martedì 21 febbraio 2012
IERI, MOGGI, DOMANI - LA PROVA REGINA DELLO SCANDALO DI CALCIOPOLI CHE HA DATO IL LÀ ALL’INCHIESTA SU LUCIANONE & CO È UN VIDEO. CHE NON SI TROVA PIÙ. IL FILMATO RITRAE, O MEGLIO DOVREBBE RITRARRE, IL TAROCCAMENTO DEI SORTEGGI ARBITRALI NELLA STAGIONE 2004/2005 - UN DVD CHE SERVI’ AL GIUDICE BORRELLI PER SPEDIRE ALL’ÌNFERNO LA JUVENTUS…
Gian Marco Chiocci per "il Giornale"
Moggi La prova regina dello scandalo di Calciopoli che ha dato il là all'inchiesta su Moggi & co (le tenui motivazioni di condanna sono state rese note il 6 febbraio scorso) è un video. Che non si trova più. Il filmato ritrae, o meglio dovrebbe ritrarre, il taroccamento dei sorteggi arbitrali nella stagione 2004/2005. Il dvd girato il 13 maggio 2005 nel centro tecnico di Coverciano da uno dei carabinieri dell'indagine Off Side ha costituito materiale per la condanna a tre anni col rito abbreviato di Antonio Giraudo e di alcuni arbitri. Non solo.
chiocci È stato utilizzato dal magistrato Francesco Saverio Borrelli, allora inquirente della Federcalcio, per imbastire il processo sportivo del 2006 che ha stravolto il calcio italiano con la retrocessione della Juve e la revoca di due scudetti. E soprattutto ha rappresentato il perno d'accusa dei pm napoletani Narducci, Beatrice (e poi Capuano) nelle indagini e poi al dibattimento.
Un documento importantissimo. Peccato, però, che quella fondamentale ripresa audio-video nei fascicoli del rito ordinario e dell'abbreviato non c'è, nonostante della sua visione abbia parlato il pm napoletano Stefano Capuano nell'ultima udienza, l'9 novembre 2011: «Andate a vedere il filmato anche voi, il filmato parla chiaro (...) rappresenta esattamente quanto vergato dal maresciallo Ziino, l'ho visto io, era senza audio». Impossibile per le difese avere copia dell'originale.
SAVERIO BORRELLI
Tant'è che la Corte d'appello di Napoli spiega che «il filmato da riprodurre non è in possesso di questa cancelleria» mentre il 23 gennaio 2012, la nona sezione del Tribunale, sottolinea che il video ce l'ha «l'ufficio di Procura dal 29 luglio 2009». Ce l'ha dunque il pm? La domanda ha un senso perché la stessa istanza, rivolta alla procura, è caduta nel vuoto. Perché non esce? E perché si è arrivati alle condanne (abbreviato, Federcalcio, Napoli) senza metterlo a disposizione degli imputati, lasciando a questi ultimi le fotocopie dei fotogrammi delle immagini estrapolate dal filmato?
Durante la camera di consiglio del processo napoletano, al giudice Casoria che secondo alcune indiscrezioni ne avrebbe preteso la visione, sarebbe stato risposto che no, al momento, non era possibile dare un'occhiata come suggerito dal pm. Le difese sono certe che la sequenza delle immagini riversate nel rapporto del maresciallo Sergio Ziino non rappresenta il cronologico svolgersi degli eventi di quella mattina.
Paolo Bergamo da corriere it Le foto sono mischiate. Ad arte o per sbaglio? Quel video è scomparso dalle aule giudiziarie ma è stato in parte trasmesso il 15 dicembre 2009, in una fiction de La7 su Calciopoli, poche ore dopo le condanne del rito abbreviato. E cosa si vedeva in quello spezzone? Che a differenza di quanto riportato nel rapporto del maresciallo, dove si asseriva che era stato il designatore Paolo Bergamo a estrarre la pallina «incriminata» dall'urna trasparente davanti a dieci giornalisti e altri testimoni (c'era pure un notaio), a tirar fuori la sfera dello «scandalo» è stato in realtà un cronista.
Nel caso specifico Riccardo Bianchi, della Provincia di Como. L'interessato, nell'udienza del primo ottobre 2010 a Napoli, affermerà: «Arrivai a Coverciano 15 minuti prima del sorteggio (...). Pairetto, come da procedura, ha estratto le pallina con le partite, mentre io ho estratto quelle coi nomi degli arbitri (...). Nessuno mi suggerì di muovere la mano a seconda di colpi di tosse, e certo Bergamo e Pairetto non mi indirizzarono in alcun modo: l'avessero fatto nei giorni precedenti avrei potuto fare lo scoop della vita e sarei diventato famoso. Il sorteggio fu regolarissimo».
Pier luigi Pairetto da corriere it Di questo giornalista nel rapporto non c'è traccia. O meglio «nella foto numero 9» che lo ritrae viene invece definito «dipendente Figc» che indossa una «divisa ufficiale della federazione». A prescindere dal fatto che Bianchi è in abiti civili, quel che è più grave è che viene immortalato a cose fatte, a sorteggio effettuato, con Bergamo intento a leggere il nome dell'arbitro. Mentre nella foto successiva, la 10, si vede il segretario della commissione arbitrale Manfredi Martino portare le buste per l'estrazione, a urne ancora vuote, col sorteggio ancora da fare.
Perché quest'inversione? Un abbaglio? Le coincidenze diventano troppe se si osservano le foto a seguire: nella numero «12» il tavolo è vuoto, le urne vuote, le sedie vuote, e dei designatori non c'è traccia. Le buste delle palline portate in quel momento da Martino sono intatte. All'improvviso, dopo un primo piano di Bergamo (foto 13), ecco la foto 14: tutti al loro posto, dietro al tavolo, buste intatte, urne vuote e il giornalista Bianchi pronto. Il clou arriva con la foto numero 17 quando, scrivono i carabinieri, «a Bergamo cade sul tavolo una pallina». In sentenza l'episodio dubbio viene platealmente ridimensionato.
y rj26 ant giraudo
Il sospetto che l'errata disposizione delle immagini non sia casuale nasce dal fatto che è la sequenza delle fotografie estratte dal video (fantasma) sembra fatta apposta - ad occhi disattenti - a dimostrare l'inciucio. Ma come poi dirà il giudice Casoria nel motivare la sentenza di condanna di Moggi «che il sorteggio non sia stato truccato è emerso in maniera sufficientemente chiara al dibattimento.
Incomprensibilmente il pm si è ostinato a domandare ai testi di sfere che si aprivano, di sfere scolorite, di altri particolari, se il meccanismo del sorteggio per la partecipazione a esso di giornalista e notaio era tale da porre i due designatori nell'impossibilità di realizzare la frode».
Per la cronaca nessun giornalista convocato per i sorteggi è stato interrogato durante le indagini. Quando sono sfilati al processo hanno smentito grossolanamente le elucubrazioni degli inquirenti. Che ci voleva ad ascoltarli prima? E ancora. Sui sorteggi taroccati i pm forse avrebbero fatto bene a dare un'occhiata all'archiviazione dell'inchiesta di Torino (pm Maddalena, estate 2004) nata su ipotesi di doping e finita ai presunti intrallazzi di Moggi, Pairetto e Giraudo (tutti assolti).
CALCIOPOLI - IL GIALLO DEL VIDEO-FANTASMA SPARITO IN PROCURA
Bene: nella richiesta di archiviazione, poi accolta, si legge: «È uno dei designatori che materialmente estrae dall'urna la pallina della partita, mentre è materialmente un giornalista sportivo a estrarre dall'altra urna la pallina dell'arbitro (...). Data la presenza di un notaio e di un giornalista (mai lo stesso per ogni sorteggio) pare fortemente improbabile, se non del tutto inverosimile ritenere che i sorteggi fossero truccati».
In quell'inchiesta, per escludere intrallazzi nei sorteggi, fu determinante Manfredi Martino, segretario della Can (Commissione arbitrale di serie A) che per i pm di Napoli rappresenterà, al contrario, il teste chiave proprio sui sorteggi. Martino in dibattimento non ha fatto una gran figura. Nelle motivazioni viene definito prima «inaffidabile» e poi presentato dai pm «come colui che doveva far luce sulle irregolarità, quando ha solo prodotto un coacervo di risposte da presa in giro, tipo il colpo di tosse del designatore Bergamo nel bel mezzo del sorteggio dell'arbitro Collina, non imputato, per la partita Milan-Juve, nemmeno presente nei capi di imputazione».
by dagospia
mercoledì 15 febbraio 2012
EURO-CRAC - L’EUROGRUPPO IN VIDEOCONFERENZA (STAFFETTA MONTI-GRILLI) RINVIA LE DECISIONI SULLA GRECIA AL 20 FEBBRAIO: “RESTA ALTRO LAVORO DA FARE” - SECONDO I RUMORS, GLI EUROCRATI VOGLIONO RINVIARE ANCHE GLI AIUTI AD ATENE A DOPO APRILE (QUANDO CI SARANNO LE ELEZIONI), SGANCIANDO SOLO UN “CONTENTINO” DA 30 MLD €, INVECE DI 130, CHE NON SCONGIURA AFFATTO IL DEFAULT - “BILD” CONFERMA CHE LA CRISI NON È RISOLTA: “BANCHE TEDESCHE STANNO SOTTOSCRIVENDO CLAUSOLE CON UNA MONETA DIVERSA DALL’EURO”…
CRISI: GRECIA; UE, ANCORA LAVORO DA FARE...
(ANSA) - "La Grecia ha fatto molto, ma resta altro lavoro da fare, e siamo fiduciosi che l'Eurogruppo sarà nelle condizioni di prendere le necessarie decisioni lunedì": queste le conclusioni dell'Eurogruppo che oggi si è tenuto via teleconferenza.
JUNCKER
"Sono stati fatti progressi sostanziali rispetto a ieri: primo, abbiamo ricevuto forti assicurazioni dai leader delle due coalizioni nel governo greco. Secondo, la troika ha finalizzato l'analisi sulla sostenibilità del debito ellenico, e terzo, troika e governo hanno individuato misure di consolidamento per altri 325 milioni di euro", si legge nella nota finale dell'Eurogruppo firmata dal presidente Jean Claude Juncker.
MOAVERO-GRILLI-MONTI
Ma "altre considerazioni sono necessarie, in particolare sul rafforzamento della sorveglianza", che monitorerà l'applicazione del programma di austerità e assicurerà che l'attenzione del governo sia sempre alla riduzione del debito. "Tali misure rafforzeranno ancora di più la sostenibilità del debito", spiega Juncker. Che annuncia: "Sulla base di questi elementi che attualmente sono sul tavolo, sono fiducioso che l'Eurogruppo sarà in grado di prendere tutte le decisioni necessarie il 20 febbraio".
VITTORIO GRILLI 2 - GRECIA: MONTI LASCIA STRASBURGO, GRILLI CONTINUA CONFERENCE CALL EUROGRUPPO
(Adnkronos/Aki) - Il premier Mario Monti ha lasciato l'Europarlamento di Strasburgo per ritornare a Roma. Il viceministro all'economia Vittorio Grilli, secondo quanto si apprende, ha sostituito il premier nelle discussioni in conference call con i colleghi dell'eurozona. Monti non ha voluto rispondere alla domanda dei giornalisti se ll'Eurogruppo debba prendere una decisione oggi o meno sul secondo pacchetto di aiuti ad Atene. In ogni caso il premier ha dato appuntamento alla stampa lunedi' e martedi' prossimi a Bruxelles, dove sono in programma da tempo le riunioni mensili di Eurogruppo ed Ecofin.
BILD 3 - BILD; ALCUNE BANCHE SI PREPARANO A CROLLO EURO - IN NUOVI CONTRATTI FINANZA CLAUSOLA PREVEDE MONETA TRANSIZIONE
(ANSA) - Le prime banche e le prime assicurazioni tedesche si preparano all'eventualità di un crollo dell'euro: lo scrive oggi il tabloid Bild. I contratti finanziari internazionali, continua il tabloid di Axel Springer, prevedono infatti una "clausola" aggiuntiva nel caso di una "uscita dall'euro". Si stabilisce ad esempio che l'affare verrà realizzato "in euro o nella valuta valida al momento di una transizione della Germania", cita Bild.
grecia - Papademos"Se dunque non c'é più l'euro - sottolinea il tabloid rendendo il testo più esplicito - vale la moneta che gli succederà". Inoltre nei contratti si scrive che in caso di azione legale si segue il diritto tedesco, "anche questa una garanzia contro una possibile fine dell'euro". Il giornale interpreta come segnali chiari di un inasprimento della crisi del debito i dati economici della Grecia, lo slittamento dell'eurogruppo che avrebbe dovuto decidere degli aiuti (sostituito da una teleconferenza) e l'incitamento del presidente della Bosch, Franz Fehrenbach - che risale a ieri - a fare uscire Atene dall'eurozona.
merkel 4 - GRECIA, ZONA EURO VALUTA RINVIO PIANO AIUTI...
(Reuters) - I funzionari dei ministeri delle Finanze della zona euro stanno esaminando diverse modalità per far slittare alcune parti o addirittura tutto il secondo pacchetto di salvataggio per la Grecia, evitando comunque un default disordinato del paese.
LA GRECIA ANNEGA Lo hanno riferito alcune fonti Ue, spiegando che lo slittamento potrebbe protarsi addirittura fino a dopo le elezioni greche di aprile. Se da un lato infatti la gran parte degli elementi del pacchetto, che sarà di complessivi 130 miliardi di euro, sono a posto, i ministri delle Finanze non sarebbero soddisfatti circa il pieno impegno dei leader politici greci sulle riforme.
Non è neanche chiaro se il rapporto debito/Pil della Grecia, che attualmente è di circa il 160% verrà tagliato al 120% entro il 2020 per effettto dell'accordo siglato da Atene con la 'troika' Ue/Fmi/Bce. "Ci sono proposte per rinviare il pacchetto greco o per suddividerlo, in modo da evitare un default immediato senza sborsarlo interamente", ha detto a Reuters una fonte coinvolta nei preparativi della conference call dei ministri delle Finanze della zona euro in agenda più tardi.
SALVATAGGIO GRECO
"Discuteranno le varie opzioni", ha spiegato, aggiungendo: "C'è pressione da parte di diversi paesi per rinviare finchè non ci sarà un impegno concreto da parte della Grecia, che potrebbe non arrrivare fino a quando non si saranno svolte le elezioni". Germania, Finlandia e Olanda sono i paesi che spingono per un rinvio del pacchetto fino alle nuove elezioni, dicono altri due funzionari spiegando che la Germania è la più categorica.
GRECIA SCONTRI DI PIAZZA jpegSecondo la proposta, un accordo sullo swap del debito tra la Grecia e il settore privato - che porterebbe a un taglio del debito di Atene di 100 miliardi di euro attraverso una riduzione nominale dei bond del 50% - potrebbe essere raggiunto nelle prossime settimane, permettendo alla Grecia di evitare il mancato pagamento dei 14,5 miliardi di debito in scadenza il 20 marzo. Circa 30 miliardi di euro dei 130 previsti nel piano di aiuti sarebbero una sorta di "contentino" da pagare agli investitori privati per incoraggiarli ad aderire allo swap. Questa parte del pacchetto di salvataggio sarebbe raccolta e utilizzata, e ci potrebbe anche essere bisogno di circa 30 miliardi per sostenere la ricapitalizzazione delle banche greche, ma il grosso dei fondi non verrebbe scucito.
GRECIA SCONTRI DI PIAZZA jpeg
5 - GRECIA: LA SCURE DI BNP SUI BOND PREANNUNCIA ACCORDO CON IIF...
Vittorio da Rold per Radiocor - La svalutazione del 75% dei bond greci annunciata da Bnp Paribas significa che la banca francese ha messo in conto che il Private sector involvement (Psi) - deciso il 26 ottobre al vertice Ue di Bruxelles tra il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy da un lato e da Charles Dallara (IFF) e Jean Lemierre (Bnp Paribas) per i privati - e' sul punto di essere finalmente approvato.
BNP
L'accordo infatti prevede perdite per i privati del 50% del valore facciale dei 200 miliardi di bond detenuti dai grandi investitori, oltre allo swap del 30% del restante 100 miliardi con bond dell'Efsf e all'emissione di nuovi bond a 30 anni del restante 70% a un tasso del 3,6%. Come 'sweetener', addolcitore o facilitatore, ci sarebbero i 30 miliardi di euro dei 130 miliardi complessivi che Ue e Fmi devono dare alla Grecia se si vuole evitare il default disordinato il 20 marzo, data in cui scadono 14,5 miliardi di euro di titoli ellenici.
Se Bnp Paribas ha accantonato pe rdite del 75% sui bond greci significa che ormai questa e' la cifra prevista dall'accordo Psi in dirittura d'avvio. A condizione che Atene rispetti le misure di austerita' che la troika chiede: altrimenti i 130 miliardi non verranno concessi. A quel punto scatterebbe il piano B, l'uscita di Atene dall'euro, e la svalutazione dei bond sarebbe del 100%, un quarto in piu' del previsto. Un danno grave, ma comunque gestibile.
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/euro-crac-leurogruppo-in-videoconferenza-staffetta-monti-grilli-rinvia-le-decisioni-sulla-grecia-al-35592.htm
martedì 14 febbraio 2012
METTETE I SOLDI NEI VOSTRI CANNONI - L’IGNOBILE RICATTO DEI MERKOZY ALLA GRECIA: COMPRATE LE NOSTRE ARMI O NIENTE AIUTI - L’EX PREMIER PAPANDREOU COSTRETTO A COMPRARE 2 SOTTOMARINI (1,3 MLD €) E 223 CARRI ARMATI (403 MLN €) DALLA MERKULONA - 6 FREGATE E 15 ELICOTTERI (4 MLD €) DA SARKO - PAPADEMOS (CON L’ACQUA ALLA GOLA) HA DOVUTO SBLOCCARE I FINANZIAMENTI: PER IL 2012 SI PREVEDE UNA SPESA SUPERIORE AI 7 MLD (18,2% IN PIÙ RISPETTO AL 2011, IL 3% DEL PIL)…
Marco Nese per il "Corriere della Sera"
ANGELA MERKEL E NICOLAS SARKOZY
I greci sono alla fame, ma hanno gli arsenali bellici pieni. E continuano a comprare armi. Quest'anno bruceranno il tre per cento del Pil (prodotto interno lordo) in spese militari. Solo gli Stati Uniti, in proporzione, si possono permettere tanto. Ma cosa spinge Atene a sperperare montagne di soldi? La paura dei turchi? No, è l'ingordigia della Merkel e di Sarkozy. I due leader europei mettono da mesi il governo greco con le spalle al muro: se volete gli aiuti, se volete rimanere nell'euro, dovete comprare i nostri carri armati e le nostre belle navi da guerra.
George Papandreou
Le pressioni di Berlino sul governo di Atene per vendere armi sono state denunciate nei giorni scorsi da una stampa tedesca allibita per il cinismo della Merkel, che impone tagli e sacrifici ai cittadini ellenici e poi pretende di favorire l'industria bellica della Germania.
Fino al 2009 i rapporti fra Atene e Berlino andavano a gonfie vele, il governo greco era presieduto da Kostas Karamanlis (centrodestra), grande amico della Merkel.
Gli anni di Karamanlis sono stati una vera manna per la Germania. «In quel periodo - ha calcolato una rivista specializzata - i produttori di armi tedeschi hanno guadagnato una fortuna». Una delle commesse di Atene riguardò 170 panzer Leopard, costati 1,7 miliardi di euro, e 223 cannoni dismessi dalla Bundeswehr, la Difesa tedesca.
grecia - Papademos
Nel 2008 i capi della Nato osservavano meravigliati le pazze spese in armamenti che facevano balzare la Grecia al quinto posto nel mondo come nazione importatrice di strumenti bellici. Prima di concludere il suo mandato di premier, Karamanlis fece un ultimo regalo ai tedeschi, ordinò 4 sottomarini prodotti dalla ThyssenKrupp.
Il successore, George Papandreou, socialista, si è sempre rifiutato di farseli consegnare. Voleva risparmiare una spesa mostruosa. Ma Berlino insisteva. Allora il leader greco ha trovato una scusa per dire no. Ha fatto svolgere una perizia tecnica dai suoi ufficiali della Marina, i quali hanno sentenziato che quei sottomarini non reggono il mare.
Ma la verità, ha tuonato il vice di Papandreou, Teodor Pangalos, è che «ci vogliono imporre altre armi, ma noi non ne abbiamo bisogno».
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Gli ha dato ragione il ministro turco Egemen Bagis che, in un'intervista allo Herald Tribune, ha detto chiaro e tondo: «I sottomarini della Germania e della Francia non servono né ad Atene né ad Ankara».
Tuttavia, Papandreou, alla disperata ricerca di fondi internazionali, non ha potuto dire di no a tutto. L'estate scorsa il Wall Street Journal rivelava che Berlino e Parigi avevano preteso l'acquisto di armamenti come condizione per approvare il piano di salvataggio della Grecia.
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E così il leader di Atene si è dovuto piegare. A marzo scorso dalla Germania ha ottenuto uno sconto, invece dei 4 sottomarini ne ha acquistati 2 al prezzo di 1,3 miliardi di euro. Ha dovuto prendere anche 223 carri armati Leopard II per 403 milioni di euro, arricchendo l'industria tedesca a spese dei poveri greci. Un guadagno immorale, secondo il leader dei Verdi tedeschi Daniel Cohn-Bendit.
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Papandreou ha dovuto pagare pegno anche a Sarkozy. Durante una visita a Parigi nel maggio scorso ha firmato un accordo per la fornitura di 6 fregate e 15 elicotteri. Costo: 4 miliardi di euro. Più motovedette per 400 milioni di euro.
Alla fine la Merkel è riuscita a liberarsi di Papandreou, sostituito dal più docile Papademos. E i programmi militari ripartono: si progetta di acquisire 60 caccia intercettori. I budget sono subito lievitati. Per il 2012 la Grecia prevede una spesa militare superiore ai 7 miliardi di euro, il 18,2 per cento in più rispetto al 2011, il tre per cento del Pil. L'Italia è ferma a meno dello 0,9 per cento del Pil.
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Siccome i pagamenti sono diluiti negli anni, se la Grecia fallisce, addio soldi. Ma un portavoce della Merkel è sicuro che «il governo Papademos rispetterà gli impegni». Chissà se li rispetterà anche il Portogallo, altro Paese con l'acqua alla gola e al quale Germania e Francia stanno imponendo la stessa ricetta: acquisto di armi in cambio di aiuti.
I produttori di armamenti hanno bisogno del forte sostegno dei governi dei propri Paesi per vendere la loro merce. E i governi fanno pressione sui possibili acquirenti. Così nel mondo le spese militari crescono paurosamente: nel 2011 hanno raggiunto i 1800 miliardi di dollari, il 50 per cento in più rispetto al 2001.
by dagospia
Passaparola - Il signor Rossi e i rifiuti zero - Raphael Rossi
Raphael Rossi ha dimostrato con i fatti che la raccolta differenziata in Italia è possibile, che gli inceneritori sono inutili e che l’unico vero problema è la volontà politica.
Rapahael è stato ex presidente dell’ASIA, azienda addetta alla raccolta di rifiuti urbana di Napoli ed ex consigliere e vicepresidente della AMIAT, Azienda Multiservizi Igiene Ambientale Torino Amiat. Durante il suo mandato la raccolta differenziata a Torino è cresciuta dal 26% al 42,4%. Gli fu offerta una tangente per l’acquisto di macchinari inutili e rifiutò denunciando i responsabili per corruzione. Come premio non venne riconfermato all’AMIAT. Per il Sistema, chi è onesto è pericoloso.
Il Passaparola di Rapahel Rossi,
A Scampia 64% di raccolta differenziata (espandi | comprimi)
Buongiorno a tutti gli amici del blog di Beppe Grillo, sono Raphael Rossi, un tecnico specializzato nelle raccolte differenziate e in particolare nelle raccolte differenziate porta a porta che sono quelle che permettono di raggiungere i risultati più interessanti.
Oggi vi racconterò quello che è lo stato dei rifiuti in Italia, ma soprattutto quelle che sono e possono essere le migliori pratiche che i territori, i comuni, gli amministratori possono mettere in opera per riuscire a raggiungere risultati di raccolta differenziata importanti, sì perché la differenziata, dividere i materiali è il modo per poterli avviare effettivamente a recupero, invece mescolati tutti insieme e andando a smaltimento sia che vadano all’inceneritore, sia che vadano alla discarica, sono fonte di inquinamento in un caso questo inquinamento rischia di andare nella terra, nell’altro caso rischia di andare nell’aria, ma in tutti i casi è uno spreco e il rischio di un inquinamento del nostro ambiente. Invece dividendo i materiali si riesce effettivamente a dare loro nuova vita.
In Italia la maggioranza della quantità di rifiuti prodotta dagli italiani va a finire in discarica, purtroppo la raccolta differenziata in Italia ha raggiunto risultati intorno al 25% ma non ancora risultati che invece in altri Paesi riescono a lasciare una minima residua parte allo smaltimento che sia inceneritore o che sia discarica. La realtà in Italia è molto, molto diversa, ci sono Regioni nelle quali c’è già una media a livello regionale superiore al 50% di raccolta differenziata e Regioni che purtroppo stanno ancora intorno al 10% Occorre precisare che sono tutti dati molto recenti, perché fino a pochi anni fa si pensava impossibile fare risultati di raccolta differenziata attorno al 50/60% in grandi città, ma solo in piccoli comuni, oggi tutte le grandi città italiane o quasi tutte le grandi città italiane hanno sviluppato sistemi di raccolta differenziata porta a porta, riuscendo a raggiungere risultati intorno al 50/55 anche 60% di raccolta differenziata. A Torino circa metà della città con la raccolta porta a porta raggiunge il 60% di raccolta differenziata, nella stessa Roma qualche anno fa un quartiere della città raggiunse il 65% di raccolta differenziata, a Napoli una città molto, molto complessa sia dal punto di vista sociale che anche urbanistica, sono stati raggiunti risultati eccellenti nelle zone in cui è partito il porta a porta, anche in quel caso attorno al 65% di raccolta differenziata.
L’ultimo quartiere in cui è stato attivato questo sistema, il quartiere di Scampia, un quartiere difficile dal punto di vista sociale, si è arrivati al 64% di raccolta differenziata, risultati eccellenti dal punto di vista quantitativo, tanta raccolta differenziata, ma anche una buona raccolta differenziata, se fatta con attenzione e con sistemi di raccolta di tipo domiciliare, perché la quantità conta, ma conta anche la qualità, purtroppo i cassonetti stradali hanno quel grande difetto che basta che uno si comporti male per rovinare il lavoro di tutti gli altri, mentre i sistemi di tipo porta a porta o domiciliare nei quali alla famiglia o al condominio, al numero civico viene affidato il contenitore per fare le raccolte differenziate, sono i sistemi che permettono di controllare la qualità e di richiamare o anche sanzionare chi si comporta malamente.
L'importanza del rifiuto organico (espandi | comprimi)
Quelle che vi ho detto sono alcune belle, lodevoli eccezioni, vi dicevo Napoli, ha raggiunto nelle zone in cui ha attivato il porta a porta il 60% di raccolta differenziata ma sulla sua intera città oggi è circa il 22%, Torino vi dicevo prima è al 60%
laddove ha attivato il porta a porta, ma su tutta la città è solo al 40%, quindi la situazione italiana è proprio a luci e ombra, a macchia di leopardo, con delle realtà virtuose che raggiungono anche il 75/80% di raccolta differenziata e delle realtà nelle quali si sprofonda a raccolte differenziate intorno al 10% e questo comporta complessivamente che ogni anno sprechiamo decine di milioni di metri cubi di discarica, circa 20 milioni di metri cubi, lasciando in realtà un problema alle generazioni che verranno, che si troveranno un domani a dover bonificare tutti questi spazi che noi abbiamo sprecato.
E’ molto importante sviluppare le raccolte differenziate e che gli amministratori di tutti i comuni attivino percorsi virtuosi di raccolta non solo delle frazioni secche, quelle che raccoglie il Conai, quindi non solo il vetro, non solo gli imballaggi in plastica, non solo l’alluminio, tutte le frazioni dei consorzi di filiera, ma anche la raccolta dell’umido organico, gli scarti da cucina che sono quelle frazioni che meglio e più facilmente sono riciclabili perché è molto facile comprendere come una mela passi dal nostro piatto tramite la raccolta differenziata diventare di nuovo terriccio, lo fa la natura da sempre e si tratta semplicemente di farlo in un processo industriale. E’ meno immediato comprendere come invece quella mela, se mandata insieme con tutti gli altri rifiuti, diventi un fattore prepotente di inquinamento, perché se mandata in discarica si mescola con infinite altre cose e anche quella mela, producendo percolato, può essere fonte di inquinamento perché si mescola con pile, con tante altre piccole cose che noi produciamo e che possono essere inquinanti. Allo stesso modo quella mela, se mandata all’inceneritore è fatta d’acqua e quindi bruciarla costa dell’energia. E’ molto importante che i comuni italiani sviluppino la raccolta differenziata dell’organico, degli scarti da cucina, anche perché l’Italia oggi è un Paese che importa compost dall’estero, quindi visto che noi abbiamo bisogno di compost, il terriccio sia per la florovivaistica, ma anche quello che usiamo a primavera quando piantiamo il geranio, quando andiamo a comprare del terriccio è interessante vedere come proviene dall’estero eppure sprechiamo tantissimo organico.
Raggiungere rifiuti 0 (espandi | comprimi)
Definiamo i sistemi: un sistema di raccolta differenziata di tipo porta a porta è un sistema nel quale ci sono piccoli contenitori affidati alle famiglie, oppure al condominio e questi contenitori vengono esposti su strada e raccolti secondo un calendario predeterminato,
la cosa interessante è che il contenitore non è più anonimo di tutti, ma ha un codice, oppure proprio il nome per il quale si sa direttamente che appartiene a Raphael Rossi piuttosto che a Mario Bianchi. Il caso di Torino è molto interessante, perché Torino ha avuto dal 1995 al 2010 una crescita delle raccolte differenziate da circa il 2% a circa il 42%, una crescita che se vista così, potrebbe sembrare una crescita graduale, un po’ alla volta, di anno in anno piccoli sforzi che producevano risultati. Questi dati ufficiali del Comune di Torino ci fanno vedere come su questo grafico le raccolte differenziate dei quartieri in cui il sistema era attivato con il porta a porta sono attorno al 60% di raccolta differenziata, lo vedete qui negli istogrammi verdi, mentre i quartieri in cui il sistema era attivato con raccolta differenziata stradale, ha una media solo del 25/30%, questo ci dice come i sistemi di raccolta influiscono molto sui risultati che si vanno a determinare e quindi che i sistemi di raccolta domiciliari o porta a porta, danno risultati eccellenti di raccolta differenziata.
Vi sono poi altri comuni che hanno dato un obiettivo ancora più ambizioso rispetto alla raccolta differenziata, voi sapete la raccolta differenziata ha degli obiettivi posti dall’Europa del 65% di raccolta differenziata e del 50% di riciclaggio effettivo, l’Europa dice che non basta fare la raccolta differenziata, ma bisogna anche fare riciclaggio di tutto quello che si va a raccogliere in modo differenziato, ci sono dei comuni che oltre a questi obiettivi pure ambiziosi se ne sono dati un altro, l’obiettivo rifiuti 0, un obiettivo che è politico ovviamente, che è quello di dire: “Lanciamo il cuore oltre all’ostacolo e troviamo il modo di concepire i rifiuti residui, quindi i rifiuti da portare a smaltimento, quello che non riusciamo proprio a differenziare, come degli errori di progettazione, andiamo a riprogettarli in maniera tale che non esistano più e non costituiscano più un impatto negativo sull’ambiente”. L’obiettivo di lungo termine è una società nella quale non ci siano più rifiuti da mandare a smaltimento, ma tutte le cose siano riusabili, riciclabili, recuperabili.
Raggiungere rifiuti 0 vuole dire dopo che si è fatta la raccolta differenziata ai massimi livelli possibili, dopo che si sono fatte iniziative di prevenzione e riduzione dei rifiuti come contrastare l’acqua in bottiglia, ragionare sul rifiuto residuo. Faccio parte del comitato scientifico di Rifiuti 0 costituito dal Comune di Capannori e ogni anno ci riuniamo per capire quali rifiuti che dobbiamo porci l’obiettivo di non produrre più, un anno si è lavorato sui pannolini, un anno si è lavorato sui tessili, un anno si è lavorato sulle cialde del caffè, e è stato straordinario vedere come questi piccoli rifiuti che diventavano molto grandi nel momento in cui si era già riciclato tutto il resto, potevano essere effettivamente riciclati in certi casi addirittura riusati.
Controlla il tuo comune (espandi | comprimi)
Tocchiamo adesso il problema dei costi dei servizi di raccolta porta a porta, perché con questo riusciamo anche a capire perché non è sviluppato dappertutto. Per farlo dobbiamo dividere il costo del servizio di raccolta rifiuti in due voci:
Tocchiamo adesso il problema dei costi dei servizi di raccolta porta a porta, perché con questo riusciamo anche a capire perché non è sviluppato dappertutto. Per farlo dobbiamo dividere il costo del servizio di raccolta rifiuti in due voci: da una parte il costo della raccolta che paga gli uomini e i camion che raccolgono i rifiuti, dall’altra parte il costo dello smaltimento che serve a mandare in discarica o all’inceneritore i rifiuti indifferenziati raccolti. I sistemi di raccolta porta a porta hanno dei costi di raccolta più alti perché ovviamente sono contenitori più piccoli, più numerosi e che stanno presso le famiglie o i palazzi e non per strada, quindi raccoglierli costa obbligatoriamente di più, però generano risultati di raccolta differenziata eccellenti, invece di mandare in discarica 75 su 100, mandano in discarica solo 25 su 100 Quindi se lo smaltimento costa tanto, la raccolta porta a porta diventa conveniente. se invece lo smaltimento costa poco, come nelle vecchie discariche o nei vecchi inceneritori che magari non hanno gli standard ambientali degli ultimi, può succedere che la raccolta differenziata porta a porta non sia il sistema più conveniente dal punto di vista economico e che quindi bisogna farla solo per un motivo di tipo ambientale e di tipo civico ma non per un motivo di tipo economico, questo è il motivo per cui in alcune parti d’Italia non si fa e alcuni amministratori dicono che non si fa perché costerebbe troppo. È importante dire a questi amministratori: costerebbe troppo ma contabilizziamo costo di raccolta e costo di smaltimento.
La prospettiva delle raccolte differenziate è quella nel breve termine di fare in tutta Italia quello fatto dalle migliori esperienze italiane, estendere il best practice questo ci permetterebbe nel giro di pochissimo tempo di raggiungere su scala nazionale anche il 60/70% di raccolta differenziata. Tenete conto che alcune Regioni italiane, come il Piemonte o il Veneto, hanno già medie di raccolta differenziata attorto al 50% e quindi facilmente si possono portare risultati di questo tipo a tutta l’Italia. Possiamo immaginare sul medio termine di arrivare a ridurre a 0 quei pochissimi rifiuti che non sono oggi riciclabili.
Quindi quello che possono fare i cittadini è controllare il loro comune, fare la raccolta differenziata a casa loro e controllare che il loro comune faccia correttamente la raccolta differenziata, verificando le percentuali di raccolta che il loro comune raggiunge e ricordando agli amministratori che la legge e tutte le direttive europee pongano il 65% di raccolta differenziata come obiettivo minimo e il 50% di riciclaggio effettivo complessivo dei rifiuti, quindi quello che devono fare i cittadini e quello che devono fare gli amministratori è vegliare a che questi risultati siano effettivamente raggiunti.
E ricordiamoci che per tutto questo e per il nostro ambiente è necessario passare parola!
www.beppegrillo.it
DAGOREPORT FINANCIAL TIMES PERCHÉ LA GRECIA E IL PORTOGALLO DOVREBBERO ANDARE IN BANCAROTTA
http://on.ft.com/wy1zOr
Due anni fa, molti responsabili politici europei credevano ancora che la Grecia avrebbe potuto farcela. Mancavano di esperienza nella gestione di crisi finanziarie. Non si sono nemmeno consultati con i politici di altre parti del mondo che si erano occupati di crisi nei decenni precedenti. Armati di ignoranza e arroganza, hanno finito per ripetere tutti gli errori degli altri.
Portogallo_sciopero
Hanno pensato di essere intelligenti, quando sono arrivati all'idea di una contrazione fiscale espansiva. E hanno pensato che una partecipazione volontaria del settore privato (PSI) avrebbe potuto realmente essere utile.
Non essendo riusciti a imparare dagli errori degli altri, ora stanno cominciando a imparare dai loro e i politici stanno cominciando a capire che il programma di salvataggio greco è stato un fallimento assoluto.
ATENE IN CATENE - MOLOTOV, BOMBE CARTA, LACRIMOGENI, SCONTRI, ESPLODE ATENE - MIGLIAIA DI MANIFESTANTI, TRA I QUALI ANCHE MIKIS THEODORAKIS, ASSEDIANO IL PARLAMENTO GRECO CHIAMATO IN NOTTATA A VARARE IL PACCHETTO DI AUSTERITY 'LACRIME E SANGUE' PRETESO DALL'UE E DAL FMI PER DARE IL VIA LIBERA AL SECONDO PIANO DI SALVATAGGIO DA 130 MILIARDI DI EURO - UN GIOVANE GRECO SU DUE NON HA LAVORO - 65 MILIARDI DI EURO SONO STATI RITIRATI DALLE BANCHE GRECHE. E TRASFERITI ALL’ESTERO…
Molotov, bombe carta, lacrimogeni, scontri. Brucia piazza Syntagma ad Atene, dove migliaia di manifestanti stanno assediando il Parlamento greco chiamato in nottata a varare il pacchetto di austerity 'lacrime e sangue' preteso dall'Ue e dal Fmi per dare il via libera al secondo piano di salvataggio da 130 miliardi di euro.
Migliaia di persone sono affluite già nel primo pomeriggio davanti la sede del Parlamento con striscioni di protesta contro i tagli e l'Europa che li impone, ma gli scontri sono divampati quando una colonna di black bloc, al grido di 'maiali assassini', ha fatto irruzione nella piazza, tra gli applausi della gente, lanciando molotov e bombe carta.
C'E' ANCHE MIKIS THEODORAKIS IN PIAZZA - Anche il leggendario compositore greco Mikis Theodorakis, 88 anni, autore del sirtaki e storico attivista politico è in piazza Syntagma con i dimostranti. Lo riferiscono media greci.
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La polizia, schierata a difesa del Parlamento con maschere antigas e in assetto antisommossa, ha reagito con cariche e lancio di lacrimogeni. L'aria si è riempita di fumo e molti manifestanti sono scappati nelle vie circostanti, lasciando la piazza in balia dei gruppi di anarchici e degli scontri. La situazione al momento è di caos e battaglia, mentre dentro il Parlamento i deputati stanno dibattendo sulle draconiane misure anti-crisi che saranno votate a partire dalla mezzanotte ora locale (le 23 in Italia).
Salvo clamorosi colpi di scena, e malgrado alcune defezioni della maggioranza - come il partito di estrema destra Laos e il possibile voto contrario di alcuni deputati dei socialisti del Pasok - il 'pacchetto' dovrebbe riuscire a passare. Il governo del premier Lucas Papademos può infatti contare su un'ampia maggioranza composta dai socialisti e dai conservatori di Nuova Democrazia.
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Tra le misure che hanno provocato sdegno e rabbia tra la gente ci sono una radicale riforma del mercato del lavoro, con una profonda deregulation, una diminuzione di oltre il 20% del salario minimo garantito e un taglio delle pensioni. Drastica economia di spesa anche in settori come la difesa, gli ospedali e le autonomie locali, oltre alla vendita dei gioielli di famiglia, come le quote pubbliche in petrolio, gas e acqua.
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In cambio, il progetto di accordo tra la Grecia e la troika (Ue, Bce e Fmi) prevede il via libera al nuovo piano di salvataggio da 130 miliardi di euro, con la possibilità di usufruire di 35 miliardi di prestiti dal fondo temporaneo salva-Stati Efsf, che andranno ad aggiungersi ai 4,5 miliardi dei ricavi dalle privatizzazioni e ai risparmi. Mercoledì è in programma a Bruxelles il cruciale Eurogruppo chiamato a dare il via libera allo stanziamento dei fondi.
2- UN GIOVANE GRECO SU DUE NON HA LAVORO
Rossella Lama per Il Messaggero
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La Grecia non può permettersi la bancarotta, e l'Europa non può permettersi la bancarotta della Grecia. Ma i segnali di un'economia a serio rischio di implosione ci sono tutti. Su una popolazione di 11 milioni di persone più di 1 milione è senza lavoro. In un solo mese, tra ottobre e novembre, il numero dei disoccupati è salito di tre punti, fino a sfiorare il 21%.
Particolarmente drammatica la situazione per i giovani e per le donne. L'Istat ellenico rileva che fra la popolazione al di sotto dei 25 anni il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 48%. Un giovane greco su due non ha lavoro.
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Quando manca il lavoro anche i redditi delle famiglie scendono, calano stipendi e salari, si riducono i consumi. E' una catena la ribasso. A dicembre la produzione industriale ha segnato il -11,3% rispetto a dicembre del 2010. Per l'economia greca questo è il quarto anno di recessione. Nel 2012, secondo le ultime proiezioni spedite dal governo di Atene all'Fmi, il Pil greco potrebbe calare del 4-5% e non del 3% come si prevedeva ancora qualche mese fa.
La svolta è attesa per il 2013. A condizione ovviamente che gli aiuti dell'Europa giungano in tempo per evitare il fallimento del paese. L'ultimo rapporto Eurostat relativo al 2010 dava il 27,7% dei cittadini greci a rischio di povertà o esclusione sociale. E in questo anno la situazione non è certo migliorata.
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Secondo un sondaggio effettuato da Boston Consulting Group, una grande multinazionale di consulenza, l'85% dei consumatori greci nei prossimi mesi diminuirà le spese. Rispetto a sette mesi fa ha risposto così il 32% in più degli intervistati. Quasi uno su quattro ha ammesso che dovrà anche cambiare il proprio modo di consumare. A reggere ancora, nonostante l'aumento dei prezzi, sono solo i prodotti per l'infanzia e i prodotti freschi.
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Il 18% degli stessi intervistati ha detto di aver trasferito i propri risparmi all'estero.
E' l'altra faccia di questa crisi, della paura che la Grecia debba rinunciare all'euro e che torni la dracma. I ricchi portano fuori i loro capitali per metterli al riparo dal rischio di prelievi forzosi, in attesa dei tanti affari che la crisi assicura a chi, al momento giusto, ha soldi buoni da spendere.
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La fuga di capitali all'estero si è impennata dal 2009, da quando la situazione economica è peggiorata. Secondo il ministro delle finanze ellenico, Evangelos Venizelos, da allora 65 miliardi di euro sono stati ritirati dalle banche greche. E di questi, 16 miliardi sono stati trasferiti legalmente all'estero. Gli altri sono capitali che sfuggono al fisco, capitali in nero, risorse che vengono sottratte ad un paese che sta già boccheggiando.
CRISI GRECIA MANIFESTANTI IN PIAZZA CONTRO LE MISURE DEL GOVERNO Destinatarie di questo gigantesco afflusso di risorse sono state soprattutto le banche svizzere e inglesi. Cifre enormi, basti pensare che 65 miliardi di euro sono più degli aiuti che il governo ellenico ha già dato alle banche greche per scongiurarne il fallimento, e quelli che dovrebbe erogare per compensare la svalutazione dei titoli di Stato greci che hanno nei loro portafogli.
grecia - Papademos
L'evasione fiscale è un problema endemico del paese. Da due anni le strutture di riscossione sono state potenziate ma grandi risultati non si vedono. E' appena entrata in vigore una convenzione tra la Grecia e la Svizzera, per lo scambio di informazioni. E da quando si è cominciato a parlare di un'imposta liberatoria del 25% che sanerebbe le situazioni irregolari, i capitali hanno cominciato a spostarsi verso Singapore e gli Emirati.
by dagospia
domenica 12 febbraio 2012
"Bristol Pound" : ennesimo esempio di moneta complementare
Sono sicuro che molti di voi, come me, siano curiosi di sapere quale possa essere l'alternativa all'attuale sistema economico; la soluzione ideale sarebbe l'emissione di una moneta, a credito, di proprietà del portatore.
Intanto in sempre più paesi iniziano a circolare monete complementari ai vari, euro, sterlina, franco, ecc...
A conferma, prova e testimonianza della bontà nelle teorie sulla moneta pubblica, esistono al mondo tantissimi esempi di monete complementari locali, di cui 700, all'incirca, solo in Giappone. Ce ne sono in tutti i paesi “occidentali”, dall’Inghilterra alla Germania, dalla Svizzera alla Francia, dall’Argentina agli USA, e, ultimamente anche in Italia.
Quali sono i vantaggi di questo tipo di moneta?
Una moneta complementare locale è una moneta creata da cittadini, associazioni, e talvolta comuni, che si uniscono in questo "patto sociale" , e decidono di stamparsi la propria moneta, esente da debito pubblico, in quanto appunto pubblica e non chiesta in prestito ad una banca centrale privata.
Ovviamente, questo tipo di moneta, trova maggiore diffusione quanto più piccola è la comunità in cui viene applicata, in quanto, nelle piccole comunità, è più facile accordarsi, la fiducia reciproca è più elevata, e la società non e’ stressata, individualista e dissociata come nelle grandi città.
In queste comunità dove è adottata, il commercio rifiorisce, l’economia locale e’ ben supportata dall’ossigeno della moneta senza debito e senza interesse, ma soprattutto aumentano gli scambi commerciali dei prodotti locali, che si suppone siano più genuini.
Tra le prime comunità ad adottare monete complementari ci furono le Isole di Jersey e Guernsey, nel Canale della Manica, attualmente indipendenti ma sotto la corona britannica.
L’isola di Jersey batteva la propria moneta fin dal medioevo, ma dovette rinunciarvi dopo che la rivoluzione francese, finanziata da banchieri, introdusse un sistema monetario privato.
Questo fino all'800 quando, in piena crisi, la comunità decise di stampare le proprie sterline, e ancora oggi l’isola stampa le proprie sterline, utilizzate anche per pagare le tasse.
Gli esempi nel mondo sono numerosissimi, dall’Ithaca hours negli USA, a Norwich, in inghilterra, dove nel 1987 sono stati creati i Lets dalla New Economy Foundation, che comincio’ a svilupparli in Scozia e Galles e successivamente in Australia.
Oggi, su internet, gli esempi più conosciuti, sono le cosiddette Netmoney, monete virtuali che favoriscono l'interser (scambio di servizi), di cui abbiamo degli esempi in Italia: il Sardex, moneta complementare sarda, o il Sicanex in sicilia.
In Italia il fenomeno non è nuovo, racconta Pierluigi Paoletti, 52 anni, ex consulente finanziari :"Il primo esperimento italiano - ricorda Paoletti - risale al luglio del 2000 quando il giurista Giacinto Auriti, che si batteva contro l'usura, emise il Simec nel suo piccolo comune natale di Guardiagrele, in Abruzzo; decise che valeva il doppio delle lire, i pensionati si entusiasmarono per questa improvvisa iniezione di liquidità ma la guardia di finanza ne decretò bruscamente la fine. Tre anni dopo in Calabria il presidente del parco dell'Aspromonte Tonino Perna fece stampare alla Zecca dello Stato l'Ecoaspromonte: era bellissimo, troppo forse ed ebbe breve vita". Arriviamo così al 2007 a Napoli: l'associazione Masaniello, che si ispirava alle cose che Paoletti scriveva in rete sul suo blog stampa gli Scec, "lo sconto che cammina". Spiega Paoletti, che oggi guida l'arcipelago Scec fatto di 10 mila associati con duemila imprese: "Formalmente e fiscalmente è uno sconto. In realtà è un dono che tu fai a un altro membro della comunità affinché lui spenda i suoi soldi lì".
Nel luglio del 2009 nasce il Sardex: per semplicità si decide che un Sardex varrà un euro, ma spiegare la moneta senza moneta non è affatto semplice. Ci vogliono nove mesi per mettere a segno la prima transazione; da allora è un crescendo continuo, 420 aziende affiliate e un totale delle transazioni quadruplicato in un anno.
Come funziona una moneta che non c'è? Come una camera di compensazione di crediti e debiti. Quando un'azienda entra nel circuito le vengono assegnati dei Sardex: è un fido bancario ma senza interessi. L'assenza di interessi è un punto fondamentale: non si fa denaro con il denaro, i soldi servono solo a scambiarsi beni e servizi. Questa apparente eresia si chiama finanza etica. E quindi i Sardex assegnati a chi aderisce rappresentano l'importo di beni e servizi che ciascuno è disposto a vendere e a comprare nel network. Entro dodici mesi, quella posizione va pareggiata: se una azienda è in difficoltà si muovono tutte le altre e se proprio è impossibile tornare in pareggio - ma non è ancora mai accaduto - la posizione viene saldata in euro.
La differenza con le monete di cui abbiamo parlato prima è una: con i Sardex non puoi pagare le tasse.
Stessa storia del Sardex è il Sicanex, progetto in piena fase di sviluppo, partito da poco in Sicilia.
E come non parlare del Wir? Una delle più famose monete complementari, è stata l'esempio, da cui molte comunità hanno preso spunto.
Creata nel 1934 contro la crisi economica mondiale la WIR è una moneta complementare non cartacea di cui si servono ormao 60.000 aziende svizzere e innumerevoli cittadini. Non ha corso legale all’estero, non ha un cambio ufficiale col Franco Svizzero, alimenta unicamente il mercato interno. In pratica serve agli svizzeri per consumare beni e servizi prodotti dagli svizzeri.Si tratta di una rete di scambio dove tutte la transazioni vengono sia addebitate che accreditate dall’ufficio centrale, e non sono consentiti prelievi di liquidità dai depositi.
Notizia di oggi è la nascita di una nuova moneta complementare: il Bristol Pound, lanciato da un gruppo di commercianti indipendenti, con il sostegno dell'amministrazione comunale e di una banca.
La nuova moneta sarà solo cartacea e potrà anche essere scambiata elettronicamente, già oltre 100 società e imprese hanno firmato la loro adesione al Bristol Pound.
Il cambiamento è possibile, basta studiare e crederci.
Fonti:
http://www.repubblica.it/tecnologia/apps/2012/01/20/news/moneta_km_zero-28478109/
http://www3.lastampa.it/economia/sezioni/articolo/lstp/441505/
http://blog.jackpotstaff.com/wir-bank-la-moneta-indipendente/
http://cogitoergo.it/?p=812
Pubblicato da Rodrigo Lamb a 2/07/2012 02:05:00 AM Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su Facebook
Etichette: Sovranità Monetaria ed Economia
http://ctldaf.blogspot.com/2012/02/bristol-pound-ennesimo-esempio-di.html
venerdì 10 febbraio 2012
DALLA DRACMA AL DRAMMA, DA CULLA DELLA CIVILTÀ A LANDA DELLA POVERTÀ - ATENE È DIVENTATA UN VIA VAI DI DROGATI E BARBONI, GENTE SFRATTATA CHE SI ACCAMPA PER STRADA, NELL’INDIFFERENZA GENERALE - STIPENDI DEI DIPENDENTI STATALI TAGLIATI DEL 20%, SCONTRI ALL’ORDINE DEL GIORNO, UNA DELLE ATTIVITÀ PIÙ REDDITIZIE È LA COMPRAVENDITA DELL’ORO…
Toria Mastrobuoni per "la Stampa"
grecia - Papademos
Ci vogliono tre, quattro secondi per mettere a fuoco la situazione. Non perché non ci sia luce, sono le tre di pomeriggio. Ma perché siamo nel centro di Atene, davanti alla facoltà di Legge. E la scena lascia senza fiato. Tre ragazzi sono accasciati in un angolo, due con le siringhe in mano. Studenti vanno e vengono, incuranti. Spazza un vento gelido e uno dei tre indossa soltanto una felpa. Fabio fa segno di andare oltre, si stringe nelle spalle, «ormai è normale, la polizia neanche interviene più. E quando lo fa è per caricare gli studenti».
Poco più in là un gruppo di senzatetto chiede l'elemosina davanti a una chiesa. Altri fantasmi, altri passanti impassibili che camminano oltre. E la polizia la troviamo qualche strada più in là, dove la presenza di squatter e studenti si è fatta visibilmente più densa.
Siamo a Exarchìa, il cosiddetto quartiere degli anarchici, ma la coabitazione con la polizia sembra serena. Almeno, finché il livello di allarme non sale, racconta Fabio. Tipicamente, quando i sindacati proclamano lo sciopero. In quei giorni, come martedì scorso, il richiamo generale è: tutti a Syntagma, la piazza di fronte al Parlamento.
evangelos venizelos
Gli scontri cominciano da qui. Ma oggi è una giornata tranquilla, passiamo davanti a un parco occupato: ci volevano fare un parcheggio, gli studenti l'hanno impedito e hanno fatto piantare degli alberi ai bambini del quartiere. È bellissimo, colorato. Le vie accanto pullulano di bar dall'aria nordeuropea, ragazze con i capelli rosso fuoco, piercing a perdita d'occhio, aromi inconfondibili nell'aria, e, qua e là una chioma rasta.
Fabio Giardina, il nostro cicerone ateniese, è un medico italiano che vive in Grecia da vent'anni. La sua compagna, Augustina, è furibonda. Ha 38 anni e fa la ricercatrice in biochimica. Davanti a un cappuccino pessimo in un bar delizioso ci fa due conti su una tovaglietta di carta: «Prima della crisi guadagnavo 1.250 euro. Ora ne guadagno 850, grazie ai tagli del governo. Ma non è che la vita non si aumentata, anzi.
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Con l'Iva al 23% è tutto più caro. La benzina costa 1,7-1,8 euro al litro. E con le ultime misure del 2011 hanno introdotto una tassa sulla casa ma che caricano direttamente sulla bolletta elettrica. Un ricatto orrendo!». Augustina cita l'esempio dell'appartamento dei suoi genitori: per circa 100 metri quadri nel quartiere Kipseli, un quartiere borghese vicino al centro, pagavano 45 euro all'anno. Dallo scorso autunno ne pagano 570. Dodici volte tanto.
Il caso di Augustina è tipico per i 750 mila dipendenti pubblici che sono stati il primo e più duro, per ora, bersaglio selle misure di correzione dei conti intrapresi dalla Grecia per far fronte alla crisi. Ma l'impoverimento improvviso di questa fetta di popolazione, colpita da tagli agli stipendi in media del 20 per cento - la televisione racconta ogni sera di bambini malnutriti che svengono a scuola, di neonati abbandonati in vertiginoso aumento - ha anche conseguenze sull'economia del Paese. Antonis Sergiannis è un signore elegante di 64 anni con una barba bianca e una sciarpa rossa che non toglie neanche dietro la cassa del suo piccolo ristorante a Plaka, vicino al Partenone, nel cuore della città.
POVERTA' AD ATENE
Quando racconta la sua odissea attraverso tre anni di crisi la voce ogni tanto trema: «A Natale gli affari sono crollati del 70%. Quando i greci vengono a mangiare qui non si prendono più il Gyros, insomma lo spiedino al piatto, ma lo preferiscono nella pita, nel pane, così costa di meno. E poi c'è il crollo del turismo».
Antonis sostiene che i disordini frequenti nelle vie del centro - che gli sono costati anche due vetrine rotte - allontanano i turisti. Ma in questo quartiere si incrocia anche un'altra, tipica sentinella di ogni recessione: i negozi che comprano oro. Nicos sorride un po' imbarazzato dietro il bancone del suo squallido, stretto loculo: «C'est la vie», prova a scherzare in francese. Quanti clienti sono passati? «Ventiquattro». Dall'inizio della settimana? «No no, oggi». Sono appena le cinque.
POVERTa AD ATENE Poco oltre, a piazza Syntagma, dove non più tardi di due giorni fa qualche esaltato bruciava bandiere tedesche, le macchine passano veloci agli incroci. I taxi sono tantissimi. In mobilitazione anche loro contro le liberalizzazioni. Abbiamo appena pagato 3,80 euro per una corsa di otto minuti. A Roma bastano appena per salire. Diamo un'occhiata all'indice più affidabile per il benessere o il malessere di un Paese: il menù base del Mc Donald, sul lato lungo della piazza.
Un doppio cheeseburger, patatine e bibita costa 3,50 euro. Ma un gruppetto in tenuta sportivissima ci distoglie da pensieri impuri. Hanno tutti l'aria sfinita e felice. «Io e i miei amici abbiamo fatto 40 chilometri in bici per venire qui» spiega un tipo piccolino, raggiante, in tuta blu. Si chiama Manu Kapnoupolos. Gli chiediamo che lavoro fa. «Ah, no, non lavoro. Ho una pensione di invalidità». Lo guardiamo meglio. Di invalidità? «Già», fa. E si tocca, senza un filo di vergogna, le due robustissime gambe d'acciaio che hanno appena macinato 40 chilometri di fiero asfalto ateniese. Roba da Paraolimpiadi, ci viene da ironizzare. Ma lui è già schizzato via.
by dagospia
DEFAULT EVITATO E MO’ SO’ CAZZI VOSTRI - LA GRECIA RAGGIUNGE L’INTESA SULLA NUOVA AUSTERITY CHE EVITA IL FALLIMENTO MA METTE IL PAESE IN GINOCCHIO - LE MISURE LACRIME E SANGUE DA ADOTTARE PER ACCONTENTARE L’EUROPA (TAGLIO DEI DIPENDENTI PUBBLICI E DEI SALARI MINIMI, RIFORMA DELLE PENSIONI) RISCHIANO DI FAR ESPLODERE ENORMI TENSIONI SOCIALI - ATENE HA UNA DISOCCUPAZIONE AL 20%: PIÙ DI 1 MILIONE DI PERSONE È A CASA SENZA LAVORO…
Da "Corriere.it"
La Grecia evita il default. Il governo guidato da Papdemos e i partiti politici hanno raggiunto in extremis un accordo sulle misure di austerità. Lo ha detto un portavoce. In serata, come previsto, si riunisce l'Eurogruppo a Bruxelles.
grecia - Papademos
L'IRREVERSIBILITA'
«L'euro è irreversibile. Nessun paese uscirà dall'euro, neppure la Grecia». Lo ha detto, mostrando una copia del Trattato di Lisbona, la vicepresidente della Commissione europea Viviane Reding in un'intervista alla Bbc in cui ha contestato la collega olandese Neelie Kroes. Reding ha poi definito «molto pericolosa e difficile» la situazione sociale in Grecia, osservando che il paese «per anni ha vissuto al di là dei suoi mezzi» e «non ha le istituzioni necessarie per farlo progredire».
George Papandreou
«Dobbiamo aiutare il paese a rimettersi in piedi ed essere capace di creare lavoro e un futuro per il suo popolo» ha aggiunto Reding, secondo la quale «al di là della riduzione di debito e deficit» tra le riforme strutturali «necessarie» c'è anche quella del sistema giudiziario «affinchè si possano dare certezze legali agli investitori».
L'INFLAZIONE
Intanto il tasso di inflazione in Grecia è sceso al 2,3%, contro il 2,4% di dicembre. È quanto indicato dall'Autorità statistica greca. A gennaio l'inflazione ha mostrato un netto calo rispetto all'anno precedente, quando i prezzi erano cresciuti del 5,2%. I rialzi più consistenti hanno riguardato edifici (+8,5%), tabacco e alcolici (+4,1%) e alimentare (+3%). Su base mensile, i prezzi al consumo sono scesi dello 0,8%, a fronte di un rialzo medio degli ultimi 12 mesi (febbraio 2011-gennaio 2012) del 3,1%.
ANGELA MERKEL E NICOLAS SARKOZY
I DISOCCUPATI
Mentre il numero di disoccupati in Grecia ha superato il tetto di un milione di abitanti a novembre, mese in cui la disoccupazione ha raggiunto il tasso record del 20,9%, a causa di austerità e recessione. È quanto indicato dall'Autorità di statistica greca. I disoccupati hanno raggiunto quota 1,02 milioni, in crescita del 48,7% annuo e del 14% rispetto a ottobre.
Mario Monti A 1 milione 29 mila a novembre le fila dei disoccupati in Grecia risultavano aumentate di 126 mila persone in un solo mese a novembre, e di 337 mila nel confronto con un anno prima. Al tempo stesso gli occupati totali sono crollati a 3,9 milioni, dai quasi 4,5 milioni del novembre 2009. In un solo mese la Grecia ha così perso 164 mila occupati, mentre su base annua sono diminuiti di 405 mila unità. Perché l'emorragia di posti non si vede solo in termini di disoccupati, che vengono comunque contabilizzati tra gli «attivi».
barroso LO SCIOPERO
I due grandi sindacati centrali della Grecia, Adedy per il pubblico e Gsee per il privato, hanno indetto uno sciopero generale venerdì e sabato contro le nuove misure di austerità chieste da Unione Europea e Fmi, in cambio del nuovo piano di aiuti da 130 miliardi di euro. «Proclamiamo lo sciopero generale venerdì e sabato a fianco dei sindacati della funzione pubblica», ha indicato un portavoce della Gsee, la confederazione sindacale del settore privato.
by dagospia
mercoledì 8 febbraio 2012
ATENE IN CATENE - IL SALVA-GRECIA SPACCA GLI EUROPOTENTI, DIVISI TRA UN DEFAULT DA EVITARE (BARROSO) E UN ‘CHISSENEFREGA SE FALLISCE’ (NEELIE KROES) - LA PAURA DEL GOVERNO PAPADEMOS A INFILARE L’EUROSUPPOSTA AL SUO POPOLO, CON UNA RISTRUTTURAZIONE DA INCUBO, SCATENA I PREGIUDIZI VERSO IL FANCAZZISMO DEI PAESI DEL MEDITERRANEO - ATENE PERÒ CI METTE DEL SUO: CON TUTTI I PROBLEMI CHE HA DILAPIDA MILIONI PER ‘MURARE’ IL CONFINE CON LA TURCHIA…
Luigi Offeddu per il "Corriere della Sera"
grecia - Papademos
Il caso Atene giunge fino ai vertici dell'Unione Europea. Li agita, li divide. E finisce per richiamare in causa la stessa esistenza dell'euro. A difenderla, in una giornata tempestosa come poche, c'è anche il premier italiano Mario Monti: «La crisi dell'Eurozona ha fatto riemergere vecchi fantasmi di pregiudizi tra il Nord e il Sud dell'Europa», dice in due interviste al Wall Street Journal e alla radio americana Pbs, ma l'euro per tutta la crisi ha dato prova di essere una moneta «sostanzialmente solida», mantenendo la sua «forza e credibilità»; e così sarà ancora fra 5 anni, quando anzi «molti altri Paesi che non fanno parte dell'Eurozona» adotteranno la moneta comune.
barroso E quanto ai sacrifici «necessari» richiesti agli italiani «non sono un'imposizione di Bruxelles o della Germania o della Bce, ma un passo necessario nell'interesse degli italiani stessi e delle future generazioni». Monti si dice convinto che oggi l'Italia «sarebbe molto meno esposta al rischio di un default della Grecia rispetto a pochi mesi fa». «Se il default fosse avvenuto pochi mesi fa - dice ancora il premier - le conseguenze per l'Italia sarebbero state estremamente serie».
A Bruxelles la vicenda greca marca le ore con i suoi cupi notiziari ed erode indirettamente la fiducia nella stessa tenuta dell'Eurozona. Il ballo comincia già dal mattino, quando, in un'intervista a un giornale di casa sua, l'olandese Neelie Kroes - commissaria europea all'Agenda digitale - dice che la Grecia non sta dimostrando «sufficiente volontà»; e poi butta lì, quasi con noncuranza: «Continuiamo a ripetere sempre che se lasciamo uscire un Paese dall'euro, tutta la struttura dell'Eurozona affonda, ma non è vero».
MARIO MONTI Due ore dopo, nei corridoi della Commissione europea, circola già la prima smentita ufficiosa: la Kroes avrebbe parlato a titolo personale. Poi un portavoce ufficiale ribadisce la smentita, ma con parole che consentono forse una doppia lettura: ammette infatti che «gli scenari di un default greco esistono», anche se sono «speculativi» e «non probabili» e perciò «non devono essere alimentati».
Più tardi ancora, altre smentite dai piani più alti: il vicepresidente della Commissione Antonio Tajani dice di considerare l'addio della Grecia come «un periodo ipotetico dell'irrealtà»; e il presidente José Manuel Barroso afferma: «Vogliamo la Grecia nell'euro. Questo è molto importante non solo per lei ma anche per l'euro e per il progetto europeo».
TAJANI Il problema è anche e soprattutto di fiducia. Dai dati «truccati» dell'Eurostat, qualche anno fa, allo stallo nelle trattative di oggi, Atene deve recuperare credibilità presso la Ue. Ma un'ultima sua iniziativa, la costruzione di un costosissimo muro o recinto anti immigrati alla frontiera greco-turca, simile a quello fra Usa e Messico, ha peggiorato le cose.
Infatti, la commissaria Ue agli Affari Interni Cecilia Malmström spiega: «Atene ci ha chiesto il cofinanziamento, abbiamo rifiutato: con questa crisi dovrebbero esserci altre priorità». Dal 2007 a oggi, solo per i fondi destinati al controllo dei flussi migratori, la Grecia ha ricevuto oltre 215 milioni dall'Europa. Altri 89,8 li riceverà nel 2012. E il muro-recinto, da solo, ha un costo previsto di 5,5 milioni.
by dagospia
- DOPO LA RAPINA DA 13 MILIONI LUSI-MARGHERITA, SI RADDOPPIA: FURTO AN DA 26 MILIONI! - 2- DALLA FONDAZIONE “ALLEANZA NAZIONALE”, NATA IN SEGUITO ALLO SCIOGLIMENTO E ALLA CONFLUENZA DEL PARTITO NEL PDL (MARZO 2009), SONO SPARITI 26 MILIONI DI EURO. E TRA PEZZE D’APPOGGIO MANCANTI, PRESTITI MILIONARI AL PARTITO DI BERLUSCONI E IMMOBILI DATI IN USO GRATUITO AI GIOVANI DEL PDL, NON C’È CERTEZZA DI DOVE SIANO FINITI - 3- UN PATRIMONIO DI DIFFICILE STIMA CHE TRA LIQUIDITÀ E IMMOBILI NON RISULTAVA INFERIORE AI 400 MILIONI, UNA CIFRA TROPPO ALTA PER NON SCATENARE UNA GUERRA TRA GLI EX COLONNELLI DI AN E I FEDELISSIMI DI FINI, REGOLARMENTE FINITA IN TRIBUNALE - 4- BOIA CHI MOLLA IL TESORETTO! LA SEGRETARIA DI FINI PUNTA L’INDICE SUI CAMERATI DEL COMITATO DI GESTIONE E COMITATO DEI GARANTI. E I TIPINI FINI GODONO PERCHE’ IL TRIBUNALE DI ROMA COMMISSARIA CIO’ CHE LARUSSA E GASPARRI GLI AVEVANO SCIPPATO
Alessandro Ferrucci e Malcom Pagani
Dalla Fondazione "Alleanza Nazionale", nata in seguito allo scioglimento e alla confluenza del partito nel Pdl datata marzo 2009, sono spariti 26 milioni di euro. E allo stato, tra pezze d'appoggio mancanti, prestiti milionari al partito di Berlusconi e immobili dati in uso gratuito ai giovani del Pdl, non c'è certezza di dove siano finiti.
fini larussa gasparri
Il retropalco dei partiti sopravvissuti alla Seconda Repubblica è uno spettacolo quotidiano. L'ultimo in ordine di tempo, dopo lo scandalo Lusi-Margherita, sventola i simboli di una delle grande aggregazioni del dopoguerra italiano. La casa di Giorgio Almirante e di Gianfranco Fini. Un patrimonio di difficile stima che tra liquidità e immobili non risultava inferiore ai 400 milioni. Una cifra troppo alta per non scatenare brame e appetiti regolarmente finiti in tribunale.
La storia parte da lontano. Nei giorni di marzo del 2009, in cui dopo il congresso nazionale, An decise per il 2011 di trasformare il partito in: "Fondazione che ne assuma l'emblema e la denominazione. Alla fondazione competono tutti i diritti propri di An e ad essa sono assegnate le risorse materiali (...) e segnatamente ogni bene mobile e immobile direttamente o indirettamente posseduto comprese le partecipazioni in società e tutti i crediti verso soggetti pubblici o privati".
Gianfranco FiniSi optò per un comitato di gestione che avrebbe operato secondo le indicazioni di un altro organo, il comitato dei garanti. Vennero designati i nomi dei singoli individui deputati al controllo degli "obiettivi strategici, anche di periodo, da perseguire per la conservazione, la tutela e lo sviluppo delle risorse (...) l'impiego e la destinazione dei fondi".
I comitati si insediarono il primo aprile del 2009 e in un amen, fu guerra tra gli ex colonnelli di An e i fedelissimi di Gianfranco Fini. Una guerra sporca, senza esclusione di colpi, durata per mesi e persa dai secondi costretti ad assistere a un "golpe" nelle mura di casa. Dal comitato di gestione, non a caso in piena bufera Montecarlo, venne estromesso Franco Pontone (espulso dal comitato dei garanti nel 2010) e al suo posto nominato il senatore Mugnai.
0gus46 larussa
Da allora e fino ad oggi, complice la frattura tra Fini e Berlusconi, quello che era stato definito "il divieto di confusione del patrimonio di An con quello del Popolo della Libertà" divenne un'autostrada senza caselli, controlli o pedaggi. Con gestioni allegre, rappresaglie ad hoc (la vicenda del Secolo d'Italia), purghe staliniane e campo libero a transazioni impensabili. Immobili di An affidati in uso gratuito ai giovani del Pdl (28), prestiti bizzarri come quello del 12 luglio 2011, in cui il comitato di gestione della Fondazione di An concesse su richiesta degli onorevoli Crimi e Bianconi del Pdl, la cifra di 3.750.000 a titolo di prestito infruttifero al partito rivale.
Da aggiungere a un altro milione a fondo perduto per sostenere le elezioni regionali del Pdl e ad altri contributi di importo ancora incerto, a fronte "dell'impegno morale" di Bianconi di vigilare sul loro "puntuale utilizzo".
E poi, ancora altro denaro, dalla casa madre dei neo "nemici". Forme di generosa erogazione "del tutto anomale" distribuite con fumose motivazioni definite "Iniziative promozionali in sede al Pdl", senza rendiconti verificabili e con giustificazioni risibili ad accompagnare il salasso verso il feudo di B.: "Promuovere all'interno del partito la costituenda fondazione".
In mezzo, vennero bloccate le iscrizioni degli ex An alla fondazione (300 euro di versamento) e rese surrettiziamente invalide quelle giunte dopo il 30 aprile 2010. In una situazione simile, con l'uso disinvolto del denaro di un partito appannaggio di un altro (rivale e in costante battaglia) i finiani rimasti vicini al presidente della Camera e confluiti in Fli, hanno provato il contrattacco.
gasparri foto mezzelani gmt Prima ha tentato l'avvocato di Fini, Giuseppe Consolo. Poi lo studio del deputato di Fli Antonio Buonfiglio si è messo al lavoro e ha presentato con l'omologo di cordata Enzo Raisi, un esposto al Tribunale di Roma a fine novembre. Quattro pagine fitte di date e cifre utili a chiedere alla magistratura di procedere "alla nomina di uno o più commissari liquidatori e comunque all'adozione di ogni e più opportuno atto affinché fossa data corretta e puntuale esecuzione alle determinazioni congressuali in ordine alla liquidazione e allo scioglimento formale di An".
Liquidazione non avvenuta (comportandosi la fondazione, in compulsivo erogamento di fondi della comunità di An al Pdl, in regime di "continuità" e in direzione del tutto opposta) e determinazioni originarie tradite. Il tribunale si è mosso e ha prodotto una relazione sull'attivita di liquidazione: misteriosa e raggelante. Analizzati i documenti delle parti, i periti del tribunale hanno evidenziato come non solo non si sia verificata alcuna liquidazione né alcun passaggio formale sulla stessa, ma del denaro scomparso, non vi sia traccia.
Dentro il buco nero si trova di tutto. Accensione di conti correnti intestati all'associazione senza riscontri per individuarli. Parcelle saldate per decine di migliaia di euro ad avvocati impegnati a difendere il Pdl. Il famoso prestito da quasi 4 milioni erogato al partito di Berlusconi, poi restituito a distanza di qualche mese, senza che ci sia foglio di carta che nel rendiconto chiuso a ottobre del 2010 che lo ratificasse.
luigi lusi
E poi altri milioni, sempre destinati al Pdl, a fondo perduto. Una situazione incredibile che relega l'affaire Margherita alle piccole cose di valore non quantificabile e lascia sul terreno una differenza di valori, tra la Fondazione gestita dai colonnelli e quella immaginata da Fini & C., di 26 milioni in meno di due anni(2009-2011). Una perdita di capitali e ideali di cui adesso qualcuno chiederà conto.
2- BOIA CHI MOLLA IL TESORETTO
Gian Marco Chiocci per Il Giornale
Due brutte notizie per gli ex An «titolari» del ricco patrimonio, immobiliare e no, della vecchia Fiamma. La prima: la procura di Roma indaga formalmente sulla gestione del tesoretto da svariati milioni di euro a seguito di un esposto di Rita Marino, storica segretaria di Gianfranco Fini. Lo conferma al Giornale il senatore Vincenzo Consolo: «Sì, la signora Marino ha presentato un esposto alla procura di Roma nel quale si fa presente che sono state esautorate alcune persone dalla gestione del patrimonio ex An e che vi è stato un uso distorto del patrimonio che doveva essere liquidato e non gestito. Il fascicolo è aperto, indaga il pm Attilio Pisani».
fini e almirante La Marino punta l'indice sugli esponenti di An nel Pdl, Caruso, Valentino, Mugnai, Giordano, Petri, Gamba, Giordano. Nell'esposto si ipotizzerebbero ammanchi per svariati milioni di euro, e i reati sui quali starebbe lavorando il pm sarebbero appropriazione indebita, malversazione e truffa.
La seconda brutta notizia si rifà alla prima: il presidente del tribunale di Roma ha nominato due commissari liquidatori degli stessi beni di cui parla la segretaria di Fini, contraddicendo una sua stessa decisione di sei mesi fa.
Il «commissariamento per liquidazione» è arrivato a seguito dell'accoglimento di un'apposita istanza proposta nel 2010 dai finiani Antonio Buonfiglio (passato recentemente con Fare Italia) e Enzo Raisi per chiedere la liquidazione patrimoniale, posto che dopo lo scioglimento di An la gestione delle liquidità prodotte da rimborsi elettorali, depositi e valori delle case era stato affidato a un'apposita fondazione.
puc619 rocco crimi
Secondo quanto trapela dagli uffici giudiziari romani, negli ultimi mesi due ispettori del tribunale hanno esaminato, al dettaglio, l'amministrazione del patrimonio affidata al Comitato di Gestione e al Comitato dei Garanti (a maggioranza ex An, attualmente nel Pdl) costituiti nell'ultimo congresso in attesa di traghettare il tutto in un'apposita Fondazione.
E nelle conclusioni avrebbero ravvisato estremi per una soluzione che va nella direzione di quella auspicata dalla coppia finiana.
Raisi e Buonfiglio, già un anno fa, avevano contestato la corretta operatività dei due comitati che anziche´ limitarsi «al mero esercizio dei poteri di indirizzo e vigilanza» avrebbe via via limitato i poteri degli stessi con modalità, a loro avviso, illegittime, infischiandosene di «preservare integro il patrimonio attraverso il compimento di atti conservativi o, al più, migliorativi».
GIUSEPPE CONSOLO - Copyright PizziOvviamente gli ex An rimasti nel Pdl la pensano diversamente, e a nulla sono servite le ragioni messe nero su bianco dal «portavoce», senatore Franco Mugnai, che sei mesi fa aveva convinto lo stesso presidente del tribunale a respingere il ricorso spiegando che era inammissibile e improponibile «perch´ il Comitato ha operato nel rispetto delle prerogative attribuite loro dal Congresso e quindi in piena osservanza del mandato di cui era stato investito».
Appresa la notizia del commissariamento, Mugnai ha parlato di «decisione sconcertante» del tribunale di Roma «in palese contrasto con le determinazioni dell'ultimo congresso. In essa non si ipotizza in alcun modo comportamenti illeciti o fraudolenti degli organi di Alleanza nazionale. È incomprensibile».
Tutti gli uomini del presidente della casa di Montecarlo, che nell'inchiesta sull'appartamento in uso al cognato se l'è cavata come tutti sanno, cantano vittoria. «Siamo soddisfatti, così evitiamo un nuovo caso Lusi», gongola Buonfiglio.
by dagospia
FORZA CRAC! - MENTRE I MERKOZY PREMONO PER IL SALVATAGGIO DELLA GRECIA (E DELL’EURO) GLI USA SCOMMETTONO SUL DEFAULT - PERCHÉ LE BANCHE D’AFFARI AMERICANE (MORGAN STANLEY, BOFA, AIG E GOLDMAN SACHS IN TESTA) HANNO AUMENTATO I LORO INVESTIMENTI DA 29 MLD € A 35 MLD MENTRE TUTTI GLI ALTRI FUGGIVANO DA ATENE? - LO ZIO SAM CI HA VISTO LUNGO: IL GIRO D’AFFARI È COPERTO DA UNA MAXI POLIZZA ASSICURATIVA CHE IN CASO DI FALLIMENTO FRUTTEREBBE AI FONDI SPECULATIVI PARECCHI SOLDI…
Francesco De Dominicis per "Libero"
MERKEL SARKOZY
La Grecia prende tempo sulle misure anticrac e scherza col fuoco. Tuttavia c'è qualcuno che non ha affatto paura di scottarsi. Nonostante il pressing dell'Unione europea, Atene prende tempo. Ieri non è stato raggiunto l'accordo sul piano di emergenza e la partita è stata rimandata a oggi. Il baratro, adesso, ha una data precisa: 13 febbraio. Se entro 6 giorni i partiti politici ellenici non si mettono d'accordo sui tagli, sull'austerity e sul fisco, per la Grecia è fallimento.
Un'ipotesi che, forse, corre il rischio di mettere in crisi l'intera area euro. Ma che potrebbe rivelarsi quasi un affare per i fondi speculativi, specie quelli americani. Il giro d'affari con i junk bond made in Grecia, negli Stati Uniti, vale circa 35 miliardi di euro. Una montagna di quattrini, tutta (o quasi) coperta da una maxi polizza assicurativa. Si chiamano cds (credit default swap), titoli finanziari derivati che servono a coprire gli investimenti da eventuali fallimenti di un emittente (impresa, banca o stato sovrano).
Lo zio Sam, insomma, ha visto lungo. Oppure, secondo un'altra tesi, ha scommesso sul crac. Sta di fatto che mentre la maggior parte degli investitori fuggiva dal debito pubblico greco, gli Usa hanno incrementato la loro posta in gioco. Un po' tutte le major americane - Morgan Stanley, Bofa, Aig, Goldman Sachs - hanno continuato a investire nonostante i campanelli d'allarme stessero suonando da un pezzo. Nel giro di poche settimane gli investimenti sono cresciuti da 29 miliardi agli attuali 35.
Morgan Stanley
Un trend che sarebbe il chiaro segnale di un'attività speculativa legata alla copertura assicurativa. Usa a parte, nel Vecchio continente - dove complessivamente la posta in gioco vale oltre 100 miliardi di euro - è una corsa disperata a cercare un salvataggio necessario a mantenere la stabilità della moneta unica. Francia e Germania hanno in pancia circa 65 miliardi di euro e sono in prima linea con i rispettivi premier (Nicolas Sarkozy e Angela Merkel) che alzano la voce. Ieri, ad Atene, è stata una delle giornate più drammatiche da quando il Paese è in crisi.
jp morgan
Al termine delle trattative, i leader dei partiti non hanno sottoscritto gli impegni di una maggiore austerità richiesti dalla troika Ue-Bce-Fmi e il premier Lucas Papademos non è stato in grado di mediare, nonostante sia convinto che dei progressi si stiano facendo e vuole tornare a riunirsi oggi con i tre leader. Ma i mercati, scommettono in molti, non saranno più disposti a seguire le trattative greche e forse anche l'Eurozona da questa settimana comincerà a fare i conti con un default che, come accennato, sembra sempre più difficile da scongiurare.
La Ue aveva chiesto un accordo entro domenica sera, sia nella trattativa coi privati sia in quella con i prestatori internazionali. Mancano entrambi, anche se quello coi privati sembra vicino. Il premier Papademos ieri ha mediato con la troika, poi con i capi dei tre partiti Georges Papandreou (socialisti), Antonis Samaras (destra) e Georges Karatzaferis (estrema destra), e ha chiesto aiuto nelle trattative al presidente della Bce Draghi e al dg del Fondo monetario Lagarde.
GOLDMAN SACHS La troika vuole tagli extra pari all'1% del pil - circa 2 miliardi di euro - quest'anno, inclusi tagli a difesa e sanità. Senza un impegno scritto su tagli e riforme, Ue-Bce-Fmi non concederanno i nuovi aiuti da 130 miliardi di euro. «Se non mette in atto le riforme, non può aspettarsi la solidarietà degli altri Paesi», ha detto Bruxelles paventando un'insolvenza a marzo, quando cioè Atene dovrà rimborsare 14,5 miliardi di euro di bond in scadenza. In serata si è saputo che Atene avrebbe approvato un progetto per tagliare i dipendenti pubblici di 15mila unità. Il crac greco in ogni caso non fa paura al Portogallo, altro paese in bilico. L'attuazione del programma di salvataggio interno non sarà messo in discussione qualunque sarà l'esito dei negoziati in Grecia con la troika: «Andiamo avanti» ha fatto sapere Lisbona.
by dagospia
EURO-MAGHEGGI - I “MIRACOLI” CHE NEGLI ANNI ’90 PERMISERO AI PAESI DI ADERIRE ALL’EURO: LA FRANCIA PRESE 37,5 MLD € DAL FONDO PENSIONE DI FRANCE TÉLÉCOM, L’ITALIA RIUSCì CON UN O SWAP CHE ARRICCHI’ GOLDMAN SACHS - MA LA PIù FURBA FU PROPRIO LA RIGOROSA GERMANIA: FECE USCIRE DAL BILANCIO 430 MLD € DI DEBITI (ANCORA INSOLUTI) E LA BUNDESBANK RIVALUTÒ LE RISERVE IN DOLLARI PER 12 MLD DI MARCHI - E POI PARLANO DELLA GRECIA...
Marco Cobianchi per "ItaliaOggi"
helmut kohl
Il rigorismo ideologico (e recessivo) teso al risanamento dei bilanci pubblici europei non deve far dimenticare che la Grecia non è stata l'unica a truccare i bilanci per aderire all'euro. Tra il 1996 e il 1997 moltissimi Paesi europei, tra i quali le maggiori economie continentali, Francia, Germania e Italia, adottarono una creatività contabile straordinariamente fantasiosa. In parole povere: ne fecero di tutti i colori per riuscire, nel 1997, a presentare conti pubblici con un rapporto deficit-Pil sotto il 3% come era stato stabilito da loro stessi nel 1992 a Maastricht.
GUSTAVO PIGA
Iniziamo dalla Francia. Nel 1996 prelevò dal fondo pensioni dei lavoratori della società statale France Télécom 37,5 miliardi di euro, incorporando la somma all'interno del bilancio pubblico. Un'operazione spericolata che permise a Parigi di ridurre in un colpo solo il deficit dello 0,5%. L'operazione venne approvata dalla Commissione europea e fece infuriare i rigoristi continentali del Nord Europa.
Non solo: il 3 febbraio del 1997, Parigi decise di contabilizzare diversamente gli interessi sul debito pubblico in modo da spalmare su più anni gli interessi dovuti ai sottoscrittori. Sotto accusa finirono il ministro francese degli Affari economici De Silguy e il direttore dell'Eurostat, il francese Yves Franchet, il primo per aver architettato i due escamotage, il secondo perché li aveva approvati.
jp morgan
La Germania non fu da meno. A placare gli animi ci pensò il cancelliere tedesco Helmut Kohl che doveva anche farsi perdonare i suoi di trucchetti. Nel 1995 la Germania, infatti, fece uscire dal perimetro dei conti pubblici i debiti della Kreditanstalt für Wiederaufbau (KfW) che è una specie di Cassa Depositi e che, ancora oggi, ha 430 miliardi di debiti che sono fuori dal bilancio tedesco (a differenza di una parte dei debiti della nostra Cassa depositi e prestiti, Cdp).
Se venissero contabilizzati farebbero schizzare il rapporto con il Pil a ben oltre il 97%. Non solo: l'allora ministro delle Finanze, Theo Waigel, iniziò un braccio di ferro con la Bundesbank costringendola a rivalutare le riserve in dollari per ben 12 miliardi di marchi. Ma non è ancora finita: il paese che oggi fa la morale a tutto il resto d'Europa, negli Anni ‘90 rinviò il calcolo degli interessi sul debito pubblico della ex Germania orientale che, insieme con la vendita di beni demaniali, e, soprattutto, insieme alla finta privatizzazione della Deutsche Telekom, i cui titoli vennero parcheggiati presso un ente pubblico, risollevò il morale dei conti pubblici di alcune decine di miliardi di marchi.
France Telecom Logo
Ma siccome i tedeschi non erano (nemmeno loro) certissimi che i loro trucchi sarebbero stati approvati dall'Eurostat, Waigel si produsse in una famosa dichiarazione: la Germania non avrebbe fatto guerre sante per ottenere dai partner il «tre-virgola-zero» del deficit.
Poi c'è l'Italia. Nel 2000 venne pubblicato il noto rapporto di Gustavo Piga che segnalava come, nel 1995, un Paese (che non citò mai) aveva chiuso un'operazione di swap con una banca d'affari (anche questa rimasta anonima) che gli permise di guadagnare sul proprio stesso debito.
Come? Quel Paese aveva emesso un bond denominato in yen e siccome lo yen si era svalutato, l'emittente aveva un guadagno latente sul proprio bond. L'accordo consisteva nel fatto che la banca d'affari pagava subito il valore dell'obbligazione in cambio dell'impegno di incassare l'anno successivo, cioè alla scadenza, l'importo versato più un certo interesse. Un anticipo contanti, in parole povere.
deutsche-telekom
Quel Paese era l'Italia mentre sulla banca d'affari ci sono ancora dubbi: c'è chi dice che fosse la Jp Morgan mentre altre fonti la identificano nella Goldman Sachs. Insieme ad altri artifici contabili (mitica fu la «tassa sull'oro»), quello swap permise all'Italia di evitare un umiliante rinvio del suo ingresso nell'euro, che pure i tedeschi, già allora innamorati della loro immagine rigorista, auspicavano.
by dagospia
martedì 7 febbraio 2012
FORZA CRAC! - MENTRE I MERKOZY PREMONO PER IL SALVATAGGIO DELLA GRECIA (E DELL’EURO) GLI USA SCOMMETTONO SUL DEFAULT - PERCHÉ LE BANCHE D’AFFARI AMERICANE (MORGAN STANLEY, BOFA, AIG E GOLDMAN SACHS IN TESTA) HANNO AUMENTATO I LORO INVESTIMENTI DA 29 MLD € A 35 MLD MENTRE TUTTI GLI ALTRI FUGGIVANO DA ATENE? - LO ZIO SAM CI HA VISTO LUNGO: IL GIRO D’AFFARI È COPERTO DA UNA MAXI POLIZZA ASSICURATIVA CHE IN CASO DI FALLIMENTO FRUTTEREBBE AI FONDI SPECULATIVI PARECCHI SOLDI…
Francesco De Dominicis per "Libero"
MERKEL SARKOZY
La Grecia prende tempo sulle misure anticrac e scherza col fuoco. Tuttavia c'è qualcuno che non ha affatto paura di scottarsi. Nonostante il pressing dell'Unione europea, Atene prende tempo. Ieri non è stato raggiunto l'accordo sul piano di emergenza e la partita è stata rimandata a oggi. Il baratro, adesso, ha una data precisa: 13 febbraio. Se entro 6 giorni i partiti politici ellenici non si mettono d'accordo sui tagli, sull'austerity e sul fisco, per la Grecia è fallimento.
Un'ipotesi che, forse, corre il rischio di mettere in crisi l'intera area euro. Ma che potrebbe rivelarsi quasi un affare per i fondi speculativi, specie quelli americani. Il giro d'affari con i junk bond made in Grecia, negli Stati Uniti, vale circa 35 miliardi di euro. Una montagna di quattrini, tutta (o quasi) coperta da una maxi polizza assicurativa. Si chiamano cds (credit default swap), titoli finanziari derivati che servono a coprire gli investimenti da eventuali fallimenti di un emittente (impresa, banca o stato sovrano).
Lo zio Sam, insomma, ha visto lungo. Oppure, secondo un'altra tesi, ha scommesso sul crac. Sta di fatto che mentre la maggior parte degli investitori fuggiva dal debito pubblico greco, gli Usa hanno incrementato la loro posta in gioco. Un po' tutte le major americane - Morgan Stanley, Bofa, Aig, Goldman Sachs - hanno continuato a investire nonostante i campanelli d'allarme stessero suonando da un pezzo. Nel giro di poche settimane gli investimenti sono cresciuti da 29 miliardi agli attuali 35.
Morgan Stanley
Un trend che sarebbe il chiaro segnale di un'attività speculativa legata alla copertura assicurativa. Usa a parte, nel Vecchio continente - dove complessivamente la posta in gioco vale oltre 100 miliardi di euro - è una corsa disperata a cercare un salvataggio necessario a mantenere la stabilità della moneta unica. Francia e Germania hanno in pancia circa 65 miliardi di euro e sono in prima linea con i rispettivi premier (Nicolas Sarkozy e Angela Merkel) che alzano la voce. Ieri, ad Atene, è stata una delle giornate più drammatiche da quando il Paese è in crisi.
jp morgan
Al termine delle trattative, i leader dei partiti non hanno sottoscritto gli impegni di una maggiore austerità richiesti dalla troika Ue-Bce-Fmi e il premier Lucas Papademos non è stato in grado di mediare, nonostante sia convinto che dei progressi si stiano facendo e vuole tornare a riunirsi oggi con i tre leader. Ma i mercati, scommettono in molti, non saranno più disposti a seguire le trattative greche e forse anche l'Eurozona da questa settimana comincerà a fare i conti con un default che, come accennato, sembra sempre più difficile da scongiurare.
La Ue aveva chiesto un accordo entro domenica sera, sia nella trattativa coi privati sia in quella con i prestatori internazionali. Mancano entrambi, anche se quello coi privati sembra vicino. Il premier Papademos ieri ha mediato con la troika, poi con i capi dei tre partiti Georges Papandreou (socialisti), Antonis Samaras (destra) e Georges Karatzaferis (estrema destra), e ha chiesto aiuto nelle trattative al presidente della Bce Draghi e al dg del Fondo monetario Lagarde.
GOLDMAN SACHS La troika vuole tagli extra pari all'1% del pil - circa 2 miliardi di euro - quest'anno, inclusi tagli a difesa e sanità. Senza un impegno scritto su tagli e riforme, Ue-Bce-Fmi non concederanno i nuovi aiuti da 130 miliardi di euro. «Se non mette in atto le riforme, non può aspettarsi la solidarietà degli altri Paesi», ha detto Bruxelles paventando un'insolvenza a marzo, quando cioè Atene dovrà rimborsare 14,5 miliardi di euro di bond in scadenza. In serata si è saputo che Atene avrebbe approvato un progetto per tagliare i dipendenti pubblici di 15mila unità. Il crac greco in ogni caso non fa paura al Portogallo, altro paese in bilico. L'attuazione del programma di salvataggio interno non sarà messo in discussione qualunque sarà l'esito dei negoziati in Grecia con la troika: «Andiamo avanti» ha fatto sapere Lisbona.
by dagospia
domenica 5 febbraio 2012
Pansa I genitori hanno ingannato i loro figli: più del prof Monti picchiate sindacati e papà
Il bestiario. La famiglia ha ingannato i figli col mito della laurea e lo stesso hanno fatto le università, politici e parti sociali
Saprei bene con chi prendermela, e chi picchiare, se fossi un ragazzo italiano sui venticinque anni. Uno di quelli davvero sfigati. Senza un lavoro vero. Con l’unica prospettiva di fare il precario a vita. E di mutare in peggio questa condizione diventando un disoccupato stabile. Privo di un alloggio decente. Con pochi soldi in tasca. Costretto a sperare sempre nell’aiuto economico dei miei famigliari. Per primi me la prenderei proprio con loro: il papà, la mamma, forse anche i nonni. Sono cresciuti in una società dove trionfava il mito del figlio laureato. Volevano il figlio dottore, nella convinzione che un pezzo di carta sarebbe bastato a renderlo benestante per la vita. Ero uno studente svogliato, ma a tutti i costi hanno voluto mandarmi all’università.
Mi hanno lasciato andare avanti, anche se vedevano che tardavo a dare gli esami e i miei voti erano sempre mediocri. Si consolavano dicendo che prima o poi avrei messo la testa a posto. E dopo la laurea, anche se ben poco brillante, un lavoro comunque l’avrei trovato. Sono dei disgraziati, questi miei genitori. Dei truffatori che hanno ingannato il loro amato figliolo. Quando si sono resi conto che non mi piaceva studiare, che odiavo i libri e gli esami, avrebbero dovuto prendermi per il collo e dire: adesso basta con l’università, devi imparare un mestiere che ti aiuti a campare.
Sarei stato d’accordo anch’io. C’era un lavoro che avrei fatto volentieri: il falegname che costruisce porte, finestre, mobili e li ripara quando si guastano. Quando l’ho detto in famiglia, è successo il finimondo. La mamma ha strillato: il falegname? Impossibile, è un mestiere da poveracci, sempre in mezzo al legno, alla polvere, con il rischio di tagliarsi una mano. Il papà ha aggiunto: nessuna ragazza per bene vorrai mai mettersi con un falegname, non potrai farti una famiglia. Gli ho replicato che esistevano altri mestieri che avrei provato a fare con piacere: il fabbro, l’idraulico, l’elettricista. Quelli che conoscevamo avevano sempre molto lavoro, guadagnavano bene, lo si vedeva dai conti che ci presentavano. Chiamare un antennista perché migliorasse la ricezione del nostro televisore era come convocare un chirurgo: lunghe liste d’attesa e parcelle salate. Non c’è stato verso di convincerli. I miei cari genitori mi rispondevano: prima prendi la laurea, poi vedremo. Comunque, un posto in banca o in un ufficio pubblico lo troverai. Dopo aver pestato per bene papà e mamma, dovrei picchiare i capi di molte università. Hanno lasciato ingrossare corsi che servivano soltanto a mantenere delle cattedre e dei professori. Non hanno bloccato gli studenti che correvano ad iscriversi, avvertendoli: guardate che qui fabbrichiamo soltanto disoccupati. Laurearsi in storia, lettere e filosofia, psicologia, scienze della comunicazione, sociologia, per fare soltanto qualche esempio, non vi aiuterà mai a trovare un lavoro.
È stato così che migliaia di ragazze e di ragazzi si sono iscritti a un corso qualsiasi, di solito quello che li attraeva di più. E non sono mai stati messi di fronte alla realtà brutale che oggi li schiaccia: non hanno imparato nessun mestiere vero, sono usciti dall’università nudi e crudi come ci erano entrati, con la condanna a non avere niente in tasca che li aiuti a vivere in modo decente.
Altri soggetti da pestare di brutto sono i partiti e i sindacati. Quando vedo i loro capi gridare alla televisione che è stato rubato il futuro ai giovani, mi verrebbe voglia di aspettarli sotto casa. Quasi nessuno dei bonzi politici e sindacali si è mai occupato sul serio di noi. Vogliono soltanto il nostro voto, ma in cambio non ci danno nulla. Non avvertono neppure i diciottenni di oggi che è meglio rifiutare l’università e scegliere qualche buon istituto tecnico che li addestri a un mestiere. Stanno tutto il giorno a rompersi le corna sull’articolo 18 sì o no. E non sprecano un po’ di fiato a spiegarci una verità che ho imparato anch’io, a mie spese. La verità è la seguente. Il problema numero uno non consiste nel trovare un posto di lavoro qualsiasi, ma nel conoscere bene un mestiere. Che può essere molto diverso: dal falegname che avrei voluto diventare, al tecnico che sa tenere i conti di un’azienda. Se possiedi al meglio una professione, puoi anche perdere il posto di lavoro. Ma prima o poi lo troverai da un’altra parte. I posti di lavoro non si creano per magia, soprattutto in quest’epoca di crisi. Però se hai conquistato un mestiere e sai farlo davvero bene, nessuno te lo porterà mai via. Avete mai incontrato un idraulico o un elettrotecnico disoccupati? Io mai. E un esperto di coltivazioni agricole, uno che sa tutto di uliveti e di vigneti, l’avete mai visto a mani vuote? Io no.
Purtroppo, i partiti e i sindacati sono vecchie cattedrali zeppe di celebranti superati: cardinali, vescovi, parroci rimasti fermi a un tempo che non esiste più. Dovrebbero spiegare ai loro iscritti e ai loro elettori che anche l’Italia, come il resto del mondo, è coinvolta in una gigantesca rivoluzione culturale. Che cambierà il senso di parole antiche: lavoro, posto fisso o mobile, pensione, titolo di studio, attitudine a svolgere una professione piuttosto che un’altra. Da quel poco che capisco alla mia giovane età, e senza sapere che cosa mi aspetta, credo che cambierà anche la scala di valori oggi dominante nella società. Un bravo falegname verrà stimato quanto un bravo avvocato, e forse sarà pure pagato di più. Un infermiere esperto avrà più mercato di un medico generico. Mio padre e mia madre sbagliano nel dire che nessuna ragazza vorrà sposare uno che costruisce porte o ripara mobili. Quando la ragazza si renderà conto che il moroso guadagna quanto tre impiegati all’anagrafe municipale, farà di tutto per portarlo all’altare o dinanzi al sindaco. Ho immaginato che potrebbe parlare così un giovane tra i venti e venticinque anni. Ma dal momento che sono ben più vecchio, ho due spiccioli di esperienza da offrire ai ragazzi di oggi. Il primo riguarda la conquista dell’eccellenza in una professione. Quasi tutti credono che ai buoni posti di lavoro, e ai buoni stipendi, di solito si arrivi per vie traverse: amicizie importanti, padrinaggi politici, raccomandazioni di vario genere. Ma non è affatto così.
L’eccellenza si conquista sin da ragazzi, con lo studio, la voglia di darsi da fare, la fatica continua, giorno per giorno. Emergere in qualsiasi professione comporta molti sacrifici anche nella vita privata. Se ti sposi o convivi in giovane età, augurati che la tua compagna sia tanto intelligente e generosa da accettare di vederti più al lavoro che in casa. E non ti mandi a quel paese nel sentirti dire: «Scusami, ma ho da fare!». L’altra esperienza rimanda alla polemica sulla battuta del premier Mario Monti, a proposito della noia del posto fisso. Il presidente del Consiglio è stato sommerso da una valanga di rimproveri. Ma non ha detto una cosa priva di senso. Nel corso di una vita bisogna sempre essere disposti a cambiare posto di lavoro, non il mestiere che si è scelto di fare. Mio padre Ernesto, operaio del telegrafo, sosteneva : «È meglio, ogni tanto, cambiare padrone». In molti decenni di giornalismo, sono passato da un editore all’altro. A tutt’oggi ne ho collezionati ben nove. Credo di essere titolare di un record. E mi è rimasto impresso quanto mi disse il primo direttore che lasciai. Era Giulio De Benedetti, che guidava la “Stampa”, un signore anziano che la sapeva lunga. Era il marzo 1964 e non avevo ancora 29 anni. Sul momento, De Benedetti si infuriò perché avevo accettato l’offerta di un quotidiano più piccolo, il “Giorno” di Italo Pietra. Quando l’incavolatura gli passò, mi disse: «Ma sì, fa bene andarsene. Non faccia come i suoi colleghi che sono sempre rimasti qui e adesso nessuno li vuole più!».
di Giampaolo Pansa
04/02/2012
http://www.liberoquotidiano.it/news/926588/Pansa-I-genitori-hanno-ingannato-i-loro-figli-più-del-prof-Monti-picchiate-sindacati-e-papà.html
sabato 4 febbraio 2012
Art.1 della nuova Costituzione: l'Italia è una Repubblica fondata sul gioco d'azzardo
Un ultimo dato: i concessionari privati debbono allo Stato 98 miliardi di penali non pagate, per le slot in concessione. Una storia cominciata nel 2005/2006 e riguardante gli anni fino ad allora, una cifra enorme. Una volta e mezzo la Finanziaria di Monti, una cifra che fa impallidire le pur meritorie recenti sortite della Guardia di Finanza e dell'Agenzia delle Entrate contro i Grandi e Piccoli Evasori. Ancora non li pagano e c'è una battaglia presso la giustizia amministrativa per questi soldi. Potete immaginare quanto c'entri l'osmosi della politica e quindi del legislatore prima nell'affidamento di queste concessioni (cfr. governi di destra e di sinistra, per es. con il Bingo...), poi appunto nella mancata presa di posizione nei confronti di queste colossali penali. Dal governo Monti ci si aspetta decisione e chiarezza, giudiziaria e legislativa: altrimenti il Paese uscirà rovinato del tutto dal Casinò Italia che siamo diventati (ci hanno fatto, spinto o anche solo permesso di diventare).
L'hanno chiamata da sempre la tassa sulla povertà, quando non era addirittura, come in molti Paesi del Terzo e Quarto Mondo già negli anni '60, la tassa sulla miseria. Adesso nella peggiore crisi dal secondo dopoguerra l'Italia si misura con la febbre del gioco, che sta diventando rapidamente un tumore sociale. Vi do qualche numero, preso per lo più dal recentissimo dossier redatto da Daniele Poto per "Libera", di Don Ciotti, dal significativo quanto ovvio titolo di "Azzardopoli".
A quanto ammonta la manovra "lacrime e sangue" del governo Monti per il 2012/2014? A 60 miliardi di euro. Bene. Nel 2011 il gioco d'azzardo ha avuto un giro d'affari di 76,1 miliardi, 15 miliardi in più che nel 2010 a testimoniare vistosamente un "trend" di crescita, anche in tempi di governo dei tecnici, cioè negli ultimi due mesi dell'anno. Siamo in crisi in quasi tutti i settori? Il gioco, che è la terza industria italiana dopo Eni e Fiat, oltre 120 mila addetti ai lavori e 5000 aziende collegate direttamente o per l'indotto, si è quintuplicato in 8 anni. Abbiamo serissimi problemi in fatto di scuola e sanità, due settori nei quali non si scherza per il futuro e per il presente del Paese? I 76,1 miliardi di cui sopra sono 8 volte di più di quanto si spende per l'istruzione e il doppio del denaro che le famiglie spendono per la salute.
La spesa mensile di oltre 800 mila italiani "gioco-dipendenti" è in media di almeno 600 euro, che ognuno può confrontare con gli stipendi, o le pensioni. I giocatori del Tricolore a rischio superano i 2 milioni. Questa meravigliosa industria ha un fatturato sedici volte superiore a quello della mitica Las Vegas.Questi sono i dati di grana grossa, che ci piazzano ai vertici mondiali della spesa pro capite in questo settore, con tutte le conseguenze economiche, sociali e di ordine pubblico che i numeri si portano dietro: è evidente il piccolo dettaglio di come gioco d'azzardo legale e illegale siano interrelati, e il confine tra i due impallidisca sempre di più.
E' un fatto, secondo il dossier di Don Ciotti e le testimonianze delle Procure, che le cosche ormai abitualmente riciclino denaro comprando biglietti vincenti delle lotterie e pagando ai legittimi vincitori qualcosa in più per ripulire il loro capitale. Ed è un fatto che per esempio la capitale delle sale scommesse, delle video lottery e insomma di tutto il giro d'azzardo dove è concentrato il 12% delle slot machines italiane, cioè Roma, sia anche al primo posto per omicidi: l'obiezione sul dato che è la metropoli italiana più popolosa batte contro l'osservazione che in passato tale correlazione non esisteva. Negli ultimi mesi il Questore di Roma, Francesco Tagliente, ha disposto ispezioni amministrative in 71 sale da gioco nella Provincia, il 74% delle quali non era in regola con le norme di legge. Per esempio ci sono quartieri della capitale (294 sale solo a Roma e 50 mila slot machines...), quelli della cosiddetta "Città storica", che in base al Piano Regolatore non potrebbero aprirne. Invece lo fanno, ci giocano minorenni incontrollati, cresce l'insicurezza e il "governo alternativo della territorio" da parte della criminalità. E ovviamente il mostro, che già si è affacciato nella nostra vita quotidiana e che dà spaventosi segnali di crescita, è il gioco on line. Questa è una sorta di terra di nessuno dove l'azzardo come malattia può fare silenziosamente sempre più vittime.
Se si pensa che per far passare una serie di giochi e di lotterie, come il notissimo e pubblicizzatissimo "10 e lotto estrazioni ogni 5 minuti dalle 5 del mattino alle 24", si è ricorsi al famigerato "decreto Abruzzo" del 2009 dopo il terremoto dell'Aquila per una ricostruzione ancora ignorata e usata ahimé come drammatico pretesto, il cui art.12 introduceva appunto una serie di nuovi giochi e lotterie, tra cui questa estrazione continua, si ha l'idea complessiva dello Stato Biscazziere. Che ha bisogno di denaro, certo, ma non mette in conto i tremendi costi sociali di questa esazione mascherata. Per esempio oggi i denari buttati in roulette e poker-cash virtuali sono pari a 6 miliardi e 167 milioni di euro, raccolti in 200 casinò on line. E come detto crescono vertiginosamente. Sapete (secondo "il SOLE 24 ore") quanti ne ha incassati il Ministero dell'Economia nel 2011? Soltanto 28 milioni e 170 mila euro. Il resto è guadagno per i privati e per le dieci concessionarie che ne hanno acquistato i diritti (l'undicesima, afferma "Libera", è naturalmente l'insieme delle mafie...).
Tratto da Tiscali
concessionari, crisi, gioco d'azzardo, governo Monti, Italia, mafie, Oliviero Beha, tasse
Vai all'ultimo libro di Oliviero Beha: Dopo di Lui il di
http://www.cadoinpiedi.it/2012/02/04/art1_della_nuova_costituzione_litalia_e_una_repubblica_fondata_sul_gioco_dazzardo.html
AFFOSSIAMO LA SPECULAZIONE E TORNIAMO ALL'ECONOMIA REALE
"La speculazione è soltanto una parola che "copre" il fare soldi manipolando i prezzi, invece che producendo beni e servizi". Sono parole di Henry Ford, vecchie di quasi un secolo, che centrano il cuore del problema: la speculazione non è fisiologica al capitalismo, ma patologica. E la speculazione è una manipolazione, una distorsione che toglie trasparenza ed equilibrio al sistema economico. Oggi invece non andiamo al cuore del problema, ma ci giriamo attorno. Infatti, nel coro collettivo che ormai riconosce la necessità di "fare qualcosa" contro la speculazione c'è una nota comune che, se non parlassimo di una cosa molto seria, farebbe sorridere. Questa nota suona più o meno così: "occorre intervenire per controllare la speculazione e tassarla". Nessuno, fuori dal coro, si sogna di mettere in discussione l'esistenza stessa della speculazione. Come mai? Beh, una delle risposte classiche di molti economisti è che la speculazione c'è sempre stata (una risposta davvero straordinaria). L'altra è che essa rivestirebbe una qualche utilità (ma non si sognano di spiegare il perché) nel funzionamento degli onniscienti e onnipresenti mercati. A mio avviso, non sono vere né l'una né l'altra cosa. La speculazione organizzata, sistematica, ubiquitaria e prepotente che oggi stiamo sperimentando, è un fenomeno storicamente assai recente, e una conseguenza della deregulation scriteriata dei mercati finanziari fatta agli inizi degli anni '90. E la speculazione non è utile all'economia perché, essendo un gioco a somma-zero dove pochi si arricchiscono a danno di moltissimi che s'impoveriscono, essa non aggiunge nessun valore al sistema economico. E la speculazione non è utile nemmeno al funzionamento di un mercato perchè, se guardiamo al mercato (come dovremmo fare ma non facciamo) come a un sistema che deve prima di tutto essere stabile e resiliente, in modo tale da incentivare gli individui che lo animano ad investire nel futuro e nello sviluppo, essa rappresenta un elemento perturbatore capace di generare veri e propri terremoti finanziari, che lasciano gli investitori seri (cioè noi) letteralmente tramortiti in un angolo a leccarsi le ferite. La conseguenza è la depressione economica che stiamo vivendo, in cui gli investimenti del capitale sono schizofrenicamente divisi in due. Da una parte la bisca che si assorbe tutto il capitale d'azzardo, dall'altra la povera economia reale letteralmente deprivata dei soldi necessari per fare le cose, innovare, creare lavoro. Nel 2008 il PIL del mondo (vale a dire l'economia reale fatta di lavoro e cose concrete) ammontava a circa 60 trilioni di dollari. Nello stesso periodo la speculazione finanziaria fatta di derivati raggiungeva la cifra incredibile di 2.400 trilioni di dollari. Per ogni dollaro di economia reale, quaranta dollari di finanza su finanza: un gigantesco capitale d'azzardo puntato sulla vorticosa roulette finanziaria globale. Una cifra enorme che è ulteriormente aumentata nel 2011, che mai era stata raggiunta nella storia prima d'ora, e che ci sta letteralmente soffocando.
E se la eliminassimo questa benedetta (maledetta) speculazione? E chi l'ha detto che non si possa fare? Che succederebbe?
Incominciamo dalle banche. Certamente, le banche vedrebbero diminuire drasticamente il loro ROI. Ma così facendo, questo ROI tornerebbe semplicemente al suo valore fisiologico. Quello che le banche registravano quando facevano veramente le banche. E cioè, quando prestavano il denaro all'economia reale per lavorare, innovare, fare sviluppo. Banche di questo tipo diventerebbero immediatamente meno fragili rispetto a quelle attuali. Banche di questo tipo la smetterebbero di usare i nostri depositi per speculare sul prezzo del rame o sul valore dell'oro sui mercati internazionali, e tornerebbero invece a prestare i soldi ai nostri artigiani e piccoli imprenditori. Il rischio si ricongiungerebbe al suo naturale compagno: la prudente (ma non ritrosa) valutazione del finanziamento relativo ad azioni economiche concrete (aprire un nuovo stabilimento, comprare macchinari, assumere personale). Avremmo messo in sicurezza il sistema bancario semplicemente riportandolo al suo ruolo fisiologico, invece che creare tanti inutili baluardi e ricapitalizzazioni che null'altro sono, se non doping patrimoniali fatti per permettere alla macchina della speculazione finanziaria di correre sempre più forte, e in modo sempre più spericolato, fino alla prossima rovinosa uscita di strada.
Quanto agli speculatori di professione, dovrebbero trovarsi un altro lavoro. Ma ricordiamoci che stiamo parlando del futuro professionale di alcune migliaia di persone (in media piuttosto ricche) che, con il loro magnifico (si fa per dire) lavoro, stanno impoverendo milioni di persone (ad esempio quando hanno fatto esponenzialmente aumentare i prezzi delle materie prime nella prima metà del 2011), o creando disoccupazione (perché, sottoponendo il sistema economico alle scommesse sui default dei debiti degli stati, nella seconda metà del 2011, hanno costretto gli stati a politiche draconiane e accelerate di rientro dei debiti pubblici, che porteranno l'Europa in recessione nel 2012).
Mi pare, quindi, che il gioco di eliminare la speculazione varrebbe la candela, oltre che essere sacrosanto dal punto di vista sociale. E poi, forse che non si sono sacrificati in Europa migliaia di posti di lavoro in nome della supposta "competitività globale"?. Bene, sacrifichiamo allora i posti di lavoro dei trader e dei gestori di hedge fund in nome di un sistema economico più stabile, e per difendere i nostri posti di lavoro.
E qui finiscono le supposte conseguenze "negative" che verrebbero sventolate, come delle bandierine, dai difensori dello status quo del turbo-capitalismo finanziario.
Passiamo a noi, all'economia reale. Che succederebbe? Beh, prima di tutto il denaro tornerebbe a essere disponibile per fare cose come aprire un castelletto finanziario, ottenere un fido per acquistare nuovi macchinari, finanziare l'avvio di attività imprenditoriali da parte dei giovani. Insomma, la smetteremmo di vivere la situazione paradossale in cui ci troviamo, dove tutte queste cose sono di fatto impossibili se non fornendo garanzie reali a copertura del 100% del prestito richiesto. Per non dire poi che, se ci rechiamo presso la filiale della nostra banca per ritirare alcune migliaia di euro in contanti, ci sentiamo rispondere che occorre prenotare il denaro qualche giorno prima, per poterlo ritirare. E perché? Perché la nostra banca non ne dispone. Il denaro non è più nelle nostre filiali (dove l'abbiamo depositato!), affacciate sulle strade e vicino a chi produce, innova, lavora. Il denaro è lontano, lassù, in quella sorta d'iperspazio finanziario che, ogni tanto, fa precipitare un meteorite sulle nostre teste, danneggiando le nostre vite, quelle si reali, di tutti i giorni. Se abolissimo la speculazione, vietando l'uso scriteriato degli strumenti derivati che la rendono possibile con dimensioni e velocità mai conosciute prima nella storia economica, tutta questa bisca priva di senso finirebbe. E il capitale sarebbe di nuovo costretto a fare il suo sano, faticoso lavoro, che è quello di essere impiegato in modo parcellizzato per finanziarie le decine di migliaia d'iniziative produttive, imprenditoriali, professionali, che ogni giorno costruiscono realmente l'economia, sana, di un paese.
E infine: se anche solo una minima parte della gigantesca quantità di denaro che si è in questi ultimi vent'anni impiegata per puntare nella bisca, fosse stata invece utilizzata per finanziare progetti di ricerca, l'innovazione tecnologica, le energie rinnovabili, quanti posti di lavoro in più, quanta ricchezza reale in più, quanto benessere in più si sarebbero potuti creare?. Di preciso non lo sappiamo, ma certamente moltissimi. Questo è il punto fondamentale: eliminare la speculazione converrebbe non solo perché si renderebbe più robusto e sicuro il sistema economico, non solo perché si smetterebbe di deprivare del denaro le famiglie e il lavoro produttivo, ma anche perché in questo modo il capitale ritornerebbe a essere un alleato prezioso dello sviluppo sano, produttivo, innovativo e creatore di posti di lavoro, senza il quale non si va da nessuna parte.
E allora, perché non si fa? Perché non si elimina questo capitale d'azzardo che sta attentando alla salute dell'economia reale, che negli ultimi tre anni ha creato povertà in Europa e negli Stati Uniti, e che di questo passo entro il 2013 potrebbe provocare una nuova catastrofe finanziaria (dopo quella già avvenuta nel 2008,) tale per portata da fare impallidire quella del 1929?
Purtroppo non si fa nulla perché prevalgono il tatticismo, la real politik puramente opportunistica, la considerazione continua degli interessi (quelli forti) costituiti da parte delle grandi banche internazionali. Non solo, questi interessi ispirando la politica, si sta formando un conventional wisdom secondo il quale la soluzione alla speculazione eccessiva risiederebbe nel tassare le transazioni finanziarie. Una soluzione che peggiorerebbe il problema della speculazione e che si tradurrebbe in un aumento del rischio sistemico. Perché le banche d'investimento e gli hedge funds a quel punto, non farebbero altro che includere il peso della tassa all'interno dei loro obiettivi di ROI e, per non mancarli, finirebbero per aumentare le prese di rischio o per inventarsi strumenti finanziari ancora più aggressivi e pericolosi. La soluzione risiede, invece, nel cambiamento del sistema. In pratica, nella definizione di un accordo politico a livello globale che preveda un percorso di rientro inesorabile, e rapido, della leva finanziaria di tipo speculativo. Come si potrebbe fare? Occorrerebbe in primo luogo aumentare i livelli di garanzia a copertura dei derivati e, in secondo luogo, vietare la possibilità di speculare su eventi futuri dissociati dalle prese di rischio. In altre parole, nessuno dovrebbe potere più acquistare uno strumento di copertura contro il rischio di fallimento di uno stato, se non sarà in grado di provare il contestuale possesso di obbligazioni di quel medesimo stato. Infine, bisognerebbe rendere accessibili gli strumenti speculativi unicamente a coloro che ne abbiano la reale necessità, per la copertura del rischio derivante dalla loro attività economica concreta. Il che significherebbe, in pratica, riportare gli strumenti derivati indietro nel tempo fino al loro uso sano e fisiologico, quando furono creati per la prima volta nel XVII secolo, dalle grandi compagnie mercantili olandesi. A quel tempo, i mercanti che importavano le spezie e le materie prime da tutto il mondo fino al porto di Amsterdam, non potevano certo permettersi che oscillazioni impreviste nel prezzo di quelle spezie e materie prime li rovinassero. Di conseguenza, s'inventarono i primi strumenti di copertura da questo tipo di rischio. Questa è la ragione storica che giustifica l'esistenza di questi strumenti: economia reale. Nient'altro. Bene, ritorniamo all'antico. E soltanto a coloro che, data l'attività d'impresa ne abbiano veramente bisogno, sia consentito l'uso di tali strumenti. Diversamente, no. Questo è sano. Il resto (vale a dire quello che accade oggi sui mercati finanziari) è gioco d'azzardo legalizzato, e ben più pericoloso di quello che si fa nei Casinò.
Certo, questi provvedimenti richiederebbero un'azione politico-economica concertata a livello internazionale. E se quest'azione non si realizzasse? Basta notare come siano stati sufficienti alcuni giorni di "sereno" sui mercati finanziari, per fare velocemente rientrare il dibattito a livello EU, in merito ad eventuali provvedimenti di regolamentazione e ridimensionamento della speculazione.
Di fronte ad uno scenario di questo tipo, noi cittadini non siamo comunque del tutto impotenti. Infatti, i famosi 40 dollari di speculazione finanziaria hanno bisogno del nostro dollaro per potersi innescare. E allora noi togliamoglielo da sotto i piedi. Ricordiamoci, che i prestatori di prima istanza della speculazione siamo noi, quando depositiamo i nostri risparmi in banca. Di conseguenza, dovremmo adottare la buona abitudine di richiedere alla nostra banca di illustrarci come impiega i depositi. E se notassimo che tra i suoi investimenti c'è della speculazione finanza su finanza allora, beh, potremmo sempre ritirare i nostri soldi e andare a depositarli presso un'altra banca. Diamo il nostro dollaro di lavoro vero a banche le quali lo prestino ad altri che, come noi, producono cose vere. In attesa che la politica internazionale, in perenne e ormai ingiustificato ritardo, faccia il proprio dovere, incominciamo a non dare più il nostro denaro, realizzato con il sudore della fronte, alla bisca. Pretendiamo, in una sorta di class-action dell'economia reale contro la speculazione finanziaria, che le banche certifichino lo 0% di partecipazione alla bisca. E' una buona battaglia da combattere, per il nostro presente e per il nostro futuro.
banche, capitalismo, crisi Italia, Davide Reina, denaro, economia reale, speculazione
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