mercoledì 28 marzo 2012

STORIA DI UN'ITALIA POCO RACCONTATA (parte 3)

Rapporti USA – Italia – Libia in quegli anni Nel settembre - ottobre 78 una delegazione di uomini d’affari americani guidata da Billy Carter, fratello del Presidente USA in carica, si era recata per alcuni giorni in Libia su invito del Colonnello Gheddafi. La delegazione giungeva all’aeroporto di Fiumicino, proveniente da New York, accompagnata dal cittadino libico Shallouf Gibril. Il gruppo era composto oltre che da Billy Carter, da Randy Coleman, dal senatore Long J.C. Hudgins, Long Leonard, dal senatore Henry Russel, da certi Jordan e Leanza, e dalla signora Joan Kasper, e veniva ricevuto a Roma dal cittadino libico Zwei Salem (v. appunto S.I.S.MI del 27.09.78 trasmesso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 27.01.98). Scopo della visita era la stipula di accordi di natura commerciale. Nel febbraio del 79 Billy Carter ricambiò l’ospitalità di Gheddafi invitando una delegazione commerciale libica a Pleins in Georgia. Agli inizi del 1980 Billy Carter chiese e ricevette dai libici un prestito di 200.000 dollari. La vicenda, allorchè apparve sui media, provocò serio imbarazzo al Presidente Carter, in quanto si era a pochi mesi prima delle lezioni presidenziali. E’ bene però ricostruire l’intera successione dei fatti prendendo spunto dalla sentenza della Corte d’Assise di Roma nel procedimento penale cd “Supersismi”. Nel giugno 1980 i repubblicani americani per il tramite di Michel Ledeen, agente d’influenza americana in Italia chiesero al S.I.S.MI, con cui Ledeen era in contatto in qualità di consulente, aiuto al fine di scoprire le attività di Billy Carter in Libia. Il S.I.S.MI avrebbe rifiutato le richieste per ovvi motivi, ma il generale Santovito dava comunque incarico informale della questione a Francesco Pazienza; Pazienza con la collaborazione di Placido Magrì incaricò a sua volta il giornalista Giuseppe Settineri di contattare l’avvocato Michele Papa, amico della Libia, che aveva già avuto rapporti proprio con la delegazione che si era recata in Libia. Il giornalista incontrò l’avvocato Papa a Catania, si fece narrare la vicenda e registrò il colloquio. Le informazioni raccolte furono così trasmesse al generale Haig e a Ledeen, e messe a profitto in una campagna scandalistica contro Carter per favorire la vittoria di Reagan. Pazienza inquadra l’operazione tra quella della struttura “parallela” che egli stesso ha denunciato. Il S.I.S.MI ha sempre negato una partecipazione all’operazione, ma in vero questa non poteva avvenire senza l’impiego di uomini e mezzi del Servizio. Infatti l’apparecchio di registrazione usato da Settineri per registrare la conversazione con l’avvocato Papa fu fornito dal S.I.S.MI; i tecnici del Servizio provvidero ad eliminare i rumori di fondo della registrazione; Settineri ebbe l’incarico di acquistare a qualsiasi prezzo eventuali fotocopie di incontri tra Billy Carter ed esponenti arabi; il successo dell’operazione fu commentato negli uffici del S.I.S.MI da Pazienza, Artinghelli e Musumeci. Quest’ultimo ebbe a dire ad Artinghelli, ancorchè che in tono scherzoso, che “quella era una operazione del Servizio”. Conferma dell’operazione giungeva da persona da sempre ben al corrente delle segrete cose del nostro Paese, cioè il prefetto Federico Umberto D’Amato: “Vengo all’autunno 1980, quando Pazienza mi porta un certo Mike Ledeen, che conosceva già bene da molti anni. E’ un giornalista - forse è noto alla Commissione - che si è sempre occupato di questioni italiane (parla molto bene l’italiano), soprattutto dei problemi del terrorismo e della sovversione, con una certa competenza, anche se con un’ottica particolare. Ledeen era stato addirittura collaboratore dei Servizi italiani, perché aveva tenuto, insieme a due ex elementi della CIA, dei corsi dopo il caso Moro. Egli era un uomo che puntava disperatamente alla vittoria di Reagan, ed era in Italia per cercare di combinare, come si dice alla napoletana, un “piattino” a Carter con la storia del fratello Billy. Insieme a Ledeen e Pazienza andammo a pranzo un sera. Ledeen mi disse che stava mettendo su una campagna contro il fratello di Carter, che, a suo dire, era un corrotto, un dissoluto, lavorava con i libici, aveva regalato brillanti alla signora Carter e altre storie di questo genere. Riuscirono a montare un caso abbastanza interessante attraverso un contatto che crearono con un certo avvocato Papa di Catania, un uomo di Gheddafi. Fecero parlare questo Michele Papa con un giornalista che era andato lì con un microfono e gli fecero dire cose compromettenti. In seguito il Ledeen su una catena di giornali molto importanti (l’americano Washington Post credo collegato anche a “L’Express” francese e a qualche altro giornale) scatenò questi articoli qualche giorno prima delle elezioni presidenziali. Anche di tutto questo io resi edotto il Capo della Polizia ed il Ministro perché mi sembrava un fatto interessante, tenuto conto che avveniva sul territorio italiano. Debbo dire però, per obiettività che nella cosa non fu coinvolto, per ciò che mi risulta, il Servizio italiano; cioè non è che Pazienza, con l’occasione, si rivolse a Santovito per farsi aiutare in questa faccenda che aveva messo su, tanto è vero che chiesero consiglio a me circa il modo di accostare qualche dipendente dell’albergo Hilton, dove il Carter aveva alloggiato, per riuscire a raccogliere degli elementi. Quando vinse Reagan, il Pazienza andò in grande euforia insieme a Ledeen, il quale allora stava quasi sempre a Roma. E a questo punto credo che vada messo in evidenza un momento forse non conosciuto della storia dei rapporti tra l’Italia e Stati Uniti; un momento di vuoto di rapporti fra l’America di Reagan, appena eletto, e l’Italia. E questo perché l’Ambasciatore Gardner era molto inviso al nuovo Presidente, il quale, praticamente tagliò subito i rapporti con lui e gli fece sapere che se ne doveva andare, tanto che non si attese nemmeno che venisse il nuovo Ambasciatore Raab per liquidarlo (come forse si ricorderà, nel mese di gennaio Gardner fu cacciato via). Di conseguenza che cosa accadde? Come ripeto, si verificò un fenomeno abbastanza singolare del quale ho sempre riferito al mio Ministro e al Capo della polizia perché ero un osservatore abbastanza interessato: e cioè che in un certo senso, i rapporti tra la classe politica italiana, il Governo italiano e il nuovo gruppo che era andato al potere in America, erano tenuti da Pazienza e da Ledeen. L’Ambasciata americana non faceva nulla, erano tutti come bloccati; e anche la CIA: Montgomery, che era all’epoca il capostazione, fu sostituito immediatamente dopo. Quindi, vi fu un periodo di paralisi: era come se l’ambasciata americana non esistesse. Dico questo per spiegare ciò che avvenne; come è noto, ci furono dei viaggi organizzati, in un certo senso attraverso messaggi che erano stati inviati preventivamente da Ledeeen che era consigliere - o asseriva di essere tale, ma credo che lo fosse - di Haig e dallo stesso Pazienza, che aveva profonde conoscenze in quell’ambiente, cioè praticamente nell’ambiente repubblicano. E cosi avvennero questi viaggi”. (v. audizione Federico Umberto D’Amato alla Commissione P2, 29.10.82). L’avvocato Michele Papa e i suoi rapporti con i Libici. In ragione dei contatti intercorsi con l’ambiente libico è stata rivolta attenzione alla figura dell’avvocato Michele Papa di Catania, che è risultato effettivamente legato a quell’ambiente. Di particolare utilità per illuminare il ruolo del soggetto è l’analisi di due appunti, uno dei quali del 07.01.78, a firma del Capo di Gabinetto del Ministero dell’Interno, rinvenuto presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e acquisito agli atti del processo il 04.05.96, ad oggetto “Iniziative libiche per la penetrazione culturale in Sicilia”, e l’altro del 02.02.85 interno al S.I.S.MI e acquisito in data 03.02.97. Dalla relativa lettura emerge che il 18.03.74 per iniziativa dell’avvocato Filippo Jelo, all’epoca presidente dell’Ente Provinciale del Turismo, venne costituita nella città etnea l’Associazione Siculo-Araba (A.S.A.), a seguito di incontri avvenuti nel 73 tra lo stesso avvocato Jelo e due diplomatici libici, El Zaedi Habed Mohamed e El Zawi Ejhadi Mohamed, entrambi addetti presso l’ambasciata di Libia in Roma. Ufficialmente gli scopi statutari del sodalizio concernevano la promozione di ogni attività utile a rinsaldare i millenari vincoli che legavano il popolo arabo al popolo siciliano, l’incoraggiamento e lo stimolo di tutte le iniziative economiche e culturali, atte ad assicurare un comune processo evolutivo del popolo siciliano e arabo, a preservare, tutelare e valorizzare il patrimonio culturale e le vestigia, che testimoniavano la presenza della civiltà araba nell’Isola e la riconferma di un’attività mediterranea, che accomuna il popolo arabo a quello siciliano. La carica di presidente dell’Associazione venne assunta dallo stesso Jelo mentre quella di segretario generale venne affidata a Michele Papa, personaggio nella sfera d’influenza della Democrazia Cristiana, ma che in precedenza aveva militato nelle file dell’EVIS cioè l’“Esercito Volontario Indipendenza Siciliana” e successivamente come attivista nel “Movimento per l’Indipendenza della Sicilia”. Papa nei primi mesi del 76 subentrò alla presidenza al posto di Jelo. L’avvocato Papa, che già di fatto aveva abbandonato la professione, era considerato uomo molto attivo nella promozione di iniziative di vario genere, ma di modesto spessore. Tra le altre, volte a rafforzare i rapporti di amicizia ed incrementare lo scambio culturale, economico e commerciale tra la Sicilia e la Libia, in cui il Papa particolarmente s’adoprò, sono da ricordare la ricerca di lavoratori per la Libia, vicenda per la quale venne diffidato dal Ministero degli Esteri e successivamente, nel gennaio del 77, denunciato dal nucleo di CC. dello stesso Ministero ai sensi dell’art.5 della legge sull’emigrazione; la costituzione nella città etnea, il 30.05.74, di una camera del commercio siculo-araba; la costruzione nell’anno 1980, su un immobile di sua proprietà, della “moschea di Omar”, operazione che gli avrebbe fruttato un notevole guadagno; inoltre la promozione di un tentativo di riavvicinamento tra le posizione della Libia e quelle degli USA, e in particolare modo una attività di mediazione tra Billy Carter, fratello dell’ex Presidente americano, e il Governo libico. Per quest’ultima vicenda sarebbe stato addirittura sentito, nel 1981 a Catania, da una commissione del Senato statunitense. I contatti del Papa con il Governo libico nei primi mesi del 1984 si incrinarono senza particolari motivi apparenti, per poi rompersi definitivamente quando il 12 novembre le Autorità libiche gli comunicarono che non gli sarebbe stato più concesso il necessario visto d’ingresso. Il legale, escusso il 15.04.97, ha confermato a grandi linee le circostanze già note all’Ufficio, chiarendo in modo più particolareggiato alcune vicende, ed in particolare l’attività di intermediazione per una ripresa di contatti tra gli Stati Uniti e la Libia; riferendo che grazie all’interessamento di un italo-americano, tal Mario Leanza, residente ad Atlanta e mediatore di immobili, era riuscito ad entrare in rapporto con la famiglia Carter con l’intenzione di richiedere al fratello del Presidente, che sapeva produttore e commerciante di arachidi, se vi fossero possibilità per la conclusione di accordi commerciali con la Libia. Il Papa accompagnato dall’Ambasciatore libico Shallouf, incontrò Billy Carter ad Atlanta; le spese del viaggio, a dire del Papa, furono sostenute dallo Stato libico. Il Carter in quella circostanza accettò la proposta di intraprendere rapporti economici, poiché all’epoca era in una lobby di senatori e operatori economici desiderosi di “fare affari con la Libia”; pertanto si impegnò ad organizzare a breve scadenza una missione con una delegazione di politici ed industriali statunitensi nel Paese nord-africano, ricevendo in cambio assicurazioni che se si fosse giunti alla realizzazione del progetto, le autorità libiche avrebbero dovuto estinguere una sua precorsa ipoteca saldando il relativo debito. A seguito di tali impegni, una delegazione di circa venticinque persone , tra cui Billy Carter, sua madre e lo stesso Papa, si recò in Libia per essere ricevuta personalmente, a Tripoli, dal Colonnello Gheddafi. Alla delegazione, che ebbe contatti con diverse imprese pubbliche, furono offerti svariati doni, che scelsero presso la gioielleria dell’Hotel Hilton. Inoltre Billy Carter ricevette personalmente da Gheddafi la somma per estinguere l’ipoteca. La vicenda relativa all’attività di intermediazione del Papa venne trattata in altri termini dal S.I.S.MI. Infatti in un appunto redatto dal Servizio (allegato all’esame testimoniale reso dal Direttore del Servizio ammiraglio Battelli, GI il 06.02.97) ad oggetto “Dr. Francesco Pazienza”, si legge che quest’ultimo si era fatto introdurre dal noto Musumeci presso l’avvocato Papa Michele “personaggio notoriamente favorevole e vicino a Gheddafi”, per ottenere materiale e notizie da usare contro Billy Carter fratello dell’allora Presidente degli Stati Uniti. Successivamente, sempre secondo quanto riportato dall’appunto, il Pazienza e il Musumeci si erano vantati di essere stati gli autori occulti del cosiddetto “Billy - gate”, che non poco offuscò l’immagine del Presidente Americano. Sentito in merito, il Pazienza confermò quanto riportato nell’appunto del S.I.S.MI, aggiungendo che prima di lanciare l’operazione Billy-gate egli si era consultato con il Monsignor Achille Silvestrini, che aveva dato un tacito assenso all’operazione. Al momento del lancio dell’operazione venne assoldato Settineri Giuseppe, giornalista, conoscente dell’avvocato, “che fece parlare lungamente il Papa ... fornito di un microfono e un registratore ... . Lui dette tutte le conferme della grande amicizia che era nata tra il fratello del Presidente Carter e George Habbash, che era il Capo del FPLP”. La registrazione dell’intervista venne consegnata al S.I.S.MI e successivamente anche a un senatore americano repubblicano, giunto espressamente in Italia per la vicenda del coinvolgimento del fratello del Presidente in attività commerciali con la Libia. Il Settineri confermò le stesse circostanze con la precisazione che a consegnargli il registratore era stato tal Placido Magrì in un incontro avvenuto a Roma e che per il lavoro svolto aveva ottenuto dallo stesso un compenso di circa cinquecentomila lire più il rimborso spese (v. esame Settineri Giuseppe, GI 15.12.83). Inoltre il Pazienza espresse un’opinione personale sul Papa definendolo come un personaggio che “tentava” di ungere il più possibile i libici all’epoca con la storia della specie di moschea che aveva costruito ... ma che poi i libici non lo accreditarono di un’effettività come lui voleva effettivamente far credere”; inoltre il Pazienza riferì di non essere a conoscenza di presunti contatti del Papa con i Servizi italiani, mentre “sicuramente aveva dei rapporti con i Servizi libici in Italia”(v. interrogatorio Pazienza Francesco, GI 20.04.94). E’ da rilevare che il Papa nella sua unica deposizione ha riferito di non aver mai conosciuto nè il Pazienza, nè il generale Musumeci, nè tanto meno rappresentanti dei Servizi italiani. E’ emerso inoltre che il Papa, come si evince dalla documentazione sequestrata nel corso della perquisizione domiciliare effettuata dalla G. di F. di Catania, negli anni 1980/81, era rimasto coinvolto in un rapporto di intermediazione tra tale J.S.Fleming di Amherst (Massachusetts) e le autorità libiche in relazione alla vendita di otto aerei C130 fermi in Georgia, già acquistati dai libici bloccati per effetto dell’embargo decretato dai paesi occidentali. Richiesti chiarimenti al Papa, in sede di esame testimoniale, egli ha confermato sostanzialmente quanto rilevato dall’analisi delle carte sequestrate, precisando che l’affare non era andato in porto in quanto il leader libico aveva disposto di “lasciare gli aerei a marcire sotto il sole”, giacché prima o poi la vicenda sarebbe divenuta oggetto di contenzioso tra i due Stati interessati. In relazione all’esame della documentazione sequestratagli presso lo studio a Catania, (perquisizione e sequestro dell’11.11.96), è stato rilevato che sull’agenda appariva un appunto manoscritto del tenore “Avv. Aldo Davanzali ... società Sasar - Incop - Costruzioni - Itavia Spa”. Da accertamenti svolti, quest’ultima risultava essere una ditta commissionaria in Libia. Nel corso dell’esame testimoniale il Papa ricordava che proprio il Davanzali lo aveva contattato per riuscire a percepire somme di denaro dovutegli dal Governo libico a seguito del compimento di lavori stradali e opere pubbliche già ultimate, ma non ancora saldate. Egli si era adoperato mettendo in contatto l’avvocato Davanzali con il presidente della camera del commercio di Tripoli, tale Kirkia, impiegato anche presso la camera del commercio siculo-araba. Sempre nell’agenda sequestrata veniva inoltre rinvenuto un biglietto da visita intestato “Siai Marchetti Com. Francesco Sensi”. Il Papa ha spiegato di aver conosciuto Sensi durante un soggiorno nello stesso albergo in Libia. Inoltre ha ricordato che il comandante era incaricato dalla società dell’addestramento di piloti libici. Quanto all’annotazione manoscritta “Aerei libici con carburante ridotto per non fuggire” rinvenuta su un foglio contenuto nella cartella titolata “Memorie Libia Top Secret”, essa appare riconducibile alla lettera scritta dal Papa e pubblicata sul quotidiano “La Sicilia” il 17.02.91, sul viaggio che Gheddafi avrebbe dovuto intraprendere la sera del 27.06.80. A dire del Papa l’Executive che avrebbe dovuto trasportare il leader libico viaggiava sulla stessa tratta del DC9, ma con direzione sud-nord opposta al velivolo dell’Itavia. Sempre nello stesso articolo l’avvocato aveva trattato del MiG23 libico caduto in Italia, sostenendo che sicuramente era pilotato da un personaggio importante, in quanto solo in questi casi i serbatoi dell’aereo sarebbero stati completamente riforniti. In merito a questa vicenda il Papa ha confermato lo scritto, precisando che il velivolo Executive con a bordo Gheddafi era diretto verso un paese dell’Est, probabilmente la Romania; la destinazione era stata riferita direttamente dal leader nel corso di una conferenza stampa, che aveva avuto luogo dopo l’incidente di Ustica, e alla quale aveva partecipato, oltre a giornalisti italiani e stranieri presenti a Tripoli, egli stesso In relazione agli appunti sul carburante contenuto nel MiG23 libico, ha dichiarato di aver appreso quelle circostanze da amici libici “autorevoli ed a alto livello, tra cui ex Ministri”, di cui non ha rivelato i nomi allo scopo di garantirne la incolumità. A conclusione del quadro investigativo sul personaggio è stata anche analizzata la documentazione inviata dalla Procura di Palermo e inerente “Rapporti tra mafia e cosiddetta massoneria deviata”, acquisita presso il S.I.S.DE e la Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, da cui però non si sono rilevati elementi significativi per la posizione dell’avvocato catanese. E’ emerso soltanto, in un appunto presente nel fascicolo della DCPP intestato al nominato, che dopo il raffreddamento dei suoi rapporti con i rappresentanti delle autorità libiche, egli nell’84, aveva tentato il riavvicinamento ospitando la sera del 05.05.87, nei locali dell’associazione siculo-araba di Catania, esponenti del Governo libico, in occasione della cerimonia di costituzione del Congresso popolare per l’approfondimento della “Terza teoria universale di Gheddafi”. In un appunto del S.I.S.DE, redatto il 30.06.80, veniva evidenziato che il diradarsi dei rapporti tra il Papa ed ambienti libici doveva attribuirsi ad iniziative ritenute da questi ultimi poco ortodosse (come il reclutamento di manodopera italiana per la Libia) e a prese di posizione politiche autonome non condivise dai libici. Michela Ferrari Luca Prandini

1 commento:

  1. Buongiorno
    Mi piacerebbe avere maggiori informazioni su questo articolo, potrebbe contattarmi alla mail gianlupapa32@gmail.com

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