derivati, sono i primi a poter profittare delle prossime fiammate speculative.
[13-12-2010]
by dagospia
sabato 11 dicembre 2010
crac parmalat
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Il crac Parmalat è stato il più grande scandalo di bancarotta fraudolenta e aggiotaggio perpetrato da una società privata in Europa[1][2]. Fu scoperto solo verso la fine del 2003, nonostante successivamente sia stato dimostrato che le difficoltà finanziarie dell'azienda fossero rilevabili già agli inizi degli anni novanta.
Il buco lasciato dalla società di Collecchio si aggirava sui quattordici miliardi di euro[3]; al momento della scoperta se ne stimavano la metà[4]. Con l'accusa di bancarotta fraudolenta, è stato rinviato a giudizio e in seguito condannato a dieci anni di reclusione il patron della Parmalat, Calisto Tanzi, nonché numerosi suoi collaboratori tra dirigenti, revisori dei conti e sindaci. Il fallimento della Parmalat è costato l'azzeramento del patrimonio azionario ai piccoli azionisti, mentre i risparmiatori che avevano investito in bond hanno ricevuto solo un parziale risarcimento.
Grazie al cosiddetto decreto "salva-imprese", Parmalat fu salvata dal fallimento e la sua direzione fu affidata all'amministrazione straordinaria di Enrico Bondi, che ha risanato parzialmente i conti (pur dovendo ancora rispondere completamente alle richieste di risarcimento dei vecchi risparmiatori).
Indice [nascondi]
1 Origini del buco finanziario
2 Occultamento dei debiti
3 Scoperta del crac
4 Evoluzioni nel quadriennio 2004-2008
5 Voci correlate
6 Note
7 Bibliografia
Origini del buco finanziario [modifica]
Negli anni ottanta, grazie all'iniziativa di Gregorio Maggiali, esponente della Democrazia Cristiana del tempo e amico di Tanzi, Calisto entrò in contatto per la prima volta con Ciriaco De Mita, in seguito Presidente del Consiglio dei ministri, con cui strinse una forte amicizia[5][6]. Per esprimere la sua gratitudine a Maggiali, stando agli atti, Tanzi gli avrebbe concesso il libero uso dei mezzi di trasporto della Parmalat[2]. Non solo, in seguito agli accertamenti sui movimenti finanziari della Parmalat nel 1993, la procura individuò diversi assegni circolari destinati alla Rayton Fissore, azienda automobilistica di Maggiali che versava in cattive acque, per un totale di 1,5 miliardi di lire. Questi finanziamenti illeciti furono rendicontati in bilancio a beneficio di una società fantasma[1]. A seguito di questi rilevamenti, il procuratore ipotizzò che Tanzi dirottasse grosse somme di denaro alla DC tramite la “Rayton Fissore”: De Mita fu indagato per concussione, ma l'indagine fu in seguito archiviata[1]. Diverse circostanze sembrano sottolineare l'influenza dell'amicizia tra De Mita e Tanzi nelle scelte della Parmalat. Nel 1984 la società apre un secondo stabilimento nel sud Italia, a Nusco, paese natale di De Mita[5]: la scelta non fu felice, sia per ragioni logistiche (la fabbrica distava oltre quaranta chilometri dall'autostrada) che per ragioni di salute pubblica: un giorno furono trovati rifiuti tossici provenienti da La Spezia[1]. Inoltre gli impianti furono commissionati e costruiti a Michele De Mita, segretario locale della DC e fratello di Ciriaco[1]. Altra coincidenza evidenziata dagli inquirenti è rappresentata dai finanziamenti previsti dalla legge 216 per la ricostruzione post terremoto dell'Irpinia: Tanzi chiese aiuti per otto miliardi di lire con dieci giorni di ritardo dalla scadenza, e gliene furono erogati undici[1][5]. Infine per commercializzare il latte a lunga conservazione, che la Parmalat aveva iniziato a produrre, servivano delle normative a livello nazionale, attraverso una legge che arrivò nel 1989, sotto il governo De Mita: in una ricostruzione della trasmissione televisiva Report, pare che, per restituire il favore, Tanzi abbia acquisito sotto l'egida della Parmalat un'ottantina di agenzie viaggio riconducibili a De Mita, che rischiavano l'insolvenza[1]. Successivamente, la Parmalat acquistò la Margherita Yoghurt, fortemente indebitata, su indicazione di Cossiga[7] che, secondo quanto dichiarato dall'ex-direttore finanziario della Parmalat Fausto Tonna, aveva nell'azienda alcuni parenti soci; e la Cipro Sicilia, oberata da debiti per 150 miliardi di lire, acquisizione riconducibile all'influenza di Calogero Antonio Mannino[1][7]. Sempre Tonna ha fatto il nome di Donatella Zingone, moglie del politico Lamberto Dini, e di Franco Bonferroni. La prima aveva posseduto una linea di supermercati in Costarica: uno stabilimento di questi sarebbe stato comprato da un consulente di Tanzi, Ottone, «a un prezzo a dir poco osceno» con i soldi di Parmalat Nicaragua[7]. Il secondo avrebbe consigliato l'acquisto di certi stabilimenti in Vietnam e Cambogia, operazioni per cui avrebbe percepito delle commissioni.
Durante il processo che lo vede imputato per il crac, Tanzi ha dichiarato alla Magistratura di aver finanziato fin dagli anni sessanta diverse banche, per ottenere crediti e condizionarne le nomine. Dai verbali di queste dichiarazioni inoltre risultano tra i finanziati molti nomi di politici, sia di centrodestra che di centrosinistra, ma comunque gran parte di essi sono riconducibili alla Democrazia Cristiana di allora: Forlani, Colombo, Pomicino, Fabbri, Signorile, Mannino, Fracanzani, Speroni, Stefani, D'Alema, Dini, Fini, De Mita, Tabacci, Sansa, Scalfaro, Pier Luigi Bersani, Lusetti, Gargani, i quali hanno peraltro tutti negato. Hanno invece ammesso di aver ricevuto somme inferiori ai cinquemila euro, e quindi esenti da dichiarazione, Casini, Prodi, Buttiglione, Castagnetti e Segni. Mentre la procura di Parma ha accertato e rintracciato questi flussi di denaro, molti si sono difesi in virtù del fatto che pensavano che i soldi provenissero direttamente da Tanzi, e non dalle casse della sua società[1].
Con il passaggio alla "Seconda Repubblica", dai verbali è emerso che Tanzi aveva dapprima versato ingenti somme a favore della campagna elettorale di Prodi per le elezioni politiche del 1996, e poi, in occasione delle elezioni del 2001, aveva sostenuto la campagna di Berlusconi[1][5]. La procura di Milano sta tuttavia indagando, a partire da alcune dichiarazioni di Tanzi, su finanziamenti risalenti già all'anno della nascita di Forza Italia, finanziamenti che sarebbero stati erogati mediante un meccanismo di mancato sconto agli spot pubblicitari in onda sulle reti Mediaset[1]. In questo modo il potenziale sconto di cui poteva godere una grande azienda come la Parmalat con le sue campagne pubblicitarie massive sarebbe confluito indirettamente a Forza Italia: a questo proposito Tanzi ha dichiarato di aver trasferite quote di pubblicità destinate a essere trasmesse dalla RAI a Publitalia. L'autore di questo accordo sarebbe stato Genesio Fornari, che è però deceduto[1]. Poi, nel 1996, quando era salito al potere Prodi, Tanzi aveva partecipato al potenziamento del capitale di Nomisma, società di cui Prodi ne è stato fondatore, diventandone socio[5]. In questi anni, tra il 1995 e il 1996, si collocherebbe inoltre la promozione di alcune joint-venture tra diverse agenzie viaggi controllate dalla Parmalat e la Cit viaggi, società turistiche delle Ferrovie dello Stato: questo progetto secondo la ricostruzione del pubblico ministero Pierfilippo Laviani a partire dagli interrogatori di Tanzi, sarebbe stato avallato da Ciriaco De Mita e Claudio Burlando, allora Ministro dei Trasporti e della Navigazione per il governo Prodi I e attuale Presidente della Giunta regionale della Liguria, e avrebbe permesso a Tanzi di scaricare i debiti della Parmalat sul partner pubblico. A questo proposito la procura di Roma ha iscritto sul registro degli indagati anche l'ex-amministratore delegato delle Ferrovie, Lorenzo Necci. Su questa faccenda Burlando ha dichiarato che non fosse di sua competenza, e che peraltro Cimoli, poi nominato amministratore delle FS, ha ritenuto di non procedere alla trattativa[8].
Tanzi si preoccupò anche di stipulare accordi finanziari con i mass-media cartacei: attraverso una sua società, la “Europa Service”, aveva acquistato azioni per 250 milioni di lire del quotidiano di sinistra il manifesto, regolarmente registrati[1]. Meno chiaro è invece il presunto finanziamento a Il Foglio, di Giuliano Ferrara: Tanzi ha dichiarato di aver versato dai 500 milioni al miliardo di lire, ma interpellato dal procuratore di Bologna, Vito Zincani, Ferrara non ha ritenuto di dover deporre[1]. La Magistratura ha rilevato che sono uscite dalle casse della Parmalat, coperti in bilancio dalla voce sponsorizzazione, circa 12 milioni di euro[1]. Si presume però che circa un miliardo e cento milioni di euro siano passate, mezzo la finanziaria uruguaiana Wishaw Trading, a persone ignote[1]: il tramite sarebbe stato Sergio Piccini, il quale è tuttavia deceduto. Al suo posto Tanzi aveva indicato Romano Bernardoni, già venditore d'auto.
Nel 2001 Parmalat commercializzò un nuovo tipo di latte chiamato "Fresco Blu", ampiamente pubblicizzato perché portava la data di scadenza a otto giorni dal momento che era microfiltrato e pastorizzato secondo un procedimento esclusivo. Tuttavia dal momento che le aziende concorrenti insorsero contro la scritta "fresco" che, per legge, doveva essere applicato solo a quel latte la cui data di scadenza era di quattro giorni, la Parmalat fu multata per frode. Così Tanzi decise di mandare Bernardoni da Gianni Alemanno, allora Ministro per le Politiche Agricole e Forestali sotto il governo Berlusconi II: il Ministro fu prosciolto per l'accusa di corruzione, per cui era stato indagato avendo rinunciato all'immunità parlamentare. Ciò nonostante il via libera della Commissione Interministeriale sulla vicenda, come ha evidenziato la Guardia di Finanza, è avvenuta il 28 dicembre 2002, contestualmente ai viaggi del ministro, e della sua segretaria, in un villaggio Parmatour, saldati solo a seguito del crac. Anche Bernardoni è stato prosciolto dall'accusa di corruzione, ma è stato rinviato a giudizio a Parma per finanziamento illecito a partiti. Si è ipotizzato che la fallimentare gestione dei villaggi Parmatour sia da ricondurre al loro utilizzo, ovvero incamerare i favori di politici, banchieri o aziende. Una delle operazioni più contestate è stato l'acquisto di Eurolat dal gruppo Cirio che comportò un aumento vertiginoso dell'esposizione debitoria[9] con una operazione contestata anche dall'Autorità per la Concorrenza[10].
Occultamento dei debiti [modifica]
I debiti della Parmalat ammontavano a un centinaio di miliardi di lire già verso la fine degli anni ottanta: per evitare il peggio, Tanzi decise di quotare alla Borsa Italiana il gruppo. Diventare una società per azioni richiede all'azienda un risanamento dei conti, ma le forti perdite di Odeon Tv, controllata dal gruppo di Collecchio, obbligarono Tanzi a rivolgersi alle banche per un prestito: nonostante l'opposizione del presidente e di alcuni sindaci revisori, l'Icle, un istituto di credito, erogò 120 miliardi di lire. Per completare l'operazione Parmalat dovette liberarsi anche dell'emittente oberata da debiti per 160 miliardi e a questo proposito si affidò alla Sasea, società estera di Florio Fiorini, già dirigente ENI: questi acquistò Odeon Tv, che in seguito fallì. Così la Parmalat poté entrare in Borsa, senza subire particolari controlli dalla Consob. Evidentemente i conti della società dopo la quotazione non migliorarono e i debiti avrebbero potuto decretarne il fallimento già negli anni novanta: per occultare questi dati, Tanzi affidò per anni all'avvocato Gian Paolo Zini il compito di creare una rete di società distribuite tra i Caraibi, il Delaware e le isole Cayman. L'avvocato Zini operava direttamente da New York e aveva creato il fondo Epicurum, ideato da Tonna, con cui la Parmalat riversava un'ingente quantità di denaro, circa 400 milioni di euro, sulla Parmatour: questi soldi venivano registrati come crediti per la società e conferiti nel fondo. L'operazione era, ovviamente, falsa, ma utile per ingannare il mercato. Allo stesso modo per simulare l'ottima salute economica della società, si emettevano false fatture. Dal momento che le fatture figurano come crediti, e questi crediti vanno incassati, Tonna e Bocchi si inventarono un fittizio conto corrente presso la “Bank of America”, intestato alla società Bonlat con sede alle Cayman, in cui figuravano 3,9 miliardi di euro. Ne derivò che le banche continuarono a erogare prestiti al gruppo, «malgrado i bilanci non fossero il massimo della trasparenza e [...] pur affermando di possedere liquidità consistente», come ha dichiarato Tanzi[11].
Quando il buco fu scoperto nel 2003, le banche si professarono vittime della frode della Parmalat, e lo stesso Governatore della Banca d'Italia del tempo, Antonio Fazio, in un'audizione al Senato del 2004, affermò che era evidente che non solo le banche italiane, ma anche quelle straniere, non erano consapevoli della situazione in cui versava la società di Tanzi. Tuttavia già nel 1995, a seguito di un'interrogazione parlamentare sui prestiti concessi alla Parmalat dalla Cassa di Risparmio di Parma (per 650 miliardi di lire) e dal Monte dei Paschi di Siena (per 90 miliardi di lire), la procura incaricò il ragionere Mario Valla di Parma di rivederne i bilanci degli ultimi tre anni. Dallo studio emerse un indebitamento elevatissimo: la società viveva dei prestiti bancari, perché come rivelò poi Tanzi, egli stesso aveva fatto pressione su Goria e De Mita affinché Luciano Silingardi venisse messo a capo della Cassa di Risparmio di Parma; e ugualmente era intervenuto sulla nomina di Franco Gorreri al Monte dei Paschi, premendo su Craxi. Presumibilmente Tanzi intendeva crearsi delle vie privilegiate per ottenere facili prestiti dai due gruppi bancari: d'altro canto Silingardi era stato sindaco per la Parmalat e Gorreri ne era un dipendente. La perizia del rag. Valla fu depositata in procura, ma il giudice per le indagini preliminari Antonio Padula archiviò l'inchiesta. Lo stesso Padula nel 1998 assolse Tanzi e Tonna dall'accusa di false comunicazioni sociali. Quando nel 2005 però, il Ministro di Grazia e Giustizia Roberto Castelli avviò un'ispezione sul gip di Parma, emerse che Padula aveva insistito con Tanzi per avere sconti per i viaggi nei villaggi Parmatour, che pagò peraltro solo dopo che fu scoperto il crac, oltre due anni dopo. Per questo Padula fu sanzionato dal Consiglio Superiore della Magistratura.
L'attuale amministratore delegato di Parmalat, Bondi, ha deciso di intraprendere un'azione legale contro le banche creditrici prima del crac, accusandole di aver emesso bond fino all'ultimo momento pur essendo consapevoli della situazione disastrosa in cui versavano i bilanci dell'azienda. Bondi stima che Deutsche Bank abbia, a fronte di un prestito di 140 milioni di euro, guadagnato di interessi 217 milioni (+140%), Unicredit Banca da 171 milioni di euro ne ha ricavati 212 (+124%), Capitalia ha incassato il 123% in più di quanto aveva prestato alla Parmalat. Paradigmatico a questo proposito fu il bond emesso dalla banca svizzera UBS a Parmalat di 420 milioni di euro, dei quali effettivamente solo 110 milioni furono incassati, mentre i restanti 290 milioni tornarono indietro alla banca, come assicurazione in caso di insolvenza: cosa che, a posteriori, si verificò. Le strabilianti cifre che le banche concedevano a Tanzi, servirono anche per acquisizioni, in modo da dare l'idea che la Parmalat fosse una società solida e in crescita: ad esempio, la Citigroup, banca statunitense, ha caldeggiato l'acquisto di bond ai risparmiatori fino a pochi giorni prima del crac, facendo leva sulla maschera dorata che la Parmalat si era creata. I finanziamenti, erogati per questo fine, venivano occultati dalle banche internazionali grazie a società site in paradisi fiscali: tra queste la “Buconero Spa”, dietro al cui nome emblematico si presume operasse la Citibank, che, secondo quanto riportato dallo scrittore Vittorio Malagutti, riuscì a far fluire 100 miliardi di lire attraverso un contratto di associazione di partecipazione, senza dunque che comparisse tra i debiti del gruppo Parmalat. Analogamente la Bank of America istituì una holding che, in compartecipazione alla Parmalat, si servì di un ente caritatevole delle Cayman per raccogliere quasi 300 milioni di dollari tra gli obbligazionisti e finanziare così la Parmalat Brasile, tecnicamente già fallita: l'accordo fu siglato tra Gregory Johnson, responsabile della security della banca statunitense, e Fausto Tonna.
Quando nel 2002 Tanzi necessitava di 50 milioni di euro per risollevare le perdite generate da Parmatour, si rivolse a Cesare Geronzi e alla sua Banca di Roma, per la quale era consigliere d'amministrazione. Matteo Arpe, amministratore delegato dell'istituto di Medio Credito Centrale attraverso il quale sarebbe stato concesso il prestito, si oppose all'operazione, ma Geronzi riuscì in ogni caso a far arrivare alle casse di Parmalat la cifra richiesta, che fu poi deviata al settore turismo. Contestualmente Tanzi acquisì la società sicula di acque minerali Ciappazzi, oberata di debiti sospesi per la maggior parte con la Banca di Roma. I magistrati ipotizzano che l'operazione sia frutto di una costrizione imposta da Geronzi a Tanzi. La fallimentare acquisizione ha avuto dei risvolti paradossali: in una regione spesso vittima di crisi idriche come la Sicilia, la Ciappazzi perdeva circa quindicimila litri di acqua al minuto, riversata in mare, poiché mancava della licenza di imbottigliare. Anche quando il crac venne a galla, la Ciappazzi non beneficiò dell'amministrazione straordinaria dato che Tanzi l'aveva comprata attraverso la Cosal, una società non direttamente riconducibile alla Parmalat. Geronzi, accusato di usura, dichiarò di ignorare che il gruppo di Collecchio fosse prossimo alla bancarotta e che a quanto sapeva Tanzi meditava da tempo di entrare nel mercato delle acque minerali.
Scoperta del crac [modifica]
Nel 2003 la Consob avviò dei controlli ai bilanci della Parmalat. Per ovviare a una situazione che avrebbe inevitabilmente portato alla scoperta del catastrofico stato della società, Tanzi, come si evince dai verbali degli interrogatori, chiese aiuto a Silvio Berlusconi[senza fonte] per un suo intervento presso le banche e presso la Consob: «Devo aggiungere che in occasione di un incontro che ho avuto in Consob, ho potuto constatare che la Consob mi ha trattato con gentilezza e mi ha dato tempo per chiarire gli aspetti della vicenda Parmalat», ha dichiarato Tanzi. Le banche tuttavia non rimasero impassibili al mancato rientro dei prestiti e cominciarono a fare pressione su Tanzi: quando iniziarono a trapelare i primi sintomi di insolvenza, il patron della Parmalat fu messo da parte, le banche imposero alla guida del gruppo in qualità di amministratore straordinario Enrico Bondi e il titolo Parmalat fu sospeso dalle trattative in Borsa.
Il 4 dicembre si scoprì che i 600 milioni di euro del fondo Epicurum non esistevano. L'8 dicembre era il termine entro cui la Parmalat era costretta a onorare il bond da 150 milioni di euro che aveva emesso: Bondi promise di restituire i soldi entro il 15 dicembre, ma quando quattro giorni dopo riuscì a saldare il debito[12], si accorse anche che ne mancavano 80. Intanto dopo tre giorni di sospensione, il titolo Parmalat fu riammesso alle contrattazioni: da un valore precedente di 2,2375 euro, l'11 dicembre il titolo chiuse a 1,1900 euro, in calo del 46,8%[13]. Il 15 dicembre il consiglio di amministrazione, tra cui figuravano Tanzi, Tonna e Gorreri, si dimise. La notizia che accese i riflettori sullo scandalo arrivò però il 19 dicembre 2003: in quella data la Bank of America dichiarò che i 3,95 miliardi di euro che rappresentavano l'attivo della Parmalat non esistevano: qualche giorno dopo fu appurato il documento che ne attestava l'esistenza era stato contraffatto[14]. Il 22 dicembre Tanzi fu iscritto al registro degli indagati per falso in bilancio presso la procura di Milano e nel frattempo il valore di un'azione della Parmalat era sceso a 0,1100 euro, ma anche gli indici delle banche connesse al crac persero punti (Capitalia -6%, Monte dei Paschi -5%); lo stesso giorno gli obbligazionisti statunitensi, onde scongiurare il rischio di cross default, decisero di non intraprendere richieste di risarcimento fintantoché Bondi non avesse redatto un piano di salvataggio[15].
Il 1º gennaio Bondi stabilì che il primo asset che la Parmalat avrebbe ceduto sarebbe stata la Parma Calcio[16] e qualche giorno più tardi la Consob depositò una richiesta di annullamento del bilancio dell'anno precedente della Parmalat[17]. Il 20 gennaio seguirono le dimissioni di Silingardi[18], mentre il 23 gennaio un ex-collaboratore dei direttori finanziari Tonna e Del Soldato, Alessandro Bassi, il quale era stato già sentito come testimone dai pm, fu trovato morto, precipitato da un ponte[19]: l'ipotesi più accreditata dagli inquirenti fu il suicidio. Non mancano però ipotesi di omicidio come quella formulata nel libro di Livio Consigli "Il tesoro di Tanzi" (www.iltesoroditanzi.it). Nel contempo sia lo Stato, attraverso un finanziamento di 150 milioni[20], sia alcune banche[21], si occuparono del risanamento del gruppo di Collecchio perché potesse continuare l'attività.
Evoluzioni nel quadriennio 2004-2008 [modifica]
Dopo alcuni arresti e indagini, viene stabilito dalla Cassazione, il 1º marzo 2004, la celebrazione di due indagini (e processi) paralleli. Alla procura di Milano viene attribuita la competenza delle indagini per aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza, falso in comunicazioni (sociali e ai revisori) e ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Consob. A Parma l'associazione a delinquere e bancarotta.
Il 29 maggio 2004 la procura di Milano ottiene il rinvio a giudizio per 29 persone fisiche e tre persone giuridiche, tra cui Calisto Tanzi, componenti del consiglio di amministrazione Parmalat, sindaci, direttori, contabili, revisori dei conti, funzionari di “Bank of America”. Tra le persone giuridiche imputate la “Bank of America” e le società di revisione “Grant Thornton” (ora Italaudit) e “Deloitte & Touche”.
Il 18 dicembre 2008 il Tribunale di Milano ha emesso una sentenza, definita "a sorpresa", sul caso Parmalat. Dei 29 imputati, dopo patteggiamenti e applicazioni di leggi "controverse" (come la ex Cirielli), tra le persone fisiche giudicate con rito ordinario, risulta condannato il solo Calisto Tanzi, a 10 anni di reclusione. Tra le persone giuridiche, anche la Grant Thornton/Italaudit, sanzionata con 240.000 euro e ad una confisca di 455.000 euro[22].
Tra quelli che avevano scelto il patteggiamento: condannate, con una serie di pene che vanno dai cinque mesi e 10 giorni ai due mesi, otto persone fisiche, tra le quali Paola Visconti (nipote di Calisto Tanzi), la Deloitte & Touche e Dianthus (che avevano, nel frattempo, già risarcito migliaia di parti civili).
Tra i prosciolti figurano: Enrico Barachin, Giovanni Bonici (di Parmalat Venezuela), Paolo Sciumè (ex membro del C.d.A. di Parlamat di Collecchio) e il banchiere Luciano Silingardi. Per quanto riguarda la posizione di Bank of America, prosciolta, il P.M. Francesco Greco dichiara che «è stata riconosciuta la prescrizione per altro modificata dalla legge Cirielli»[22].
Voci correlate [modifica]
Calisto Tanzi
Note [modifica]
^ a b c d e f g h i j k l m n o p Report.rai.it
^ a b Notizie.parma.it, Rassegna stampa del Wall Street Journal, redazione di Parma: "Behind Parmalat Chief's Rise: Ties to Italian Power Structure"
^ Paolo Biondani, Associazione per delinquere nel crac Parmalat, «Corriere della Sera», 5 novembre 2004, p. 18.
^ Notizie.parma.it, Rassegna stampa del Corriere della Sera: "Parmalat, ecco tutte le accuse a Tanzi"
^ a b c d e Osservatorio sulla Legalità ONLUS: Notiziaro del 9 gennaio 2003
^ La Stampa, articolo del 24 gennaio 2002
^ a b c Il Sole 24 Ore.com: "Tonna fa i nomi di politici e banchieri"
^ Repubblica.it: "Inchiesta Cit-Parmalat, indagato anche l'ex-ministro Burlando"
^ Eurolat era una azienda che nasceva dall'unione delle aziende latte rilevate dalla Fedital del gruppo Federconsorzi e dalla Centrale del Latte di Roma. Pur avendo un grande fatturato, presentava un indebitamento ritenuto eccessivo. La magistratura ha supposto che l'operazione d'acquisto da parte di Parmalat era stata pilotata da gruppi bancari per alleggerire la loro esposizione in posizioni incagliate IlSole24Ore.com
^ Agcm.it
^ Le convulse operazioni finanziarie erano dettate dal timore che anche una sola rata di prestito non onorato avrebbe provocato, come era successo alla Cirio, sulla base delle clausole del cross default il rientro precipitoso di tutta l'esposizione verso le banche e il mercato finanziario [1]
^ Repubblica.it: "Parmalat rimborsa il bond da 150 milioni di euro"
^ Repubblica.it: "Parmalat torna in Borsa e perde quasi il 50%"
^ Repubblica.it: "Parmalat, indagini serrato sul falso documento"
^ Repubblica.it: "Parmalat, Tanzi indagato a Milano. Il titolo crolla. Male le banche
^ Repubblica.it: "Bondi: prima dismissione la squadra di calcio"
^ Corriere.it: "Consob, nullo il bilancio 2002 di Parmalat"
^ Notizie.parma.it: "Parmalat, Silingardi si dimette dalla Fondazione Cariparma"
^ Repubblica.it: "Parmalat: collaboratore di Tonna si uccide gettandosi da un ponte"
^ Repubblica.it: "Parmalat, prestito di 150 milioni arriva il via libera del governo"
^ Corriere.it: "Banca Intesa, aderiremo al prestito Parmalat
^ a b Sole24Ore, 18 dicembre 2008
Bibliografia [modifica]
Sigfrido Ranucci. BUCONERO S.p.a.. inchiesta di Report, trasmesso il 28 ottobre 2007. URL consultato il 2009-07-07.
Gabriele Capolino, Fabrizio Massaro, Paolo Panerai, Parmalat: la grande truffa, Milano Finanza, 366 ISBN 977-15-9467701-5 40221
Arnaldo Mauri, La tutela del risparmio dopo i casi Argentina e Parmalat, Dipartimento di Scienze economiche, aziendali e statistiche, Università degli Studi di Milano, Working Paper n. 8 2005 (Repec),
Giulio Sapelli, Giochi proibiti. Enron e Parmalat capitalismi a confronto, Mondadori Bruno, 2004
Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Crac_Parmalat"
Categorie: Processi celebri | Scandali italiani | [altre]
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Il crac Parmalat è stato il più grande scandalo di bancarotta fraudolenta e aggiotaggio perpetrato da una società privata in Europa[1][2]. Fu scoperto solo verso la fine del 2003, nonostante successivamente sia stato dimostrato che le difficoltà finanziarie dell'azienda fossero rilevabili già agli inizi degli anni novanta.
Il buco lasciato dalla società di Collecchio si aggirava sui quattordici miliardi di euro[3]; al momento della scoperta se ne stimavano la metà[4]. Con l'accusa di bancarotta fraudolenta, è stato rinviato a giudizio e in seguito condannato a dieci anni di reclusione il patron della Parmalat, Calisto Tanzi, nonché numerosi suoi collaboratori tra dirigenti, revisori dei conti e sindaci. Il fallimento della Parmalat è costato l'azzeramento del patrimonio azionario ai piccoli azionisti, mentre i risparmiatori che avevano investito in bond hanno ricevuto solo un parziale risarcimento.
Grazie al cosiddetto decreto "salva-imprese", Parmalat fu salvata dal fallimento e la sua direzione fu affidata all'amministrazione straordinaria di Enrico Bondi, che ha risanato parzialmente i conti (pur dovendo ancora rispondere completamente alle richieste di risarcimento dei vecchi risparmiatori).
Indice [nascondi]
1 Origini del buco finanziario
2 Occultamento dei debiti
3 Scoperta del crac
4 Evoluzioni nel quadriennio 2004-2008
5 Voci correlate
6 Note
7 Bibliografia
Origini del buco finanziario [modifica]
Negli anni ottanta, grazie all'iniziativa di Gregorio Maggiali, esponente della Democrazia Cristiana del tempo e amico di Tanzi, Calisto entrò in contatto per la prima volta con Ciriaco De Mita, in seguito Presidente del Consiglio dei ministri, con cui strinse una forte amicizia[5][6]. Per esprimere la sua gratitudine a Maggiali, stando agli atti, Tanzi gli avrebbe concesso il libero uso dei mezzi di trasporto della Parmalat[2]. Non solo, in seguito agli accertamenti sui movimenti finanziari della Parmalat nel 1993, la procura individuò diversi assegni circolari destinati alla Rayton Fissore, azienda automobilistica di Maggiali che versava in cattive acque, per un totale di 1,5 miliardi di lire. Questi finanziamenti illeciti furono rendicontati in bilancio a beneficio di una società fantasma[1]. A seguito di questi rilevamenti, il procuratore ipotizzò che Tanzi dirottasse grosse somme di denaro alla DC tramite la “Rayton Fissore”: De Mita fu indagato per concussione, ma l'indagine fu in seguito archiviata[1]. Diverse circostanze sembrano sottolineare l'influenza dell'amicizia tra De Mita e Tanzi nelle scelte della Parmalat. Nel 1984 la società apre un secondo stabilimento nel sud Italia, a Nusco, paese natale di De Mita[5]: la scelta non fu felice, sia per ragioni logistiche (la fabbrica distava oltre quaranta chilometri dall'autostrada) che per ragioni di salute pubblica: un giorno furono trovati rifiuti tossici provenienti da La Spezia[1]. Inoltre gli impianti furono commissionati e costruiti a Michele De Mita, segretario locale della DC e fratello di Ciriaco[1]. Altra coincidenza evidenziata dagli inquirenti è rappresentata dai finanziamenti previsti dalla legge 216 per la ricostruzione post terremoto dell'Irpinia: Tanzi chiese aiuti per otto miliardi di lire con dieci giorni di ritardo dalla scadenza, e gliene furono erogati undici[1][5]. Infine per commercializzare il latte a lunga conservazione, che la Parmalat aveva iniziato a produrre, servivano delle normative a livello nazionale, attraverso una legge che arrivò nel 1989, sotto il governo De Mita: in una ricostruzione della trasmissione televisiva Report, pare che, per restituire il favore, Tanzi abbia acquisito sotto l'egida della Parmalat un'ottantina di agenzie viaggio riconducibili a De Mita, che rischiavano l'insolvenza[1]. Successivamente, la Parmalat acquistò la Margherita Yoghurt, fortemente indebitata, su indicazione di Cossiga[7] che, secondo quanto dichiarato dall'ex-direttore finanziario della Parmalat Fausto Tonna, aveva nell'azienda alcuni parenti soci; e la Cipro Sicilia, oberata da debiti per 150 miliardi di lire, acquisizione riconducibile all'influenza di Calogero Antonio Mannino[1][7]. Sempre Tonna ha fatto il nome di Donatella Zingone, moglie del politico Lamberto Dini, e di Franco Bonferroni. La prima aveva posseduto una linea di supermercati in Costarica: uno stabilimento di questi sarebbe stato comprato da un consulente di Tanzi, Ottone, «a un prezzo a dir poco osceno» con i soldi di Parmalat Nicaragua[7]. Il secondo avrebbe consigliato l'acquisto di certi stabilimenti in Vietnam e Cambogia, operazioni per cui avrebbe percepito delle commissioni.
Durante il processo che lo vede imputato per il crac, Tanzi ha dichiarato alla Magistratura di aver finanziato fin dagli anni sessanta diverse banche, per ottenere crediti e condizionarne le nomine. Dai verbali di queste dichiarazioni inoltre risultano tra i finanziati molti nomi di politici, sia di centrodestra che di centrosinistra, ma comunque gran parte di essi sono riconducibili alla Democrazia Cristiana di allora: Forlani, Colombo, Pomicino, Fabbri, Signorile, Mannino, Fracanzani, Speroni, Stefani, D'Alema, Dini, Fini, De Mita, Tabacci, Sansa, Scalfaro, Pier Luigi Bersani, Lusetti, Gargani, i quali hanno peraltro tutti negato. Hanno invece ammesso di aver ricevuto somme inferiori ai cinquemila euro, e quindi esenti da dichiarazione, Casini, Prodi, Buttiglione, Castagnetti e Segni. Mentre la procura di Parma ha accertato e rintracciato questi flussi di denaro, molti si sono difesi in virtù del fatto che pensavano che i soldi provenissero direttamente da Tanzi, e non dalle casse della sua società[1].
Con il passaggio alla "Seconda Repubblica", dai verbali è emerso che Tanzi aveva dapprima versato ingenti somme a favore della campagna elettorale di Prodi per le elezioni politiche del 1996, e poi, in occasione delle elezioni del 2001, aveva sostenuto la campagna di Berlusconi[1][5]. La procura di Milano sta tuttavia indagando, a partire da alcune dichiarazioni di Tanzi, su finanziamenti risalenti già all'anno della nascita di Forza Italia, finanziamenti che sarebbero stati erogati mediante un meccanismo di mancato sconto agli spot pubblicitari in onda sulle reti Mediaset[1]. In questo modo il potenziale sconto di cui poteva godere una grande azienda come la Parmalat con le sue campagne pubblicitarie massive sarebbe confluito indirettamente a Forza Italia: a questo proposito Tanzi ha dichiarato di aver trasferite quote di pubblicità destinate a essere trasmesse dalla RAI a Publitalia. L'autore di questo accordo sarebbe stato Genesio Fornari, che è però deceduto[1]. Poi, nel 1996, quando era salito al potere Prodi, Tanzi aveva partecipato al potenziamento del capitale di Nomisma, società di cui Prodi ne è stato fondatore, diventandone socio[5]. In questi anni, tra il 1995 e il 1996, si collocherebbe inoltre la promozione di alcune joint-venture tra diverse agenzie viaggi controllate dalla Parmalat e la Cit viaggi, società turistiche delle Ferrovie dello Stato: questo progetto secondo la ricostruzione del pubblico ministero Pierfilippo Laviani a partire dagli interrogatori di Tanzi, sarebbe stato avallato da Ciriaco De Mita e Claudio Burlando, allora Ministro dei Trasporti e della Navigazione per il governo Prodi I e attuale Presidente della Giunta regionale della Liguria, e avrebbe permesso a Tanzi di scaricare i debiti della Parmalat sul partner pubblico. A questo proposito la procura di Roma ha iscritto sul registro degli indagati anche l'ex-amministratore delegato delle Ferrovie, Lorenzo Necci. Su questa faccenda Burlando ha dichiarato che non fosse di sua competenza, e che peraltro Cimoli, poi nominato amministratore delle FS, ha ritenuto di non procedere alla trattativa[8].
Tanzi si preoccupò anche di stipulare accordi finanziari con i mass-media cartacei: attraverso una sua società, la “Europa Service”, aveva acquistato azioni per 250 milioni di lire del quotidiano di sinistra il manifesto, regolarmente registrati[1]. Meno chiaro è invece il presunto finanziamento a Il Foglio, di Giuliano Ferrara: Tanzi ha dichiarato di aver versato dai 500 milioni al miliardo di lire, ma interpellato dal procuratore di Bologna, Vito Zincani, Ferrara non ha ritenuto di dover deporre[1]. La Magistratura ha rilevato che sono uscite dalle casse della Parmalat, coperti in bilancio dalla voce sponsorizzazione, circa 12 milioni di euro[1]. Si presume però che circa un miliardo e cento milioni di euro siano passate, mezzo la finanziaria uruguaiana Wishaw Trading, a persone ignote[1]: il tramite sarebbe stato Sergio Piccini, il quale è tuttavia deceduto. Al suo posto Tanzi aveva indicato Romano Bernardoni, già venditore d'auto.
Nel 2001 Parmalat commercializzò un nuovo tipo di latte chiamato "Fresco Blu", ampiamente pubblicizzato perché portava la data di scadenza a otto giorni dal momento che era microfiltrato e pastorizzato secondo un procedimento esclusivo. Tuttavia dal momento che le aziende concorrenti insorsero contro la scritta "fresco" che, per legge, doveva essere applicato solo a quel latte la cui data di scadenza era di quattro giorni, la Parmalat fu multata per frode. Così Tanzi decise di mandare Bernardoni da Gianni Alemanno, allora Ministro per le Politiche Agricole e Forestali sotto il governo Berlusconi II: il Ministro fu prosciolto per l'accusa di corruzione, per cui era stato indagato avendo rinunciato all'immunità parlamentare. Ciò nonostante il via libera della Commissione Interministeriale sulla vicenda, come ha evidenziato la Guardia di Finanza, è avvenuta il 28 dicembre 2002, contestualmente ai viaggi del ministro, e della sua segretaria, in un villaggio Parmatour, saldati solo a seguito del crac. Anche Bernardoni è stato prosciolto dall'accusa di corruzione, ma è stato rinviato a giudizio a Parma per finanziamento illecito a partiti. Si è ipotizzato che la fallimentare gestione dei villaggi Parmatour sia da ricondurre al loro utilizzo, ovvero incamerare i favori di politici, banchieri o aziende. Una delle operazioni più contestate è stato l'acquisto di Eurolat dal gruppo Cirio che comportò un aumento vertiginoso dell'esposizione debitoria[9] con una operazione contestata anche dall'Autorità per la Concorrenza[10].
Occultamento dei debiti [modifica]
I debiti della Parmalat ammontavano a un centinaio di miliardi di lire già verso la fine degli anni ottanta: per evitare il peggio, Tanzi decise di quotare alla Borsa Italiana il gruppo. Diventare una società per azioni richiede all'azienda un risanamento dei conti, ma le forti perdite di Odeon Tv, controllata dal gruppo di Collecchio, obbligarono Tanzi a rivolgersi alle banche per un prestito: nonostante l'opposizione del presidente e di alcuni sindaci revisori, l'Icle, un istituto di credito, erogò 120 miliardi di lire. Per completare l'operazione Parmalat dovette liberarsi anche dell'emittente oberata da debiti per 160 miliardi e a questo proposito si affidò alla Sasea, società estera di Florio Fiorini, già dirigente ENI: questi acquistò Odeon Tv, che in seguito fallì. Così la Parmalat poté entrare in Borsa, senza subire particolari controlli dalla Consob. Evidentemente i conti della società dopo la quotazione non migliorarono e i debiti avrebbero potuto decretarne il fallimento già negli anni novanta: per occultare questi dati, Tanzi affidò per anni all'avvocato Gian Paolo Zini il compito di creare una rete di società distribuite tra i Caraibi, il Delaware e le isole Cayman. L'avvocato Zini operava direttamente da New York e aveva creato il fondo Epicurum, ideato da Tonna, con cui la Parmalat riversava un'ingente quantità di denaro, circa 400 milioni di euro, sulla Parmatour: questi soldi venivano registrati come crediti per la società e conferiti nel fondo. L'operazione era, ovviamente, falsa, ma utile per ingannare il mercato. Allo stesso modo per simulare l'ottima salute economica della società, si emettevano false fatture. Dal momento che le fatture figurano come crediti, e questi crediti vanno incassati, Tonna e Bocchi si inventarono un fittizio conto corrente presso la “Bank of America”, intestato alla società Bonlat con sede alle Cayman, in cui figuravano 3,9 miliardi di euro. Ne derivò che le banche continuarono a erogare prestiti al gruppo, «malgrado i bilanci non fossero il massimo della trasparenza e [...] pur affermando di possedere liquidità consistente», come ha dichiarato Tanzi[11].
Quando il buco fu scoperto nel 2003, le banche si professarono vittime della frode della Parmalat, e lo stesso Governatore della Banca d'Italia del tempo, Antonio Fazio, in un'audizione al Senato del 2004, affermò che era evidente che non solo le banche italiane, ma anche quelle straniere, non erano consapevoli della situazione in cui versava la società di Tanzi. Tuttavia già nel 1995, a seguito di un'interrogazione parlamentare sui prestiti concessi alla Parmalat dalla Cassa di Risparmio di Parma (per 650 miliardi di lire) e dal Monte dei Paschi di Siena (per 90 miliardi di lire), la procura incaricò il ragionere Mario Valla di Parma di rivederne i bilanci degli ultimi tre anni. Dallo studio emerse un indebitamento elevatissimo: la società viveva dei prestiti bancari, perché come rivelò poi Tanzi, egli stesso aveva fatto pressione su Goria e De Mita affinché Luciano Silingardi venisse messo a capo della Cassa di Risparmio di Parma; e ugualmente era intervenuto sulla nomina di Franco Gorreri al Monte dei Paschi, premendo su Craxi. Presumibilmente Tanzi intendeva crearsi delle vie privilegiate per ottenere facili prestiti dai due gruppi bancari: d'altro canto Silingardi era stato sindaco per la Parmalat e Gorreri ne era un dipendente. La perizia del rag. Valla fu depositata in procura, ma il giudice per le indagini preliminari Antonio Padula archiviò l'inchiesta. Lo stesso Padula nel 1998 assolse Tanzi e Tonna dall'accusa di false comunicazioni sociali. Quando nel 2005 però, il Ministro di Grazia e Giustizia Roberto Castelli avviò un'ispezione sul gip di Parma, emerse che Padula aveva insistito con Tanzi per avere sconti per i viaggi nei villaggi Parmatour, che pagò peraltro solo dopo che fu scoperto il crac, oltre due anni dopo. Per questo Padula fu sanzionato dal Consiglio Superiore della Magistratura.
L'attuale amministratore delegato di Parmalat, Bondi, ha deciso di intraprendere un'azione legale contro le banche creditrici prima del crac, accusandole di aver emesso bond fino all'ultimo momento pur essendo consapevoli della situazione disastrosa in cui versavano i bilanci dell'azienda. Bondi stima che Deutsche Bank abbia, a fronte di un prestito di 140 milioni di euro, guadagnato di interessi 217 milioni (+140%), Unicredit Banca da 171 milioni di euro ne ha ricavati 212 (+124%), Capitalia ha incassato il 123% in più di quanto aveva prestato alla Parmalat. Paradigmatico a questo proposito fu il bond emesso dalla banca svizzera UBS a Parmalat di 420 milioni di euro, dei quali effettivamente solo 110 milioni furono incassati, mentre i restanti 290 milioni tornarono indietro alla banca, come assicurazione in caso di insolvenza: cosa che, a posteriori, si verificò. Le strabilianti cifre che le banche concedevano a Tanzi, servirono anche per acquisizioni, in modo da dare l'idea che la Parmalat fosse una società solida e in crescita: ad esempio, la Citigroup, banca statunitense, ha caldeggiato l'acquisto di bond ai risparmiatori fino a pochi giorni prima del crac, facendo leva sulla maschera dorata che la Parmalat si era creata. I finanziamenti, erogati per questo fine, venivano occultati dalle banche internazionali grazie a società site in paradisi fiscali: tra queste la “Buconero Spa”, dietro al cui nome emblematico si presume operasse la Citibank, che, secondo quanto riportato dallo scrittore Vittorio Malagutti, riuscì a far fluire 100 miliardi di lire attraverso un contratto di associazione di partecipazione, senza dunque che comparisse tra i debiti del gruppo Parmalat. Analogamente la Bank of America istituì una holding che, in compartecipazione alla Parmalat, si servì di un ente caritatevole delle Cayman per raccogliere quasi 300 milioni di dollari tra gli obbligazionisti e finanziare così la Parmalat Brasile, tecnicamente già fallita: l'accordo fu siglato tra Gregory Johnson, responsabile della security della banca statunitense, e Fausto Tonna.
Quando nel 2002 Tanzi necessitava di 50 milioni di euro per risollevare le perdite generate da Parmatour, si rivolse a Cesare Geronzi e alla sua Banca di Roma, per la quale era consigliere d'amministrazione. Matteo Arpe, amministratore delegato dell'istituto di Medio Credito Centrale attraverso il quale sarebbe stato concesso il prestito, si oppose all'operazione, ma Geronzi riuscì in ogni caso a far arrivare alle casse di Parmalat la cifra richiesta, che fu poi deviata al settore turismo. Contestualmente Tanzi acquisì la società sicula di acque minerali Ciappazzi, oberata di debiti sospesi per la maggior parte con la Banca di Roma. I magistrati ipotizzano che l'operazione sia frutto di una costrizione imposta da Geronzi a Tanzi. La fallimentare acquisizione ha avuto dei risvolti paradossali: in una regione spesso vittima di crisi idriche come la Sicilia, la Ciappazzi perdeva circa quindicimila litri di acqua al minuto, riversata in mare, poiché mancava della licenza di imbottigliare. Anche quando il crac venne a galla, la Ciappazzi non beneficiò dell'amministrazione straordinaria dato che Tanzi l'aveva comprata attraverso la Cosal, una società non direttamente riconducibile alla Parmalat. Geronzi, accusato di usura, dichiarò di ignorare che il gruppo di Collecchio fosse prossimo alla bancarotta e che a quanto sapeva Tanzi meditava da tempo di entrare nel mercato delle acque minerali.
Scoperta del crac [modifica]
Nel 2003 la Consob avviò dei controlli ai bilanci della Parmalat. Per ovviare a una situazione che avrebbe inevitabilmente portato alla scoperta del catastrofico stato della società, Tanzi, come si evince dai verbali degli interrogatori, chiese aiuto a Silvio Berlusconi[senza fonte] per un suo intervento presso le banche e presso la Consob: «Devo aggiungere che in occasione di un incontro che ho avuto in Consob, ho potuto constatare che la Consob mi ha trattato con gentilezza e mi ha dato tempo per chiarire gli aspetti della vicenda Parmalat», ha dichiarato Tanzi. Le banche tuttavia non rimasero impassibili al mancato rientro dei prestiti e cominciarono a fare pressione su Tanzi: quando iniziarono a trapelare i primi sintomi di insolvenza, il patron della Parmalat fu messo da parte, le banche imposero alla guida del gruppo in qualità di amministratore straordinario Enrico Bondi e il titolo Parmalat fu sospeso dalle trattative in Borsa.
Il 4 dicembre si scoprì che i 600 milioni di euro del fondo Epicurum non esistevano. L'8 dicembre era il termine entro cui la Parmalat era costretta a onorare il bond da 150 milioni di euro che aveva emesso: Bondi promise di restituire i soldi entro il 15 dicembre, ma quando quattro giorni dopo riuscì a saldare il debito[12], si accorse anche che ne mancavano 80. Intanto dopo tre giorni di sospensione, il titolo Parmalat fu riammesso alle contrattazioni: da un valore precedente di 2,2375 euro, l'11 dicembre il titolo chiuse a 1,1900 euro, in calo del 46,8%[13]. Il 15 dicembre il consiglio di amministrazione, tra cui figuravano Tanzi, Tonna e Gorreri, si dimise. La notizia che accese i riflettori sullo scandalo arrivò però il 19 dicembre 2003: in quella data la Bank of America dichiarò che i 3,95 miliardi di euro che rappresentavano l'attivo della Parmalat non esistevano: qualche giorno dopo fu appurato il documento che ne attestava l'esistenza era stato contraffatto[14]. Il 22 dicembre Tanzi fu iscritto al registro degli indagati per falso in bilancio presso la procura di Milano e nel frattempo il valore di un'azione della Parmalat era sceso a 0,1100 euro, ma anche gli indici delle banche connesse al crac persero punti (Capitalia -6%, Monte dei Paschi -5%); lo stesso giorno gli obbligazionisti statunitensi, onde scongiurare il rischio di cross default, decisero di non intraprendere richieste di risarcimento fintantoché Bondi non avesse redatto un piano di salvataggio[15].
Il 1º gennaio Bondi stabilì che il primo asset che la Parmalat avrebbe ceduto sarebbe stata la Parma Calcio[16] e qualche giorno più tardi la Consob depositò una richiesta di annullamento del bilancio dell'anno precedente della Parmalat[17]. Il 20 gennaio seguirono le dimissioni di Silingardi[18], mentre il 23 gennaio un ex-collaboratore dei direttori finanziari Tonna e Del Soldato, Alessandro Bassi, il quale era stato già sentito come testimone dai pm, fu trovato morto, precipitato da un ponte[19]: l'ipotesi più accreditata dagli inquirenti fu il suicidio. Non mancano però ipotesi di omicidio come quella formulata nel libro di Livio Consigli "Il tesoro di Tanzi" (www.iltesoroditanzi.it). Nel contempo sia lo Stato, attraverso un finanziamento di 150 milioni[20], sia alcune banche[21], si occuparono del risanamento del gruppo di Collecchio perché potesse continuare l'attività.
Evoluzioni nel quadriennio 2004-2008 [modifica]
Dopo alcuni arresti e indagini, viene stabilito dalla Cassazione, il 1º marzo 2004, la celebrazione di due indagini (e processi) paralleli. Alla procura di Milano viene attribuita la competenza delle indagini per aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza, falso in comunicazioni (sociali e ai revisori) e ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Consob. A Parma l'associazione a delinquere e bancarotta.
Il 29 maggio 2004 la procura di Milano ottiene il rinvio a giudizio per 29 persone fisiche e tre persone giuridiche, tra cui Calisto Tanzi, componenti del consiglio di amministrazione Parmalat, sindaci, direttori, contabili, revisori dei conti, funzionari di “Bank of America”. Tra le persone giuridiche imputate la “Bank of America” e le società di revisione “Grant Thornton” (ora Italaudit) e “Deloitte & Touche”.
Il 18 dicembre 2008 il Tribunale di Milano ha emesso una sentenza, definita "a sorpresa", sul caso Parmalat. Dei 29 imputati, dopo patteggiamenti e applicazioni di leggi "controverse" (come la ex Cirielli), tra le persone fisiche giudicate con rito ordinario, risulta condannato il solo Calisto Tanzi, a 10 anni di reclusione. Tra le persone giuridiche, anche la Grant Thornton/Italaudit, sanzionata con 240.000 euro e ad una confisca di 455.000 euro[22].
Tra quelli che avevano scelto il patteggiamento: condannate, con una serie di pene che vanno dai cinque mesi e 10 giorni ai due mesi, otto persone fisiche, tra le quali Paola Visconti (nipote di Calisto Tanzi), la Deloitte & Touche e Dianthus (che avevano, nel frattempo, già risarcito migliaia di parti civili).
Tra i prosciolti figurano: Enrico Barachin, Giovanni Bonici (di Parmalat Venezuela), Paolo Sciumè (ex membro del C.d.A. di Parlamat di Collecchio) e il banchiere Luciano Silingardi. Per quanto riguarda la posizione di Bank of America, prosciolta, il P.M. Francesco Greco dichiara che «è stata riconosciuta la prescrizione per altro modificata dalla legge Cirielli»[22].
Voci correlate [modifica]
Calisto Tanzi
Note [modifica]
^ a b c d e f g h i j k l m n o p Report.rai.it
^ a b Notizie.parma.it, Rassegna stampa del Wall Street Journal, redazione di Parma: "Behind Parmalat Chief's Rise: Ties to Italian Power Structure"
^ Paolo Biondani, Associazione per delinquere nel crac Parmalat, «Corriere della Sera», 5 novembre 2004, p. 18.
^ Notizie.parma.it, Rassegna stampa del Corriere della Sera: "Parmalat, ecco tutte le accuse a Tanzi"
^ a b c d e Osservatorio sulla Legalità ONLUS: Notiziaro del 9 gennaio 2003
^ La Stampa, articolo del 24 gennaio 2002
^ a b c Il Sole 24 Ore.com: "Tonna fa i nomi di politici e banchieri"
^ Repubblica.it: "Inchiesta Cit-Parmalat, indagato anche l'ex-ministro Burlando"
^ Eurolat era una azienda che nasceva dall'unione delle aziende latte rilevate dalla Fedital del gruppo Federconsorzi e dalla Centrale del Latte di Roma. Pur avendo un grande fatturato, presentava un indebitamento ritenuto eccessivo. La magistratura ha supposto che l'operazione d'acquisto da parte di Parmalat era stata pilotata da gruppi bancari per alleggerire la loro esposizione in posizioni incagliate IlSole24Ore.com
^ Agcm.it
^ Le convulse operazioni finanziarie erano dettate dal timore che anche una sola rata di prestito non onorato avrebbe provocato, come era successo alla Cirio, sulla base delle clausole del cross default il rientro precipitoso di tutta l'esposizione verso le banche e il mercato finanziario [1]
^ Repubblica.it: "Parmalat rimborsa il bond da 150 milioni di euro"
^ Repubblica.it: "Parmalat torna in Borsa e perde quasi il 50%"
^ Repubblica.it: "Parmalat, indagini serrato sul falso documento"
^ Repubblica.it: "Parmalat, Tanzi indagato a Milano. Il titolo crolla. Male le banche
^ Repubblica.it: "Bondi: prima dismissione la squadra di calcio"
^ Corriere.it: "Consob, nullo il bilancio 2002 di Parmalat"
^ Notizie.parma.it: "Parmalat, Silingardi si dimette dalla Fondazione Cariparma"
^ Repubblica.it: "Parmalat: collaboratore di Tonna si uccide gettandosi da un ponte"
^ Repubblica.it: "Parmalat, prestito di 150 milioni arriva il via libera del governo"
^ Corriere.it: "Banca Intesa, aderiremo al prestito Parmalat
^ a b Sole24Ore, 18 dicembre 2008
Bibliografia [modifica]
Sigfrido Ranucci. BUCONERO S.p.a.. inchiesta di Report, trasmesso il 28 ottobre 2007. URL consultato il 2009-07-07.
Gabriele Capolino, Fabrizio Massaro, Paolo Panerai, Parmalat: la grande truffa, Milano Finanza, 366 ISBN 977-15-9467701-5 40221
Arnaldo Mauri, La tutela del risparmio dopo i casi Argentina e Parmalat, Dipartimento di Scienze economiche, aziendali e statistiche, Università degli Studi di Milano, Working Paper n. 8 2005 (Repec),
Giulio Sapelli, Giochi proibiti. Enron e Parmalat capitalismi a confronto, Mondadori Bruno, 2004
Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Crac_Parmalat"
Categorie: Processi celebri | Scandali italiani | [altre]
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mercoledì 1 dicembre 2010
CHI C’È DIETRO IL DIAVOLO ASSANGE? CHI FINANZIA ’STO BIONDINO SLAVATO? CHI LO NASCONDE? COME È POSSIBILE CHE NESSUN MOSSAD O CIA RIESCA A CATTURARE LA "SPIA"? - 2- GLI "ADDETTI AI LIVORI" SI DOMANDANO: A CHI GIOVA IL TERREMOTO DI WIKILEAKS? DI SICURO, IL GIORNO DOPO IL SISMA PER NULLA DIPLOMATICO TUTTI HANNO BUSSATO AIUTO ALLE SOCIETÀ CHE LAVORANO ALLA PROTEZIONE DATI DI TRASMISSIONE INTERNET - 3- IN PISTA CI SONO SOPRATTUTTO SOCIETÀ CINESI E ISRAELIANE E GUARDA CASO, SU CINA E ISRAELE, PUR ESSENDO DA DECENNI AL CENTRO DEL CAOS POLITICO MONDIALE, NON È USCITO NIENTE DI CLAMOROSO DALLE MIGLIAIA DI FILE ROVESCIATI DA ASSANGE... - 4- UN GIORNALISTA DI WIKILEAKS ANNUNCIA L’USCITA DI DIVERSI DOCUMENTI SUL VATICANO -
- DAGOREPORT
Chi c'è dietro il diavolo Assange? Anziché preoccuparsi sul tenore dei "cablo-dispacci" svelati da Wikileaks, grandi cervelli si agitano per scoprire l'arcano: chi chi lo paga 'sto biondino slavato? chi lo nasconde? come è possibile che nessun Mossad o Cia riesca a catturare l'hacker australiano?
Leader secondo rivelazioni wikileaks
Ecco, gira a proposito una teoria, da prendere con le mollette, of course, che risponde alla fatidica domanda: cui prodest? A chi giova il terremoto di Wikileaks?
Di sicuro, il giorno dopo il sisma poco diplomatico tutti sono corsi a chiedere aiuto alle società che lavorano alla protezione dati. Governi, società, partiti: tutti impegnatissimi oggi a consolidare la loro bucatissima rete di trasmissione. E a chi si rivolgono Lor Signori?
In ballo ci sono soprattutto società cinesi e israeliane particolarmente valide in questo campo, aggiungono gli "addetti ai livori". E guarda caso, su Cina e Israele, pur essendo da decenni al centro del caos politico mondiale, non è uscito niente di clamoroso, dicono....
Ex bunker atomico con i server di Wikileaks
2- RETI OCCULTE! MA SCAMUFFE
M. Mag. per "Il Sole 24 Ore"
Nel settembre del 1991, quando l'internet era già stata dismessa dal Pentagono eppure restava sconosciuta al di fuori delle università, il governo americano pensa bene di costruirsene un'altra parallela, per esplicite questioni di sicurezza. Anzi, due. È così che nascono Niprnet e Siprnet. La prima per i messaggi sensibili ma unclassified, e la seconda per quelli più riservati, da classified a secret.
Mappa dei documenti in mano a Wikileaks da "El Pais"
I documenti della diplomazia americana finiti in questi giorni sotto gli occhi del mondo, vengono dal circuito digitale ritenuto più invalicabile: il Siprnet, che gli addetti ai lavori pronunciano sipper-net.
Il guaio è che gli addetti ai lavori sono gli oltre due milioni di dipendenti dell'esercito e del network diplomatico più grande del mondo. E l'ironia è che, nei primi mesi della guerra in Iraq, alle richieste di Londra di poter accedere al Siprnet, Washington rispondeva picche: il rischio di accessi non autorizzati era troppo alto.
der spiegel -wikileaks
Invece è bastato che uno solo, di quell'oceano di utenti autorizzati, prelevasse i messaggi dal server e li mettesse nel megafono del mondo: la stessa internet inventata dal Pentagono, eppure diventata il monumento della libertà di parola.
Certo, il colpevole (forse Bradley Manning, già arrestato in giugno per download non autorizzati quand'era di stanza in Iraq) si è dovuto impegnare a frugare nei server del Siprnet, perché - come accade nell'internet che tutti conosciamo - non è uno scherzo intercettare le email altrui. Ma il fatto incredibile è che sia possibile andare a frugare nel server di posta del Secret Internet Protocol Router Network, senza che un campanello d'allarme si metta subito a suonare.
wikileaks-manning, analista Pentagono che ha consegnatoi i codici di accesso ad Assange
Di reti parallele, che funzionano con il protocollo Ip dell'internet, ce ne sono molte: quella della Nato si chiama Cronos, ad esempio. La loro utilità è chiara: stando fuori dell'internet, non si rischiano incidenti come quello dell'8 aprile scorso, quando per 18 minuti il traffico web dell'amministrazione americana è stato intercettato da un misterioso hacker cinese.
3- «WIKILEAKS FA TERRORISMO» HILLARY SCATENA - L'FBI: IL FONDATORE DEL SITO È UNA SPIA
Maurizio Stefanini per "Libero"
Tre sono le strategie con cui l'Amministrazione Obama risponderà a Wikileaks, come si desume anche dalle parole di Hillary Clinton. Anche se c'è forse una quarta strategia cui gli Stati Uniti dovrebbero ricorrere e che va più a monte del caso Wikileaks; e una quinta strategia che Assange sta offrendo involontariamente. A meno che non sia a sua volta la più raffinata delle contromosse.
wikileaks-assange
Innanzitutto, dunque, l'Amministrazione Obama ha portato avanti una strategia che potremmo definire "per lo ieri": avvertire subito tutti gli Alleati che sarebbero saltate fuori un bel po' di rivelazioni in apparenza imbarazzanti, ma da non prendere troppo sul serio; perché si sa che quando la gente parla in privato va a ruota libera. Appunto, come ha spiegato Hillary: "posso comunque dire che gli Stati Uniti sono profondamente dispiaciuti di questa rivelazioni di documenti nati per rimanere confidenziali, frutto di discussioni private tra controparti o osservazioni dei nostri diplomatici".
Julian Assange Fondatore di Wikileaks Ovviamente chi ha interessi strategici per essere amico degli Usa non si lascia distrarre da questo gossip, e chi era nemico lo resterà comunque. Però è vero che da ora in poi chi parla con un diplomatico americano ci penserà due volte prima di esporsi troppo. Infine il Dipartimento di Stato ha disconnesso il network militare Siprnet, da cui sono stati rubati i 250mila documenti.
La seconda strategia è quella per l'oggi: togliere in qualche modo di mezzo Assange il prima possibile. Per la verità, mosse del genere erano già cominciate da tempo: dalle noie al sito, alle due accuse per stupro che sul 39enne australiano sono piombate addosso tra capo e collo. Ma si trattava di mosse indirette, mentre ora gli ultimi sviluppi permettono un'incriminazione diretta per violazione della legge Usa sullo spionaggio. E i federali sono già al lavoro.
ASSANGE «Puniremo chi ruba i dati», ha avvertito Hillary. «Non commenterò e non confermerò le informazioni rubate e pubblicate al Dipartimento Stato». Come ha ricordato l'ex-consulente della Cia Jeffrey H.Smith, la lettera inviata sabato scorso dal Dipartimento di Stato Usa ad Assange, per invitarlo a non pubblicare i documenti e a restituire tutti i file classificati, serviva appunto a far scattare i rigori della norma, secondo cui chiunque entri «in possesso in maniera non autorizzata di informazioni riguardanti la difesa nazionale» che ritiene possano danneggiare gli Stati Uniti, può essere perseguito se le diffonde o le trattiene «deliberatamente», quando invece il governo ne ha chiesto la restituzione.
assange-greenberg
La terza strategia è sul domani, e corrisponde a quella parte del suo commento in cui Hillary ha promesso che "non accadrà mai più". Si tratta semplicemente di tappare il buco: ma qui entra in campo anche quella che abbiamo definito la quarta strategia, e che riguarda uno storico problema degli Usa con i servizi segreti.
Quando Assange difende le sue azioni richiamandosi ai valori americani, in effetti fa appello a una certa retorica che si insegna nelle scuole Usa e per cui ad esempio George Washington "non diceva bugie", la Costituzione prescrive che i trattati internazionali vanno ratificati a maggioranza dei due terzi e Wilson al primo dei suoi famosi Quattordici Punti del 1918 mise il no alla "diplomazia segreta".
wikileaks
In realtà, poi, senza l'accordo segreto stipulato nel 1778 tra Franklin e la Francia gli Stati Uniti non sarebbero neanche nati. Ma fino al 1947 gli Usa non ebbero servizi segreti permanenti. Poi nacque la Cia, ma a quel punto nel clima della Guerra Fredda un po' tutti si misero a creare servizi, e in questo momento ce ne sono ben 16: oltre alla Cia quelli di esercito, marina, aviazione, marines, guardia costiera, Dipartimento della Difesa nel suo complesso, agenzia geospaziale, satelliti artificiali, Dipartimento dell'Energia, nuovo Dipartimento alla Sicurezza interna stabilito nel 2002, Dipartimenti di Stato e del Tesoro, oltre alla National Security Agency specialista in decrittazione, all'Fbi e alla la Dea anti-droga.
assange
Il Direttore della Cia doveva coordinarli tutti, ma in seguito al botto dell'11 settembre dal 2005 l'incarico gli è stato tolto, per darlo a un nuovo Direttore della National Intelligence. Adesso, viene forse da pensare che minimo un certo accorpamento dovrebbe avere luogo, per prevenire nuove crisi. Il quinto problema, però, è quello dello stesso Assange.
Che forse avrebbe creato più impatto se avesse dato ad esempio la notizia dello spionaggio all'Onu da sola, invece di annegarla nel mare di tutti questi pettegolezzi. Dunque, forse una mano agli Usa a parare il disastro la sta dando involontariamente il suo eccesso di protagonismo. A meno che anch'esso non sia una finta per indurre Obama e Hillary ad abbassare la guardia, del tipo «va be', il peggio è passato».
assange
Per poi far partire i colpi veramente devastanti dopo. Certo che questa stessa strategia da parte dello hacker australiano può suggerire le contromisure ai suoi avversari. Aspettiamoci quindi un'ondata di controinformazione con una dose massiccia di nuove "indiscrezioni" e "cable" rivelati - una quantità tale di "rumore" tale da rendere indistinguibili o addirittura noiose le poche notizie vere rivelate dal sito.
4- NIENTE PAURA. MA L'AFFARE S'INGROSSA ANCHE IN VATICANO
Paolo Rodari per Il Foglio.it
In Vaticano fanno sapere che non son preoccupati. Ma intanto oggi, in un'intervista con il Telegraph, James Ball, un giornalista che lavora per Wikileaks, ha fatto sapere che diversi documenti sul Vaticano devono ancora uscire.
Ecco qui il video dell'intervista di Ball: Vatican, Israel and North Korea in firing line as disclosures to continue 'for months'. http://bit.ly/dOm6g1
wikileaks-assange
5- PALADINO DELLA LIBERTÀ DI STAMPA O, COME CREDE L'EX CONSIGLIERE DI JIMMY CARTER, BRZEZINSKI, UOMO DEI SERVIZI DI UN PAESE NEMICO DEGLI USA (LA CINA?) - IL "NY TIMES" PUBBLICA ARTICOLI NON TROPPO BENEVOLI E LUI GLI NEGA I DOCUMENTI (CNN E "WSJ" NON HANNO ACCETTATO CONDIZIONI CAPESTRO) E CHI LO CONOSCE LO DIPINGE COME UN UOMO SOLO, TIRANNICO E PARANOICO, TANTO CHE I SUOI EX COMPAGNI FONDERANNO L'ANTI-WIKILEAKS ACCUSANDOLO DI CULTO DELLA PERSONALITÀ...
Alessandro Carlini per "Libero"
L'uomo che proclama di «voler rivelare a tutto il mondo i documenti che fanno la Storia» ha una storia personale tutt'altro che trasparente. Julian Assange, 39 anni, è un personaggio oscuro, paranoico, inafferrabile. Vive come un fuggitivo e di lui non si conosce nemmeno la data esatta di nascita. Ha fondato Wikileaks nel 2006, ma solo quest'anno è stato pubblicato il materiale riservato che lo ha fatto diventare famoso, amato da pochi e odiato da molti. E la sua vita si è trasformata in un incubo. Si sposta di continuo, abita da amici di amici, si rifiuta di dire da dove viene e dove è diretto, cambia ripetutamente numero di telefono e lo diffonde col contagocce.
Grattacielo del New York Times by Renzo Piano Alto, magro, il sorriso sarcastico, pesa ogni parola con lentezza e voce monocorde. Taglia e tinge di nero i suoi capelli biondo platino che gli danno un aspetto un po' dandy, un po' agente segreto.
Uno così non poteva non avere nemici e rivali. Fino a ora è sfuggito a tutti, alla polizia svedese che ha emesso nei suoi confronti un mandato d'arresto per violenze sessuali, agli australiani e agli americani che lo vedrebbero bene dietro le sbarre. Tanti i lati oscuri. Come quelli emersi nella trattativa con i media americani e britannici che hanno pubblicato in anteprima i dispacci del Dipartimento di Stato Usa, da cui è nato lo scandalo internazionale di questi giorni.
Assange si era rifiutato di darli al New York Times a causa di alcuni articoli non molto lusinghieri che lo riguardavano. Quindi ha preferito altre testate, prima fra tutte il Guardian, rivelando così che quando si tratta del suo conto e della sua vita il giornalista-hacker non è più così tanto trasparente.
Brzezinsky
Ma il New York Times è comunque riuscito ad avere il materiale, grazie a un accordo col Guardian. Assange si era rivolto anche ad altri, Cnn e Wall Street Journal, ma non hanno voluto i suoi dispacci riservati perchè consideravano inaccettabili le condizioni dell'accordo, che comprendeva una penale di 100mila dollari.
Non solo, Wikileaks si riservava il diritto di scegliere presso quale tribunale fare ricorso in caso di contenzioso.
C'è poi chi è pronto a sfidarlo. Si tratta dell'ex portavoce del sito di "spioni", il tedesco Daniel Domscheit-Berg, che il prossimo mese lancerà un portale concorrente, così per contrastare, come ha detto lui stesso, il culto della personalità dell'australiano. Con lui c'è anche uno studente islandese di 25 anni, Herbert Snorrason, che era stato un collaboratore di Assange.
Snorrason ha detto che il fondatore australiano «agisce come un imperatore» e ha tradito lo spirito originario del sito. Se non bastasse il Pentagono ha arruolato uno dei migliori hacker per fermare Wikileaks. E mentre l'Ecuador offre asilo ad Assange, l'ex consigliere di Carter, Zibi Brzezinski, adombra il fatto che dietro Wikileaks ci siano i servizi di un Paese nemico di Washington.
by dagospia
Chi c'è dietro il diavolo Assange? Anziché preoccuparsi sul tenore dei "cablo-dispacci" svelati da Wikileaks, grandi cervelli si agitano per scoprire l'arcano: chi chi lo paga 'sto biondino slavato? chi lo nasconde? come è possibile che nessun Mossad o Cia riesca a catturare l'hacker australiano?
Leader secondo rivelazioni wikileaks
Ecco, gira a proposito una teoria, da prendere con le mollette, of course, che risponde alla fatidica domanda: cui prodest? A chi giova il terremoto di Wikileaks?
Di sicuro, il giorno dopo il sisma poco diplomatico tutti sono corsi a chiedere aiuto alle società che lavorano alla protezione dati. Governi, società, partiti: tutti impegnatissimi oggi a consolidare la loro bucatissima rete di trasmissione. E a chi si rivolgono Lor Signori?
In ballo ci sono soprattutto società cinesi e israeliane particolarmente valide in questo campo, aggiungono gli "addetti ai livori". E guarda caso, su Cina e Israele, pur essendo da decenni al centro del caos politico mondiale, non è uscito niente di clamoroso, dicono....
Ex bunker atomico con i server di Wikileaks
2- RETI OCCULTE! MA SCAMUFFE
M. Mag. per "Il Sole 24 Ore"
Nel settembre del 1991, quando l'internet era già stata dismessa dal Pentagono eppure restava sconosciuta al di fuori delle università, il governo americano pensa bene di costruirsene un'altra parallela, per esplicite questioni di sicurezza. Anzi, due. È così che nascono Niprnet e Siprnet. La prima per i messaggi sensibili ma unclassified, e la seconda per quelli più riservati, da classified a secret.
Mappa dei documenti in mano a Wikileaks da "El Pais"
I documenti della diplomazia americana finiti in questi giorni sotto gli occhi del mondo, vengono dal circuito digitale ritenuto più invalicabile: il Siprnet, che gli addetti ai lavori pronunciano sipper-net.
Il guaio è che gli addetti ai lavori sono gli oltre due milioni di dipendenti dell'esercito e del network diplomatico più grande del mondo. E l'ironia è che, nei primi mesi della guerra in Iraq, alle richieste di Londra di poter accedere al Siprnet, Washington rispondeva picche: il rischio di accessi non autorizzati era troppo alto.
der spiegel -wikileaks
Invece è bastato che uno solo, di quell'oceano di utenti autorizzati, prelevasse i messaggi dal server e li mettesse nel megafono del mondo: la stessa internet inventata dal Pentagono, eppure diventata il monumento della libertà di parola.
Certo, il colpevole (forse Bradley Manning, già arrestato in giugno per download non autorizzati quand'era di stanza in Iraq) si è dovuto impegnare a frugare nei server del Siprnet, perché - come accade nell'internet che tutti conosciamo - non è uno scherzo intercettare le email altrui. Ma il fatto incredibile è che sia possibile andare a frugare nel server di posta del Secret Internet Protocol Router Network, senza che un campanello d'allarme si metta subito a suonare.
wikileaks-manning, analista Pentagono che ha consegnatoi i codici di accesso ad Assange
Di reti parallele, che funzionano con il protocollo Ip dell'internet, ce ne sono molte: quella della Nato si chiama Cronos, ad esempio. La loro utilità è chiara: stando fuori dell'internet, non si rischiano incidenti come quello dell'8 aprile scorso, quando per 18 minuti il traffico web dell'amministrazione americana è stato intercettato da un misterioso hacker cinese.
3- «WIKILEAKS FA TERRORISMO» HILLARY SCATENA - L'FBI: IL FONDATORE DEL SITO È UNA SPIA
Maurizio Stefanini per "Libero"
Tre sono le strategie con cui l'Amministrazione Obama risponderà a Wikileaks, come si desume anche dalle parole di Hillary Clinton. Anche se c'è forse una quarta strategia cui gli Stati Uniti dovrebbero ricorrere e che va più a monte del caso Wikileaks; e una quinta strategia che Assange sta offrendo involontariamente. A meno che non sia a sua volta la più raffinata delle contromosse.
wikileaks-assange
Innanzitutto, dunque, l'Amministrazione Obama ha portato avanti una strategia che potremmo definire "per lo ieri": avvertire subito tutti gli Alleati che sarebbero saltate fuori un bel po' di rivelazioni in apparenza imbarazzanti, ma da non prendere troppo sul serio; perché si sa che quando la gente parla in privato va a ruota libera. Appunto, come ha spiegato Hillary: "posso comunque dire che gli Stati Uniti sono profondamente dispiaciuti di questa rivelazioni di documenti nati per rimanere confidenziali, frutto di discussioni private tra controparti o osservazioni dei nostri diplomatici".
Julian Assange Fondatore di Wikileaks Ovviamente chi ha interessi strategici per essere amico degli Usa non si lascia distrarre da questo gossip, e chi era nemico lo resterà comunque. Però è vero che da ora in poi chi parla con un diplomatico americano ci penserà due volte prima di esporsi troppo. Infine il Dipartimento di Stato ha disconnesso il network militare Siprnet, da cui sono stati rubati i 250mila documenti.
La seconda strategia è quella per l'oggi: togliere in qualche modo di mezzo Assange il prima possibile. Per la verità, mosse del genere erano già cominciate da tempo: dalle noie al sito, alle due accuse per stupro che sul 39enne australiano sono piombate addosso tra capo e collo. Ma si trattava di mosse indirette, mentre ora gli ultimi sviluppi permettono un'incriminazione diretta per violazione della legge Usa sullo spionaggio. E i federali sono già al lavoro.
ASSANGE «Puniremo chi ruba i dati», ha avvertito Hillary. «Non commenterò e non confermerò le informazioni rubate e pubblicate al Dipartimento Stato». Come ha ricordato l'ex-consulente della Cia Jeffrey H.Smith, la lettera inviata sabato scorso dal Dipartimento di Stato Usa ad Assange, per invitarlo a non pubblicare i documenti e a restituire tutti i file classificati, serviva appunto a far scattare i rigori della norma, secondo cui chiunque entri «in possesso in maniera non autorizzata di informazioni riguardanti la difesa nazionale» che ritiene possano danneggiare gli Stati Uniti, può essere perseguito se le diffonde o le trattiene «deliberatamente», quando invece il governo ne ha chiesto la restituzione.
assange-greenberg
La terza strategia è sul domani, e corrisponde a quella parte del suo commento in cui Hillary ha promesso che "non accadrà mai più". Si tratta semplicemente di tappare il buco: ma qui entra in campo anche quella che abbiamo definito la quarta strategia, e che riguarda uno storico problema degli Usa con i servizi segreti.
Quando Assange difende le sue azioni richiamandosi ai valori americani, in effetti fa appello a una certa retorica che si insegna nelle scuole Usa e per cui ad esempio George Washington "non diceva bugie", la Costituzione prescrive che i trattati internazionali vanno ratificati a maggioranza dei due terzi e Wilson al primo dei suoi famosi Quattordici Punti del 1918 mise il no alla "diplomazia segreta".
wikileaks
In realtà, poi, senza l'accordo segreto stipulato nel 1778 tra Franklin e la Francia gli Stati Uniti non sarebbero neanche nati. Ma fino al 1947 gli Usa non ebbero servizi segreti permanenti. Poi nacque la Cia, ma a quel punto nel clima della Guerra Fredda un po' tutti si misero a creare servizi, e in questo momento ce ne sono ben 16: oltre alla Cia quelli di esercito, marina, aviazione, marines, guardia costiera, Dipartimento della Difesa nel suo complesso, agenzia geospaziale, satelliti artificiali, Dipartimento dell'Energia, nuovo Dipartimento alla Sicurezza interna stabilito nel 2002, Dipartimenti di Stato e del Tesoro, oltre alla National Security Agency specialista in decrittazione, all'Fbi e alla la Dea anti-droga.
assange
Il Direttore della Cia doveva coordinarli tutti, ma in seguito al botto dell'11 settembre dal 2005 l'incarico gli è stato tolto, per darlo a un nuovo Direttore della National Intelligence. Adesso, viene forse da pensare che minimo un certo accorpamento dovrebbe avere luogo, per prevenire nuove crisi. Il quinto problema, però, è quello dello stesso Assange.
Che forse avrebbe creato più impatto se avesse dato ad esempio la notizia dello spionaggio all'Onu da sola, invece di annegarla nel mare di tutti questi pettegolezzi. Dunque, forse una mano agli Usa a parare il disastro la sta dando involontariamente il suo eccesso di protagonismo. A meno che anch'esso non sia una finta per indurre Obama e Hillary ad abbassare la guardia, del tipo «va be', il peggio è passato».
assange
Per poi far partire i colpi veramente devastanti dopo. Certo che questa stessa strategia da parte dello hacker australiano può suggerire le contromisure ai suoi avversari. Aspettiamoci quindi un'ondata di controinformazione con una dose massiccia di nuove "indiscrezioni" e "cable" rivelati - una quantità tale di "rumore" tale da rendere indistinguibili o addirittura noiose le poche notizie vere rivelate dal sito.
4- NIENTE PAURA. MA L'AFFARE S'INGROSSA ANCHE IN VATICANO
Paolo Rodari per Il Foglio.it
In Vaticano fanno sapere che non son preoccupati. Ma intanto oggi, in un'intervista con il Telegraph, James Ball, un giornalista che lavora per Wikileaks, ha fatto sapere che diversi documenti sul Vaticano devono ancora uscire.
Ecco qui il video dell'intervista di Ball: Vatican, Israel and North Korea in firing line as disclosures to continue 'for months'. http://bit.ly/dOm6g1
wikileaks-assange
5- PALADINO DELLA LIBERTÀ DI STAMPA O, COME CREDE L'EX CONSIGLIERE DI JIMMY CARTER, BRZEZINSKI, UOMO DEI SERVIZI DI UN PAESE NEMICO DEGLI USA (LA CINA?) - IL "NY TIMES" PUBBLICA ARTICOLI NON TROPPO BENEVOLI E LUI GLI NEGA I DOCUMENTI (CNN E "WSJ" NON HANNO ACCETTATO CONDIZIONI CAPESTRO) E CHI LO CONOSCE LO DIPINGE COME UN UOMO SOLO, TIRANNICO E PARANOICO, TANTO CHE I SUOI EX COMPAGNI FONDERANNO L'ANTI-WIKILEAKS ACCUSANDOLO DI CULTO DELLA PERSONALITÀ...
Alessandro Carlini per "Libero"
L'uomo che proclama di «voler rivelare a tutto il mondo i documenti che fanno la Storia» ha una storia personale tutt'altro che trasparente. Julian Assange, 39 anni, è un personaggio oscuro, paranoico, inafferrabile. Vive come un fuggitivo e di lui non si conosce nemmeno la data esatta di nascita. Ha fondato Wikileaks nel 2006, ma solo quest'anno è stato pubblicato il materiale riservato che lo ha fatto diventare famoso, amato da pochi e odiato da molti. E la sua vita si è trasformata in un incubo. Si sposta di continuo, abita da amici di amici, si rifiuta di dire da dove viene e dove è diretto, cambia ripetutamente numero di telefono e lo diffonde col contagocce.
Grattacielo del New York Times by Renzo Piano Alto, magro, il sorriso sarcastico, pesa ogni parola con lentezza e voce monocorde. Taglia e tinge di nero i suoi capelli biondo platino che gli danno un aspetto un po' dandy, un po' agente segreto.
Uno così non poteva non avere nemici e rivali. Fino a ora è sfuggito a tutti, alla polizia svedese che ha emesso nei suoi confronti un mandato d'arresto per violenze sessuali, agli australiani e agli americani che lo vedrebbero bene dietro le sbarre. Tanti i lati oscuri. Come quelli emersi nella trattativa con i media americani e britannici che hanno pubblicato in anteprima i dispacci del Dipartimento di Stato Usa, da cui è nato lo scandalo internazionale di questi giorni.
Assange si era rifiutato di darli al New York Times a causa di alcuni articoli non molto lusinghieri che lo riguardavano. Quindi ha preferito altre testate, prima fra tutte il Guardian, rivelando così che quando si tratta del suo conto e della sua vita il giornalista-hacker non è più così tanto trasparente.
Brzezinsky
Ma il New York Times è comunque riuscito ad avere il materiale, grazie a un accordo col Guardian. Assange si era rivolto anche ad altri, Cnn e Wall Street Journal, ma non hanno voluto i suoi dispacci riservati perchè consideravano inaccettabili le condizioni dell'accordo, che comprendeva una penale di 100mila dollari.
Non solo, Wikileaks si riservava il diritto di scegliere presso quale tribunale fare ricorso in caso di contenzioso.
C'è poi chi è pronto a sfidarlo. Si tratta dell'ex portavoce del sito di "spioni", il tedesco Daniel Domscheit-Berg, che il prossimo mese lancerà un portale concorrente, così per contrastare, come ha detto lui stesso, il culto della personalità dell'australiano. Con lui c'è anche uno studente islandese di 25 anni, Herbert Snorrason, che era stato un collaboratore di Assange.
Snorrason ha detto che il fondatore australiano «agisce come un imperatore» e ha tradito lo spirito originario del sito. Se non bastasse il Pentagono ha arruolato uno dei migliori hacker per fermare Wikileaks. E mentre l'Ecuador offre asilo ad Assange, l'ex consigliere di Carter, Zibi Brzezinski, adombra il fatto che dietro Wikileaks ci siano i servizi di un Paese nemico di Washington.
by dagospia
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