buon natale a tutti...
il mantecatore
mercoledì 25 dicembre 2013
mercoledì 18 dicembre 2013
TU CHIAMALE, SE VUOI, ERUZIONI – NÉ PUTIN, NÉ CINA: LA VERA MINACCIA PER GLI USA ARRIVA DAL VULCANO GIGANTE SOTTO IL PARCO NATURALE DI YELLOWSTONE - SE ESPLODESSE METÀ AMERICA VERREBBE COPERTA DA 1 METRO DI CENERE Secondo uno studio dell’Università dello Utah il magma che giace sotto il parco di Yellowstone è 2,5 volte più grande di quanto stimato finora e potrebbe innescare la maggiore eruzione degli ultimi 2 mln di anni – Dopo l’analisi delle rocce gli scienziati rilevano che sta aumentando la possibilità di future eruzioni…
Maurizio Molinari per "la Stampa"
YELLOWSTONE SUPERVULCANO
Il magma che giace sotto il parco nazionale di Yellowstone è 2,5 volte più grande di quanto finora stimato e ciò significa che potrebbe innescare la maggiore eruzione degli ultimi due milioni di anni. Ad affermarlo è studio di una task force del Dipartimento di Geologia e Geofisica dell'Università dello Utah, guidata da Jamie Farrell e Bob Smith, che ne ha illustrato i contenuti all'«American Geophysical Union» che ha deciso di pubblicarli sul proprio «Journal».
Le novità riguardano la misurazione dell'insieme di rocce sciolte bollenti sotto il parco nazionale che si estende fra Wyoming, Montana e Idaho: 88 km di lunghezza, 29 km di larghezza e un massimo di 14 km di profondità. Ciò significa un'eruzione potenziale pari a 2000 volte quella di Mount St. Helens che ebbe luogo nel 1980 nello Stato di Washington, sorprendendo i sismologi perché si trattava di un vulcano fino a quel momento inattivo.
«Le misurazioni suggeriscono che un'eruzione del vulcano gigante sotto lo Yellowstone sarebbe un evento globale - scrive Ferrell nello studio - con distruzioni e impatti in tutto il Pianeta, a cominciare dal fatto che le nubi fuoriuscite avvolgerebbero il globo» e metà del Nordamerica verrebbe coperto da un metro di cenere.
YELLOWSTONE SUPERVULCANO
L'ultima eruzione avvenuta a Yellowstore risale a circa 640 mila anni fa, secondo una stima del «Geological Survey» degli Stati Uniti, e da tempo i sismologi affermano che la «caldera» determinatasi in quell'occasione - un bacino di 64 km per 40 - potrebbe essere in procinto di esplodere.
Farrell a tale riguardo preferisce la prudenza: «Non abbiamo dati a sufficienza per prevedere il momento della prossima eruzione ma riteniamo che vi sarà». «Il problema con i vulcani giganti dormienti - aggiunge John Stix, vulcanologo della McGill University in Canada - è che la carenza di dati sulle eruzioni passate rende difficile fare previsioni e dunque l'unica maniera per operare è un monitoraggio costante, il più minuzioso e sofisticato possibile al fine di conoscere il comportamento del vulcano e verificare in tempo reale se siamo in presenza di eventi anomali».
YELLOWSTONE MAGMA BULGING X
Proprio sulla base di tali monitoraggi l'Osservatorio sul vulcano di Yellowstone all'inizio del mese ha definito «normale» lo stato d'allerta sul magma all'origine dei geyser e fanghi roventi che attraggono ogni anno milioni di visitatori. In realtà le autorità del parco sanno che la possibilità di terremoti è assai alta, basti ricordare che ogni anno se ne verificano diversi - senza causare danni - mentre quello del 1979, di magnitudine 7,5 attorno al Lago Hebgen provocò la morte di 28 persone.
La task force di geologi dello Utah ha raccolto e analizzato in particolare alcune delle rocce vulcaniche più recenti, la cui composizione ha consentito di ricostruire l'attività avvenuta sotto la superficie ovvero che il magma ha spinto rapidamente tali rocce da 8-10 km di profondità fino alla superficie. «Ciò significa che la possibilità di future eruzioni sta aumentando» osserva John Stix.
YELLOWSTONE
Sull'attendibilità delle conclusioni dell'Università dello Utah c'è consenso nella comunità scientifica. «Farrell e Smith hanno condotto uno studio molto importante sull'evoluzione dei grandi vulcani, non solo di Yellowstone» afferma Eric Christiansen, geologo della Brigham Young University, e Stix concorda: «Conosco da anni gli autori del rapporto, so come operano e quali strumenti usano, per questo dico che dobbiamo credere alle loro conclusioni, maturando la consapevolezza di cosa potrebbe davvero avvenire in caso di eruzione a Yellowstone».
Il riferimento è al passato remoto della regione geologica del parco perché il vulcano gigante ha dato vita a tre eruzioni nell'arco di 2,1 milioni di anni e la quantità di lava sotterranea presente porta a paragonare l'attuale potenziale a quello della prima, e più devastante, esplosione di calore, che è poi la quarta più potente finora conosciuta.
FALLITO IL (PRIMO) TENTATIVO DI ENRICHETTO LETTA DI METTERE LE MANI SULLA CONSOB - 2. IL BLITZ (DI DOMENICA SERA!) CHE MIRAVA AD AUMENTARE DA TRE A CINQUE IL NUMERO DEI MEMBRI DELLA COMMMISSIONE CHE VIGILA SUI MERCATI È STATO RITIRATO: TREMA IL PD CHE STA PER ESSERE SOMMERSO DALLA VALANGA DI MULTE SUL MONTE PACCHI DI SIENA - 3. MA SOPRATTUTTO TREMANO LE STREMATE BANCHE ITALIANE (INTESA E MEDIOBANCA) CHE VEDONO NAUFRAGARE L'AFFARE SOTTOBANCO CON GLI SPAGNOLI DI TELEFONICA - 4. CON LE CARTE IN MANO ALLA PROCURA, ALIERTA RISCHIA DI DOVER DIRE ADDIO A TELECOM OPPURE DOVRA' APRIRE IL PORTAFOGLIO PER UNA COSTOSISSIMA OPA OBBLIGATORIA - 5. NON SOLO IL FONDO BLACKROCK (CONSULENTE DI INTESA) A FAVORE DI TELEFONICA, ANCHE BERLUSCONI NON È INTERESSATO A DARE FASTIDIO AGLI SPAGNOLI: MEDIASET STA TRATTANDO CON IL COLOSSO IBERICO L’ACQUISTO IN TANDEM DEL CANALE DIGITAL PLUS -
Francesco De Dominicis per "Libero"
Fallisce il tentativo di Enrico Letta di occupare la Consob. L'emendamento alla legge di stabilità che mirava ad aumentare da tre a cinque il numero dei membri dell'authority finanziaria è stato ritirato. Il blitz del presidente del consiglio, su cui Libero ha riferito ieri, è dunque naufragato in meno di 48 ore. Domenica sera, il governo aveva presentato una norma che, azzerando la riduzione varata da Mario Monti nel 2011, ridisegnava il board Consob in versione extralarge (e pure quello della Sogei, il braccio informatico dell'agenzia delle Entrate).
Il ritorno al «collegio a cinque» sarebbe stato giustificato con le numerose, delicate questioni al vaglio degli sceriffi dei mercati. I dossier che scottano, in effetti, sono tanti: Fondiaria Sai, Camfin-Pirelli, Monte dei paschi di Siena, Telecom-Telefonica. Proprio su questi ultimi due «casi» si è abbattuta e si sta per abbattere la scureConsob, secondo la «nuova» linea del presidente Giuseppe Vegas. È proprio l'ex viceministro dell'Economia, secondo alcune ricostruzioni, a essere finito nel mirino di Letta e di una fetta del Pd.
«Un eccesso di zelo» spiega una fonte «che potrebbe compromettere» in particolare «la corretta definizione dell'operazione Telecom» che prevede il passaggio del colosso italiano di tlc agli spagnoli di Telefonica. Di qui la volontà di mettere in minoranza Vegas: se l'emendamento non fosse stato ritirato, oltre ai due nuovi commissari, il governo, nel giro di poco tempo, avrebbe dovuto indicare anche il sostituto di Michele Pezzinga, il cui mandato è appena scaduto. Tre membri su cinque, quindi, sarebbero stati scelti da Letta in un colpo solo.
Col rischio (o l'obiettivo?) di condizionare l'attività della stesa Commissione che vigila sulla Borsa (oltre ad aver creato più poltrone, in barba alla spending review). Le ragioni, come accennato, non mancavano. Le multe in arrivo per il caso Monte dei paschi di Siena, a esempio, agitano il Partito democratico. E poi c'è il caso Telecom, dove pesa il ruolo delle banche italiane.
Che stanno passando di mano il controllo della holding Telco (che a sua volta controlla Telecom) agli spagnoli di Telefonica. E hanno tutto l'interesse a non ostacolare il deal: Intesa e Mediobanca devono fare cassa, a stretto giro. In una lettera pubblicata ieri sull'Unità, il senatore Massimo Mucchetti (Pd) aveva messo con le spalle al muro Letta e aveva chiesto al neo segretario Democrat, Matteo Renzi, di fermare l'operazione Consob e di salvare Telecom dall'assalto straniero.
Il dietrofront sulla Consob è arrivato. Tuttavia la faccenda non si esaurisce qui. L'operazione Telecom resta sotto i riflettori. Anche perché in ballo, ora, c'è il fondo Usa Blackrock, un gigante finanziario che gestisce 2.500 miliardi di euro. La casa di investimenti, peraltro consulente di Intesa, è salita al 10% di Telecom.
Un aumento non chiaro che ha spinto Vegas a spedire le carte alla procura di Roma per sospette violazioni delle regole sui mercati finanziari. Resta da capire, poi, che fine farà la proposta presentata da Mucchetti - e caldeggiata da Vegas - volta a modificare le Offerte pubbliche di acquisto. L'idea è introdurre una doppia soglia: standard al 30% e più bassa per le public company, come Telecom. Obiettivo principale è costringere Telefonica a fare una vera operazione di mercato e a lanciare un'Opa su tutta Telecom. Gli iberici stanno invece scalando il colosso italiano attraverso Telco, che peraltro non è quotata.
C'è da dire che su Telefonica convergono molteplici interessi. Financo quelli dell'ex premier, Silvio Berlusconi. Al punto che taluni parlano della nascita della «bicamerale degli affari». Attraverso Mediaset, il Cavaliere sta trattando un affare con gli iberici proprio in Spagna (l'acquisto in tandem del canale Digital Plus). Ragion per cui, anche il presidente di Forza Italia non è interessato a dare fastidio a Telefonica. Non è un caso, fanno notare in Parlamento, che il capogruppo Fi al Senato, Paolo Romani, non abbia firmato l'iniziativa di Mucchetti.
UN 2013 MENO DOLCE - NELL’ITALIA A PEZZI CALANO LE VENDITE ANCHE DELLA NUTELLA E LA FERRERO PUNTA SULL'ESTERO (NON PER LA HOLDING, QUELLA È GIÀ IN LUSSEMBURGO) L'azienda di Alba dopo l'apertura di siti produttivi in Turchia e Messico annuncia di voler raddoppiare le sue dimensioni - L'obiettivo è diminuire la sua dipendenza dal mercato europeo (che assorbe attualmente l'80% delle vendite) puntando soprattutto su Asia e Stati Uniti...
Roberto Fiori per "la Stampa"
Gli italiani mangiano un po' meno Nutella. Per la prima volta nella storia della Ferrero, la crisi ha impattato negativamente sulle vendite nel perimetro nazionale, che sono calate del 5,3% a valore rispetto allo scorso anno.
NUTELLA MADE IN MEXICO
E' il dato che emerge dal bilancio annuale approvato da Ferrero, relativo all'esercizio chiuso al 31 agosto 2013. Il fatturato dalla società è di 2,697 miliardi di euro. Un risultato caratterizzato, da un lato, dalla contrazione delle vendite di prodotti sul mercato italiano, dall'altro, dal positivo andamento delle esportazioni, realizzate in oltre settanta Paesi e attestatesi nell'esercizio a 780 milioni di euro, con un aumento del 4,1%.
NUTELLA PERSONALIZZATA
Grazie anche ad alcune vendite non di prodotto, il fatturato 2013 di Ferrero Italia non è comunque calato, anzi è leggermente cresciuto rispetto ai 2,550 miliardi del 2012. Anche l'utile netto dell'esercizio è aumentato, raggiungendo i 156,1 milioni, con un'incidenza sui ricavi del 5,3%, mentre il flusso di liquidità generato dalla gestione reddituale ammonta a 215,7 milioni. «Malgrado la crisi - dicono dai vertici dell'azienda albese - la società ha investito 78,1 milioni (2,9% del fatturato), superando così negli ultimi sei esercizi i 700 milioni di investimenti».
NANNI MORETTI NUTELLA
Sul fronte del lavoro, l'organico in Italia resta di 6.561 persone, senza alcuna flessione. «La garanzia dell'occupazione è stata tutelata, grazie alla priorità data ai valori umani e sociali che da sempre caratterizzano la cultura aziendale, alla buona performance delle esportazioni all'estero e soprattutto alla fiducia nella ripresa economica del nostro Paese» spiegano dalla Ferrero. Che intanto prosegue con successo il suo piano di internazionalizzazione, come dimostrano le recenti aperture di fabbriche in Turchia e Messico.
Il gruppo controllato da Ferrero International e guidato dal chief executive officer Giovanni Ferrero, con 69 società consolidate e venti stabilimenti produttivi nel mondo, prevede di chiudere il bilancio 2013 con una crescita del 5% che porterà il fatturato complessivo a superare gli 8 miliardi di euro.
GIOVANNI FERREROLA FAMIGLIA FERRERO IL FRATELLO GIOVANNI IL PADRE MICHELE LA MADRE MARIA FRANCA LA VEDOVA LUISA
Ferrero intende raddoppiare le sue dimensioni nei prossimi 10 anni, consolidando le posizioni in Europa, che oggi assorbe l'80% delle vendite, ed espandendosi in Asia e Stati Uniti. «Ogni giorno siamo sempre più fiduciosi di tagliare quel traguardo - ha recentemente dichiarato Giovanni Ferrero al Wall Street Journal - e una volta raggiunto l'obiettivo non ci saranno più problemi relativi alla nostra dimensione rispetto ai nostri concorrenti».
TELECOM, OVVERO LA CAPORETTO DELLA FINANZA ITALIANA – E SE PROVASOLI SI FOSSE TIRATO INDIETRO ALL’ULTIMO MOMENTO DOPO LE RIVELAZIONI DI MUCCHETTI SULLA DECISIONE DI LETTA DI REGALARE LA SOCIETA’ AI FURBETTI DI MADRID? La tempistica e le motivazione del dietro-front del presidente di Rcs fanno sorridere: è forse la prima volta nella storia che un docente della Bocconi rinuncia a un prestigioso incarico societario per mancanza di tempo. Forse la vera ragione di Provasoli è da ricercare nella rivelazione fatta ieri dal presidente della commissione Industria del Senato…
Giorgio Meletti per ‘Il Fatto Quotidiano'
L'unica cosa certa è che Telecom Italia è nel caos più completo e che, comunque vada, questa vicenda rischia di diventare la definitiva Caporetto del capitalismo di relazione italiano. Dopodomani a Milano l'assemblea degli azionisti dovrà votare la revoca del Consiglio di amministrazione, proposta da Marco Fossati, socio di minoranza con il 5% delle azioni. L'esito è incerto.
ANGELO PROVASOLI
Se gli azionisti di minoranza (principalmente fondi d'investimento stranieri) sconfiggessero il gruppo di comando - Telefónica, Assicurazioni Generali, Intesa Sanpaolo e Mediobanca che attraverso la scatola Telco controllano la società con il 22,4 per cento - sarebbe un fatto storico, una sorta di presa della Bastiglia. Ma anche se l'amministratore delegato Marco Patuano, accusato dalla Consob di fare il gioco del capo di Telefónica, Cesar Alierta, superasse indenne il voto assembleare, il futuro di Telecom rimarrebbe molto complicato.
L'atmosfera da "ultimi giorni di Pompei" ieri è stata creata dalla mossa di Angelo Provasoli, ex rettore della Bocconi, attualmente presidente della Rcs. Cooptato nel cda Telecom il 3 ottobre scorso e candidato alla presidenza della società, rimasta vacante dopo le dimissioni di Franco Bernabè, ha comunicato la sua rinuncia, motivata "dalla quantità di impegni professionali e istituzionali, anche sopravvenuti, che gli impedirebbero di disporre del tempo necessario". Tempistica e motivazione fanno sorridere: è forse la prima volta nella storia dell'uomo che un docente della Bocconi rinuncia a un prestigioso incarico societario per mancanza di tempo.
Forse la vera ragione del passo indietro di Provasoli è da ricercare nella rivelazione fatta ieri dal giornalista Massimo Mucchetti, oggi parlamentare Pd e presidente della commissione Industria del Senato, in un articolo sul-l'Unità. Dopo l'annuncio del 24 settembre scorso, con il quale veniva consegnato a Telefónica il controllo di Telco, il presidente delle Generali (noché ex presidente di Telecom Italia e di Mediobanca), Gabriele Galateri di Genola, va a trovare Mucchetti.
IL TRIO BOCCONI PROVASOLI MONTI E TABELLINIMARCO FOSSATI JPEGForse la vera ragione del passo indietro di Provasoli è da ricercare nella rivelazione fatta ieri dal giornalista Massimo Mucchetti, oggi parlamentare Pd e presidente della commissione Industria del Senato, in un articolo sul-l'Unità. Dopo l'annuncio del 24 settembre scorso, con il quale veniva consegnato a Telefónica il controllo di Telco, il presidente delle Generali (noché ex presidente di Telecom Italia e di Mediobanca), Gabriele Galateri di Genola, va a trovare Mucchetti.
"Per scoraggiarmi dal proseguire con la riforma dell'Opa obbligatoria - scrive il senatore - che potrebbe costringere il suo amico Cesar Alierta a mettere mano al portafoglio se vuole comandare con pieno diritto in Telecom, Galateri mi ha detto di aver avuto via libera da chi di dovere prima del 24 settembre. Letta mi ha sempre detto di non aver mai saputo nulla. (...) Quali sono i poteri occulti che hanno dato via libera al presidente delle Generali, oppure questi è venuto in Senato a millantare?". Così Mucchetti confeziona il suo siluro per il presidente del Consiglio, in una battaglia che lo vede spalleggiato da molti parlamentari Pd e dal responsabile economico nella nuova segreteria renziana, Filippo Taddei.
Ancora ieri pomeriggio il governo ha continuato il pressing contro l'emendamento Mucchetti, che punta a far pagare il controllo di Telecom Italia i miliardi che vale anziché le poche centinaia di milioni per le quali gli ex poteri forti hanno deciso di consegnare la rete telefonica italiana a un concorrente che appare determinato a sbriciolarla. "Ci stiamo lavorando, stiamo cercando di vedere se si trova un punto d'incontro con i presentatori dell'emendamento", ha detto ieri il sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento, Sabrina De Camillis.
Fin dall'inizio la posizione di Letta è stata chiara. Il 24 settembre, all'annuncio della vendita a Telefónica, ha detto: "Guardiamo, valutiamo, stiamo in un mercato europeo. Bisogna quindi considerare che Telecom è una società privata". Il 29 settembre ha ribadito: "C'è bisogno di un investitore forte che metta soldi dentro Telecom. Se gli stranieri sono più bravi non mi scandalizzo". Ma adesso sembra prendere il sopravvento l'idea del vicolo cieco.
Lo stesso Letta ieri ha un po' virato. Dopo aver incontrato la commissione di esperti a cui ha chiesto di valutare se Telecom è in grado di fare gli investimenti necessari per aggiornare la rete internet peggiore d'Europa, e dopo essersi sentito dire che, come sanno anche i muri, Telecom allo stato attuale non è in grado, il premier ha fatto sapere che "il governo utilizzerà tutti i mezzi disponibili per assicurare la tempestiva attuazione dei piani di sviluppo annunciati". Il problema è che Telefónica ha già comprato. E che la Consob e la magistratura sono scatenate nelle indagini sugli evidenti reati commessi nelle ultime settimane. E che forse è troppo tardi per disinnescare uno scandalo epocale.
Ancora ieri pomeriggio il governo ha continuato il pressing contro l'emendamento Mucchetti, che punta a far pagare il controllo di Telecom Italia i miliardi che vale anziché le poche centinaia di milioni per le quali gli ex poteri forti hanno deciso di consegnare la rete telefonica italiana a un concorrente che appare determinato a sbriciolarla. "Ci stiamo lavorando, stiamo cercando di vedere se si trova un punto d'incontro con i presentatori dell'emendamento", ha detto ieri il sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento, Sabrina De Camillis.
Fin dall'inizio la posizione di Letta è stata chiara. Il 24 settembre, all'annuncio della vendita a Telefónica, ha detto: "Guardiamo, valutiamo, stiamo in un mercato europeo. Bisogna quindi considerare che Telecom è una società privata". Il 29 settembre ha ribadito: "C'è bisogno di un investitore forte che metta soldi dentro Telecom. Se gli stranieri sono più bravi non mi scandalizzo". Ma adesso sembra prendere il sopravvento l'idea del vicolo cieco.
Lo stesso Letta ieri ha un po' virato. Dopo aver incontrato la commissione di esperti a cui ha chiesto di valutare se Telecom è in grado di fare gli investimenti necessari per aggiornare la rete internet peggiore d'Europa, e dopo essersi sentito dire che, come sanno anche i muri, Telecom allo stato attuale non è in grado, il premier ha fatto sapere che "il governo utilizzerà tutti i mezzi disponibili per assicurare la tempestiva attuazione dei piani di sviluppo annunciati". Il problema è che Telefónica ha già comprato. E che la Consob e la magistratura sono scatenate nelle indagini sugli evidenti reati commessi nelle ultime settimane. E che forse è troppo tardi per disinnescare uno scandalo epocale.
IL ‘’PANINO’’ DI GOOGLE: IL TRUCCO FISCALE PER RISPARMIARE 9 MILIARDI DI EURO L’ANNO (APPLE? 29 MILIARDI) Le multinazionali adottano il “doppio irlandese con panino olandese”: triangolazioni tra Irlanda, Olanda e un paradiso fiscale con aliquota zero - Tutto legale, disastroso per noi, e molto conveniente per loro: Dublino ha attirato 700 società USA, che danno lavoro a 115 mila persone (su cui pagano miliardi di euro di tasse), e in Olanda è boom di intermediari…
Marco Pedersini per "Panorama.it"
Un'azienda italiana paga il 31,4 per cento di tasse sugli utili. Se fosse in Irlanda, pagherebbe il 12,5 per cento. E se invece fosse una multinazionale americana avrebbe una possibilità molto interessante: abbassare l'aliquota al 2,5 per cento, grazie a una sede in Irlanda.
GOOGLE
Cosa significa, in concreto? Che l'anno scorso, grazie a questo trucco, Google ha evitato di pagare quasi 9 miliardi di euro di tasse. È una cifra di tutto rispetto - l'Imu sulla prima casa, per capirci, vale 4 miliardi - che Google risparmia grazie a un sistema che è perfettamente legale. È un sistema di travasi molto complicato, che società come Microsoft, LinkedIn, eBay (e, da poco, Twitter) seguono con un unico obiettivo: pagare quasi il 30 per cento in meno delle tasse che si pagherebbero in Italia.
Quale sistema usare.
Apple ha "salvato" 29 miliardi di euro dal fisco con uno stratagemma intuitivo: non ha dichiarato il domicilio fiscale delle sue sedi a Cork, in Irlanda. A dar retta al governo di Dublino, dal 2015 non potrà più farlo. Potrà però seguire lo schema che già fa la felicità di aziende come Google: il "doppio irlandese con panino olandese" (Double Irish with a Dutch Sandwich). È una triangolazione tra una sede irlandese, una olandese e una in un paradiso fiscale (dove agli utili d'impresa viene applicata un'aliquota molto interessante: zero).
MICROSOFTApple ha "salvato" 29 miliardi di euro dal fisco con uno stratagemma intuitivo: non ha dichiarato il domicilio fiscale delle sue sedi a Cork, in Irlanda. A dar retta al governo di Dublino, dal 2015 non potrà più farlo. Potrà però seguire lo schema che già fa la felicità di aziende come Google: il "doppio irlandese con panino olandese" (Double Irish with a Dutch Sandwich). È una triangolazione tra una sede irlandese, una olandese e una in un paradiso fiscale (dove agli utili d'impresa viene applicata un'aliquota molto interessante: zero).
Come funziona.
Jim Stewart, esperto di finanza e tassazione d'impresa del Trinity College di Dublino, lo spiega a Panorama.it: "Abbiamo una società americana, che ha una sede in Irlanda, dove ha assunto delle persone. Le tasse sui dipendenti e sulle strutture le paga alle fisco irlandese, come ogni altra azienda. Gli utili, invece, fanno un giro più complicato, per finire in paesi in cui non sono tassati". Agli occhi del fisco, infatti, la sede irlandese è controllata da una olandese, che a sua volta risulta sussidiaria di una registrata in un paradiso fiscale (nel caso di Google, le Bermuda).
Jim Stewart, esperto di finanza e tassazione d'impresa del Trinity College di Dublino, lo spiega a Panorama.it: "Abbiamo una società americana, che ha una sede in Irlanda, dove ha assunto delle persone. Le tasse sui dipendenti e sulle strutture le paga alle fisco irlandese, come ogni altra azienda. Gli utili, invece, fanno un giro più complicato, per finire in paesi in cui non sono tassati". Agli occhi del fisco, infatti, la sede irlandese è controllata da una olandese, che a sua volta risulta sussidiaria di una registrata in un paradiso fiscale (nel caso di Google, le Bermuda).
Lo schema sfrutta tre norme a suo favore: primo, l'Irlanda permette a un'azienda di pagare le tasse nello stato da cui viene controllata (e le sedi irlandesi di Google risultano sussidiarie di un "quartier generale" alle Bermuda); secondo, un trasferimento fiscale tra Irlanda e un paradiso fiscale è tassato, ma quello tra Irlanda e Olanda no (perché passa tra due paesi dell'Unione Europea); terzo, in base alle leggi olandesi, il trasferimento all'estero non è tassato. Questa triangolazione costa pochissimo: la strada è tortuosa, ma alle bermuda arriva circa il 99,8 dei soldi che erano partiti dall'Irlanda.
Quindi, riassumendo (e semplificando): Una società italiana vuole farsi pubblicità su Internet. La compra da Google, che gliela vende attraverso la sua sede irlandese. Quello che Google guadagna con operazioni come questa andrebbe tassato al 12,5 per cento. Invece, gli utili passano (con un trasferimento tax free) a una società olandese e poi (di nuovo con passaggio tax free) a una seconda società irlandese, sussidiaria di una sede delle Bermuda (dove gli utili d'impresa non vengono tassati). Risultato: si risparmiano miliardi di euro, che altrimenti sarebbero finiti al fisco di Dublino.
LINKEDIN
Perché si chiama "doppio irlandese".
"Qui devo chiedervi un esercizio di sospensione dell'incredulità, come quando si ascoltano le favole", dice Stewart, "l'azienda è una, ha sede in Irlanda. Ma per il fisco è come se fossero due: una è irlandese, l'altra è alle Bermuda". Anche la sede olandese è poco più che nominale: è vuota come una conchiglia, serve solo a far transitare gli utili.
"Qui devo chiedervi un esercizio di sospensione dell'incredulità, come quando si ascoltano le favole", dice Stewart, "l'azienda è una, ha sede in Irlanda. Ma per il fisco è come se fossero due: una è irlandese, l'altra è alle Bermuda". Anche la sede olandese è poco più che nominale: è vuota come una conchiglia, serve solo a far transitare gli utili.
Ma le imprese non dovrebbero pagare le tasse nei paesi in cui generano profitti?
"È vero, ma il problema è capire da dove vengano i profitti", dice Stewart. Per aziende come Google sono il frutto delle innovazioni che porta in campo tecnologico. E chi detiene i diritti sui brevetti? La sede alle Bermuda. Per questo motivo "Google può dire: i profitti che faccio in giro per il mondo sono il frutto di tecnologie che sono proprietà della mia sede alle Bermuda, perciò le tasse le pago lì". Sempre che ce ne siano.
EBAY NOWWHO BUYS ALL THOSE GOOGLE ADS"È vero, ma il problema è capire da dove vengano i profitti", dice Stewart. Per aziende come Google sono il frutto delle innovazioni che porta in campo tecnologico. E chi detiene i diritti sui brevetti? La sede alle Bermuda. Per questo motivo "Google può dire: i profitti che faccio in giro per il mondo sono il frutto di tecnologie che sono proprietà della mia sede alle Bermuda, perciò le tasse le pago lì". Sempre che ce ne siano.
Perché un sistema del genere è legale?
Perché ci guadagnano tutti: l'Irlanda ha attirato 700 società americane, che danno lavoro a 115 mila irlandesi (su cui pagano miliardi di euro di tasse). In Olanda si dà lavoro a molti intermediari e i paradisi fiscali incassano cifre consistenti. "Anche gli Stati Uniti sono soddisfatti, per quanto non possano dirlo", sostiene Stewart, "questi escamotage fiscali danno un vantaggio alle loro aziende, che continuano a dare lavoro e a pagare tasse anche in patria. Gli unici perdenti, in questo gioco, sono i paesi europei come il vostro: gli utili che queste aziende fanno in Italia vengono tassati in paradisi fiscali".
DOUBLE-IRISHPerché ci guadagnano tutti: l'Irlanda ha attirato 700 società americane, che danno lavoro a 115 mila irlandesi (su cui pagano miliardi di euro di tasse). In Olanda si dà lavoro a molti intermediari e i paradisi fiscali incassano cifre consistenti. "Anche gli Stati Uniti sono soddisfatti, per quanto non possano dirlo", sostiene Stewart, "questi escamotage fiscali danno un vantaggio alle loro aziende, che continuano a dare lavoro e a pagare tasse anche in patria. Gli unici perdenti, in questo gioco, sono i paesi europei come il vostro: gli utili che queste aziende fanno in Italia vengono tassati in paradisi fiscali".
domenica 15 dicembre 2013
SORGENIA O L'ENERGIA DEL CREDITO ALLE FAMIGLIE. ANZI, A UNA SOLA FAMIGLIA. IL GRUPPO DEI DE BENEDETTI E DI VERBUND HA ACCUMULATO UN DEBITO MONSTRE DI 1,75 MILIARDI - 2. EPPURE I SUOI PROFITTI SONO OSCILLATI TRA I 100 E I 190 MILIONI. A QUALE IMPRESA NORMALE VERREBBERO CONCESSI PRESTITI PER 15 VOLTE L'UTILE OPERATIVO LORDO? - 3. NEL GRUPPO DELLE BANCHE IMPANTANATE CON SORGENIA SONO FINITE ANCHE TRE POPOLARI. QUELLE CHE RACCONTANO DI ESSERE "VICINE AL TERRITORIO E ALLE PICCOLE IMPRESE” - 4. QUANDO UN IMPRENDITORE SI RECA NELLA FILIALE DI UNA POPOLARE, A VERONA O A BRESCIA, OTTIENE FINANZIAMENTI QUASI PARI AL FATTURATO? PER DECINE E DECINE DI MILIONI? - 5. UNO STUDIO RIVELA CHE I CREDITI SOTTO I 500 MILA EURO, CHE SONO IL CUORE DELL’OPERATIVITÀ PER PMI E FAMIGLIE, GENERANO APPENA IL 4,8% DELLE SOFFERENZE. INSOMMA, CONVENGONO. MA LE BANCHE PREFERISCONO I LIGRESTOS, GLI ZALESKI, E COMPAGNIA CANTANTE
Bankomat per Dagospia
E' proprio vero che più debiti hai e più ti prestano soldi. Se non altro per tenerti a galla. Se poi hai azionisti dal nome altisonante e bene introdotti, il gioco è ancora più facile. Sorgenia è una serissima holding alla testa di un gruppo nel settore dell'energia, controllata dalla CIR della famiglia De Benedetti e dagli austriaci di Verbund. Fon dall'inizio, il Monte dei Paschi di Siena ritenne utile avere e - tuttora detenere - un 1,2% del capitale. Per vicinanza forse di tipo democratico.
RODOLFO CARLO EDOARDO E MARCO DE BENEDETTI
Ora Sorgenia non se la passa troppo bene e vediamo perchè.
Nel bilancio 2012, il gruppo ha registrato ricavi per circa 2,57 miliardi di euro, che però davano un utile operativo lordo "Ebitda" (cioè ante svalutazioni e ammortamenti) di appena 101 milioni.
E questo non per una congiuntura negativa o sfortunata, da addebitare tutto alla crisi. Dal 2000 ad oggi, come si può vedere dal vecchio business plan 2011-2016 (consultabile sul sito Sorgenia), l'Ebitda non è mai andato oltre i 190 milioni del 2008, 110 nel 2009, 164 nel 2010. Ed erano già picchi positivi!
Un po' pochini, come profitti, per sostenere un debito bancario elevatissimo da sempre, pari a circa 1,75 miliardi.
RODOLFO E CARLO DE BENEDETTI
Il business plan 2011-2016 redatto il 28 febbraio 2011 già dichiarava un debito di 2,2 miliardi (a fine 2010) che nel 2016 sarebbe calato a 1,17 miliardi.
I ricavi avrebbero dovuto nel frattempo salire dai 2,66 miliardi del bilancio 2010 a 4,79 miliardi nel 2016. Mentre l'Ebitda, da 164 milioni del 2010 doveva crescere a 746 nel 2016.
La trimestrale a fine settembre 2013, rispetto ad un debito monstre che resta a 1,75 miliardi, riporta invece dati operativi completamente diversi. Fra il drammatico ed il faceto: solo 1,7 miliardi di ricavi in 9 mesi 2013 (altro che i 3,9 miliardi su base annua 2013 indicati meno di due anni fa nel piano) e risultato operativo lordo di 116 milioni che diventano perdita netta di 434.
MONTEPASCHI SIENA SEDE
Perché faceto? Perché in meno di due anni il management ha evidentemente registrato un fallimento previsionale e gestionale non comune.
Quanto sopra non sembri sterile pignoleria da contabili. Perché i numeri sono davvero colossali e il gruppo CIR che prima li pianifica sulle slides, a febbraio 2011, e poi li produce molto diversi, non è certo noto per la propria modestia manageriale e imprenditoriale.
BANCO POPOLARE
Naturalmente si potrebbero meglio analizzare e comprendere varie ragioni di mercato, imprevisti, operazioni straordinarie. Non si entra qui nel dettaglio del piano industriale.
Dagospia non odia certo il capitale e rispetta la libera impresa, e comunque in questo scenario di crisi irridere un'impresa in difficoltà non sarebbe né intelligente né elegante. Ma quando l'impresa è fatta con soldi altrui - tanti soldi altrui - si impongono alcune riflessioni.
UBI BANCA
Perché, ad esempio, "Milano Finanza" di sabato ricorda che un gruppetto di banche si ripartisce il debito SORGENIA: Intesasanpaolo, Unicredit, Mediobanca, alcuni grandi istituti esteri e almeno tre banche popolari (Banco popolare, Ubi e Popolare dell'Etruria). Ad esse Sorgenia chiederà sicuramente un "riscadenziamento" e uno stralcio. Mesi di negoziati, advisor in campo. Solite liturgie.
Si preparano quindi nuove perdite e nuove sofferenze per le banche, che in realtà pagheranno altri.
E poi si continua a parlare di credit crunch, di sofferenze che imballano il sistema, di ratios patrimoniali che impedirebbero le nuove erogazioni, ma di cosa si sta discutendo veramente?
FEDERICO GHIZZONI A CERNOBBIO JPEG
A questo punto è anche lecito domandare: ma le popolari non erano banche del territorio, vicine alle PMI ed alle famiglie? Alla Famiglia De Benedetti, verrebbe da dire guardando Sorgenia.
Quando un imprenditore si reca nella filiale di una popolare, a Verona o a Brescia, ottiene finanziamenti quasi pari al fatturato? Per decine e decine di milioni?
DEBENEDETTI BAZOLI GERONZI
Se avete una piccola e normale impresa, per ogni 100 mila euro di ebitda vi lasciano indebitare per 15 volte tanto?
Una recente indagine di Unimpresa rivela che le operazioni creditizie singole di importo sotto i 500 mila euro, che dovrebbero essere il cuore dell'operatività per PMI e famiglie, genera appena il 4,8% delle sofferenze. Insomma, convengono. Ma le banche preferiscono i Ligrestos, gli Zaleski, Alitalia e compagnia cantante.
Le banche italiane - e soprattutto le popolari - dovrebbero spiegare quante sofferenze nei loro conti sono dovute in realtà ai grandi e assurdi finanziamenti a pochi gruppi fortunati (le famiglie più famiglie di altre), e le dovrebbe scorporare in una grande bad bank, liberando capitale per le imprese normali. Sarebbe ora di farlo.
giovedì 12 dicembre 2013
COSE DI COSA NOSTRA - BRUSCA AL PROCESSO SULLA “TRATTATIVA”: “IL PAPELLO FINÌ A MANCINO, ME LO DISSE RIINA. MANGANO S’INCONTRÒ CON DELL’UTRI NEL ’91 PER PARLARE DELL’ATTENUAZIONE DEL 41 BIS” Lo “scannacristiani” di Cosa Nostra sostiene che il famoso “papello” delle richieste di Riina, sarebbe stato consegnato a Nicola Mancino, con l’obiettivo di attenuare il carcere ai boss mafiosi - “Riina intorno a novembre del ‘92 mi disse che dovevamo dare un altro colpetto e pensammo di colpire Piero Grasso”…
Paolo Colonnello per "La Stampa"
L'uomo che sciolse nell'acido il 14enne Giuseppe Di Matteo, che premette il pulsante del telecomando per la strage di Capaci e che ha ucciso un numero indefinito di persone durante il regno mafioso di Totò Riina, racconta la storia dei rapporti tra lo Stato e la mafia parlando molto dei morti, un po' meno dei vivi, poco o nulla degli ultimi "referenti" che gestirono la terribile stagione delle stragi, conclusasi nel '93 con le bombe di Roma, Firenze e Milano.
BRUSCA A FIRENZE DIETRO PARAVENTO
Giovanni Brusca, nell'aula bunker persa nelle nebbie di Ponte Lambro dove si è trasferito il processo di Palermo, circondato da un paravento e da uomini della polizia penitenziaria coperti da un passamontagna, risponde con cortesia ai pm e si commuove solo ricordando l'incontro con Rita Borsellino.
GIOVANNI BRUSCA
Che lo ha convinto, a suo dire, ad essere finalmente sincero. Ma non incanta i parenti delle vittime dell'Associazione dei Georgofili, al processo per testimoniare solidarietà al pm Nino Di Matteo, che dopo le ultime, pesantissime minacce mafiose è rimasto a Palermo, e per seguire le dichiarazioni di Brusca, che giudicano «deludenti». «È stato reticente sulla seconda fase della trattativa, quella che coinvolge Dell'Utri e i politici della Seconda Repubblica.
È un livello che non vuole affrontare», dice la presidente dell'associazione, Giovanna Maggiani Chelli. Ma sul periodo d'oro della vecchia Dc siciliana e dell'espansione sanguinaria di Riina, Brusca è prodigo di particolari, pur rivelando ben poche novità rispetto ai verbali del suo pentimento. Racconta che un giorno Riina «fece sapere che Ciancimino doveva salire sul palco con Andreotti che non lo voleva, altrimenti avrebbe ucciso prima i cugini Salvo, poi Lima e poi Andreotti. E Ciancimino salì».
TOTO RIINA
Punta il dito su Nicola Mancino, l'ex presidente del Senato e prima ancora ministro degli Interni cui sarebbe stato destinato il famoso «papello» delle richieste di Riina per attenuare il carcere ai boss mafiosi e ottenere defiscalizzazioni sulla benzina in Sicilia, spiega che l'omicidio di Salvo Lima e la strage in cui morì Giovanni Falcone fu organizzata per sbarrare definitivamente la strada verso il Quirinale a Giulio Andreotti, ritenuto ormai un interlocutore in declino di Cosa Nostra, un «traditore» incapace di fermare inchieste e processi.
NICOLA MANCINO
E ricorda come Totò u' curtu, che ascolta in teleconferenza dal carcere di Opera, dopo la bomba di Capaci fosse contentissimo: «Mi diceva: "Si sono fatti sotto e mi hanno chiesto: cosa volete in cambio per finirla? E io gli ho dato un papello così". E fece il gesto di un foglio. Era ottimista, convinto di avere ottenuto un risultato». E chi «si era fatto sotto» per trattare con la mafia se Andreotti era in declino?
«Pensavo fossero soggetti politici», dice Brusca. Ma poi precisa che secondo lui «il destinatario era Mancino» (nel processo imputato come l'ex senatore Marcello Dell'Utri, di cui Brusca parla solo una volta). Una novità parziale: «Ancora non avevo detto del contatto con Mangano, che era un capo mandamento, per arrivare a Dell'Utri. Non l'ho detto prima perché ogni volta che parlavo scoppiavano polemiche. Ma quel contatto ci fu: Mangano s'incontrò con Dell'Utri nel '91 per parlare dell'attenuazione del 41 bis». Cioè del carcere duro per i boss.
Ma nel '91, il comma relativo del 41 bis non era in vigore: fu introdotto nel '92, dopo la strage di Capaci. Poi, dopo quasi 7 ore, Brusca non risponde all'ultima domanda del pm Tartaglia: l'eliminazione del giudice Paolo Borsellino era legata al discorso sulla trattativa? «No, in maniera specifica no».
DON VITO CIANCIMINO
Brusca parla anche del progettato attentato all'allora procuratore antimafia Piero Grasso: «Riina intorno a novembre del 1992 mi disse che dovevamo dare un altro colpetto per farli tornare e pensammo così di colpire Piero Grasso. Preparammo la chiave per aprire un tombino vicino casa della suocera di Grasso a Monreale. Dovevamo metterci l'esplosivo. Eravamo arrivati a buon punto. Mi ero procurato il telecomando con i catanesi. Poi per un problema tecnico desistemmo e l'argomento si chiuse».
mercoledì 11 dicembre 2013
I MINIBOND FANNO BINGO! - IL GRUPPO ‘’MILLEUNOBINGO’’, DOPO AVER BENEFICIATO NEL 2012 DEL REGALO FATTO DALLO STATO AI CONCESSIONARI DI SCOMMESSE, HA LANCIATO UN'EMISSIONE DA 30 MLN PROMOSSA DA BANCA DELLA MARCA… "Se il finanziamento per nuove sale bingo nel nostro territorio - polemizza il deputato Buffoni che ha sollecitato un'interrogazione parlamentare sulla vicenda - è l’esempio di nuovo credito alle imprese, evidentemente si dovrà fare chiarezza sui numerosi casi in cui le piccole e micro imprese non trovano risposte di accesso al credito da quell’istituto"…
MINIBOND, UN MERCATO CHE STENTA A DECOLLARE
Carlotta Scozzari per Dagospia
Carlotta Scozzari per Dagospia
Tra i modi che il governo Monti aveva studiato per dare ossigeno, e quindi risorse finanziarie, alle piccole e medie imprese (pmi) in un momento in cui le banche spesso chiudono i rubinetti, ci sono i cosiddetti "minibond". Così, nell'estate del 2012 e soprattutto per volere dell'allora ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, il cosiddetto "Decreto Sviluppo" ha consentito alle pmi italiane di emettere, al pari dei grandi gruppi quotati, dei veri e propri titoli di debito a medio-lungo termine, fiscalmente vantaggiosi. Ciò nell'ottica di ottenere nuova finanza aggirando il canale bancario.
IBINGO MAGES
Peccato solo che da allora, di fatto, il mercato dei mini-bond non sia mai veramente decollato. Il problema, dicono gli osservatori, è che gli investitori istituzionali che dovrebbero sottoscrivere i titoli emessi dalle pmi, per farlo, hanno bisogno di strumenti dedicati. Ecco spiegato il perché, di questi tempi, banche e operatori del risparmio gestito stanno facendo a gara per dare vita a fondi specializzati in mini-bond. Sarà davvero il mezzo ideale per incrociare la domanda di credito delle piccole aziende e la voglia di diversificare gli investimenti dei grandi operatori istituzionali? Si vedrà. Nel frattempo, non si può non notare come tra le società emittenti di mini-bond ce ne sia una, attiva nel settore dei giochi, che sta sollevando parecchie polemiche...
2- COMUNICATO STAMPA DI MARINA BUFFONI (FRATELLI D'ITALIA): INTERROGAZIONE PARLAMENTARE SUL CREDITO CONCESSO PER LA COSTRUZIONE DI NUOVE SALE BINGO
CULICCHI
Treviso, 10 Dicembre 2013- "Ho consegnato all'On. La Russa tutta la documentazione sul caso- dichiara Marina Buffoni, coordinatore regionale di Fratelli d'Italia e consigliere comunale di Conegliano- e inviato la medesima anche al gruppo parlamentare di Fratelli d'Italia, affinché venga presentata un'interrogazione parlamentare sul caso. L'avvio di un'attività ispettiva parlamentare è motivata da un articolo di Fabio Bolognini (http://www.linkerblog.biz/2013/12/10/non-illudete-le-imprese-il-credito-non-tornera/), Amministratore Delegato di Linker Srl e già Vicedirettore generale di Unicredit, e constato che una piccola banca trevigiana, scambia un po' di credito concesso con una sottoscrizione di obbligazioni emesse da un suo cliente che ha 3,6 milioni di liquidità e 3,1 di debiti bancari.
Mi riferisco al caso di Milleuno Bingo Spa che ha recentemente lanciato una emissione di mini bond di 30 milioni di euro promossa da Banca della Marca. La stessa società nel 2012 ha messo in tasca 6 milioni di utile su meno di 60 di fatturato grazie al discusso e discutibile regalo offerto dallo Stato ai concessionari delle scommesse, che, seppure legalmente, si arricchiscono su ludopatie e illusioni di scommettitori incalliti. Se nel caso di Banca della Marca e il finanziamento per nuove sale bingo nel nostro territorio è l'esempio di nuovo credito alle imprese, evidentemente si dovrà fare chiarezza sui numerosi casi in cui le piccole e micro imprese non trovano risposte di accesso al credito da quell'istituto."
3-NON ILLUDETE LE IMPRESE, IL CREDITO NON TORNERA'
Fabio Bolognini per il suo blog http://www.linkerblog.biz/2013/12/10/non-illudete-le-imprese-il-credito-non-tornera/
BINGO CORP EFabio Bolognini per il suo blog http://www.linkerblog.biz/2013/12/10/non-illudete-le-imprese-il-credito-non-tornera/
(...)
Emblematico il caso della Milleuno Bingo Spa, che ha recentemente lanciato un emissione di 30 milioni promossa da una piccola banca cooperativa (Banca della Marca di Treviso) la quale banca scambia un po' di credito concesso con una bella sottoscrizione di obbligazioni emesse da un suo cliente che ha 3,6 milioni di liquidità e solo 3,1 milioni di debiti bancari. Una società imbellettata precipitosamente da srl a spa -ma con la trasparenza di bilancio da srl- che nel 2012 ha messo in tasca 6 milioni di utile su meno di 60 di fatturato grazie al discusso e discutibile regalo offerto dallo Stato ai concessionari delle scommesse, che, seppure legalmente, si arricchiscono su ludopatie e illusioni di scommettitori incalliti. Difficile vedere nel caso della Banca della Marca e del finanziamento di nuove sale bingo l'esempio di un ‘nuovo credito' alle imprese, soprattutto per per tutti quei settori manifatturieri, che non si sognano lontanamente queste redditività, e per cui il futuro del credito sarà ben più complicato.
Emblematico il caso della Milleuno Bingo Spa, che ha recentemente lanciato un emissione di 30 milioni promossa da una piccola banca cooperativa (Banca della Marca di Treviso) la quale banca scambia un po' di credito concesso con una bella sottoscrizione di obbligazioni emesse da un suo cliente che ha 3,6 milioni di liquidità e solo 3,1 milioni di debiti bancari. Una società imbellettata precipitosamente da srl a spa -ma con la trasparenza di bilancio da srl- che nel 2012 ha messo in tasca 6 milioni di utile su meno di 60 di fatturato grazie al discusso e discutibile regalo offerto dallo Stato ai concessionari delle scommesse, che, seppure legalmente, si arricchiscono su ludopatie e illusioni di scommettitori incalliti. Difficile vedere nel caso della Banca della Marca e del finanziamento di nuove sale bingo l'esempio di un ‘nuovo credito' alle imprese, soprattutto per per tutti quei settori manifatturieri, che non si sognano lontanamente queste redditività, e per cui il futuro del credito sarà ben più complicato.
martedì 10 dicembre 2013
COSE DI COSA NOSTRA - IL PM NINO DI MATTEO NON VA A MILANO PER INTERROGARE BRUSCA A CAUSA DI UN RISCHIO ATTENTATO - POSSIBILE CHE RIINA, DAL CARCERE, RIESCA A COMANDARE UN OMICIDIO? CHI LO CONTROLLA? Di Matteo doveva essere a Milano, per ascoltare, nell’ambito del processo sulla trattativa Stato-mafia, il pentito Giovanni Brusca - Il timore è che Riina possa aver “emesso sentenza” e che qualcuno possa aver fatto uscire l’ordine dal carcere - E senza le indagini della Procura di Palermo non avremmo scoperto nulla…
Riccardo Arena per "La Stampa"
TOTO RIINA
Se andare o non andare deciderà oggi, ma la preoccupazione per il pm Nino Di Matteo è grande: da domani, e fino a venerdì, la seconda sezione della Corte d'assise di Palermo sarà a Milano, per ascoltare, nell'ambito del processo sulla trattativa Stato-mafia, il pentito Giovanni Brusca, ma ci sono nuovi pericoli per il magistrato minacciato da Totò Riina. Nuovi segnali di cui si sa poco, ma che hanno portato - domenica - a una convocazione d'urgenza, al Viminale, dei procuratori di Palermo e Caltanissetta, Francesco Messineo e Sergio Lari.
Fino a ieri la trasferta milanese di Di Matteo era annullata. La tensione è alle stelle, a Palermo e non solo. Milano era la sede scelta dal collegio presieduto da Alfredo Montalto, per motivi di sicurezza della persona di Brusca: ora però proprio nel capoluogo lombardo potrebbero esserci nuovi pericoli per Di Matteo.
RIINA VOLO DI STATO
Il pm è stato oggetto di pesanti affermazioni di Totò Riina, intercettato nel carcere milanese di Opera durante la «socialità», le ore d'aria che trascorre con un detenuto pugliese, Alberto Lorusso. In quel contesto, il capo di Cosa nostra, che nel processo trattativa è imputato, aveva commentato le prime notizie uscite sulle sue minacce a Di Matteo e l'ipotesi di trasferire il magistrato in una località segreta, con una frase ritenuta molto significativa: «Tanto sempre al processo deve venire».
FRANCESCO MESSINEO PROCURATORE CAPO DI PALERMO JPEG
Ma il nuovo allarme non è dovuto solo a questo. Ci sono altri segnali, c'è il pericolo legato al fatto che Lorusso non è monitorato come Riina e dunque eventuali messaggi del superboss, suo tramite - in linea teorica - potrebbero uscire dal carcere.
Sergio Lari non commenta la convocazione da parte del ministro dell'Interno, Angelino Alfano, ma era stato lo stesso capo dei pm nisseni, ospite di Lucia Annunziata, su Raitre a confermare la serietà dei nuovi allarmi per i colleghi di Palermo.
E Alfano, a sua volta, aveva voluto tenere una riunione del comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica a Palermo, la settimana scorsa. Per garantire la sicurezza di Nino Di Matteo, oltre a valutare l'utilizzo del «bomb jammer», che paralizza i congegni attivabili mediante telecomandi, il comitato aveva discusso anche l'ipotesi estrema di far spostare il pm a bordo di un «Lince», un blindato utilizzato dall'Esercito nelle zone di guerra, come l'Afghanistan.
IL PROCURATORE FRANCESCO MESSINEO
Ipotesi, quest'ultima, poi scartata. Intanto ieri il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, ha detto che gli allarmi nati dalle conversazioni di Riina non sono stati percepiti dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, perché emergono dalle indagini condotte dagli stessi pm di Palermo. Ma il guardasigilli ha ribadito la propria vicinanza ai magistrati, escludendo di aver voluto ridimensionare la portata del pericolo.
CANCELLIERI ADNKRONOS XUN BUFFETT-O SULLA GUANCIA DI GEORGE W. BUSH – IL GURU AMERICANO RACCONTA LA CRISI FINANZIARIA INNESCATA DAL CRAC LEHMAN ED ELOGIA L’EX PRESIDENTE USA, CHE “FECE LA PIU’ GRANDE DICHIARAZIONE ECONOMICA DI TUTTI I TEMPI” – “IL CASH E’ COME L’OSSIGENO”… Bush junior, per giustificare l’intervento dello Stato e dunque il supporto alle politiche di Paulson e Bernanke subito dopo il fallimento della banca d’affari americana, disse: “Se non verrà reso disponibile denaro, tutto collasserà”….
Carlotta Scozzari per Dagospia
In occasione di un incontro che si è tenuto a metà novembre con 20 studenti dell'Mba, il guru finanziario Warren Buffett, conosciuto anche come l'oracolo di Omaha, ha sintetizzato in modo efficace la nascita e il propagarsi della crisi economico-finanziaria del 2007-2008, di cui si continuano ad avvertire gli effetti. Buffett, in particolare, come riferisce "Business Insider", ha risposto a uno studente che gli domandava perché avesse investito in Goldman Sachs in piena crisi finanziaria.
GEORGE BUSH
Nel replicare, l'oracolo di Omaha non soltanto ha descritto minuziosamente lo scenario di riferimento dell'economia ma ha anche apertamente elogiato l'operato dell'ex presidente degli Stati Uniti George W. Bush. Ecco quel che ha detto Buffett, ripercorrendo la situazione economico-finanziari esistente all'epoca del crac della banca d'affari Lehman Brothers, risalente al settembre del 2008: "I fondi monetari avevano in pancia numerose obbligazioni Lehman. Così, dal giorno alla notte, mentre oltre 30 milioni di americani credevano che i fondi monetari fossero sicuri, Lehman saltò".
BARACK OBAMA E GEORGE BUSH JPEG
Si aprì così una fase di profonda difficoltà per quei fondi. Come ha spiegato Buffett, c'erano oltre 3mila miliardi investiti nei prodotti di mercato monetario e 175 miliardi sparirono in deflussi soltanto nei tre giorni successivi al crac Lehman, poiché gli investitori persero la fiducia. "Ma tutti quei fondi - ha osservato Buffett - avevano in pancia anche commercial paper", vale a dire quegli strumenti a breve termine che servono per finanziarsi a imprese, banche e finanziarie. "Società come General Electric avevano tantissimi commercial paper", motivo per cui "l'industria americana letteralmente si fermò".
SPECIALE LUGLIO I PERSONAGGI PI RAPPRESENTATIVI DEGLI USA WARREN BUFFETT
Ed ecco l'endorsement a Bush junior, che a parere dell'oracolo di Omaha pronunciò "la più grande frase economica di tutti i tempi", ossia "se non verrà reso disponibile denaro (all'economia, ndr), tutto collasserà". Per il guru finanziario, l'ex presidente degli Stati Uniti fece bene a sostenere le posizioni dell'ex segretario al Tesoro Usa Henry Paulson e del numero uno della Federal Reserve Ben Bernanke, che iniettarono liquidità per fare ripartire l'economia. Il motivo è che le società "contavano sul mercato dei commercial paper" quando "nel settembre del 2008 ci siamo avvicinati all'abisso". "Se Paulson e Bernanke non fossero intervenuti - ha proseguito Buffett - ancora due giorni e tutto sarebbe finito".
WARREN BUFFETT
In tale contesto, la finanziaria di Buffett, la Berkshire Hathaway, "aveva 20 miliardi o più di liquidità". "Sembra da pazzi - ha concluso Buffett nel suo discorso agli strumenti dell'Mba - ma se nei prossimi 100 anni il mondo si dovesse fermare ancora, noi saremo pronti", perché allora "avere cash sarà come avere ossigeno".
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