sabato 28 aprile 2012
ANDREOTTI FASCIO! - IN UNA BIOGRAFIA DEL DIVO SPUNTA LA TELEFONATA TRA IL SUO BRACCIO ‘DESTRO’ FRANCO EVANGELISTI E LA GIORNALISTA NERA, GIANNA PREDA: “ANDREOTTI ERA ANTIFASCISTA SOLO PER FAR TORNARE ALLA DC I VOTI FINITI AL MSI. SE L’MSI FOSSE STATO IL PRIMO PARTITO NON AVREBBE PROBLEMI A STARE COI FASCISTI” - NELLE SUE MANI L’ANTESIGNANA DI “GLADIO” CONTRO L’AVANZATA COMUNISTA…
Francesco Specchia per "Libero"
GIULIO ANDREOTTI
FRANCO EVANGELISTI
Alla volte anche nelle biografie che paiono scontate si ritrovano notizie. Prendete Divo Giulio di Antonella Beccaria e Giacomo Pacini (Nutrimenti,pp.288, euro14). Si ritrova qui il testo originale di una conversazione telefonica dell'aprile 1972 tra il braccio destro di Andreotti, Franco Evangelisti, e la giornalista del Borghese Gianna Preda. La telefonata fu registrata da Preda. Tra le altre cose, in essa vi sono alcuni passaggi in cui Preda dice a Evangelisti: «So che tu ed Andreotti siete fascisti al pari di me».
Lui annuisce e, poco dopo, le rivela apertamente che Andreotti «si era dichiarato antifascista solo perché era necessario che i voti finiti al Msi tornassero alla Dc. Ma se l'Msi fosse stato il primo partito italiano, lui non avrebbe alcun problema a stare coi fascisti».
GIANNA PREDA
Poi c'è un inquietante passaggio sulla morte dell'editore Feltrinelli: vi si lascia intendere che era stato un bene che l'editore fosse morto quando a Palazzo Chigi c'era un monocolore Andreotti. Inedita anche la notizia che De Gasperi affidò a Giulio la delicata gestione dei rapporti con apparati di sicurezza ufficiali e clandestini e le prime strutture segrete a carattere armato, poi parzialmente confluite in Gladio.
GIULIO ANDREOTTI
I documenti dimostrano che Andreotti era uno dei responsabili politici del cosiddetto Ufficio Zone di Confine, organismo segreto che si occupava di inviare fondi riservati a tutte le organizzazioni, anche a carattere armato, contro i comunisti slavi.
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/andreotti-fascio-in-una-biografia-del-divo-spunta-la-telefonata-tra-il-suo-braccio-38297.htm
“WALL STREET JOURNAL” SI DISPERA: “NON BASTAVA HOLLANDE, CI SI METTE PURE L’HOLLAND” - IL VOTO ANTI-EURO IN FRANCIA E LA CRISI POLITICA IN OLANDA (PAESE CONSIDERATO FINORA STABILE), SOMMATI ALLA RECESSIONE DILAGANTE, TERRORIZZANO I POTERI INTERNAZIONALI - USA, CINA, BRASILE, INDIA VOGLIONO TENERSENE ALLA LARGA E RINVIANO IL LORO APPOGGIO ALL’EUROZONA - STAVOLTA È DIFFICILE CHE L’UNIONE EUROPEA POSSA USCIRNE INTATTA…
Federico Rampini per "la Repubblica"
MÉLENCHON
MARINE LE PEN
«L´euro-angoscia mette in fuga i capitali» secondo il Financial Times che avverte una «crisi di legittimità dell´Unione». Il doppio shock politico, Francia e Olanda, non risparmia Wall Street e da qui dilaga su tutti i mercati mondiali. «Una virata nella direzione dei venti politici, più una collisione di indicatori negativi» è il giudizio del New York Times.
All´indomani di un weekend cruciale per gli equilibri politici del Vecchio continente, la ripresa mondiale si ritrova di nuovo in ostaggio dell´eurozona in crisi. L´accumularsi di eventi è micidiale. Al primo posto: la massiccia dimensione del voto anti-europeo in Francia, se si sommano le due ali estreme Le Pen-Mélenchon che auspicano l´uscita di Parigi dall´euro, più le ripetute promesse anti-Schengen di Nicolas Sarkozy, più l´impegno di François Hollande a «rinegoziare» daccapo tutto il patto fiscale europeo con Angela Merkel.
MERKEL SARKOZY
ANGELA MERKEL E NICOLAS SARKOZY
Al secondo posto arriva a sorpresa la crisi politica in Olanda, che minaccia la tenuta della «roccaforte germano-centrica» nell´eurozona. Al terzo posto: una raffica di indicatori negativi (inattesa caduta dell´indice manifatturiero tedesco, contrazione degli ordinativi d´imprese in tutto il continente, conferma della recessione spagnola) fanno dire a Mark Miller di Capital Economics che «la recessione si aggrava e l´intera Unione non ne uscirà per tutto l´anno», un giudizio che l´Associated Press lancia all´apertura del mercato americano.
Il quarto fattore di preoccupazione nasce dal bilancio che viene fatto, alla riapertura dopo il weekend, sul meeting di primavera del Fondo monetario internazionale che si è tenuto a Washington. Nessuno ha considerato credibile il bilancio ufficiale positivo. E´ vero, al summit si è deciso di aumentare le risorse dell´Fmi che potranno contribuire al «muro di fuoco» da usare per eventuali salvataggi nell´eurozona (vedi Spagna).
MARIO DRAGHI ALLA BCE
Ma da quell´operazione si sono chiamati fuori, oltre agli Stati Uniti, anche due potenze emergenti come Cina e Brasile che rinviano continuamente il loro impegno concreto in favore dell´eurozona. Un pessimo segnale anche quello, in una fase in cui l´arsenale di aiuti di Mario Draghi, cioè i prestiti d´emergenza della Bce agli istituti di credito, comincia a mostrare i suoi limiti.
FRANCOIS HOLLANDE
Sugli eventi politici il Wall Street Journal si permette una battuta: «Non bastava un Hollande, ci si mette pure l´Holland (l´Olanda in inglese, ndr)». Quel che accade nei Paesi Bassi è «un trauma perfino superiore al risultato elettorale francese» secondo il maggiore quotidiano economico e finanziario, perché indica una «polarizzazione del dibattito fra crescita e austerità» anche nei Paesi finora più stabili e virtuosi. L´Olanda è un modello di buona gestione, ha un debito pubblico che pesa solo per il 65% del suo Pil.
I mercati hanno sempre visto i titoli del Tesoro olandese come un surrogato dei Bund tedeschi, tanto che lo spread fra i due paesi è un irrisorio 0,8%. Le dimissioni del premier olandese, la fronda di una destra locale che non accetta l´austerity, indicano che la resistenza al rigore germanico non è più solo un problema della periferia dell´Unione.
Di qui la paura che si diffonde sui mercati mondiali, così sintetizzata dallo stesso Wall Street Journal: «Se perfino il nocciolo duro dell´eurozona nordica si dissocia dagli impegni di rigore nel bilancio pubblico, gli investitori tornano a dubitare che l´Unione possa uscirne fuori intatta». Il giudizio del Financial Times è simile: dalla crisi economica il suo pessimismo si allarga alla tenuta dell´Unione europea.
BARACK OBAMA
Nel 2008 e nel 2009 era ancora credibile una narrativa della crisi che la descriveva importata dagli Stati Uniti, una terra di banchieri-pirati, di debitori irresponsabili, per di più governata fino agli albori del disastro da un presidente repubblicano. Quel mito, secondo il Financial Times, «aveva tenuto insieme un´identità europea», oggi non regge più. Stremata dalla seconda recessione in quattro anni, e stavolta una recessione «fatta in casa», l´Europa sta perdendo fiducia nella costruzione comunitaria avviata mezzo secolo fa: i partiti tradizionali che ne furono i fautori, e in generale le classi dirigenti pro-europee, perdono consensi tra le opinioni pubbliche.
HU JINTAO
I requiem per l´Unione europea si sono sentiti già altre volte, a Londra o da questa parte dell´Atlantico dove l´euroscetticismo ha radici antiche. Stavolta però una preoccupazione unisce gli Stati Uniti alle potenze emergenti, dalla Cina al Brasile. Già si avvertono i segnali di rallentamento della crescita americana, cinese e brasiliana: e dietro questa frenata c´è il «buco nero» dell´economia europea, il più vasto mercato del pianeta, così depresso da contagiare (attraverso la caduta delle importazioni) anche chi sta meglio.
Lo scenario politico visto da Washington, Brasilia e Pechino, nella migliore delle ipotesi sfocia su un lungo negoziato tra la Francia e la Germania per rivedere il patto fiscale dell´eurozona. L´esatto contrario di una luna di miele tra Merkel e il neopresidente francese, semmai una sorta di «prova di divorzio» nell´asse storico Berlino-Parigi. Anche se la ragione dice che alla fine quell´asse dovrebbe sopravvivere, Wall Street e la Casa Bianca, così come i leader dei Brics, mettono in conto mesi di instabilità sul Vecchio continente.
http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/wall-street-journal-si-dispera-non-bastava-hollande-ci-si-mette-pure-lholland-il-38245.htm
venerdì 27 aprile 2012
VAFFANEURO! - NELLO STESSO GIORNO DEL SUCCESSO DI LE PEN IN FRANCIA, L’ESTREMA DESTRA OLANDESE FA CADERE IL GOVERNO, CONTRASTANDO L’AUSTERITÀ BY MERKEL - L’OLANDA È UNO DEI 4 PAESI AD AVERE ANCORA LA TRIPLA A, MA LA SITUAZIONE VOLGE AL PEGGIO - GEERT WILDERS DA TEMPO PREDICA IL RITORNO AL FIORINO - SECONDO UNA RICERCA L’EUROZONA NON ARRIVEREBBE AL 2015, E L’ABBANDONO DELL’EURO SAREBBE UNA BUONA SOLUZIONE ANCHE PER L’ITALIA…
Luigi Offeddu per "Il Corriere della sera"
GEERT WILDERS
In questo piccolo Parlamento senza auto blu né portaborse all'uscio, la notizia che il premier se ne va piomba come una doppia bomba. Perché tutti sanno che questa storia riguarda l'Olanda ma soprattutto l'Europa. Se Mark Rutte, il primo ministro, è andato poco fa al palazzo reale di Huis ten Bosch (scegliendo un'entrata laterale, si è saputo) e ha presentato le sue dimissioni alla regina Beatrice, è stato perché il suo ex-alleato Geert Wilders si è ribellato «ai dittatori dell'Europa, che tartassano i nostri anziani». Tutto questo nel Paese che nel 2005 bocciò con un referendum la costituzione europea.
MARK RUTTE
Wilders - ha detto poi - ha difeso «Henk e Ingrid», il signor Rossi, la classe lavoratrice: non ha accettato i tagli al bilancio proposti da Bruxelles a tutti i Paesi Ue. «E chi sarà il prossimo a fare lo stesso? - si chiede una funzionaria del partito cristiano-democratico seduta al bar vicino al Parlamento - sarà forse Madrid, Lisbona, sarete forse voi di Roma? Chissà se qui rivedremo più quelle Ferrari...».
Le hanno viste tutte, spiega, quelle immagini. Solo un anno fa, in una via di periferia della capitale, venivano fotografate 56 Ferrari parcheggiate in un chilometro per un raduno di un club di appassionati: e fecero scalpore, vennero considerate un po' la conferma del benessere olandese. Allora, infatti, l'Olanda era nella prima fila dell'Europa virtuosa: bassa disoccupazione (meno che in Germania), basso debito pubblico, deficit appena ballerino. Che cosa sia successo dopo, nessuno ha mai saputo spiegarlo chiaramente: qualche grande banca è andata male (soprattutto fra quelle che inseguirono le fate morgane della finanza islandese), le reti protettive del welfare si sono forse allargate troppo.
REGINA BEATRICE OLANDA
Oggi, il debito non è ancora insopportabile, la disoccupazione è ancora minore che altrove, l'Olanda è ancora fra i 4 Paesi che mantengono un rating da «tripla A». Ma è in recessione, il deficit viaggia intorno al 4,5% del prodotto interno lordo, e fra due anni potrebbe toccare il 6%: un disastro, sanabile secondo Bruxelles solo con tagli chirurgici; e per questo Wilders - leader del Pvv, il «Partito per la libertà» - si è alzato dal tavolo e ha tolto il suo appoggio esterno alla coalizione a due fra i liberali e i cristiano-democratici. Ora si andrà a elezioni anticipate dopo l'estate.
Nei sondaggi, i liberali di Rutte sarebbero in risalita, mentre Wilders avrebbe qualche difficoltà. Ma lui, dei sondaggi, sembra altamente infischiarsi. E' stato qui in Parlamento anche un'ora fa, attorniato dalle guardie del corpo come accade da 6 anni a questa parte, da quando ricevette minacce da gruppi islamisti. Il primo maggio uscirà il suo nuovo libro «Marcato per la morte, la guerra dell'Islam contro l'Occidente e me». Ma l'uomo non pensa solo all'Islam. Poco fa, oltre le schiene della scorta, un giornalista finlandese è riuscito a gridargli: «Allora, fuori dall'euro?». E lui ha fatto segno di sì.
EURO SPACCATO
Beppe Grillo ha infatti qui un predecessore: è già da mesi che questo «Grillo da Rotterdam» annuncia: «L'euro non è nell'interesse del popolo olandese, vogliamo essere padroni in casa nostra e così diciamo sì al fiorino. Riportatecelo indietro». L'opposizione ai tagli chiesti da Bruxelles non è stata dunque estemporanea, ma l'espressione di una linea precisa che valica le frontiere e arriva forse fino a Parigi, agli uffici della signora Marine Le Pen.
E colui che i critici meno rispettosi chiamano «Mozart» (per via della chioma bionda e incipriata che avrebbe portato il musicista) è in realtà un lucido pragmatico che calibra attentamente ogni mossa. Per esempio, il «no» ufficiale all'euro e il «sì» al vecchio fiorino, Wilders li ha pronunciati dopo aver commissionato a un istituto di Londra una ricerca sui costi di sopravvivenza, o di morte, dell'intera Eurozona.
Quella ricerca è ancora qui, negli uffici parlamentari del partito, e parla molto anche dell'Italia. Dice che difficilmente l'Eurozona potrà sopravvivere oltre il 2015, e che «in uno scenario ottimistico» costerebbe 1,3 trilioni di euro tenere in piedi gli Stati dell'Europa mediterranea, e 2,4 trilioni se Italia e Spagna chiedessero un pronto soccorso per i loro titoli di Stato. Dell'Italia, in particolare, si dice che la sua uscita dall'euro sarebbe relativamente facile, e che il Paese si riprenderebbe, una volta riguadagnata la libertà valutaria. A settembre, chissà, tutto questo potrebbe spiegarlo a Mario Monti un neo-rimo ministro tentatore, di nome Geert.
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/vaffaneuro-nello-stesso-giorno-del-successo-di-le-pen-in-francia-lestrema-destra-olandese-38209.htm
GRECIA, DAL DRAMMA ALLA DRACMA - SALVARE LA GRECIA A TUTTI I COSTI? CERTO, COME NO, MA NON SIAMO FESSI, SOLO STROZZINI: NEI PRESTITI ALLA GRECIA, LA BANCA EUROPEA PER GLI INVESTIMENTI HA INSERITO ALLA CHETICHELLA UNA CLAUSOLA CHE PERMETTEREBBE DI RISANARE IL DEBITO ANCHE IN DRACME QUALORA LA GRECIA DOVESSE USCIRE DALL’EURO - MENTRE AD ATENE IL CAPPIO DEI MERCATI SI STRINGE SEMPRE DI PIU’, L’UE SI GIUSTIFICA: “È SOLO UNA PRECAUZIONE”…
Marco Zatterin per "la Stampa"
Pronti a tutto, anche a non trattare nella moneta di casa. E' una mossa precauzionale e certo ispirata dalla flessibilità, quella della Bei, che ha cominciato a inserire un'inedita clausola nei contratti con Grecia, Irlanda e Portogallo - i tre paesi che Ue e Fmi hanno salvato dalla bancarotta per consentire di rimborsare i prestiti contratti in una valuta diversa dall'euro.
GRECIA - PAPADEMOS
LA GRECIA AFFONDA
«Così offriamo maggiori opportunità», assicurano fonti dell'istituzione lussemburghese. Vero. Però lo è anche che sarebbe una via di uscita qualora Eurolandia perdesse qualche pezzo, oppure si rompesse. Se Atene dovesse uscire, ad esempio, avrebbe pieno diritto di pagare in dracme.
«Processo alle intenzioni», si difendono alla Banca europea per gli investimenti, organismo comunitario che nel 2010 ha finanziato progetti per 72 miliardi, l'88 per cento dei quali all'interno dell'Unione europea.
«E' una procedura standard ha spiegato una portavoce -. In questa situazione di crisi e di alta volatilità la banca adegua i suoi contratti finanziari in diversi paesi, e non soltanto in Grecia. Il fatto che una società sia in grado di rimborsare in una valuta differente dalla sua non vuol dire che la valuta del paese debba cambiare». Se però dovesse succedere, la Bei sarebbe comunque in grado di incassare il dovuto. Non è una differenza da poco.
IL PREMIER GRECO PAPANDREU
I greci lo hanno notato subito e il giornale Kathimerini che ha scritto la notizia non ha fatto i complimenti. Ha notato che la clausola sotto accusa è stata inserita a inizio aprile nel contratto per un finanziamento da 70 milioni firmato con la Ppc (Public power corporation), la società elettrica ellenica, per la costruzione di una nuova centrale a gas a Megalopoli, nel Peloponneso.
GRECIA SCONTRI DI PIAZZA JPEG
All'occasione, la Bei avrebbe introdotto due novità: la possibilità di cambiare le regole del negoziato valutario e la scelta della legislazione britannica come foro a cui fare riferimento in caso di irregolarità del rimborso. Il quotidiano greco parla di un legame diretto fra la mossa e la possibile uscita dall'Eurozona.
La quale, ricordano da sempre i portavoce della Commissione, «non è prevista dai Trattati». Gli accordi su cui è basata la moneta unica, fissano procedure per accedere al club dell'euro ma non per abbandonarlo. Cosa che, secondo più osservatori, potrebbe invece essere uno scenario possibile per Atene qualora il pesante risanamento negoziato con Bruxelles non riuscisse ad andare in porto. Trovandosi troppo debole per ripagare il suo pensante debito, non avrebbe altra scelta se non gettare la spugna e ritornare alla dracma. «Pura fantascienza», dice un portavoce Ue.
OLLI REHN
Messa di fronte alla fonte di dietrologie, la Commissione Ue ha risposto con un certo imbarazzo, rinviando le domande alla banca di Lussemburgo. Amadeu Altafaj, portavoce del commissario agli Affari economici e monetari Olli Rehn, ha cercato di spegnere il fuco ricordando «che la comunità internazionale insieme con l'Europa ha adottato tutte le misure necessarie per aiutare la stabilità in Grecia e scongiurare il pericolo di una uscita dall'Eurozona».
GRECIA SCONTRI DI PIAZZA JPEG
Sinora, almeno a vedere l'andamento quotidiano dei listini e dei mercati, il messaggio non è passato come si sperava. Ieri nelle Borse s'è vissuta una delle peggiori giornate dell'anno, prova che chi compra e vende titoli continua a pensare che la tempesta che agita l'Ue in recessione sia lungi dall'essere conclusa. Il che giustifica anche la cautela della Bei, per quanto involontaria e poco ortodossa sia.
http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/grecia-dal-dramma-alla-dracma-salvare-la-grecia-a-tutti-i-costi-certo-come-38208.htm
“REPORT” IMPALLINA IN PRIMA SERATA FRATELLO MONTI: CHE SIGNIFICA AVERE UN PREMIER CHE VIENE DALLA FAMIGERATA TRILATERAL? L’ITALIA È IL PRIMO PAESE CHE HA MESSO IN COSTITUZIONE IL PAREGGIO DI BILANCIO, CHE “CREA LE BASI PER LO SMANTELLAMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA STATALE E LASCIA CHE AD OCCUPARSENE SIANO I PRIVATI” - 2- IL CREDO DELLA TRILATERAL: C’È TROPPA DEMOCRAZIA, PIÙ POTERE AI GOVERNI E MENO AI PARLAMENTI (CHE VENGONO MASSACRATI CON LE CAMPAGNE CONTRO I PARTITI) - 3- PER LA PRIMA VOLTA NELLA STORIA DUE AUTOREVOLI MEMBRI DELLA COMMISSIONE TRILATERALE SONO DIVENTATI I PRIMI MINISTRI DI DUE NAZIONI IN EUROPA: LA GRECIA E L’ITALIA - 4- L’INIZIO DELLA FINE: 1999, SOTTO L’AMMINISTRAZIONE CLINTON (EX MEMBRO DELLA TRILATERAL) FU ABOLITA LA SEPARAZIONE TRA BANCHE COMMERCIALI E D’AFFARI: LE BANCHE DI TUTTO IL MONDO SI SONO MESSE A FARE TUTTO E SI È ARRIVATI ALLA BOLLA DEL 2008 -
Da "Report" su Raitre
MILENA GABANELLI STUDIO
L'Italia è il primo Paese che ha messo in Costituzione il pareggio di bilancio. Cosa vuol dire nella pratica? Che tu non potrai mai forzare la spesa per rivedere le tue politiche di investimento pubblico. E' come se, una famiglia, con un reddito basso, ma decide di indebitarsi per far studiare i figli e una legge gli dice "tu non puoi affrontare questa spesa". Moltiplicato per milioni di famiglie cosa si viene a perdere? Perché alla fine i conti saranno anche a posto, ma è una gran brutta vita.
TRILATERAL OBAMA
DAVID ROCKEFELLER
E non è vero che sei virtuoso solo se non spendi, dipende da come spendi. E' urgentissimo avviare delle politiche di riduzione del debito, ma metterlo in costituzione potrebbe creare le basi per lo smantellamento la funzione pubblica dello Stato e lasciare che ad occuparsene siano i privati. E il privato di fronte alla linea dell'autobus che va in periferia per far viaggiare 10 persone, cosa fa la taglia perché non gli conviene. La politica quando non funziona, e non funziona quando si eleggono le persone sbagliate, diventa tecnica. Una parola che non abbiamo inventato noi ma è comparsa al mondo una 40ina di anni fa.
MICHELE BUONO FUORI CAMPO
Sono gli anni '70 e un gruppo di uomini potenti - americani, europei giapponesi - pronunciava
questa parola: tecnocrazia. E' la Commissione Trilaterale - Stati Uniti, Europa, Giappone - voluta da David Rockefeller nel 1973 per disegnare il futuro del mondo, o meglio per dargli una raddrizzata.
PATRICK WOOD - SAGGISTA-EDITOR THE AUGUST FORECAST
E' la filosofia che ha guidato la Commissione trilaterale fin dal primo giorno, quella della
tecnocrazia e che è a tutti gli effetti una filosofia politica.
MICHELE BUONO FUORI CAMPO
La Commissione Trilaterale ha la struttura di un parlamento globale ma i membri non sono eletti, sono invitati. Banchieri, politici, industriali, rappresentanti di multinazionali, accademici, giornalisti, editori non hanno mai smesso di riunirsi in seduta plenaria una volta l'anno. E già a metà degli anni '70 , l'analisi della Commissione Trilaterale sulla crisi mondiale - salari alti e crescita non più ai ritmi del dopoguerra - era "eccesso del sistema decisionale". Troppa democrazia. Soluzione? Più potere ai governi e meno ai parlamenti. Patrick Wood statunitense ha seguito i lavori della Trilaterale fin dall'origine. Lo intervistiamo via skype.
PATRICK WOOD - SAGGISTA-EDITOR THE AUGUST FORECAST
Sin dall'inizio il loro intento specifico fu quello di creare un nuovo ordine economico internazionale
ed elaborarono due concetti per realizzare i loro piani: interdipendenza tra i soggetti e tecnocrazia, come mezzo per controllare la società.
MICHELE BUONO
Più tecnocrazia e meno politica: era questo il piano?
PATRICK WOOD - SAGGISTA-EDITOR THE AUGUST FORECAST
Fu questo il piano fin dall'inizio. Tant'è che la Commissione trilaterale riuscì a prendere il controllo dell'esecutivo americano dominandolo negli ultimi 30 anni.
MICHELE BUONO
Che genere di mondo volevano disegnare e stanno disegnando?
PATRICK WOOD - SAGGISTA-EDITOR THE AUGUST FORECAST
Sono convinti che non ci sia più bisogno dello stato così come lo si è inteso per centinaia di anni e quindi agiscono per poter eliminare il concetto di sovranità nazionale e di autodeterminazione. In quei giorni nessuno aveva previsto che il sistema che stavano creando avrebbe portato il mondo è quello che è oggi: talmente connesso a livello finanziario che se una nazione singhiozza, l'intero pianeta cade in ginocchio.
MICHELE BUONO FUORI CAMPO
C'era una volta una legge bancaria, il Glass Steagall Act che dopo la crisi del '29 regolamentava
l'attività: da una parte le banche commerciali con attività tradizionali e garantite dallo Stato, dall'altra le banche d'affari con attività speculative. L'industria bancaria poi fece pressione per abolire questa distinzione. Troppi lacci e lacciuoli - si diceva - sarà solo il mercato a regolare tutto.
Tant'è che sotto l'amministrazione Clinton (ex membro della Commissione trilaterale - era il 1999 -) il Glass Steagal Act fu abolito. Rotti gli argini, le banche di tutto il mondo si sono messe a fare tutto: raccolta del risparmio, speculazione, costruzione e vendita di titoli di debito.
PATRICK WOOD - SAGGISTA-EDITOR THE AUGUST FORECAST
Vorrei far notare che per la prima volta nella storia due membri della Commissione trilaterale sono diventati i primi ministri di due nazioni in Europa: la Grecia e l'Italia.
MICHELE BUONO
Qual è stato il ruolo del signor Mario Monti nella Commissione trilaterale?
PATRICK WOOD - SAGGISTA-EDITOR THE AUGUST FORECAST
Monti è stato il presidente europeo della Commissione trilaterale. Quindi la sua responsabilità era quella di portare avanti le operazioni europee. Ora io posso parlare di come gli uomini della trilaterale si comportano negli Stati Uniti una volta che si ritrovano ad occupare posizioni di potere: hanno la possibilità di eseguire qualsiasi strategia politica della trilaterale con o senza il consenso del popolo.
MICHELE BUONO FUORI CAMPO
Non è un complotto perché la stessa storia potrebbe essere raccontata partendo da altre premesse. Diciamo che ognuno, anche da sponde diverse, ci ha messo un pezzo. Interessi, buona fede, incapacità, errori, si sono intrecciati e hanno disegnato un modello.
MICHAEL HUDSON - PRESIDENTE ISTITUTO STUDI TENDENZE ECONOMICHE
LUNGO PERIODO
Se si traccia una mappa del Giappone e Fukushima viene inondata, non diciamo che la mappa è stata allagata ma che è il Giappone a essere stato sconvolto. Il modello è solo una falsa mappa per poter convincere le persone a seguire un sentiero suicida facendo credere alle famiglie e alle industrie che sarebbero diventate più ricche solo se avessero contratto debiti senza lavorare e produrre. Il problema è che è stata seguita una falsa mappa che descriveva la realtà.
MICHELE BUONO FUORI CAMPO
Seguendo una mappa diversa vediamo come cambia la realtà.
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/1-report-impallina-in-prima-serata-fratello-monti-che-significa-avere-un-premier-che-38151.htm
VIA DALL’EURO! - IL NOBEL KRUGMAN DEMOLISCE IL RIGORISMO DELL’ASSE MERKEL-DRAGHI: “L´EUROPA SI SALVA SOLO CON POLITICHE MONETARIE PIÙ ESPANSIVE ALTRIMENTI SI LIBERI DELL´EURO - È INCONCEPIBILE CONTINUARE A IMPORRE AUSTERITÀ A PAESI CHE GIÀ HANNO UNA DISOCCUPAZIONE A LIVELLI DA GRANDE DEPRESSIONE - LA SITUAZIONE DI MADRID È DOVUTA AGLI INGENTI PRESTITI CONCESSI DALLE BANCHE TEDESCHE A QUELLE SPAGNOLE”…
Articolo di Paul Krugman pubblicato da "la Repubblica" - (Traduzione di Anna Bissanti)
LEURO E LA TRIPLA A
BANCA_CENTRALE_EUROPEA
Sabato il Times ha pubblicato un articolo che parla di un fenomeno apparentemente in crescita in Europa: suicidi imputabili alla "crisi economica", persone che si tolgono la vita in preda alla disperazione per essere rimaste senza lavoro o aver visto fallire la propria azienda. Un articolo straziante. Sono sicuro, tuttavia, di non essere stato l´unico lettore, specialmente tra gli economisti, a essersi chiesto se la vera questione non riguardi tanto i singoli individui, quanto l´evidente determinazione dei leader europei a far commettere un suicidio economico all´intero continente.
Soltanto pochi mesi fa nutrivo qualche speranza per l´Europa. Forse ricorderete che alla fine dell´autunno scorso l´Europa sembrava sull´orlo di una catastrofe finanziaria. Ma la Banca centrale europea - l´equivalente europeo della Fed - corse in aiuto dell´Europa. Concesse alle banche europee linee di credito aperte a condizione che esse offrissero come collaterali i cosiddetti "eurobond". Ciò servì a puntellare direttamente le banche e indirettamente i governi e mise fine al panico.
La situazione a quel punto cambiò: si trattava di capire se quell´intervento temerario ed efficace sarebbe stato l´inizio di un più ampio cambiamento; se la leadership europea avrebbe utilizzato il margine di respiro creato dalle banche per riprendere in considerazione le politiche che in primis avevano portato a una crisi tanto profonda.
Così, però, non è stato. Anzi: i leader europei hanno rilanciato e ribadito le loro idee e le loro politiche fallimentari. E di giorno in giorno diventa sempre più difficile credere che qualcosa possa indurli a cambiare strada.
PAUL KRUGMAN
MARIO DRAGHI MERKEL
Prendete in considerazione la situazione della Spagna, che è ora l´epicentro della crisi. Non parliamo più di recessione in questo caso: la Spagna è in piena e palese depressione con un tasso complessivo di disoccupazione pari al 23,6 per cento, paragonabile a quello dell´America nei tempi peggiori della Grande Depressione, mentre il tasso di disoccupazione giovanile è di oltre il 50 per cento. La situazione, per tutto ciò, è insostenibile. Proprio dalla consapevolezza che la situazione non può perdurare nasce l´inasprimento continuo dei tassi di interesse in Spagna.
In un certo senso, non interessa davvero in che modo la penisola iberica sia arrivata a questo punto, ma - per quel che può valere - il caso della Spagna non è conforme alla retorica morale così diffusa tra le autorità europee, specialmente in Germania. La Spagna non è stata sregolata dal punto di vista fiscale: alla vigilia della crisi aveva un basso indebitamento e un´eccedenza di bilancio.
Sfortunatamente, però, aveva anche un´enorme bolla immobiliare, una bolla dovuta in gran parte agli ingenti prestiti concessi dalle banche tedesche alle loro controparti spagnole. Quando la bolla è scoppiata, l´economia spagnola si è ritrovata a secco. I problemi fiscali della Spagna sono una conseguenza della sua depressione, non ne sono la causa. Manco a dirlo, la cura prescritta da Berlino e Francoforte è stata una sola: sì, avete indovinato, un ulteriore irrigidimento dell´austerità fiscale.
MANIFESTAZIONE-SPAGNA
Questa - se vogliamo dirla tutta e con schiettezza - è pura follia. L´Europa aveva sperimentato per molti anni inflessibili programmi di austerità, con risultati che qualsiasi studente di storia avrebbe potuto anticipare: simili programmi spingono le economie depresse ancor più a fondo nella depressione. E dato che quando gli investitori devono valutare la capacità di un paese di ripagare il proprio debito ne studiano accuratamente la situazione economica, i programmi di austerità non hanno mai funzionato neppure per diminuire i tassi di interesse.
MARIANO RAJOY
Qual è l´alternativa? Beh, negli anni Trenta - un´epoca che la moderna Europa sta iniziando a ricalcare in modo sempre più fedele - il requisito basilare per la ripresa fu uscire dal sistema aureo (gold standard). Oggi una mossa equivalente sarebbe uscire dall´euro e ripristinare le valute nazionali. Si potrebbe affermare che ciò è inconcepibile, e senza dubbio si tratterebbe di una soluzione dirompente, dalle enormi ripercussioni sia a livello economico sia politico.
D´altro canto, a essere davvero inconcepibile è l´idea di poter continuare lungo questa strada e imporre un´austerità sempre più intransigente a paesi che già soffrono per una disoccupazione a livelli da Grande Depressione.
Se dunque i leader europei volessero veramente salvare l´euro, starebbero cercando una valida alternativa. L´alternativa possibile sta assumendo di fatto una forma molto chiara: il continente europeo ha bisogno di politiche monetarie più espansive, sotto forma di una disponibilità - una disponibilità dichiarata - da parte della Banca centrale europea ad accettare un´inflazione un po´ più alta.
Ma l´Europa ha bisogno anche di più espansive politiche fiscali, sotto forma di sistemi di compensazione tra i budget tedeschi e quelli di paesi in difficoltà come la Spagna e altre nazioni inguaiate della periferia europea. Anche così, con queste politiche, le nazioni della periferia d´Europa dovranno affrontare anni di difficoltà. Ma, quanto meno, qualche speranza di ripresa potrebbe esserci.
SPAGNA_PROTESTE
Ciò a cui stiamo assistendo, invece, è una totale mancanza di flessibilità. A marzo i leader europei hanno firmato il fiscal pact, un´intesa che di fatto trova la risposta a ogni tipo di problema soltanto nell´austerità fiscale. Nel frattempo, gli alti funzionari della Banca centrale si piccano di sottolineare che al minimo segnale di un aumento dell´inflazione la Banca alzerà i tassi.
In conclusione, quindi, è davvero difficile sottrarsi a un certo senso di disperazione. Invece di ammettere di aver sbagliato, i leader europei sembrano determinati a spingere l´economia nel baratro - e con essa le loro società. E a pagarne le conseguenze sarà il mondo intero.
http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/via-dalleuro-il-nobel-krugman-demolisce-il-rigorismo-dellasse-merkel-draghi-leuropa-si-salva-38100.htm
venerdì 13 aprile 2012
ROMITI RIVELA DI COME NEL ’93 (IN PIENA TANGENTOPOLI) FU SPINTO DAL POOL DI MANI PULITE A COLLABORARE PER NON FINIRE IN MANETTE - FACCI: FORSE È LA VOLTA CHE UN PEZZO DELLA STORIA DELLA FIAT E DI TANGENTOPOLI SI PUÒ RACCONTARLA DAVVERO - ROMITI SCARICÒ LE RESPONSABILITÀ SULLE SOCIETÀ CONTROLLATE E FU RIMANDATO A CASA. IL POOL AVEVA I SUOI COLPEVOLI…
Filippo Facci per "Libero"
Cesare Romiti
CESARE ROMITI Cesare Romiti ha scritto «Storia segreta del capitalismo italiano» (Longanesi, prefazione di Ferruccio de Bortoli) e racconta un sacco di cose, ma colpisce in particolare il passaggio dove rivela - scriveva ieri il Corriere - che «sono stati i magistrati del pool di Mani Pulite a "suggerirgli" di scrivere la lettera-articolo sul «Corriere della Sera» nella quale il 24 aprile 1993 si rivolge agli industriali invitandoli a collaborare con i giudici». Interessante davvero, perché se è vero che «la storia la si racconta, non la si cambia» (parole dello stesso Romiti) forse è la volta che un pezzo della storia della Fiat e di Tangentopoli si può raccontarla davvero.
TINTINNIO DI MANETTE
Proviamoci. Si torna dunque alla primavera 1993, periodo di passione anche per la Fiat: il 17 aprile si diffusero voci su un possibile arresto di Cesare Romiti. Gianni Agnelli, nello stesso momento, parlava al Teatro la Fenice di Venezia (che presto sarebbe andato a fuoco) e il suo discorso fu interpretato come un segnale: «Anche da noi», disse, «si sono verificati episodi non corretti».
E qui, secondo una leggenda giornalistica, accadde qualcosa. Un paio d'ore dopo, i pm Colombo e Di Pietro uscirono dall'ufficio e si chiusero in un angoletto coi loro cellulari. C'è un cronista che lo giura ancor oggi: avrebbe udito un «fermate gli arresti» mentre un altro cronista sentì distintamente «fermate l'arresto».
romiti-madron_Storia segreta del capitalismo italiano
Ma i pm hanno smentito. Alla fine comunque erano tutti contenti: Davigo disse che c'era stato «un segnale positivo» e altri quattro manager Fiat, già latitanti, rientrarono con dei voli privati. Solo l'avvocato Carlo Taormina non era tanto contento: «Il mio cliente Giuseppe Ciarrapico», disse con prosa non proprio indiretta, «è in galera: perché Romiti no?».
GIANNI AGNELLI CARLO DE BENEDETTI
Il procuratore Capo, Francesco Saverio Borrelli, rispose: «I legali della Fiat hanno espresso disponibilità a collaborare». Taormina replicò ancora: «Il codice non prevede soluzioni del genere, un arresto o è motivato o non lo è. Alla base di ogni collaborazione, inoltre, vi è sempre un accordo: quale?».
IN ELICOTTERO
Il 21 aprile 1993 un elicottero sorvolò Milano segnalando la propria posizione praticamente ogni secondo. Atterrò e il prezioso passeggero fu chiuso in questura, completamente isolata per l'occasione. Giunsero delle volanti a sirene spiegate: era il Pool. Questo per interrogare un semplice teste: Romiti. Il numero due della Fiat lodò dapprima Enrico Berlinguer (la questione morale) e poi disse che le responsabilità delle tangenti Fiat erano tutte addebitabili agli amministratori delle società controllate (dunque non a lui) e parlò di un conto estero di nome Sacisa.
Disse ai magistrati: «In altre circostanze saremmo diventati amici». Il clima si distese. Di Pietro fece persino il burlone: telefonò all'avvocato della Fiat e gli disse davanti a tutti: «Guardi che per Romiti le cose si mettono male». E risate. Anche di Romiti. Ecco, però due giorni prima, come risulterà, Romiti aveva fatto bruciare delle carte: il manager Antonio Mosconi metterà a verbale che «A Vaduz (Liechtenstein, ndr) dovevano scegliere chi doveva attribuirsi i fatti... hanno deciso di distruggere tutto il resto del conto Sacisa, in modo da dare ai magistrati qualche informazione per farla contenta e chiudere il conto con la Procura... ritengo che tutto ciò sia stato coordinato e disposto da Romiti, in quanto fu lo stesso Romiti che dette ordine in tal senso».
ANTONIO DI PIETRO
Gianni Agnelli Ma tutto questo, allora, non si sapeva ancora, e Romiti era tutto preso dalla sua opera di distensione con la procura: su esplicita richiesta del Pool, apprendiamo oggi. Già, perché qui arriviamo al «suggerimento» dei magistrati che il 24 aprile sfociò in questo titolo cubitale del Corriere della Sera: «Aiutiamoli questi giudici, stanno ripulendo l'Italia».
L'esortazione di Romiti, notare, giungeva a un anno e mezzo dall'inizio dell'inchiesta, dopo una quindicina di arresti in casa Fiat, dopo la minaccia del commissariamento e dopo la fuga di quattro dirigenti latitanti. Romiti, quel mattino, si presentò in procura con Corriere della Sera in mano e presentò un memoriale che accennava a «degenerazioni politico-istituzionali non addebitabili alla volontà degli imprenditori».
Al chiaro compiacimento del Pool si opporranno le perplessità del gip Italo Ghitti, cui non piaceva per niente quella collaborazione. Nei fatti, Romiti non era neppure indagato e i pm accettarono che le responsabilità fossero state attribuite ai dirigenti subalterni. La maggior parte dei giornali scrisse della deposizione di Romiti definendola «una svolta» (il generale è roba da far impallidire il filo-berlusconismo del Tg4) e fece eccezione qualche altra uscita di Carlo Taormina («Devo rilevare disparità di trattamenti rispetto ad altri personaggi», disse) ma soprattutto l'articolo «latitante, ripassi domani» scritto da Frank Cimini sul Mattino il 28 aprile.
Fu querelato assieme al suo direttore: «La tesi era che alcuni grandi imprenditori prima facevano accordi con i politici per avere i soldi e poi facevano accordi con i magistrati per non andare in galera. L'articolo non piacque ai pm milanesi che
mi citarono in giudizio».
Il 29 aprile 1993, in compenso, il Corriere della Sera titolò così: «Il Mattino: l'editore non vuole più Pasquale Nonno». L'editore era Stefano Romanazzi, in stretti rapporti d'affari con la Fiat. Pasquale Nonno lasciò la direzione trenta giorni dopo.
GIUSEPPE CIARRAPICO
ENRICO BERLINGUERMa per scoprire che la deposizione di Romiti era stata ridicola non sarebbe occorso molto tempo. Il 21 gennaio 1994, al valico di Ponte Chiasso, i finanzieri infatti fermarono il manager Fiat Ugo Montevecchi con una valigia di carte: stava cercando di far rientrare qualche scampolo documentale dello stesso conto Sacisa che Romiti aveva ordinato di bruciare dopo averlo fatto trasferire da Lugano a Vaduz. Nella valigia furono trovate anche delle altre carte che lasciavano intuire l'esistenza di un altro conto che Romiti aveva celato agli inquirenti.
RIUNIONE A VADUZ
Per capirne di più, i magistrati tornarono a torchiare il manager Antonio Mosconi, che cedette: Romiti, disse, sapeva e disponeva del conto Sacisa e aveva predisposto una riunione a Vaduz per far bruciare un po' di carte. Inoltre, a Milano, aveva presentato un memoriale che era una collezione di omissioni. Mosconi stava prefigurando una serie di esemplari inquinamenti probatori, roba da arresto. Il Pool arrestò Romiti?
No, la Fiat licenziò Mosconi. Il manager Francesco Torri sostituì Mosconi e diventò amministratore delegato. E il 13 dicembre venne liquidata un'altra lingua lunga: Giorgio Garuzzo, licenziato da Giovanni Agnelli in persona. L'altro manager Paolo Mattioli, invece, condannato a due anni e mezzo, non fu licenziato: il suo nome fu stampigliato nella gerenza del quotidiano «La Stampa». Il dignitoso primato di chi ha maggiormente premiato i silenti e punito i delatori, in Mani pulite, fu conteso tra la Fiat e il Pds.
by dagospia
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