mercoledì 11 aprile 2012

LE LOGGE MASSONICHE ANGLO-AMERICANE NON VOGLIONO PIÙ BENE AL TEDESCO MONTI? - 2- DOPO “FINANCIAL TIMES”, ‘’WALL STREET JOURNAL” LO BASTONA PER DUE GIORNI DI SEGUITO CON LO STESSO EDITORIALE SULL'ART 18, E OPLA’ LA RASSEGNA STAMPA ONLINE SPARISCE DAL SITO DEL GOVERNO: “RICHIESTA DEGLI EDITORI PER IL RISPETTO DEL DIRITTO D’AUTORE”. MA I MINISTERI CONTINUANO A PUBBLICARLA TRANQUILLAMENTE - 3- IL TAGLIO ARRIVA A POCHI GIORNI DAL GIALLO DELLE LODI FANTASMA DI OBAMA A MONTI E L’ARTICOLO DEL “FATTO” NON SEGNALATO SULLA RASSEGNA STAMPA DI GOVERNO.IT - 4- SUL CORRIERE IL DUO ALESINA-GIAVAZZI TORNA A SBRANARE MONTI: IL GOVERNO SI È ARENATO, L’ECONOMIA CONTINUA A RALLENTARE, LO SPREAD RISALE, MA MISURE PER LA CRESCITA NON CI SONO: L’UNICA CERTEZZA È L’AUMENTO DELLE TASSE (IVA DAL 21 AL 23%) -

MONTI INCROCIA LE PENNE CON IL WALL STREET JOURNAL. E LA RASSEGNA STAMPA SPARISCE DAL SITO DEL GOVERNO (SU RICHIESTA DEGLI EDITORI) Filippo Sensi per "Europa Quotidiano" Va bene che repetita iuvant, ma il copione stavolta è talmente lo stesso che pare quel film sul giorno della marmotta, dove il tempo scorreva in loop nella amena cittadina americana di Punxsutawney.
Con Mario Monti, però, nella parte di Bill Murray a rivivere quotidianamente l'editoriale del Wall Street Journal sull'articolo 18, come fosse quella I got You, Babe di Sonny & Cher che lo svegliava inesorabile sempre alle 6 in punto. Così, quando ieri il quotidiano finanziario è tornato a bacchettare il premier per essersi «arreso» sulla riforma del lavoro «davanti a coloro che stanno conducendo il paese» verso un «abisso stile Grecia», la sensazione, fortissima, del déjà vu deve avere afferrato Palazzo Chigi. Che già sabato scorso aveva mandato una cortese letterina di precisazione di Monti, tanto sulla iniziale apertura di credito del giornale che lo aveva paragonato alla Thatcher, quanto sulla successiva bocciatura per le aperture sull'articolo 18 che al Wall Street Journal proprio non vanno giù. Il fatto è che sempre dello stesso editoriale si tratta, pubblicato venerdì scorso e ripubblicato ieri, nella edizione europea del quotidiano. Un bis in idem che, vista la giornata disastrosa dello spread e delle borse, all'inizio sembrava metterci il carico da dieci, per poi srotolarsi in un evanescente circolo vizioso. Per il quale lo staff del premier ha pensato bene di rinviare nuovamente alla precisazione di cui sopra, tanto per restare nel loop, appunto. BARACK OBAMA Margaret Thatcher È vero che il vincolo esterno è tornato a farsi sentire, eccome; vuoi come pressione di mercati e poteri forti che condizionano le chances della nostra ripresa, vuoi come sponda per consentire al governo tecnico di ricordare agli stakeholder politici che la tempesta non si è affatto placata ragion per cui chi pensasse di staccare adesso la spina sarebbe un pazzo suicida. Risiamo punto e daccapo, insomma. Nella ruota della marmotta. Con un aiutino, però, chissà quanto intenzionale. Da ieri, infatti, la rassegna stampa di Palazzo Chigi è sparita dal sito del governo.
Ufficialmente su «specifica richiesta avanzata dalle associazioni degli editori nel rispetto del diritto d'autore» (d'ora in poi sarà disponibile solo sulla rete Intranet ai dipendenti della presidenza del consiglio). Magari, però, come qualche maligno potrebbe pensare, dopo il pasticcio sugli elogi attribuiti a Barack Obama a proposito del premier italiano e un articolo misteriosamente saltato dalla rassegna stampa dell'esecutivo, per darci un taglio con queste critiche, chissà quanto interessate, che sono tornate a piovere da fuori. Illazioni senza fondamento, figurarsi. Tanto domani, rassegnati o meno, la sveglia a Palazzo Chigi sarà puntata comunque alle sei, sul fuso di Punxsutawney. 2- RASSEGNE ONLINE: NEI SITI DEI MINISTERI RIMANGONO VISIBILI, SOLO GOVERNO.IT L'HA CASSATA L'avranno anche chiesto gli editori, ma al momento l'unico che si è adeguato al divieto di accesso pubblico per le rassegne stampa online sembra essere il sito di Palazzo Chigi. A differenza di "governo.it", nei siti di gran parte dei ministeri le rassegne stampa rimangono visibili a tutti gli utenti. Basta navigare sui portali dell'Interno (http://www.interno.it/mininterno/site/it/sezioni/sala_stampa/rassegna_stampa/), Difesa (http://www.difesa.it/Sala_Stampa/rassegna_stampa_online/Pagine/giorno.aspx?d=11/04/2012), Esteri (http://stampanazionale.esteri.it/), Infrastrutture (http://195.45.104.212/datastampa/List.aspx?Date=Today)... Il ministero dell'Economia aveva provveduto da alcuni mesi a rendere visibile la rassegna solo alla intranet interna, mentre i siti di Camera e Senato continuano a pubblicarla regolarmente. 3- SUL CORRIERE IL DUO ALESINA-GIAVAZZI TORNA A SBRANARE MONTI Alberto Alesina e Francesco Giavazzi per il "Corriere della Sera" FINANCIAL TIMES MARIO MONTI ED ELISABETTA BETTY OLIVI Il quarto trimestre del 2011 è stato molto negativo per l'economia italiana: il reddito si è contratto dello 0,7% rispetto al trimestre precedente. In un anno la spesa delle famiglie è scesa di oltre un punto, gli investimenti delle aziende di oltre 3. È assai probabile che il primo trimestre del 2012 sia andato ancor peggio. Lo sapremo fra circa un mese, ma non è il caso di farsi illusioni. E bisogna agire d'anticipo anche perché, dopo qualche mese di calma, il costo del debito ha ricominciato a salire: dal 4,8 di un mese fa al 5,6 di ieri per i Btp decennali. Se la crescita continuasse a essere in rosso è quasi certo che mancheremo l'obiettivo di ridurre il rapporto tra deficit e Prodotto interno lordo (Pil), dato che il denominatore, il Pil appunto, scenderà. Come è successo con la Spagna, l'Unione Europea ci chiederà di fare qualcosa per riavvicinarci agli obiettivi di bilancio per il 2012 e 2013. A quel punto, come reagirà il governo Monti? La risposta più semplice è anche quella sbagliata: non far nulla. Dal primo ottobre aumenteranno le due aliquote principali dell'Iva, rispettivamente dal 10 al 12 per cento e dal 21 al 23. Gli aumenti avverranno in modo automatico, per effetto di un provvedimento varato a suo tempo dal ministro Tremonti, che questo governo non ha cancellato. Questa soluzione colpirebbe ulteriormente famiglie e imprese che già soffrono, non solo per il peso fiscale, ma anche per l'incertezza sul futuro delle aliquote. Quanto dovremo pagare per l'Imu? Ancora non si sa, e anche questo non aiuta a pianificare consumi e investimenti, sia italiani sia esteri. alberto alesina Un'alternativa sarebbe stata dare un impulso alla crescita, cosa non facile, ce ne rendiamo conto, ma che purtroppo non è accaduta. La riforma del mercato del lavoro, così come concepita originariamente, andava nella direzione giusta. Ma ha perso efficacia prima ancora di approdare in Parlamento (ad esempio, non si applica ai lavoratori pubblici) e probabilmente ne uscirà (se uscirà) ulteriormente annacquata, come è accaduto ai provvedimenti sulle liberalizzazioni. Immaginatevi cosa sceglierà di fare un imprenditore estero che stesse valutando l'apertura di un'azienda in Italia sapendo che potrebbe essere non lui, ma un giudice a decidere in che modo gestire i suoi dipendenti. Francesco Giavazzi L'unica carta che rimane da giocare è quella della «spending review», l'analisi, una per una, delle spese delle amministrazioni pubbliche per decidere dove si può tagliare. È un lavoro che il governo Monti ha giustamente iniziato dal primo giorno, ma del quale non si vede ancora il risultato. Non c'è dubbio che la spending review sia un'idea migliore dei tagli lineari tentati dall'ex ministro Tremonti. Tagli uguali per tutti evitano di dover concertare con questo o quel ministro, con questa o quella categoria, con questa o quella lobby. Ma è un modo inefficiente e ottuso di ridurre la spesa, perché non distingue fra uscite inutili e spese necessarie. Il rischio, però, è che la spending review, addentrandosi nei meandri del bilancio, finisca per concludere che ogni spesa è necessaria perché c'è una lobby che la difende, come ad esempio i circa 30 miliardi di euro che ogni anno lo Stato paga a imprese pubbliche e private per i motivi più svariati. Se l'alternativa è non far nulla, meglio allora tagli lineari. Il tempo stringe. L'essenziale è che nelle prossime (poche) settimane il governo spieghi che cosa e come intende ridurre il peso dello Stato sull'economia. Tremonti Non ci sono scappatoie. Pensare che sia con la spesa pubblica (come suggeriva ieri il Financial Times) che si riprende a crescere è un errore grave. Il governo deve fare l'esatto contrario. Dare a consumatori e imprenditori un messaggio chiaro: le tasse non aumenteranno perché le spese scendono. Senza queste certezze, consumi e investimenti continueranno a rallentare. E il mondo a guardarci con rinnovata preoccupazione. by dagospia

IKEA “RIMONTA” L’ITALIA - GLI SVEDESI PREFERISCONO RIFORNIRSI IN ITALIA E SNOBBANO LA CINA: IL VENETO CONTA PER IL 38%, SEGUONO IL FRIULI CON IL 30% E LA LOMBARDIA CON IL 26% DELLE FORNITURE “MADE IN ITALY” (IL SUD NISBA?) - QUALITÀ MIGLIORE E PREZZI PIÙ BASSI PORTERANNO IL COLOSSO SVEDESE DELL’ARREDO A INVESTIRE OLTRE 1 MLD € - L’AD PETERSSON METTE IL DITO NELLA PIAGA: “L’ART.18 NON È UN PROBLEMA, MA I TEMPI INCERTI DELLA BUROCRAZIA E DELLA POLITICA”…

Filippo Santelli per "la Repubblica" ikea Non sarà la prima azienda, né l´ultima, a spostare la produzione dove più conviene. Ma è una delle poche a preferire l´Italia alla Cina, e non viceversa. Per questo le parole di Lars Petersson, amministratore delegato di Ikea nel nostro Paese, suonano inedite: «Di recente abbiamo individuato nuovi fornitori italiani che hanno preso il posto di partner asiatici», ha spiegato ieri. «Sanno produrre articoli di qualità migliore e a prezzi più bassi». Per poi ribadire in serata, ai microfoni di Radio24, che nel Paese il gruppo vuole investire ancora, nonostante alcuni ostacoli: «Non l´articolo 18, ma i tempi incerti della burocrazia e della politica». In Italia il colosso svedese già conclude l´8% dei suoi acquisti globali. Terzo fornitore mondiale, dietro a Cina e Polonia, e primo nel settore delle cucine. Una percentuale destinata a crescere dopo gli ultimi accordi, che coinvolgono produttori piemontesi. Manuex, azienda di Biella, è nata lo scorso anno e lavora solo per Ikea: «Facciamo cassetti», racconta l´amministratore delegato Giancarlo Formenti. «Al momento impieghiamo 100 persone, ma saranno 200 a fine anno, quando avremo avviato tutte le linee. A regime ci aspettiamo un fatturato di 40-50 milioni di euro». E in Piemonte sono altre due le intese annunciate dal colosso svedese: con un´azienda di Verbania per l´acquisto di rubinetti, e una di Novara per la fornitura di giocattoli. «Il mondo cambia», commenta Giancarlo Corò, professore di Economia all´Università Ca´ Foscari di Venezia, esperto di mercati globali. «La manodopera in Asia è diventata più costosa e il caro petrolio incide sui costi di trasporto: produrre in Cina non è più così conveniente». IKEA Lars Petersson Ma invita alla prudenza: «Non si può parlare di una tendenza generale. Per Ikea l´Europa è il primo mercato, questo pesa nella scelta». E la sua domanda di mobili si è incontrata con le difficoltà del settore in Italia: «L´alto di gamma ha subito molto la crisi», continua Corò, «così per molti subfornitori convertirsi alla grande distribuzione è stata l´unica strada per sopravvivere». Al momento sono 24 le aziende italiane che vendono a Ikea, per un indotto di circa 1 miliardo di euro e 2.500 posti di lavoro. «Questo da tempo fa del gruppo svedese il primo cliente della filiera italiana dell´arredo», si legge in una nota della società. Le prime tre regioni italiane in cui Ikea compra corrispondono ai maggiori distretti del settore: il Veneto conta per il 38%, seguono il Friuli con il 30% e la Lombardia con il 26%, nel complesso numeri più grandi che in Svezia o Germania. «Noi abbiamo iniziato nel 1997», racconta Luca Corazza, direttore commerciale della pordenonese Friulintagli. «Fatturiamo con Ikea 300 milioni di euro, tre quarti delle nostre entrate annuali. Realizziamo per loro camere, cucine e soggiorni». Il boom delle richieste dal 2004 in avanti: «Da allora cresciamo in media del 16% all´anno. Oggi lavorano per noi 1.100 persone». ikea La presenza crescente di Ikea in Italia si misura nel numero dei punti vendita. Saliti a 19 quest´anno e destinati a diventare 20 nel 2012, con l´apertura di un nuovo megastore vicino a Pescara. Per riempire quegli scaffali la società chiederà ancora di più ai suoi partner italiani, articolo 18 o no: «I contratti attuali non sono flessibili, ma noi cresciamo insieme alle persone con cui lavoriamo», ha concluso Lars Petersson. «Le aziende italiane hanno dimostrato di essere molto flessibili rispetto alle nostre richieste». by dagospia

martedì 10 aprile 2012

Così Bossi ha venduto simbolo della Lega a Silvio Berlusconi

osanna Sapori per avere denunciato la corruzione all'interno della Lega Nord ha pagato un prezzo molto salato. 53 anni, già consigliere comunale del Carroccio, membro del direttivo provinciale di Bergamo e celebre giornalista di Radio Padania vicinissima ai vertici del partito, dopo la denuncia è stata epurata. Ha lasciato sia la politica sia il giornalismo, e oggi gestisce una tabaccheria a Bergamo. L'accordo segreto - La Sapori fu la prima a parlare di un presunto accordo segreto tra Bossi e Berlusconi che sarebbe l'origine di tutti i problemi del Senatùr. "Nel '95-'96 ci fu il ribaltone. In quella fase Bossi e altri, tra cui Borghezio - spiega in un'intervista al Corriere della Sera - accusavano Berlusconi di mafia. Berlusconi allora presenta delle querele miliardarie contro, Bossi viene condannato in ambito civile. Per cui arriviano al 2000 con tutte queste querele che devono essere pagate con maxi risarcimenti, con i giornalisti della Padania che non prendono lo stipendio da mesi". Insomma, spiega la Sapori, "è la bancarotta, la sede di via Bellerio pignorata". Il Cav: "Tu mi cedi il simbolo" - E così succede che "Berlusconi dice: Ok, io per vincere ho bisogno di questo qua, non ci sono balle... perché nei sondaggi la Lega Nord era determinante (...). Siamo nel 2000. Le elezioni sono nel 2001, però Berlusconi i sondaggi li fa già dal 2000. In quel momento la Lega è indebitata, rischia di chiudere tutto... Berlusconi dice: ok, gli do i soldi, ritiro le querele - che erano già grossi soldi -, le congelo, però tu mi cedi il simbolo, cioè tu non ti puoi più presentare, se non sono io a dirti di sì, con questo simbolo. Lui non compra gli uomini, ma la titolarità del simbolo". "Si sono venduti" - In sostanza, conclude la Sapori, in base a quest'intesa "tu puoi fare un accordo politico che dice che noi ci presernteremo insieme, ma siccome io non mi fido di te, tu mi cedi la titolarità del simbolo, che era di Bossi, della moglie, di Leoni". La cessione, aggiunge, "è stata fatta da un notaio: me ne parlò anche l'amico Daniele Vimercati. Mi disse: Rosanna, si sono venduti". http://www.liberoquotidiano.it/news/976978/Così-Bossi-ha-venduto-simbolo-della-Lega-a-Silvio-Berlusconi.html

venerdì 30 marzo 2012

PENSAVATE FOSSE FINITA? - IL TRACOLLO IN BORSA, IL BALZO DI 50 PUNTI DI SPREAD IN DUE GIORNI, E ASTE BTP NON BRILLANTI SONO I SEGNALI CHE “AI MERCATI” NON BASTANO UN PAIO DI RITOCCHI SU PENSIONI E PANIFICI CHE APRONO LA DOMENICA - DALL’ITALIA, COME DA SPAGNA E GRECIA, VOGLIONO LACRIME E SANGUE, MICA LA CONCERTAZIONE SUL LAVORO - LOR SIGNORI HANNO CAPITO CHE I PARTITI, CON LO SPREAD IN CALO, AVEVANO RIALZATO LA TESTA - DRAGHI A QUESTO GIRO DEVE STARE FERMO. LA BCE SI È SPARATA 1000 MILIARDI DI PRESTITI, COMPRATO TONNELLATE DI BTP, E HA PROMESSO ALLA GERMANIA DI FINIRLA…

Carlo Cinelli per il "Corriere della Sera" Sì, certo, Standard & Poor's alimenta i timori sull'efficacia del piano di salvataggio greco, lasciando intendere che forse ci sarà bisogno di una terza puntata. E soltanto 48 ore fa Willem Buiter di Citi ha decretato che la Spagna sarà costretta a piegarsi a fine anno e chiedere aiuti (e sarebbe il quarto paese della periferia dell'euro). Ma le antenne sensibili delle borse del Vecchio Continente ieri sono tornate a vibrare sui timori che sia invece l'Italia di Mario Monti a poter tornare sotto attacco. E se i mercati danno segni di nervosismo scatta l'allerta a Francoforte, negli uffici della Banca centrale europea. MARIO MONTI Piazza Affari fanalino di coda dei listini europei e il differenziale di rendimento tra Btp e Bund tornato ad allargarsi di 50 punti in un paio di sedute hanno fatto ricordare in più di una sala operativa e certo anche nei desk dell'Eurotower i giorni terribili di novembre, quando l'attacco sembrava non dovesse mai finire. E anche le prime settimane del governo dei Professori, quando da Parigi a Washington ci si chiedeva come avrebbe fatto il nuovo governo di Roma a far tornare la fiducia e il premier francese Francois Fillon si interrogava sulle riforme annunciate da Monti, salvo scoprire dal diretto interessato che le nuove pensioni italiane erano già legge dello Stato, pienamente operative con appena tre ore di sciopero. Oggi nuove riforme sono all'esame del Parlamento, una per tutte la contestata e dibattuta riforma Fornero. E i mercati hanno dimostrato con una certa chiarezza l'intenzione di non essere disposti a tollerare oltremisura dubbi ed esitazioni sul «pacchetto lavoro». Perché? Monti non convince più? Le riforme o sono per decreto o non passano? Piano. MARIO DRAGHI ALLA BCE In una fase in cui la fresca profezia di Peter Oppenheimer di Goldman Sachs sul maxi rialzo dei listini europei è già accantonata e si cominciano a fare i conti sulla prossima tornata elettorale - entro fine maggio, oltre alle nostre amministrative, sono attesi i due turni per le presidenziali francesi, un voto in Grecia e il referendum irlandese sull'Europa - l'accumulo di scorte di prudenza sembra a molti sull'azionario la cosa migliore. standard & poor'sE però non è tutto. Il premio di rischio sui nostri titoli di Stato torna a crescere con lo spread a 340 punti base (e la distanza sull'equivalente Bonos-Bund resta sostanzialmente identica da una seduta all'altra) dopo due aste del Tesoro che hanno riscosso la fiducia degli investitori pur mostrando tutta la resistenza dei rendimenti. E l'asta Bot di mercoledì non ha spuntato tassi sotto l'1%, mentre ieri i Btp quinquennali, pur ottimamente accolti, hanno messo a segno rendimenti in calo di appena un centesimo (26 sul decennale). La strategia riflessiva di listini e investitori preoccupa chiaramente chi in Europa ha dovuto usare il bazooka per far tornare la fiducia, ma una volta sparati due formidabili colpi ora deve tener conto dello sfilacciamento complessivo della situazione. I mille miliardi con i quali Mario Draghi ha riaperto i mercati tra fine dicembre e fine febbraio non sono un assegno da spendere all'infinito. E se non fosse che l'Eurotower continua a reggere grazie al pragmatismo del suo presidente (per stare alle parole che Monti ha usato ieri al Nikkei) anche ai sussulti di quanti temono per l'eventuale violazione della stabilità monetaria tedesca (sempre Monti) verrebbe da dire che ora la Banca centrale stia per entrare in una fase più riflessiva. Il suo presidente è tornato a rassicurare nei giorni scorsi Berlino e la Bundesbank sulle pressioni inflazionistiche, poi ha ripetuto ancora una volta l'invito ai governi di Madrid e Roma ad approfittare delle «finestre di opportunità» per consolidare i bilanci, rilanciare l'occupazione e migliorare la competitività dei rispettivi sistemi industriali. francois fillon Il problema, per Roma, è che quella finestra è socchiusa: per far decollare la riforma del mercato del lavoro con un disegno di legge c'è davanti un percorso parlamentare accidentato. Davanti a una maggioranza che sostiene il governo impegnata in difficili equilibrismi, ha scritto Francesco Verderami, Monti potrebbe anche pensare a un colpo di fiducia. Nel senso della blindatura della riforma in Parlamento. ELSA FORNERO In questo caso la scelta di non tirare a campare sarebbe spiegata più ancora che dalla necessità di superare la fase di stallo di partiti che, come i mercati, avvertono l'avvicinarsi delle scadenze elettorali, dalle contromisure stesse di listini e investitori che in poche ore possono ricominciare a vendere Italia a piene mani. Se quello di ieri è stato un avviso, era ben calibrato. by dagospia

mercoledì 28 marzo 2012

AGENTE (MOLTO) SEGRETO - CHI HA DECIMATO AL-QAEDA NON HA NOME E COGNOME, È CONOSCIUTO SOLO COME “ROGER”, ED È IL CAPO DEL TEMUTO ‘’COUNTERTERRORISM CENTER’’ DELLA CIA - MUSULMANO, HA DEDICATO LA SUA VITA A DISTRUGGERE IL TERRORISMO E CON OBAMA HA FATTO UN USO SPREGIUDICATO DEI DRONI PER SCONFIGGERE BIN LADEN - MA IL SUO PIÙ GRANDE FALLIMENTO è STATA LA STRAGE DI KHOST, IN AFGHANISTAN, DOVE MORIRONO 7 AGENTI SEGRETI, TRADITI DA UN KAMIKAZE...

Angelo Aquaro per "Repubblica" SALONE DELLA SEDE DELLA CIA A LANGLEY Il giorno che uccisero Bin Laden, l'uomo che ha distrutto Al Qaeda rimase chiuso nel suo ufficio a controllare che tutto andasse secondo i programmi. Poi, mentre vicino alla Sala Ovale della Casa Bianca, da Barack Obama in giù, tutti gli uomini del presidente si lasciarono andare allo storico entusiamo, "Roger" usci dal suo bugigattolo - lì negli uffici blindatissimi di Langley, Virginia - e tirò l'ennesima boccata dell'ennesima sigaretta: l'unico vizio che negli ultimi dieci anni dicono si sia mai permesso. Perché Roger è più che un asceta. Il capo del Counterterrorism Center della Cia - il mitico Ctc - è un devoto musulmano che alla distruzione degli integralisti islamici ha dedicato tutta la sua vita. La storia di Roger è il segreto più incredibile e meglio custodito di quindici anni di lotta al terrore d'America. Sì, il Ctc è la sezione più attiva e più temuta della Central Intelligence Agency. Ma i predecessori di Roger si conoscevano tutti per nome e cognome: da Cofer Black all'ultimo capo Robert Granier. Quando invece il Washington Post ha deciso di portare in prima pagina la sua, di storia, dall'agenzia oggi comandata dall'ex generale David Petraeus è arrivato il più severo altolà che un cronista americano si sia mai sentito dare negli ultimi tempi: niente nome, niente età, niente di niente. L'identità del capo del Ctc deve restare un mistero: anche se fino a poco tempo fa era il candidato al posto più alto della Cia. IL QUARTIER GENERALE CIA A LANGLEY Ma perché il ruolo di Roger è così misterioso e potente? Perché questo signore - che quando entrò in agenzia, nell'ormai lontano 1979, tutti consideravano svogliato e testardo, e oggi sembra quasi vendicarsi con sottoposti e collaboratori, sbraitando come un ossesso di fronte al minimo sbaglio - è l'uomo che ha pensato, lanciato e gestito l'operazione che ha sbaragliato la rete di Bin Laden: a colpi di droni. Roger è insomma il braccio di una mente chiamata Obama. E' stato il presidente, appena eletto, a pretendere dall'allora capo della Cia, Leon Panetta, di raddoppiare gli sforzi per prendere Osama e distruggere i terroristi: ma senza continuare lo stillicidio del sacrificio degli americani. E' stato Obama a intensificare gli attacchi con i droni telecomandati: meno rischi per i nostri e, certo, molti più rischi per le popolazioni. Panetta ha letteralmente raddoppiato gli attacchi: dai 53 strike del 2009 ai 117 del 2010. E oggi l'ex 007 è stato ricompensato con la poltrona del Pentagono. Ma il vero artefice della svolta è stato proprio Roger. Che alla testa del Ctc era arrivato dopo un girovagare nei posti più pericolosi per un'agente come lui: nel cuore dell'Africa, nel caos del Cairo. cia central intelligence agency Proprio in Africa ha incontrato la donna che sarebbe diventata sua moglie. E che, islamica, l'avrebbe convertito alla religione di Maometto. No, non fa un segreto almeno di questo, Roger, nell'ambiente, anche se i suoi uomini giurano di non aver mai visto un tappeto per le preghiere nel suo ufficio: dove campeggia invece un letto ribaltabile per le (troppe) volte in cui il capo non riesce a tornare a casa, la sera, dopo essere entrato all'alba. Ci vuole più che fegato per fare il lavoro di Roger: ci vuole soprattutto tanto pelo sullo stomaco. Perché la svolta della campagna dei droni si è avuta quando proprio lui ha deciso di passare alla fase due: andare giù e bombardare quando ancora non c'erano notizie abbastanza certe su "chi" era presente in quella particolare zona - però si sapeva con certezza che "qualcuno" c'era. OSAMA BIN LADEN Era o non era un assembramento di islamisti? Tanto bastava: i droni partivano e picchiavano giù duro. In fondo la battaglia contro Al Qaeda gli Usa l'hanno vinta così: dopo dieci anni e due lunghissime guerre. Nel gergo la scelta di Roger si chiama signature strikes: vuol dire che si attacca sulla sola base dei loro comportamenti. Col permesso, naturalmente, della Casa Bianca. Così è stato il Ctc di Roger ad aver inflitto ad Al Qaeda le perdite che hanno decimato la struttura di Bin Laden. Ma proprio al Ctc di Roger la stessa Al Qaeda ha inflitto però il colpo più grave mai realizzato contro la Cia. La strage di Khost: sette agenti morti nella loro stessa base in Afghanistan dopo aver fatto entrare un kamikaze che credevano confidente. l'interno del compound di Osama Bin Laden A Langley dicono che anche questo tragico record andrebbe registrato sotto il nome di Roger. Era stato lui a piazzare in quella base una sua amica fidata ma con poca esperienza sul campo, Jennifer Matthews, poi finita poveraccia tra le vittime. E dicono che proprio i metodi di Matthews e Roger abbiano alla fine causato quel disastro: la fretta di accumulare informazioni, l'uso spericolato dei confidenti per raccogliere dati sui posti da colpire con i droni. Barack Obama Sarà vero? O sono solo le invidie degli altri 007? Certo è che proprio quell'"incidente" ha fermato la straordinaria carriera del musulmano che faceva strage dei musulmani. E del resto: Osama, alla fine, non l'abbiamo spedito all'inferno? La Cia custodirà il segreto finché potrà: ma la scomodissima missione di Roger si può dire quasi finita. Giusto il tempo di un'ultima sigaretta. fonte : dagospia .it

STORIA DI UN'ITALIA POCO RACCONTATA (parte 3)

Rapporti USA – Italia – Libia in quegli anni Nel settembre - ottobre 78 una delegazione di uomini d’affari americani guidata da Billy Carter, fratello del Presidente USA in carica, si era recata per alcuni giorni in Libia su invito del Colonnello Gheddafi. La delegazione giungeva all’aeroporto di Fiumicino, proveniente da New York, accompagnata dal cittadino libico Shallouf Gibril. Il gruppo era composto oltre che da Billy Carter, da Randy Coleman, dal senatore Long J.C. Hudgins, Long Leonard, dal senatore Henry Russel, da certi Jordan e Leanza, e dalla signora Joan Kasper, e veniva ricevuto a Roma dal cittadino libico Zwei Salem (v. appunto S.I.S.MI del 27.09.78 trasmesso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 27.01.98). Scopo della visita era la stipula di accordi di natura commerciale. Nel febbraio del 79 Billy Carter ricambiò l’ospitalità di Gheddafi invitando una delegazione commerciale libica a Pleins in Georgia. Agli inizi del 1980 Billy Carter chiese e ricevette dai libici un prestito di 200.000 dollari. La vicenda, allorchè apparve sui media, provocò serio imbarazzo al Presidente Carter, in quanto si era a pochi mesi prima delle lezioni presidenziali. E’ bene però ricostruire l’intera successione dei fatti prendendo spunto dalla sentenza della Corte d’Assise di Roma nel procedimento penale cd “Supersismi”. Nel giugno 1980 i repubblicani americani per il tramite di Michel Ledeen, agente d’influenza americana in Italia chiesero al S.I.S.MI, con cui Ledeen era in contatto in qualità di consulente, aiuto al fine di scoprire le attività di Billy Carter in Libia. Il S.I.S.MI avrebbe rifiutato le richieste per ovvi motivi, ma il generale Santovito dava comunque incarico informale della questione a Francesco Pazienza; Pazienza con la collaborazione di Placido Magrì incaricò a sua volta il giornalista Giuseppe Settineri di contattare l’avvocato Michele Papa, amico della Libia, che aveva già avuto rapporti proprio con la delegazione che si era recata in Libia. Il giornalista incontrò l’avvocato Papa a Catania, si fece narrare la vicenda e registrò il colloquio. Le informazioni raccolte furono così trasmesse al generale Haig e a Ledeen, e messe a profitto in una campagna scandalistica contro Carter per favorire la vittoria di Reagan. Pazienza inquadra l’operazione tra quella della struttura “parallela” che egli stesso ha denunciato. Il S.I.S.MI ha sempre negato una partecipazione all’operazione, ma in vero questa non poteva avvenire senza l’impiego di uomini e mezzi del Servizio. Infatti l’apparecchio di registrazione usato da Settineri per registrare la conversazione con l’avvocato Papa fu fornito dal S.I.S.MI; i tecnici del Servizio provvidero ad eliminare i rumori di fondo della registrazione; Settineri ebbe l’incarico di acquistare a qualsiasi prezzo eventuali fotocopie di incontri tra Billy Carter ed esponenti arabi; il successo dell’operazione fu commentato negli uffici del S.I.S.MI da Pazienza, Artinghelli e Musumeci. Quest’ultimo ebbe a dire ad Artinghelli, ancorchè che in tono scherzoso, che “quella era una operazione del Servizio”. Conferma dell’operazione giungeva da persona da sempre ben al corrente delle segrete cose del nostro Paese, cioè il prefetto Federico Umberto D’Amato: “Vengo all’autunno 1980, quando Pazienza mi porta un certo Mike Ledeen, che conosceva già bene da molti anni. E’ un giornalista - forse è noto alla Commissione - che si è sempre occupato di questioni italiane (parla molto bene l’italiano), soprattutto dei problemi del terrorismo e della sovversione, con una certa competenza, anche se con un’ottica particolare. Ledeen era stato addirittura collaboratore dei Servizi italiani, perché aveva tenuto, insieme a due ex elementi della CIA, dei corsi dopo il caso Moro. Egli era un uomo che puntava disperatamente alla vittoria di Reagan, ed era in Italia per cercare di combinare, come si dice alla napoletana, un “piattino” a Carter con la storia del fratello Billy. Insieme a Ledeen e Pazienza andammo a pranzo un sera. Ledeen mi disse che stava mettendo su una campagna contro il fratello di Carter, che, a suo dire, era un corrotto, un dissoluto, lavorava con i libici, aveva regalato brillanti alla signora Carter e altre storie di questo genere. Riuscirono a montare un caso abbastanza interessante attraverso un contatto che crearono con un certo avvocato Papa di Catania, un uomo di Gheddafi. Fecero parlare questo Michele Papa con un giornalista che era andato lì con un microfono e gli fecero dire cose compromettenti. In seguito il Ledeen su una catena di giornali molto importanti (l’americano Washington Post credo collegato anche a “L’Express” francese e a qualche altro giornale) scatenò questi articoli qualche giorno prima delle elezioni presidenziali. Anche di tutto questo io resi edotto il Capo della Polizia ed il Ministro perché mi sembrava un fatto interessante, tenuto conto che avveniva sul territorio italiano. Debbo dire però, per obiettività che nella cosa non fu coinvolto, per ciò che mi risulta, il Servizio italiano; cioè non è che Pazienza, con l’occasione, si rivolse a Santovito per farsi aiutare in questa faccenda che aveva messo su, tanto è vero che chiesero consiglio a me circa il modo di accostare qualche dipendente dell’albergo Hilton, dove il Carter aveva alloggiato, per riuscire a raccogliere degli elementi. Quando vinse Reagan, il Pazienza andò in grande euforia insieme a Ledeen, il quale allora stava quasi sempre a Roma. E a questo punto credo che vada messo in evidenza un momento forse non conosciuto della storia dei rapporti tra l’Italia e Stati Uniti; un momento di vuoto di rapporti fra l’America di Reagan, appena eletto, e l’Italia. E questo perché l’Ambasciatore Gardner era molto inviso al nuovo Presidente, il quale, praticamente tagliò subito i rapporti con lui e gli fece sapere che se ne doveva andare, tanto che non si attese nemmeno che venisse il nuovo Ambasciatore Raab per liquidarlo (come forse si ricorderà, nel mese di gennaio Gardner fu cacciato via). Di conseguenza che cosa accadde? Come ripeto, si verificò un fenomeno abbastanza singolare del quale ho sempre riferito al mio Ministro e al Capo della polizia perché ero un osservatore abbastanza interessato: e cioè che in un certo senso, i rapporti tra la classe politica italiana, il Governo italiano e il nuovo gruppo che era andato al potere in America, erano tenuti da Pazienza e da Ledeen. L’Ambasciata americana non faceva nulla, erano tutti come bloccati; e anche la CIA: Montgomery, che era all’epoca il capostazione, fu sostituito immediatamente dopo. Quindi, vi fu un periodo di paralisi: era come se l’ambasciata americana non esistesse. Dico questo per spiegare ciò che avvenne; come è noto, ci furono dei viaggi organizzati, in un certo senso attraverso messaggi che erano stati inviati preventivamente da Ledeeen che era consigliere - o asseriva di essere tale, ma credo che lo fosse - di Haig e dallo stesso Pazienza, che aveva profonde conoscenze in quell’ambiente, cioè praticamente nell’ambiente repubblicano. E cosi avvennero questi viaggi”. (v. audizione Federico Umberto D’Amato alla Commissione P2, 29.10.82). L’avvocato Michele Papa e i suoi rapporti con i Libici. In ragione dei contatti intercorsi con l’ambiente libico è stata rivolta attenzione alla figura dell’avvocato Michele Papa di Catania, che è risultato effettivamente legato a quell’ambiente. Di particolare utilità per illuminare il ruolo del soggetto è l’analisi di due appunti, uno dei quali del 07.01.78, a firma del Capo di Gabinetto del Ministero dell’Interno, rinvenuto presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e acquisito agli atti del processo il 04.05.96, ad oggetto “Iniziative libiche per la penetrazione culturale in Sicilia”, e l’altro del 02.02.85 interno al S.I.S.MI e acquisito in data 03.02.97. Dalla relativa lettura emerge che il 18.03.74 per iniziativa dell’avvocato Filippo Jelo, all’epoca presidente dell’Ente Provinciale del Turismo, venne costituita nella città etnea l’Associazione Siculo-Araba (A.S.A.), a seguito di incontri avvenuti nel 73 tra lo stesso avvocato Jelo e due diplomatici libici, El Zaedi Habed Mohamed e El Zawi Ejhadi Mohamed, entrambi addetti presso l’ambasciata di Libia in Roma. Ufficialmente gli scopi statutari del sodalizio concernevano la promozione di ogni attività utile a rinsaldare i millenari vincoli che legavano il popolo arabo al popolo siciliano, l’incoraggiamento e lo stimolo di tutte le iniziative economiche e culturali, atte ad assicurare un comune processo evolutivo del popolo siciliano e arabo, a preservare, tutelare e valorizzare il patrimonio culturale e le vestigia, che testimoniavano la presenza della civiltà araba nell’Isola e la riconferma di un’attività mediterranea, che accomuna il popolo arabo a quello siciliano. La carica di presidente dell’Associazione venne assunta dallo stesso Jelo mentre quella di segretario generale venne affidata a Michele Papa, personaggio nella sfera d’influenza della Democrazia Cristiana, ma che in precedenza aveva militato nelle file dell’EVIS cioè l’“Esercito Volontario Indipendenza Siciliana” e successivamente come attivista nel “Movimento per l’Indipendenza della Sicilia”. Papa nei primi mesi del 76 subentrò alla presidenza al posto di Jelo. L’avvocato Papa, che già di fatto aveva abbandonato la professione, era considerato uomo molto attivo nella promozione di iniziative di vario genere, ma di modesto spessore. Tra le altre, volte a rafforzare i rapporti di amicizia ed incrementare lo scambio culturale, economico e commerciale tra la Sicilia e la Libia, in cui il Papa particolarmente s’adoprò, sono da ricordare la ricerca di lavoratori per la Libia, vicenda per la quale venne diffidato dal Ministero degli Esteri e successivamente, nel gennaio del 77, denunciato dal nucleo di CC. dello stesso Ministero ai sensi dell’art.5 della legge sull’emigrazione; la costituzione nella città etnea, il 30.05.74, di una camera del commercio siculo-araba; la costruzione nell’anno 1980, su un immobile di sua proprietà, della “moschea di Omar”, operazione che gli avrebbe fruttato un notevole guadagno; inoltre la promozione di un tentativo di riavvicinamento tra le posizione della Libia e quelle degli USA, e in particolare modo una attività di mediazione tra Billy Carter, fratello dell’ex Presidente americano, e il Governo libico. Per quest’ultima vicenda sarebbe stato addirittura sentito, nel 1981 a Catania, da una commissione del Senato statunitense. I contatti del Papa con il Governo libico nei primi mesi del 1984 si incrinarono senza particolari motivi apparenti, per poi rompersi definitivamente quando il 12 novembre le Autorità libiche gli comunicarono che non gli sarebbe stato più concesso il necessario visto d’ingresso. Il legale, escusso il 15.04.97, ha confermato a grandi linee le circostanze già note all’Ufficio, chiarendo in modo più particolareggiato alcune vicende, ed in particolare l’attività di intermediazione per una ripresa di contatti tra gli Stati Uniti e la Libia; riferendo che grazie all’interessamento di un italo-americano, tal Mario Leanza, residente ad Atlanta e mediatore di immobili, era riuscito ad entrare in rapporto con la famiglia Carter con l’intenzione di richiedere al fratello del Presidente, che sapeva produttore e commerciante di arachidi, se vi fossero possibilità per la conclusione di accordi commerciali con la Libia. Il Papa accompagnato dall’Ambasciatore libico Shallouf, incontrò Billy Carter ad Atlanta; le spese del viaggio, a dire del Papa, furono sostenute dallo Stato libico. Il Carter in quella circostanza accettò la proposta di intraprendere rapporti economici, poiché all’epoca era in una lobby di senatori e operatori economici desiderosi di “fare affari con la Libia”; pertanto si impegnò ad organizzare a breve scadenza una missione con una delegazione di politici ed industriali statunitensi nel Paese nord-africano, ricevendo in cambio assicurazioni che se si fosse giunti alla realizzazione del progetto, le autorità libiche avrebbero dovuto estinguere una sua precorsa ipoteca saldando il relativo debito. A seguito di tali impegni, una delegazione di circa venticinque persone , tra cui Billy Carter, sua madre e lo stesso Papa, si recò in Libia per essere ricevuta personalmente, a Tripoli, dal Colonnello Gheddafi. Alla delegazione, che ebbe contatti con diverse imprese pubbliche, furono offerti svariati doni, che scelsero presso la gioielleria dell’Hotel Hilton. Inoltre Billy Carter ricevette personalmente da Gheddafi la somma per estinguere l’ipoteca. La vicenda relativa all’attività di intermediazione del Papa venne trattata in altri termini dal S.I.S.MI. Infatti in un appunto redatto dal Servizio (allegato all’esame testimoniale reso dal Direttore del Servizio ammiraglio Battelli, GI il 06.02.97) ad oggetto “Dr. Francesco Pazienza”, si legge che quest’ultimo si era fatto introdurre dal noto Musumeci presso l’avvocato Papa Michele “personaggio notoriamente favorevole e vicino a Gheddafi”, per ottenere materiale e notizie da usare contro Billy Carter fratello dell’allora Presidente degli Stati Uniti. Successivamente, sempre secondo quanto riportato dall’appunto, il Pazienza e il Musumeci si erano vantati di essere stati gli autori occulti del cosiddetto “Billy - gate”, che non poco offuscò l’immagine del Presidente Americano. Sentito in merito, il Pazienza confermò quanto riportato nell’appunto del S.I.S.MI, aggiungendo che prima di lanciare l’operazione Billy-gate egli si era consultato con il Monsignor Achille Silvestrini, che aveva dato un tacito assenso all’operazione. Al momento del lancio dell’operazione venne assoldato Settineri Giuseppe, giornalista, conoscente dell’avvocato, “che fece parlare lungamente il Papa ... fornito di un microfono e un registratore ... . Lui dette tutte le conferme della grande amicizia che era nata tra il fratello del Presidente Carter e George Habbash, che era il Capo del FPLP”. La registrazione dell’intervista venne consegnata al S.I.S.MI e successivamente anche a un senatore americano repubblicano, giunto espressamente in Italia per la vicenda del coinvolgimento del fratello del Presidente in attività commerciali con la Libia. Il Settineri confermò le stesse circostanze con la precisazione che a consegnargli il registratore era stato tal Placido Magrì in un incontro avvenuto a Roma e che per il lavoro svolto aveva ottenuto dallo stesso un compenso di circa cinquecentomila lire più il rimborso spese (v. esame Settineri Giuseppe, GI 15.12.83). Inoltre il Pazienza espresse un’opinione personale sul Papa definendolo come un personaggio che “tentava” di ungere il più possibile i libici all’epoca con la storia della specie di moschea che aveva costruito ... ma che poi i libici non lo accreditarono di un’effettività come lui voleva effettivamente far credere”; inoltre il Pazienza riferì di non essere a conoscenza di presunti contatti del Papa con i Servizi italiani, mentre “sicuramente aveva dei rapporti con i Servizi libici in Italia”(v. interrogatorio Pazienza Francesco, GI 20.04.94). E’ da rilevare che il Papa nella sua unica deposizione ha riferito di non aver mai conosciuto nè il Pazienza, nè il generale Musumeci, nè tanto meno rappresentanti dei Servizi italiani. E’ emerso inoltre che il Papa, come si evince dalla documentazione sequestrata nel corso della perquisizione domiciliare effettuata dalla G. di F. di Catania, negli anni 1980/81, era rimasto coinvolto in un rapporto di intermediazione tra tale J.S.Fleming di Amherst (Massachusetts) e le autorità libiche in relazione alla vendita di otto aerei C130 fermi in Georgia, già acquistati dai libici bloccati per effetto dell’embargo decretato dai paesi occidentali. Richiesti chiarimenti al Papa, in sede di esame testimoniale, egli ha confermato sostanzialmente quanto rilevato dall’analisi delle carte sequestrate, precisando che l’affare non era andato in porto in quanto il leader libico aveva disposto di “lasciare gli aerei a marcire sotto il sole”, giacché prima o poi la vicenda sarebbe divenuta oggetto di contenzioso tra i due Stati interessati. In relazione all’esame della documentazione sequestratagli presso lo studio a Catania, (perquisizione e sequestro dell’11.11.96), è stato rilevato che sull’agenda appariva un appunto manoscritto del tenore “Avv. Aldo Davanzali ... società Sasar - Incop - Costruzioni - Itavia Spa”. Da accertamenti svolti, quest’ultima risultava essere una ditta commissionaria in Libia. Nel corso dell’esame testimoniale il Papa ricordava che proprio il Davanzali lo aveva contattato per riuscire a percepire somme di denaro dovutegli dal Governo libico a seguito del compimento di lavori stradali e opere pubbliche già ultimate, ma non ancora saldate. Egli si era adoperato mettendo in contatto l’avvocato Davanzali con il presidente della camera del commercio di Tripoli, tale Kirkia, impiegato anche presso la camera del commercio siculo-araba. Sempre nell’agenda sequestrata veniva inoltre rinvenuto un biglietto da visita intestato “Siai Marchetti Com. Francesco Sensi”. Il Papa ha spiegato di aver conosciuto Sensi durante un soggiorno nello stesso albergo in Libia. Inoltre ha ricordato che il comandante era incaricato dalla società dell’addestramento di piloti libici. Quanto all’annotazione manoscritta “Aerei libici con carburante ridotto per non fuggire” rinvenuta su un foglio contenuto nella cartella titolata “Memorie Libia Top Secret”, essa appare riconducibile alla lettera scritta dal Papa e pubblicata sul quotidiano “La Sicilia” il 17.02.91, sul viaggio che Gheddafi avrebbe dovuto intraprendere la sera del 27.06.80. A dire del Papa l’Executive che avrebbe dovuto trasportare il leader libico viaggiava sulla stessa tratta del DC9, ma con direzione sud-nord opposta al velivolo dell’Itavia. Sempre nello stesso articolo l’avvocato aveva trattato del MiG23 libico caduto in Italia, sostenendo che sicuramente era pilotato da un personaggio importante, in quanto solo in questi casi i serbatoi dell’aereo sarebbero stati completamente riforniti. In merito a questa vicenda il Papa ha confermato lo scritto, precisando che il velivolo Executive con a bordo Gheddafi era diretto verso un paese dell’Est, probabilmente la Romania; la destinazione era stata riferita direttamente dal leader nel corso di una conferenza stampa, che aveva avuto luogo dopo l’incidente di Ustica, e alla quale aveva partecipato, oltre a giornalisti italiani e stranieri presenti a Tripoli, egli stesso In relazione agli appunti sul carburante contenuto nel MiG23 libico, ha dichiarato di aver appreso quelle circostanze da amici libici “autorevoli ed a alto livello, tra cui ex Ministri”, di cui non ha rivelato i nomi allo scopo di garantirne la incolumità. A conclusione del quadro investigativo sul personaggio è stata anche analizzata la documentazione inviata dalla Procura di Palermo e inerente “Rapporti tra mafia e cosiddetta massoneria deviata”, acquisita presso il S.I.S.DE e la Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, da cui però non si sono rilevati elementi significativi per la posizione dell’avvocato catanese. E’ emerso soltanto, in un appunto presente nel fascicolo della DCPP intestato al nominato, che dopo il raffreddamento dei suoi rapporti con i rappresentanti delle autorità libiche, egli nell’84, aveva tentato il riavvicinamento ospitando la sera del 05.05.87, nei locali dell’associazione siculo-araba di Catania, esponenti del Governo libico, in occasione della cerimonia di costituzione del Congresso popolare per l’approfondimento della “Terza teoria universale di Gheddafi”. In un appunto del S.I.S.DE, redatto il 30.06.80, veniva evidenziato che il diradarsi dei rapporti tra il Papa ed ambienti libici doveva attribuirsi ad iniziative ritenute da questi ultimi poco ortodosse (come il reclutamento di manodopera italiana per la Libia) e a prese di posizione politiche autonome non condivise dai libici. Michela Ferrari Luca Prandini

Ustica, la denuncia choc: “L’incidente alle frecce tricolori fu un sabotaggio”

la denuncia choc: “L’incidente alle frecce tricolori fu un sabotaggio” Presentata una memoria ai giudici di Palermo per l'apertura di un fascicolo: "Nell'incidente in Germania morirono due piloti che quella sera stavano volando vicino al Dc9 dell'Itavia. E sarebbero stati due testimoni chiave per l'inchiesta di Priore" All’avvio a Palermo del processo di secondo grado per il risarcimento da parte dei ministeri della Difesa e dei Trasporti ai familiari delle vittime di Ustica, c’è un’altra storia che torna d’attualità. E’ quella che avvenne nelle prime ore della sera del 27 giugno 1980 quando due ufficiali dell’aeronautica erano in volo con un biposto TF104G nei cieli sopra il Tirreno. In missione d’addestramento, non erano lontani dalla rotta di un altro aereo, civile questa volta, il Dc9 dell’Itavia, che sarebbe stato abbattuto in un’azione di guerra mentre da Bologna viaggiava verso Palermo con un paio d’ore di ritardo. In base alla ricostruzione documentale si sa che quella sera i piloti miltari “squoccarono” 2 volte, cioè lanciarono un allarme, un “codice 73”, che esclude un problema al loro velivolo e segnala un altro tipo di emergenza. Ma di quale emergenza si trattasse non hanno mai potuto dirlo al giudice istruttore Rosario Priore che, indagando sulla strage di Ustica che provocò 81 vittime, li aveva convocati. I tenenti colonnelli Mario Naldini e Ivo Nutarelli, infatti, morirono qualche giorno prima. Era il 28 agosto 1988 e si stavano esibendo con le Frecce Tricolori a Ramstein, in Germania, quando una collisione in volo uccise loro due e un terzo ufficiale (il capitano Giorgio Alessio), oltre a mietere 68 vittime a terra. L’incidente di Ramstein sarebbe stato un sabotaggio? Che i due episodi, a 8 anni di distanza, fossero collegati in molti lo hanno sospettato a lungo. Ma oggi arriva un’indagine difensiva del pool di avvocati che assiste i familiari delle vittime di Ustica e che è stata ricostruita da Gianpiero Casagni sul mensile Il Sud. A parlarne è uno dei legali, Daniele Osnato, secondo il quale a provocare la sciagura tedesca fu un sabotaggio. L’ipotesi sarebbe suffragata da due elementi. Il primo riguarda il carrello d’atterraggio e il freno aerodinamico anteriore dell’Aermacchi Mb-339 che Naldini pilotava in Germania, entrambi aperti. Da un punto di vista tecnico, questo non sarebbe dovuto avvenire data la velocità, a meno di un malfunzionamento più esteso rispetto a quello già riscontrato di alcuni strumenti di bordo. In base alle risultanze, infatti, l’altimetro non gli avrebbe dato la possibilità di misurare la distanza dal jet al centro della formazione acrobatica. Il secondo elemento ritenuto anomalo riguarda invece la presunta scomparsa dei quattro “riscontri”, nome che nel linguaggio specialistico identifica i meccanismi d’acciaio che bloccano le taniche di carburante sulle ali degli aerei. Quest’ultimo punto sarebbe stato evidente fin dal giorno del disastro di Ramstein, ma venne denunciato solo anni dopo. Il processo d’appello sui maxi risarcimenti alle vittime. Ora la parola potrebbe passare alla magistratura. Intanto, però, l’attenzione si fissa sull’avvio dell’appello del processo civile che in primo grado ha riconosciuto un maxi risarcimento a chi perse uno dei propri familiari nella sciagura di Ustica. La terza sezione di Palermo, presieduta dal giudice Paola Proto Pisani, aveva infatti sentenziato lo scorso 12 settembre che i ministeri della Difesa e dei Trasporti si macchiarono di “omissioni e negligenze” e che, dopo la sciagura, operarono in modo tale per cui ai familiari delle vittime fosse negato il diritto alla verità. Più nello specifico è stato sancito in primo grado che la sicurezza del volo Itavia 870 non venne garantita soprattutto nella tratta che va sotto il nome di “Punto Condor” a causa di attività militari ufficiali e ufficiose che la rendevano ad alto rischio. Inoltre, negli anni successivi alla sciagura, i familiari delle vittime furono sottoposti a quella che gli atti chiamano la “tortura della goccia cinese”, uno stillicidio – hanno spiegato gli avvocati – di alterazioni di documenti, omissioni, segreti di Stato tali o presunti, menzogne. In altre parole depistaggi. Infine c’è un ultimo fronte aperto per quanto riguarda la vicenda di Ustica: la costituzione di un organismo d’indagine europeo che da un lato avvii un’inchiesta sovranazionale sui fatti di quasi 32 anni fa e dall’altro prema perché Francia, Belgio, Germania e Gran Bretagna rispondano alle rogatorie pendenti dopo l’avvio di una nuova indagine italiana nel 2007. E poi rimane la recente la questione libica con il rinvenimento alla fine dell’estate scorsa di documenti conservati dai servizi segreti di Tripoli. Documenti di cui ha dato notizia Peter Bouckaert, direttore del settore emergenze di Human Rights Watch, ma che ancora non hanno potuto essere visionati dalle autorità politiche e giudiziarie italiane. ANTONELLA BECCARIA-ILARIA GIUPPONI FONTE IL FATTOQUOTIDIANO .IT