domenica 3 dicembre 2017

AGNELLI, “UN MILIARDO NASCOSTO ALL’ESTERO”



 tesoro segreto di Gianni Agnelli esiste ed è ben nascosto all’estero. È un malloppo di almeno un miliardo di euro, forse più. Difficile scoprirlo e quantificarlo, perché schermato da fiduciari e prestanome e protetto in paradisi societari che rispondono picche alle rogatorie dei magistrati italiani. Eppure le tracce sono inequivocabili. Lo sostengono i pm di Milano Eugenio Fusco e Gaetano Ruta, in una richiesta d’archiviazione che chiude una vicenda giudiziaria lunga e complicata messa in moto dalla figlia dell’Avvocato, Margherita Agnelli, ma apre uno squarcio sul tesoro e sui suoi custodi eccellenti.
Tutto era nato dopo la morte di Gianni Agnelli. Margherita Agnelli de Pahlen sostiene che l’accordo di ripartizione dell’eredità, sottoscritto dalla famiglia nel 2004, nasconde un imbroglio: non considera una parte del patrimonio, nascosta all’estero. Avvia dunque una causa contro i gestori dei beni del padre: Franzo Grande Stevens, Gianluigi Gabetti e Siegfrid Maron, tutti uomini di fiducia della madre, Marella Caracciolo. Ne nasce una grande Dynasty all’italiana. Margherita contro suo figlio, il presidente della Fiat John Elkann, e tutto il resto della famiglia. Un processo civile a Torino, uno penale a Milano. Una storia contorta: a Milano, l’avvocato Emanuele Gamna, già difensore di Margherita, dichiara ai magistrati di avere ricevuto pressioni dalla sua ex cliente e dal suo nuovo legale, Charles Poncet, affinché restituisse parte della parcella ricevuta, 15 milioni di euro. Margherita minacciava di denunciarlo per evasione fiscale, se non gli avesse restituito una fetta dei suoi soldi: sosteneva infatti che l’avvocato aveva fatto il doppio gioco e si era accordato con i suoi avversari. La denuncia di Gamna provoca l’iscrizione di Margherita e di Poncet tra gli indagati. Ma fa partire anche le indagini per verificare se sia vero quanto sostiene la figlia di Agnelli.
Ora Fusco e Ruta chiudono l’inchiesta. Chiedono al gip di archiviare le accuse a Margherita e al suo legale (tentata estorsione) e a Gamna (falso in scrittura privata). Ma mettono nero su bianco che il tesoro di Agnelli esiste: è “verosimile l’esistenza di un patrimonio immenso in capo al defunto Giovanni Agnelli, le cui dimensioni e la cui dislocazione territoriale non sono mai stati compiutamente definiti”. Per questo, “l’iniziativa giudiziaria promossa da Margherita Agnelli non può essere liquidata come una pretesa avventata”, né “possono escludersi, in linea teorica, accordi tra le persone coinvolte per marginalizzare Margherita Agnelli sul piano economico”. Dov’è, però, il tesoro? Quanto è grande? Le domande rimangono senza risposte compiute, perché le indagini sono state bloccate sia in Liechtenstein sia in Svizzera dalla “mancata collaborazione delle autorità locali”. Eppure qualche frammento di verità emerge: società offshore, finanziarie, un conto segreto in terra elvetica. Ne parla un testimone, Paolo Revelli, ex managing director di Morgan Stanley. “Questi ha affermato”, scrivono Fusco e Ruta, “di avere sempre saputo che presso la filiale di Zurigo esisteva una provvista direttamente riferibile all’avvocato Giovanni Agnelli per una cifra compresa fra gli 800 e il miliardo di euro, fiduciariamente intestata e detenuta attraverso molteplici conti da Siegfrid Maron”, uno dei consulenti personali dell’avvocato per la gestione del patrimonio. A Vaduz, in Liechtenstein, secondo i pm sono domiciliate invece fondazioni, trust e anstalt riconducibili a Gianni Agnelli. La fondazione Alkyone, per esempio, che faceva riferimento a “protectors” eccellenti come Gabetti, Grande Stevens e Maron. Erano dell’Avvocato anche tre moli (il 25, il 26 e il 27) del porto francese di Beaulieu, in Costa Azzurra, usati da Gianni Agnelli fin dagli anni Settanta. Uno è della Triaria Investments di Jersey, intestataria anche di uno dei conti correnti di Maron presso la Morgan Stanley di Zurigo. Gli altri due sono riconducibili alla Delphburn Limited (Isola di Man) e Celestina Company Limited (Jersey). Ma erano dell’Avvocato, secondo le testimonianze dei figli di Achille Boroli, l’imprenditore che nel 2004 li aveva rilevati.


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