Rita Di Giovacchino per “Il Fatto Quotidiano”
La richiesta di una rogatoria internazionale a carico di Steve Pieczenik era stata avanzata il 1 settembre scorso da Maria Fida Moro, dopo aver letto su Il Fatto l'intervista rilasciata dal consulente americano al giornalista Marco Dolcetta.
La figlia minore del presidente Dc si era mossa in qualità di persona offesa ma purtroppo, scrive il pg Ciampoli nelle sue cento pagine, la missione del pm romano Luca Palamara può considerarsi fallita per la reticenza manifestata dal consulente americano che si è schermato dietro dichiarazioni generiche e arroganti. In alternativa, è stato interrogato Dolcetta e acquisita la registrazione dell'intervista nella quale Pieczenik confermava la presenza del Sismi in via Fani.
L'atteggiamento dell' “americano” spedito in tutta fretta a Roma il 29 marzo 1978 dal Dipartimento Usa non deve stupire. Le sue numerose dichiarazioni, interviste, interventi pubblici hanno sempre dato l'impressione che parlasse molto al solo scopo di celare l'effettivo ruolo da lui svolto nei 55 giorni. Resta intatto il mistero della sua missione, sollecitata dal ministro dell'Interno Cossiga che chiese aiuto all’America temendo che la situazione potesse sfuggirgli di mano.
Così, per non dare troppo nell’occhio, il Dipartimento inviò appunto Pieczenik, uno psichiatra dai comportamenti stravaganti, dietro i quali si nascondeva un personaggio di primo piano in grado di assolvere a un ruolo importante negli accordi di Camp David.
Pieczenik aveva avuto direttive precise, ma non è detto che siano quelle che ha raccontato. In un libro, scritto con l'aiuto del giornalista francese i Emanuèl Amara (Abbiamo ucciso Aldo Moro) afferma ad esempio che il suo obiettivo era “guadagnare tempo, mantenere in vita Moro il più a lungo possibile, per consentire a Cossiga di riprendere il controllo dei suoi servizi di sicurezza…”. Dunque l'uomo poi divenuto Capo di Stato, cui è stata attribuita una certa contiguità con gli ambienti Gladio, in quel frangente non controllava gli apparati.
“Allo stesso tempo era auspicabile che la famiglia Moro non avviasse una trattativa parallela con il rischio che Moro fosse liberato prima del dovuto… mi resi conto che portando la mia strategia alle estreme conseguenze… avrei sacrificato l’ostaggio per la stabilità dell’Italia”.
Fu lui, o almeno lo rivendica, a creare il falso comunicato n. 7, in cui si annunciava l'avvenuta esecuzione sul Lago della Duchessa, con il duplice obiettivo di “spingere le Brigate Rosse a uccidere Moro al fine di delegittimarle”. Due piccioni con una fava.
Un esito la missione di Palamara lo ha comunque ottenuto: Obama ha aperto un procedimento nei confronti di Pieczenik per il suo rifiuto di negoziare provocando la morte di un uomo di Stato straniero, iniziativa un po' tardiva cui dovrebbe far seguito quella italiana. I comitati di crisi erano tre e Pieczenik rientrava in quello degli esperti, di cui faceva parte anche Ferracuti, il superperito che teorizzò che Moro fosse vittima della crisi di Stoccolma.
Dalla cento pagine emerge anche che nel covo di via Montenevoso sarebbero stati rin venuti gli elenchi dei 622 appartenenti a Gladio, fu questo forse a spingere Andreotti a renderlo pubblico. Dice il vicepresidente Gero Grassi: “Il nostro obiettivo è recuperare anche l'altro elenco, quello dei 650 gladiatori “respinti” in realtà utilizzati nelle operazioni sporche”.
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