venerdì 30 marzo 2012

PENSAVATE FOSSE FINITA? - IL TRACOLLO IN BORSA, IL BALZO DI 50 PUNTI DI SPREAD IN DUE GIORNI, E ASTE BTP NON BRILLANTI SONO I SEGNALI CHE “AI MERCATI” NON BASTANO UN PAIO DI RITOCCHI SU PENSIONI E PANIFICI CHE APRONO LA DOMENICA - DALL’ITALIA, COME DA SPAGNA E GRECIA, VOGLIONO LACRIME E SANGUE, MICA LA CONCERTAZIONE SUL LAVORO - LOR SIGNORI HANNO CAPITO CHE I PARTITI, CON LO SPREAD IN CALO, AVEVANO RIALZATO LA TESTA - DRAGHI A QUESTO GIRO DEVE STARE FERMO. LA BCE SI È SPARATA 1000 MILIARDI DI PRESTITI, COMPRATO TONNELLATE DI BTP, E HA PROMESSO ALLA GERMANIA DI FINIRLA…

Carlo Cinelli per il "Corriere della Sera" Sì, certo, Standard & Poor's alimenta i timori sull'efficacia del piano di salvataggio greco, lasciando intendere che forse ci sarà bisogno di una terza puntata. E soltanto 48 ore fa Willem Buiter di Citi ha decretato che la Spagna sarà costretta a piegarsi a fine anno e chiedere aiuti (e sarebbe il quarto paese della periferia dell'euro). Ma le antenne sensibili delle borse del Vecchio Continente ieri sono tornate a vibrare sui timori che sia invece l'Italia di Mario Monti a poter tornare sotto attacco. E se i mercati danno segni di nervosismo scatta l'allerta a Francoforte, negli uffici della Banca centrale europea. MARIO MONTI Piazza Affari fanalino di coda dei listini europei e il differenziale di rendimento tra Btp e Bund tornato ad allargarsi di 50 punti in un paio di sedute hanno fatto ricordare in più di una sala operativa e certo anche nei desk dell'Eurotower i giorni terribili di novembre, quando l'attacco sembrava non dovesse mai finire. E anche le prime settimane del governo dei Professori, quando da Parigi a Washington ci si chiedeva come avrebbe fatto il nuovo governo di Roma a far tornare la fiducia e il premier francese Francois Fillon si interrogava sulle riforme annunciate da Monti, salvo scoprire dal diretto interessato che le nuove pensioni italiane erano già legge dello Stato, pienamente operative con appena tre ore di sciopero. Oggi nuove riforme sono all'esame del Parlamento, una per tutte la contestata e dibattuta riforma Fornero. E i mercati hanno dimostrato con una certa chiarezza l'intenzione di non essere disposti a tollerare oltremisura dubbi ed esitazioni sul «pacchetto lavoro». Perché? Monti non convince più? Le riforme o sono per decreto o non passano? Piano. MARIO DRAGHI ALLA BCE In una fase in cui la fresca profezia di Peter Oppenheimer di Goldman Sachs sul maxi rialzo dei listini europei è già accantonata e si cominciano a fare i conti sulla prossima tornata elettorale - entro fine maggio, oltre alle nostre amministrative, sono attesi i due turni per le presidenziali francesi, un voto in Grecia e il referendum irlandese sull'Europa - l'accumulo di scorte di prudenza sembra a molti sull'azionario la cosa migliore. standard & poor'sE però non è tutto. Il premio di rischio sui nostri titoli di Stato torna a crescere con lo spread a 340 punti base (e la distanza sull'equivalente Bonos-Bund resta sostanzialmente identica da una seduta all'altra) dopo due aste del Tesoro che hanno riscosso la fiducia degli investitori pur mostrando tutta la resistenza dei rendimenti. E l'asta Bot di mercoledì non ha spuntato tassi sotto l'1%, mentre ieri i Btp quinquennali, pur ottimamente accolti, hanno messo a segno rendimenti in calo di appena un centesimo (26 sul decennale). La strategia riflessiva di listini e investitori preoccupa chiaramente chi in Europa ha dovuto usare il bazooka per far tornare la fiducia, ma una volta sparati due formidabili colpi ora deve tener conto dello sfilacciamento complessivo della situazione. I mille miliardi con i quali Mario Draghi ha riaperto i mercati tra fine dicembre e fine febbraio non sono un assegno da spendere all'infinito. E se non fosse che l'Eurotower continua a reggere grazie al pragmatismo del suo presidente (per stare alle parole che Monti ha usato ieri al Nikkei) anche ai sussulti di quanti temono per l'eventuale violazione della stabilità monetaria tedesca (sempre Monti) verrebbe da dire che ora la Banca centrale stia per entrare in una fase più riflessiva. Il suo presidente è tornato a rassicurare nei giorni scorsi Berlino e la Bundesbank sulle pressioni inflazionistiche, poi ha ripetuto ancora una volta l'invito ai governi di Madrid e Roma ad approfittare delle «finestre di opportunità» per consolidare i bilanci, rilanciare l'occupazione e migliorare la competitività dei rispettivi sistemi industriali. francois fillon Il problema, per Roma, è che quella finestra è socchiusa: per far decollare la riforma del mercato del lavoro con un disegno di legge c'è davanti un percorso parlamentare accidentato. Davanti a una maggioranza che sostiene il governo impegnata in difficili equilibrismi, ha scritto Francesco Verderami, Monti potrebbe anche pensare a un colpo di fiducia. Nel senso della blindatura della riforma in Parlamento. ELSA FORNERO In questo caso la scelta di non tirare a campare sarebbe spiegata più ancora che dalla necessità di superare la fase di stallo di partiti che, come i mercati, avvertono l'avvicinarsi delle scadenze elettorali, dalle contromisure stesse di listini e investitori che in poche ore possono ricominciare a vendere Italia a piene mani. Se quello di ieri è stato un avviso, era ben calibrato. by dagospia

mercoledì 28 marzo 2012

AGENTE (MOLTO) SEGRETO - CHI HA DECIMATO AL-QAEDA NON HA NOME E COGNOME, È CONOSCIUTO SOLO COME “ROGER”, ED È IL CAPO DEL TEMUTO ‘’COUNTERTERRORISM CENTER’’ DELLA CIA - MUSULMANO, HA DEDICATO LA SUA VITA A DISTRUGGERE IL TERRORISMO E CON OBAMA HA FATTO UN USO SPREGIUDICATO DEI DRONI PER SCONFIGGERE BIN LADEN - MA IL SUO PIÙ GRANDE FALLIMENTO è STATA LA STRAGE DI KHOST, IN AFGHANISTAN, DOVE MORIRONO 7 AGENTI SEGRETI, TRADITI DA UN KAMIKAZE...

Angelo Aquaro per "Repubblica" SALONE DELLA SEDE DELLA CIA A LANGLEY Il giorno che uccisero Bin Laden, l'uomo che ha distrutto Al Qaeda rimase chiuso nel suo ufficio a controllare che tutto andasse secondo i programmi. Poi, mentre vicino alla Sala Ovale della Casa Bianca, da Barack Obama in giù, tutti gli uomini del presidente si lasciarono andare allo storico entusiamo, "Roger" usci dal suo bugigattolo - lì negli uffici blindatissimi di Langley, Virginia - e tirò l'ennesima boccata dell'ennesima sigaretta: l'unico vizio che negli ultimi dieci anni dicono si sia mai permesso. Perché Roger è più che un asceta. Il capo del Counterterrorism Center della Cia - il mitico Ctc - è un devoto musulmano che alla distruzione degli integralisti islamici ha dedicato tutta la sua vita. La storia di Roger è il segreto più incredibile e meglio custodito di quindici anni di lotta al terrore d'America. Sì, il Ctc è la sezione più attiva e più temuta della Central Intelligence Agency. Ma i predecessori di Roger si conoscevano tutti per nome e cognome: da Cofer Black all'ultimo capo Robert Granier. Quando invece il Washington Post ha deciso di portare in prima pagina la sua, di storia, dall'agenzia oggi comandata dall'ex generale David Petraeus è arrivato il più severo altolà che un cronista americano si sia mai sentito dare negli ultimi tempi: niente nome, niente età, niente di niente. L'identità del capo del Ctc deve restare un mistero: anche se fino a poco tempo fa era il candidato al posto più alto della Cia. IL QUARTIER GENERALE CIA A LANGLEY Ma perché il ruolo di Roger è così misterioso e potente? Perché questo signore - che quando entrò in agenzia, nell'ormai lontano 1979, tutti consideravano svogliato e testardo, e oggi sembra quasi vendicarsi con sottoposti e collaboratori, sbraitando come un ossesso di fronte al minimo sbaglio - è l'uomo che ha pensato, lanciato e gestito l'operazione che ha sbaragliato la rete di Bin Laden: a colpi di droni. Roger è insomma il braccio di una mente chiamata Obama. E' stato il presidente, appena eletto, a pretendere dall'allora capo della Cia, Leon Panetta, di raddoppiare gli sforzi per prendere Osama e distruggere i terroristi: ma senza continuare lo stillicidio del sacrificio degli americani. E' stato Obama a intensificare gli attacchi con i droni telecomandati: meno rischi per i nostri e, certo, molti più rischi per le popolazioni. Panetta ha letteralmente raddoppiato gli attacchi: dai 53 strike del 2009 ai 117 del 2010. E oggi l'ex 007 è stato ricompensato con la poltrona del Pentagono. Ma il vero artefice della svolta è stato proprio Roger. Che alla testa del Ctc era arrivato dopo un girovagare nei posti più pericolosi per un'agente come lui: nel cuore dell'Africa, nel caos del Cairo. cia central intelligence agency Proprio in Africa ha incontrato la donna che sarebbe diventata sua moglie. E che, islamica, l'avrebbe convertito alla religione di Maometto. No, non fa un segreto almeno di questo, Roger, nell'ambiente, anche se i suoi uomini giurano di non aver mai visto un tappeto per le preghiere nel suo ufficio: dove campeggia invece un letto ribaltabile per le (troppe) volte in cui il capo non riesce a tornare a casa, la sera, dopo essere entrato all'alba. Ci vuole più che fegato per fare il lavoro di Roger: ci vuole soprattutto tanto pelo sullo stomaco. Perché la svolta della campagna dei droni si è avuta quando proprio lui ha deciso di passare alla fase due: andare giù e bombardare quando ancora non c'erano notizie abbastanza certe su "chi" era presente in quella particolare zona - però si sapeva con certezza che "qualcuno" c'era. OSAMA BIN LADEN Era o non era un assembramento di islamisti? Tanto bastava: i droni partivano e picchiavano giù duro. In fondo la battaglia contro Al Qaeda gli Usa l'hanno vinta così: dopo dieci anni e due lunghissime guerre. Nel gergo la scelta di Roger si chiama signature strikes: vuol dire che si attacca sulla sola base dei loro comportamenti. Col permesso, naturalmente, della Casa Bianca. Così è stato il Ctc di Roger ad aver inflitto ad Al Qaeda le perdite che hanno decimato la struttura di Bin Laden. Ma proprio al Ctc di Roger la stessa Al Qaeda ha inflitto però il colpo più grave mai realizzato contro la Cia. La strage di Khost: sette agenti morti nella loro stessa base in Afghanistan dopo aver fatto entrare un kamikaze che credevano confidente. l'interno del compound di Osama Bin Laden A Langley dicono che anche questo tragico record andrebbe registrato sotto il nome di Roger. Era stato lui a piazzare in quella base una sua amica fidata ma con poca esperienza sul campo, Jennifer Matthews, poi finita poveraccia tra le vittime. E dicono che proprio i metodi di Matthews e Roger abbiano alla fine causato quel disastro: la fretta di accumulare informazioni, l'uso spericolato dei confidenti per raccogliere dati sui posti da colpire con i droni. Barack Obama Sarà vero? O sono solo le invidie degli altri 007? Certo è che proprio quell'"incidente" ha fermato la straordinaria carriera del musulmano che faceva strage dei musulmani. E del resto: Osama, alla fine, non l'abbiamo spedito all'inferno? La Cia custodirà il segreto finché potrà: ma la scomodissima missione di Roger si può dire quasi finita. Giusto il tempo di un'ultima sigaretta. fonte : dagospia .it

STORIA DI UN'ITALIA POCO RACCONTATA (parte 3)

Rapporti USA – Italia – Libia in quegli anni Nel settembre - ottobre 78 una delegazione di uomini d’affari americani guidata da Billy Carter, fratello del Presidente USA in carica, si era recata per alcuni giorni in Libia su invito del Colonnello Gheddafi. La delegazione giungeva all’aeroporto di Fiumicino, proveniente da New York, accompagnata dal cittadino libico Shallouf Gibril. Il gruppo era composto oltre che da Billy Carter, da Randy Coleman, dal senatore Long J.C. Hudgins, Long Leonard, dal senatore Henry Russel, da certi Jordan e Leanza, e dalla signora Joan Kasper, e veniva ricevuto a Roma dal cittadino libico Zwei Salem (v. appunto S.I.S.MI del 27.09.78 trasmesso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 27.01.98). Scopo della visita era la stipula di accordi di natura commerciale. Nel febbraio del 79 Billy Carter ricambiò l’ospitalità di Gheddafi invitando una delegazione commerciale libica a Pleins in Georgia. Agli inizi del 1980 Billy Carter chiese e ricevette dai libici un prestito di 200.000 dollari. La vicenda, allorchè apparve sui media, provocò serio imbarazzo al Presidente Carter, in quanto si era a pochi mesi prima delle lezioni presidenziali. E’ bene però ricostruire l’intera successione dei fatti prendendo spunto dalla sentenza della Corte d’Assise di Roma nel procedimento penale cd “Supersismi”. Nel giugno 1980 i repubblicani americani per il tramite di Michel Ledeen, agente d’influenza americana in Italia chiesero al S.I.S.MI, con cui Ledeen era in contatto in qualità di consulente, aiuto al fine di scoprire le attività di Billy Carter in Libia. Il S.I.S.MI avrebbe rifiutato le richieste per ovvi motivi, ma il generale Santovito dava comunque incarico informale della questione a Francesco Pazienza; Pazienza con la collaborazione di Placido Magrì incaricò a sua volta il giornalista Giuseppe Settineri di contattare l’avvocato Michele Papa, amico della Libia, che aveva già avuto rapporti proprio con la delegazione che si era recata in Libia. Il giornalista incontrò l’avvocato Papa a Catania, si fece narrare la vicenda e registrò il colloquio. Le informazioni raccolte furono così trasmesse al generale Haig e a Ledeen, e messe a profitto in una campagna scandalistica contro Carter per favorire la vittoria di Reagan. Pazienza inquadra l’operazione tra quella della struttura “parallela” che egli stesso ha denunciato. Il S.I.S.MI ha sempre negato una partecipazione all’operazione, ma in vero questa non poteva avvenire senza l’impiego di uomini e mezzi del Servizio. Infatti l’apparecchio di registrazione usato da Settineri per registrare la conversazione con l’avvocato Papa fu fornito dal S.I.S.MI; i tecnici del Servizio provvidero ad eliminare i rumori di fondo della registrazione; Settineri ebbe l’incarico di acquistare a qualsiasi prezzo eventuali fotocopie di incontri tra Billy Carter ed esponenti arabi; il successo dell’operazione fu commentato negli uffici del S.I.S.MI da Pazienza, Artinghelli e Musumeci. Quest’ultimo ebbe a dire ad Artinghelli, ancorchè che in tono scherzoso, che “quella era una operazione del Servizio”. Conferma dell’operazione giungeva da persona da sempre ben al corrente delle segrete cose del nostro Paese, cioè il prefetto Federico Umberto D’Amato: “Vengo all’autunno 1980, quando Pazienza mi porta un certo Mike Ledeen, che conosceva già bene da molti anni. E’ un giornalista - forse è noto alla Commissione - che si è sempre occupato di questioni italiane (parla molto bene l’italiano), soprattutto dei problemi del terrorismo e della sovversione, con una certa competenza, anche se con un’ottica particolare. Ledeen era stato addirittura collaboratore dei Servizi italiani, perché aveva tenuto, insieme a due ex elementi della CIA, dei corsi dopo il caso Moro. Egli era un uomo che puntava disperatamente alla vittoria di Reagan, ed era in Italia per cercare di combinare, come si dice alla napoletana, un “piattino” a Carter con la storia del fratello Billy. Insieme a Ledeen e Pazienza andammo a pranzo un sera. Ledeen mi disse che stava mettendo su una campagna contro il fratello di Carter, che, a suo dire, era un corrotto, un dissoluto, lavorava con i libici, aveva regalato brillanti alla signora Carter e altre storie di questo genere. Riuscirono a montare un caso abbastanza interessante attraverso un contatto che crearono con un certo avvocato Papa di Catania, un uomo di Gheddafi. Fecero parlare questo Michele Papa con un giornalista che era andato lì con un microfono e gli fecero dire cose compromettenti. In seguito il Ledeen su una catena di giornali molto importanti (l’americano Washington Post credo collegato anche a “L’Express” francese e a qualche altro giornale) scatenò questi articoli qualche giorno prima delle elezioni presidenziali. Anche di tutto questo io resi edotto il Capo della Polizia ed il Ministro perché mi sembrava un fatto interessante, tenuto conto che avveniva sul territorio italiano. Debbo dire però, per obiettività che nella cosa non fu coinvolto, per ciò che mi risulta, il Servizio italiano; cioè non è che Pazienza, con l’occasione, si rivolse a Santovito per farsi aiutare in questa faccenda che aveva messo su, tanto è vero che chiesero consiglio a me circa il modo di accostare qualche dipendente dell’albergo Hilton, dove il Carter aveva alloggiato, per riuscire a raccogliere degli elementi. Quando vinse Reagan, il Pazienza andò in grande euforia insieme a Ledeen, il quale allora stava quasi sempre a Roma. E a questo punto credo che vada messo in evidenza un momento forse non conosciuto della storia dei rapporti tra l’Italia e Stati Uniti; un momento di vuoto di rapporti fra l’America di Reagan, appena eletto, e l’Italia. E questo perché l’Ambasciatore Gardner era molto inviso al nuovo Presidente, il quale, praticamente tagliò subito i rapporti con lui e gli fece sapere che se ne doveva andare, tanto che non si attese nemmeno che venisse il nuovo Ambasciatore Raab per liquidarlo (come forse si ricorderà, nel mese di gennaio Gardner fu cacciato via). Di conseguenza che cosa accadde? Come ripeto, si verificò un fenomeno abbastanza singolare del quale ho sempre riferito al mio Ministro e al Capo della polizia perché ero un osservatore abbastanza interessato: e cioè che in un certo senso, i rapporti tra la classe politica italiana, il Governo italiano e il nuovo gruppo che era andato al potere in America, erano tenuti da Pazienza e da Ledeen. L’Ambasciata americana non faceva nulla, erano tutti come bloccati; e anche la CIA: Montgomery, che era all’epoca il capostazione, fu sostituito immediatamente dopo. Quindi, vi fu un periodo di paralisi: era come se l’ambasciata americana non esistesse. Dico questo per spiegare ciò che avvenne; come è noto, ci furono dei viaggi organizzati, in un certo senso attraverso messaggi che erano stati inviati preventivamente da Ledeeen che era consigliere - o asseriva di essere tale, ma credo che lo fosse - di Haig e dallo stesso Pazienza, che aveva profonde conoscenze in quell’ambiente, cioè praticamente nell’ambiente repubblicano. E cosi avvennero questi viaggi”. (v. audizione Federico Umberto D’Amato alla Commissione P2, 29.10.82). L’avvocato Michele Papa e i suoi rapporti con i Libici. In ragione dei contatti intercorsi con l’ambiente libico è stata rivolta attenzione alla figura dell’avvocato Michele Papa di Catania, che è risultato effettivamente legato a quell’ambiente. Di particolare utilità per illuminare il ruolo del soggetto è l’analisi di due appunti, uno dei quali del 07.01.78, a firma del Capo di Gabinetto del Ministero dell’Interno, rinvenuto presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e acquisito agli atti del processo il 04.05.96, ad oggetto “Iniziative libiche per la penetrazione culturale in Sicilia”, e l’altro del 02.02.85 interno al S.I.S.MI e acquisito in data 03.02.97. Dalla relativa lettura emerge che il 18.03.74 per iniziativa dell’avvocato Filippo Jelo, all’epoca presidente dell’Ente Provinciale del Turismo, venne costituita nella città etnea l’Associazione Siculo-Araba (A.S.A.), a seguito di incontri avvenuti nel 73 tra lo stesso avvocato Jelo e due diplomatici libici, El Zaedi Habed Mohamed e El Zawi Ejhadi Mohamed, entrambi addetti presso l’ambasciata di Libia in Roma. Ufficialmente gli scopi statutari del sodalizio concernevano la promozione di ogni attività utile a rinsaldare i millenari vincoli che legavano il popolo arabo al popolo siciliano, l’incoraggiamento e lo stimolo di tutte le iniziative economiche e culturali, atte ad assicurare un comune processo evolutivo del popolo siciliano e arabo, a preservare, tutelare e valorizzare il patrimonio culturale e le vestigia, che testimoniavano la presenza della civiltà araba nell’Isola e la riconferma di un’attività mediterranea, che accomuna il popolo arabo a quello siciliano. La carica di presidente dell’Associazione venne assunta dallo stesso Jelo mentre quella di segretario generale venne affidata a Michele Papa, personaggio nella sfera d’influenza della Democrazia Cristiana, ma che in precedenza aveva militato nelle file dell’EVIS cioè l’“Esercito Volontario Indipendenza Siciliana” e successivamente come attivista nel “Movimento per l’Indipendenza della Sicilia”. Papa nei primi mesi del 76 subentrò alla presidenza al posto di Jelo. L’avvocato Papa, che già di fatto aveva abbandonato la professione, era considerato uomo molto attivo nella promozione di iniziative di vario genere, ma di modesto spessore. Tra le altre, volte a rafforzare i rapporti di amicizia ed incrementare lo scambio culturale, economico e commerciale tra la Sicilia e la Libia, in cui il Papa particolarmente s’adoprò, sono da ricordare la ricerca di lavoratori per la Libia, vicenda per la quale venne diffidato dal Ministero degli Esteri e successivamente, nel gennaio del 77, denunciato dal nucleo di CC. dello stesso Ministero ai sensi dell’art.5 della legge sull’emigrazione; la costituzione nella città etnea, il 30.05.74, di una camera del commercio siculo-araba; la costruzione nell’anno 1980, su un immobile di sua proprietà, della “moschea di Omar”, operazione che gli avrebbe fruttato un notevole guadagno; inoltre la promozione di un tentativo di riavvicinamento tra le posizione della Libia e quelle degli USA, e in particolare modo una attività di mediazione tra Billy Carter, fratello dell’ex Presidente americano, e il Governo libico. Per quest’ultima vicenda sarebbe stato addirittura sentito, nel 1981 a Catania, da una commissione del Senato statunitense. I contatti del Papa con il Governo libico nei primi mesi del 1984 si incrinarono senza particolari motivi apparenti, per poi rompersi definitivamente quando il 12 novembre le Autorità libiche gli comunicarono che non gli sarebbe stato più concesso il necessario visto d’ingresso. Il legale, escusso il 15.04.97, ha confermato a grandi linee le circostanze già note all’Ufficio, chiarendo in modo più particolareggiato alcune vicende, ed in particolare l’attività di intermediazione per una ripresa di contatti tra gli Stati Uniti e la Libia; riferendo che grazie all’interessamento di un italo-americano, tal Mario Leanza, residente ad Atlanta e mediatore di immobili, era riuscito ad entrare in rapporto con la famiglia Carter con l’intenzione di richiedere al fratello del Presidente, che sapeva produttore e commerciante di arachidi, se vi fossero possibilità per la conclusione di accordi commerciali con la Libia. Il Papa accompagnato dall’Ambasciatore libico Shallouf, incontrò Billy Carter ad Atlanta; le spese del viaggio, a dire del Papa, furono sostenute dallo Stato libico. Il Carter in quella circostanza accettò la proposta di intraprendere rapporti economici, poiché all’epoca era in una lobby di senatori e operatori economici desiderosi di “fare affari con la Libia”; pertanto si impegnò ad organizzare a breve scadenza una missione con una delegazione di politici ed industriali statunitensi nel Paese nord-africano, ricevendo in cambio assicurazioni che se si fosse giunti alla realizzazione del progetto, le autorità libiche avrebbero dovuto estinguere una sua precorsa ipoteca saldando il relativo debito. A seguito di tali impegni, una delegazione di circa venticinque persone , tra cui Billy Carter, sua madre e lo stesso Papa, si recò in Libia per essere ricevuta personalmente, a Tripoli, dal Colonnello Gheddafi. Alla delegazione, che ebbe contatti con diverse imprese pubbliche, furono offerti svariati doni, che scelsero presso la gioielleria dell’Hotel Hilton. Inoltre Billy Carter ricevette personalmente da Gheddafi la somma per estinguere l’ipoteca. La vicenda relativa all’attività di intermediazione del Papa venne trattata in altri termini dal S.I.S.MI. Infatti in un appunto redatto dal Servizio (allegato all’esame testimoniale reso dal Direttore del Servizio ammiraglio Battelli, GI il 06.02.97) ad oggetto “Dr. Francesco Pazienza”, si legge che quest’ultimo si era fatto introdurre dal noto Musumeci presso l’avvocato Papa Michele “personaggio notoriamente favorevole e vicino a Gheddafi”, per ottenere materiale e notizie da usare contro Billy Carter fratello dell’allora Presidente degli Stati Uniti. Successivamente, sempre secondo quanto riportato dall’appunto, il Pazienza e il Musumeci si erano vantati di essere stati gli autori occulti del cosiddetto “Billy - gate”, che non poco offuscò l’immagine del Presidente Americano. Sentito in merito, il Pazienza confermò quanto riportato nell’appunto del S.I.S.MI, aggiungendo che prima di lanciare l’operazione Billy-gate egli si era consultato con il Monsignor Achille Silvestrini, che aveva dato un tacito assenso all’operazione. Al momento del lancio dell’operazione venne assoldato Settineri Giuseppe, giornalista, conoscente dell’avvocato, “che fece parlare lungamente il Papa ... fornito di un microfono e un registratore ... . Lui dette tutte le conferme della grande amicizia che era nata tra il fratello del Presidente Carter e George Habbash, che era il Capo del FPLP”. La registrazione dell’intervista venne consegnata al S.I.S.MI e successivamente anche a un senatore americano repubblicano, giunto espressamente in Italia per la vicenda del coinvolgimento del fratello del Presidente in attività commerciali con la Libia. Il Settineri confermò le stesse circostanze con la precisazione che a consegnargli il registratore era stato tal Placido Magrì in un incontro avvenuto a Roma e che per il lavoro svolto aveva ottenuto dallo stesso un compenso di circa cinquecentomila lire più il rimborso spese (v. esame Settineri Giuseppe, GI 15.12.83). Inoltre il Pazienza espresse un’opinione personale sul Papa definendolo come un personaggio che “tentava” di ungere il più possibile i libici all’epoca con la storia della specie di moschea che aveva costruito ... ma che poi i libici non lo accreditarono di un’effettività come lui voleva effettivamente far credere”; inoltre il Pazienza riferì di non essere a conoscenza di presunti contatti del Papa con i Servizi italiani, mentre “sicuramente aveva dei rapporti con i Servizi libici in Italia”(v. interrogatorio Pazienza Francesco, GI 20.04.94). E’ da rilevare che il Papa nella sua unica deposizione ha riferito di non aver mai conosciuto nè il Pazienza, nè il generale Musumeci, nè tanto meno rappresentanti dei Servizi italiani. E’ emerso inoltre che il Papa, come si evince dalla documentazione sequestrata nel corso della perquisizione domiciliare effettuata dalla G. di F. di Catania, negli anni 1980/81, era rimasto coinvolto in un rapporto di intermediazione tra tale J.S.Fleming di Amherst (Massachusetts) e le autorità libiche in relazione alla vendita di otto aerei C130 fermi in Georgia, già acquistati dai libici bloccati per effetto dell’embargo decretato dai paesi occidentali. Richiesti chiarimenti al Papa, in sede di esame testimoniale, egli ha confermato sostanzialmente quanto rilevato dall’analisi delle carte sequestrate, precisando che l’affare non era andato in porto in quanto il leader libico aveva disposto di “lasciare gli aerei a marcire sotto il sole”, giacché prima o poi la vicenda sarebbe divenuta oggetto di contenzioso tra i due Stati interessati. In relazione all’esame della documentazione sequestratagli presso lo studio a Catania, (perquisizione e sequestro dell’11.11.96), è stato rilevato che sull’agenda appariva un appunto manoscritto del tenore “Avv. Aldo Davanzali ... società Sasar - Incop - Costruzioni - Itavia Spa”. Da accertamenti svolti, quest’ultima risultava essere una ditta commissionaria in Libia. Nel corso dell’esame testimoniale il Papa ricordava che proprio il Davanzali lo aveva contattato per riuscire a percepire somme di denaro dovutegli dal Governo libico a seguito del compimento di lavori stradali e opere pubbliche già ultimate, ma non ancora saldate. Egli si era adoperato mettendo in contatto l’avvocato Davanzali con il presidente della camera del commercio di Tripoli, tale Kirkia, impiegato anche presso la camera del commercio siculo-araba. Sempre nell’agenda sequestrata veniva inoltre rinvenuto un biglietto da visita intestato “Siai Marchetti Com. Francesco Sensi”. Il Papa ha spiegato di aver conosciuto Sensi durante un soggiorno nello stesso albergo in Libia. Inoltre ha ricordato che il comandante era incaricato dalla società dell’addestramento di piloti libici. Quanto all’annotazione manoscritta “Aerei libici con carburante ridotto per non fuggire” rinvenuta su un foglio contenuto nella cartella titolata “Memorie Libia Top Secret”, essa appare riconducibile alla lettera scritta dal Papa e pubblicata sul quotidiano “La Sicilia” il 17.02.91, sul viaggio che Gheddafi avrebbe dovuto intraprendere la sera del 27.06.80. A dire del Papa l’Executive che avrebbe dovuto trasportare il leader libico viaggiava sulla stessa tratta del DC9, ma con direzione sud-nord opposta al velivolo dell’Itavia. Sempre nello stesso articolo l’avvocato aveva trattato del MiG23 libico caduto in Italia, sostenendo che sicuramente era pilotato da un personaggio importante, in quanto solo in questi casi i serbatoi dell’aereo sarebbero stati completamente riforniti. In merito a questa vicenda il Papa ha confermato lo scritto, precisando che il velivolo Executive con a bordo Gheddafi era diretto verso un paese dell’Est, probabilmente la Romania; la destinazione era stata riferita direttamente dal leader nel corso di una conferenza stampa, che aveva avuto luogo dopo l’incidente di Ustica, e alla quale aveva partecipato, oltre a giornalisti italiani e stranieri presenti a Tripoli, egli stesso In relazione agli appunti sul carburante contenuto nel MiG23 libico, ha dichiarato di aver appreso quelle circostanze da amici libici “autorevoli ed a alto livello, tra cui ex Ministri”, di cui non ha rivelato i nomi allo scopo di garantirne la incolumità. A conclusione del quadro investigativo sul personaggio è stata anche analizzata la documentazione inviata dalla Procura di Palermo e inerente “Rapporti tra mafia e cosiddetta massoneria deviata”, acquisita presso il S.I.S.DE e la Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, da cui però non si sono rilevati elementi significativi per la posizione dell’avvocato catanese. E’ emerso soltanto, in un appunto presente nel fascicolo della DCPP intestato al nominato, che dopo il raffreddamento dei suoi rapporti con i rappresentanti delle autorità libiche, egli nell’84, aveva tentato il riavvicinamento ospitando la sera del 05.05.87, nei locali dell’associazione siculo-araba di Catania, esponenti del Governo libico, in occasione della cerimonia di costituzione del Congresso popolare per l’approfondimento della “Terza teoria universale di Gheddafi”. In un appunto del S.I.S.DE, redatto il 30.06.80, veniva evidenziato che il diradarsi dei rapporti tra il Papa ed ambienti libici doveva attribuirsi ad iniziative ritenute da questi ultimi poco ortodosse (come il reclutamento di manodopera italiana per la Libia) e a prese di posizione politiche autonome non condivise dai libici. Michela Ferrari Luca Prandini

Ustica, la denuncia choc: “L’incidente alle frecce tricolori fu un sabotaggio”

la denuncia choc: “L’incidente alle frecce tricolori fu un sabotaggio” Presentata una memoria ai giudici di Palermo per l'apertura di un fascicolo: "Nell'incidente in Germania morirono due piloti che quella sera stavano volando vicino al Dc9 dell'Itavia. E sarebbero stati due testimoni chiave per l'inchiesta di Priore" All’avvio a Palermo del processo di secondo grado per il risarcimento da parte dei ministeri della Difesa e dei Trasporti ai familiari delle vittime di Ustica, c’è un’altra storia che torna d’attualità. E’ quella che avvenne nelle prime ore della sera del 27 giugno 1980 quando due ufficiali dell’aeronautica erano in volo con un biposto TF104G nei cieli sopra il Tirreno. In missione d’addestramento, non erano lontani dalla rotta di un altro aereo, civile questa volta, il Dc9 dell’Itavia, che sarebbe stato abbattuto in un’azione di guerra mentre da Bologna viaggiava verso Palermo con un paio d’ore di ritardo. In base alla ricostruzione documentale si sa che quella sera i piloti miltari “squoccarono” 2 volte, cioè lanciarono un allarme, un “codice 73”, che esclude un problema al loro velivolo e segnala un altro tipo di emergenza. Ma di quale emergenza si trattasse non hanno mai potuto dirlo al giudice istruttore Rosario Priore che, indagando sulla strage di Ustica che provocò 81 vittime, li aveva convocati. I tenenti colonnelli Mario Naldini e Ivo Nutarelli, infatti, morirono qualche giorno prima. Era il 28 agosto 1988 e si stavano esibendo con le Frecce Tricolori a Ramstein, in Germania, quando una collisione in volo uccise loro due e un terzo ufficiale (il capitano Giorgio Alessio), oltre a mietere 68 vittime a terra. L’incidente di Ramstein sarebbe stato un sabotaggio? Che i due episodi, a 8 anni di distanza, fossero collegati in molti lo hanno sospettato a lungo. Ma oggi arriva un’indagine difensiva del pool di avvocati che assiste i familiari delle vittime di Ustica e che è stata ricostruita da Gianpiero Casagni sul mensile Il Sud. A parlarne è uno dei legali, Daniele Osnato, secondo il quale a provocare la sciagura tedesca fu un sabotaggio. L’ipotesi sarebbe suffragata da due elementi. Il primo riguarda il carrello d’atterraggio e il freno aerodinamico anteriore dell’Aermacchi Mb-339 che Naldini pilotava in Germania, entrambi aperti. Da un punto di vista tecnico, questo non sarebbe dovuto avvenire data la velocità, a meno di un malfunzionamento più esteso rispetto a quello già riscontrato di alcuni strumenti di bordo. In base alle risultanze, infatti, l’altimetro non gli avrebbe dato la possibilità di misurare la distanza dal jet al centro della formazione acrobatica. Il secondo elemento ritenuto anomalo riguarda invece la presunta scomparsa dei quattro “riscontri”, nome che nel linguaggio specialistico identifica i meccanismi d’acciaio che bloccano le taniche di carburante sulle ali degli aerei. Quest’ultimo punto sarebbe stato evidente fin dal giorno del disastro di Ramstein, ma venne denunciato solo anni dopo. Il processo d’appello sui maxi risarcimenti alle vittime. Ora la parola potrebbe passare alla magistratura. Intanto, però, l’attenzione si fissa sull’avvio dell’appello del processo civile che in primo grado ha riconosciuto un maxi risarcimento a chi perse uno dei propri familiari nella sciagura di Ustica. La terza sezione di Palermo, presieduta dal giudice Paola Proto Pisani, aveva infatti sentenziato lo scorso 12 settembre che i ministeri della Difesa e dei Trasporti si macchiarono di “omissioni e negligenze” e che, dopo la sciagura, operarono in modo tale per cui ai familiari delle vittime fosse negato il diritto alla verità. Più nello specifico è stato sancito in primo grado che la sicurezza del volo Itavia 870 non venne garantita soprattutto nella tratta che va sotto il nome di “Punto Condor” a causa di attività militari ufficiali e ufficiose che la rendevano ad alto rischio. Inoltre, negli anni successivi alla sciagura, i familiari delle vittime furono sottoposti a quella che gli atti chiamano la “tortura della goccia cinese”, uno stillicidio – hanno spiegato gli avvocati – di alterazioni di documenti, omissioni, segreti di Stato tali o presunti, menzogne. In altre parole depistaggi. Infine c’è un ultimo fronte aperto per quanto riguarda la vicenda di Ustica: la costituzione di un organismo d’indagine europeo che da un lato avvii un’inchiesta sovranazionale sui fatti di quasi 32 anni fa e dall’altro prema perché Francia, Belgio, Germania e Gran Bretagna rispondano alle rogatorie pendenti dopo l’avvio di una nuova indagine italiana nel 2007. E poi rimane la recente la questione libica con il rinvenimento alla fine dell’estate scorsa di documenti conservati dai servizi segreti di Tripoli. Documenti di cui ha dato notizia Peter Bouckaert, direttore del settore emergenze di Human Rights Watch, ma che ancora non hanno potuto essere visionati dalle autorità politiche e giudiziarie italiane. ANTONELLA BECCARIA-ILARIA GIUPPONI FONTE IL FATTOQUOTIDIANO .IT

stragi80.it Strage di Ustica, 27 giugno 1980

Cronologia 27 giugno 1980. Ore 20,59 e 45 secondi. Scompare dagli schermi radar del Centro di controllo di Roma Ciampino un DC9 della compagnia Itavia, matricola I-TIGI, nominativo radio IH-870, in volo a 25.000 piedi lungo l’aerovia Ambra 13. L’aereo, con a bordo 77 passeggeri, tutti di nazionalità italiana, e 4 membri dell’equipaggio, era decollato con due ore di ritardo, alle 20,08, dall’aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna; alle 21,13 doveva atterrare allo scalo siciliano di Palermo Punta Raisi. L’ultima “battuta” registrata dai radar è sul mar Tirreno, a nord dell’isola di Ustica, nel punto “Condor” delle carte aeronautiche [Mostra su Google Maps]. 28 giugno 1980. Ore 7,25. In fortissimo ritardo rispetto all’inabissamento del DC9, un elicottero individua una vasta macchia scura di combustibile. Circa quattro ore dopo l’incrociatore della Marina Militare Andrea Doria recupera i primi cadaveri: in tutto affioreranno dal Tirreno solo 39 corpi su 81. Più tardi giunge alla redazione romana del Corriere della Sera una telefonata anonima di rivendicazione a nome dei Nuclei Armati Rivoluzionari (Nar) in cui si afferma che a bordo del DC9 si trova Marco Affatigato, un terrorista di estrema destra, latitante, legato al Sismi. La notizia verrà smentita l’indomani e classificata come un depistaggio. Alle 18 si diffondono le prime ipotesi sulla caduta dell’aereo: cedimento strutturale, improvvisa anomalia nei valori di pressurizzazione o collisione in volo. La compagnia Itavia viene accusata di far volare “aerei carretta”. Il ministro dei Trasporti Rino Formica nomina una Commissione d’inchiesta alla cui guida viene chiamato il direttore dell’aeroporto di Alghero, Carlo Luzzatti. Il generale Saverio Rana, presidente del Registro aeronautico italiano, mostra una fotocopia di un tracciato radar al ministro Formica da cui emerge che il DC9 ha avuto un impatto con un missile, un meteorite o con un altro oggetto. 2 luglio 1980. Il Consolato libico a Palermo pubblica sul quotidiano cittadino “L’Ora” un singolare necrologio: “Il Consolato Generale della Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista partecipa sinceramente al dolore che ha colpito i familiari delle vittime della sciagura aerea di Ustica e manifesta tutta la sua solidarietà al Presidente della Regione e al Presidente dell’Ars per questo grave lutto che ha colpito la Sicilia”. 3 luglio 1980. La Procura di Roma riceve gli atti da Palermo e apre un fascicolo sul disastro affidato al pm Giorgio Santacroce. 18 luglio 1980. Sulle montagne della Sila in Calabria vengono rinvenuti i resti di un MiG 23 libico. Il cadavere del pilota è in avanzato stato di decomposizione tanto da far pensare che l’aereo sia caduto almeno venti giorni prima. Verosimilmente il MiG riuscirà a violare lo spazio aereo italiano mentre nel basso Mediterraneo è in corso un’imponente esercitazione della Nato denominata “Natinad Demon Jam V”. 3 ottobre 1980. Nel Centro radar dell’Aeronautica di Marsala il pm Santacroce sequestra le bobine con le registrazioni della sera del 27 giugno. 25 novembre 1980. Un esperto americano del National Transportation Safety Board, John Macidull, analizza il tracciato radar di Ciampino e si convince che, al momento del disastro, accanto al DC9 volava un altro aereo. Per Macidull, il DC9 è stato colpito da un missile lanciato dal velivolo non identificato rilevato nelle vicinanze. Tale aereo secondo l’esperto del Ntsb attraversa la zona dell’incidente da Ovest verso Est ad alta velocità (tra 300 e 550 nodi) approssimativamente nello stesso momento in cui si verifica l’incidente, ma senza entrare in collisione con l’Itavia 870. 17 dicembre 1980. Il presidente della compagnia aerea Itavia, Aldo Davanzali, afferma di avere la certezza che ad abbattere il suo DC-9 è stato un missile lanciato da un aereo. 21 gennaio 1981. Il ministro dei Trasporti revoca la concessione dei servizi di linea all’Itavia. Già colpita da una forte crisi economica (ha ipoteche per 150 miliardi di lire) la compagnia il 14 aprile dichiarerà lo stato di insolvenza e verrà posta in amministrazione straordinaria il successivo 31 luglio. 9 maggio 1981. Muore di infarto a Grosseto il capitano dell’Aeronautica Maurizio Gari. La sera del disastro è capo controllore di sala operativa presso il centro radar di Poggio Ballone. La sua testimonianza sarebbe stata di grande utilità per l’inchiesta. 16 marzo 1982. La relazione della Commissione d’inchiesta ministeriale esclude sia il cedimento strutturale “per fatica” sia la collisione in volo con un altro velivolo, ma conclude che senza l’esame del relitto non è possibile stabilire se si sia trattato di un missile o di una bomba collocata a bordo. Gli esperti ipotizzano la presenza di un oggetto non identificato che viaggia ad alta velocità in direzione trasversale al DC9. [Leggi la relazione] 26 luglio 1982. Va in onda sulla Bbc un servizio sulla strage di Ustica dal titolo “Murder in the Sky” dove Macidull ribadisce che nei pressi del DC9 c’era in volo un caccia non identificato. Nel corso dello stesso servizio un altro esperto, questo del Pentagono, John Transue, afferma che il caccia, che ha abbattuto il DC9, potrebbe essere un MiG 23 o un MiG 25 libico. 9 gennaio 1984. Per il ministro della Difesa Giovanni Spadolini il DC9 è stato abbattuto dalla deflagrazione di un ordigno, probabilmente confezionato con esplosivo T4, tracce del quale sono state trovate su alcuni reperti da un esperto esplosivista dell’Aeronautica. 10 gennaio 1984. Il pm Giorgio Santacroce formalizza l’inchiesta sulla sciagura del DC9 e l’incidente si trasforma, giuridicamente, in strage aviatoria. Santacroce viene affiancato dal giudice istruttore Vittorio Bucarelli. Le indagini, pur andando avanti, per il momento non si avvalgono della collaborazione tecnica di esperti aeronautici. 21 novembre 1984. Il giudice Bucarelli nomina una commissione peritale. Il collegio di esperti prenderà il nome dal suo coordinatore, il professor Massimo Blasi. 30 aprile 1985. Il giudice Bucarelli e i periti giudiziari fanno volare un DC9, identico all’IH-870, lungo l’aerovia Ambra 13 e lo fanno intercettare da un caccia militare. Alcuni esperti assistono all’esercitazione davanti agli schermi radar di Ciampino, altri sono in volo sull’aereo. L’esperimento, che ricrea uno scenario assai simile alla sera del 27 giugno 1980, conferma l’ipotesi che vicino al DC9 precipitato c’era un caccia. 27 giugno 1986. “Il governo ha mantenuto il silenzio anche di fronte alla ipotesi in base alla quale il velivolo sarebbe stato abbattuto da un missile lanciato da un aereo militare di nazionalità sconosciuta. Il mancato accertamento della dinamica dell’incidente del DC9 dell’Itavia priva di fatto le famiglie delle vittime di ogni possibilità di risarcimento adeguato in quanto, a sei anni dalla tragedia, rimane ignoto il soggetto cui esse debbono rivolgersi”. E’ quanto affermano in un appello, presentato al Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, l’ex presidente della Corte Costituzione, Francesco Bonifacio, il vicepresidente del Senato, Adriano Ossicini, il Sen. Pietro Scoppola, i deputati Antonio Giolitti (Psi), Pietro Ingrao (Pci) e Stefano Rodotà (Sinistra indipendente) e il sociologo Franco Ferrarotti. 30 settembre 1986. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giuliano Amato annuncia l’intenzione del Governo di procedere al recupero del relitto del DC9. 31 marzo 1987. Viene trovato impiccato ad un albero sul greto del fiume Ombrone, nei pressi di Grosseto, il maresciallo dell’Aeronautica Mario Alberto Dettori. La sera del 27 giugno 1980 il sottufficiale era controllore di difesa aerea al radar di Poggio Ballone. Rientrando a casa Dettori scosso dice a sua moglie “stanotte è successo un casino; qui vanno tutti in galera”. Pochi giorni dopo si confida anche con sua cognata: “Sai, l’aereo di Ustica, c’è di mezzo Gheddafi, è successo un casino, qui fanno scoppiare una guerra”. Per gli inquirenti sulla morte del sottufficiale permangono indizi di collegamento con il disastro del DC9 e con la caduta del MiG sulla Sila. 8 maggio 1987. La ditta francese Ifremer, che verrà poi accusata di essere legata ai servizi segreti d’Oltralpe, comincia le operazioni di recupero della carcassa del DC9 adagiata a 3.600 metri sul fondo del Tirreno. Il recupero si concluderà in parte nel maggio del 1988. Verrà recuperata anche una delle due scatole nere, il Cockpit Voice Recorder, che registra le comunicazioni radio con terra e quelle interne al velivolo. L’analisi permetterà di ascoltare l’ultimo frammento di parola “Gua…”, pronunciata dal pilota tre minuti dopo l’ultima comunicazione con Ciampino. 6 maggio 1988. Nel corso della trasmissione televisiva di Rai 3 “Telefono giallo”, condotta da Corrado Augias un anonimo chiama in diretta e si qualifica come aviere in servizio al radar di Marsala. L’uomo afferma di aver esaminato le tracce radar ma il giorno successivo il maresciallo responsabile del servizio l’aveva invitato a farsi gli affari propri. Guarda il video. 7 maggio 1988. Il procuratore di Marsala, Paolo Borsellino, apre un’inchiesta sulla telefonata giunta a “Telefono giallo” e fa identificare tutti i militari in servizio al radar di Marsala la sera del 27 giugno. 20 maggio 1988. I famigliari degli 81 passeggeri si costituiscono in associazione. Presidente è Daria Bonfietti, sorella del giornalista Alberto, anch’egli tra i passeggeri. 30 maggio 1988. Durante gli interrogatori, tutti i militari in servizio a Marsala la sera del disastro, eccetto uno, riferiscono di non aver visto al radar quanto stava accadendo nel cielo di Ustica. Il muro di gomma si rompe con le dichiarazioni del maresciallo Luciano Carico. L’ufficiale di identificazione si accorse che il DC9 era scomparso dagli schermi, e avvertì i suoi diretti superiori. Carico osservò nei pressi del DC9 anche la traccia di un altro velivolo, che crede di identificare in un boeing 720 dell’Air Malta, che seguiva l’Itavia e che poi lo sorpassò a velocità superiore. Il maresciallo intercettò le due tracce, Itavia e Air Malta, pochi minuti prima delle 21, all’altezza di Ponza. Viene accertato che quel velivolo non poteva essere l’Air Malta perché a quell’ora il boeing si trovava ancora all’altezza dell’Argentario. Carico dichiara, inoltre, di aver identificato, come friendly, cioè come traccia amica, il DC9 e ribadisce di aver notato la sua traccia diminuire di qualità proprio sul mare, dove stava precipitando. Carico comprese che in quella traccia c’era qualcosa di strano: si mise in contatto con Punta Raisi e Fiumicino ma nessuno è mai più riuscito a trovare quelle conversazioni. 28 agosto 1988. Durante uno spettacolo acrobatico alla base Nato di Ramstein perdono la vita, scontrandosi in volo, due ufficiali dell’Aeronautica, piloti delle Frecce tricolore. Sono i tenenti colonnello Mario Naldini e Ivo Nutarelli. La sera del 27 giugno 1980, fino a circa dieci minuti prima della scomparsa del DC9 i due ufficiali erano in volo su un intercettore TF-104 decollato da Grosseto. Per gli inquirenti i due avieri, che dovevano essere sentiti dalla Procura erano a conoscenza di molteplici circostanze sul caso Ustica. 17 novembre 1988. Il presidente del Consiglio Ciriaco De Mita nomina una commissione d’indagine con a capo il procuratore generale della Cassazione Carlo Maria Pratis. 16 marzo 1989. Il collegio dei periti Blasi consegna al giudice istruttore una relazione in cui sostiene la tesi del missile lanciato da un caccia non identificato ed esploso in prossimità della zona anteriore dell’aereo. 5 maggio 1989. Il capo di stato maggiore dell’Aeronautica Franco Pisano consegna al ministro della Difesa Valerio Zanone i risultati di un’inchiesta tecnico-amministrativa in cui si difende l’operato dell’Aeronautica e si contestano le conclusione a cui sono giunti i periti del collegio. [Leggi la relazione] 10 maggio 1989. La commissione governativa nominata da De Mita giunge alla conclusione che l’aereo è stato abbattuto da un missile ma non scarta l’ipotesi di una bomba collocata a bordo. 28 giugno 1989. Il giudice Bucarelli e il pm Santacroce incriminano, per falsa testimonianza e favoreggiamento, ventitrè tra ufficiali e avieri in servizio la sera del disastro nei centri radar della Difesa di Licola e Marsala. 18 settembre 1989. Bucarelli, anche in base ai risultati delle relazioni Pratis e Pisano, chiede al collegio Blasi di rispondere a quattro quesiti supplementari: vuole sapere se a causare la caduta del DC9 sia stato un missile o una bomba. 12 ottobre 1989. Il leader libico Muammar Gheddafi scrive al Capo dello Stato Francesco Cossiga stigmatizzando le manovre Nato nel Mediterraneo del 1980: “hanno disperso tutti gli sforzi compiuti dalle forze progressiste ed amanti della pace, per la sicurezza e l’integrità del Mediterraneo. Non avete scordato certamente il delitto e la tragedia occorsa al DC9 dell’Itavia, abbattuto il 27 giugno 1980, in cui hanno perso la vita decine e decine di vittime, a causa della aggressione ed in conseguenza della presenza delle basi e delle flotte militari, nel Mediterraneo, come non avete scordato l’attacco americano alla Giamahiria, che causò la morte di decine e decine di morti fra civili inermi, le nostre donne, bambini e vecchi”. 5 gennaio 1990. Nel corso di una conferenza stampa, in merito al presunto viaggio che egli avrebbe effettuato la sera del disastro di Ustica, Gheddafi afferma che il suo aereo era in volo sul Mediterraneo diretto in Europa per riparazioni, ma che egli non era a bordo. Gli Usa avrebbero preso un tragico abbaglio. Secondo il leader, nel tentativo di abbatterlo, hanno invece colpito l’aereo italiano e uno libico, convinti poi d’aver eliminato lui stesso o un esponente palestinese. 26 maggio 1990. Due dei cinque periti del collegio Blasi si dissociano dalle conclusioni consegnate al giudice il 16 marzo 1989 e sostengono la tesi di una bomba a bordo. Gli altri tre esperti ribadiscono che ad abbattere l’aereo è stato un missile aria-aria non italiano. 17 luglio 1990. Il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giuliano Amato accusa, nel corso di un’audizione alla Commissione Stragi, il giudice Bucarelli di avergli mostrato alcune foto del relitto, scattate dagli americani prima che lo stesso fosse recuperato, ma di non averle acquisite come prova. Il magistrato, prima di abbandonare l’inchiesta, negherà, querelando tra l’altro il parlamentare, di possedere quelle foto. 23 luglio 1990. L’inchiesta sul disastro passa nelle mani del giudice istruttore Rosario Priore che nomina un altro collegio di periti, già individuati da Bulcarelli in ambito internazionale, la cui guida viene affidata al professor Aurelio Misiti. 27 giugno 1991. Nelle sale cinematografiche viene proiettato il film inchiesta “Il muro di gomma” di Marco Risi con la sceneggiatura di Sandro Petraglia, Stefano Rulli e del giornalista del «Corriere della Sera» Andrea Purgatori. La pellicola susciterà polemiche al festival di Venezia, ma otterrà un anno dopo il Nastro d’argento per il miglior soggetto e il Premio cinema per la pace nel 1993. 13 luglio 1991. La società inglese Winpol, incaricata dal giudice Priore di completare il recupero del relitto, riporta in superficie la seconda scatola nera del DC9, il Flight Data Recorder che registra i dati di volo. Dall’analisi del Fdr non emerge alcun dato utile a ricostruire la dinamica del disastro se non la conferma che il collasso dei sistemi di volo fu violento ed improvviso. Fino a quel momento l’aereo era in volo livellato e tutti i sistemi di bordo erano perfettamente funzionanti. 12 gennaio 1992. L’esperto americano Chris Protheroe, incaricato dal giudice istruttore di svolgere una perizia sul relitto del DC9 indica l’esplosione interna come causa più probabile del disastro. 15 gennaio 1992. Al termine di decine di interrogatori e confronti, il giudice Priore incrimina 13 alti ufficiali dell’Aeronautica e li accusa di aver depistato le indagini sulla strage. Tra loro vi sono i generali Lamberto Bartolucci, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, Franco Ferri, sottocapo di Stato Maggiore, Zeno Tascio, Capo del Sios, e Corrado Melillo, Capo del terzo reparto dello Stato Maggiore. Il reato ipotizzato nelle comunicazioni giudiziarie è quello di attentato contro l’attività del governo con l’aggravante dell’alto tradimento e della falsa testimonianza, in relazione all’accusa di strage ipotizzata contro ignoti. 14 aprile 1992. La Commissione Stragi, presieduta dal senatore Libero Gualtieri, approva la relazione conclusiva sul caso Ustica, che segnala in modo pesante reticenze e menzogne di poteri pubblici e istituzioni militari. Gualtieri, scrive nelle sue conclusioni, che è giunto il momento di chiedere conto agli altri Paesi di quanto è accaduto nei cieli italiani. 12 gennaio 1993. Durante uno strano tentativo di rapina in strada viene ucciso a Bruxelles il consulente dell’Alenia e generale dell’Aeronautica Roberto Boemio. Nel 1980 era capo di Stato maggiore presso la Terza Regione aerea di Bari. La magistratura belga non ha mai risolto il caso. 3 marzo 1993. L’ex colonnello del Kgb, Alexej Pavlov, afferma in un’intervista al Gr1 della Rai che il DC9 è stato abbattuto da missili americani e che i sovietici videro tutto da una base militare segreta vicino Tripoli. 27 giugno 1993. Robert Sewell, esperto statunitense di missili e consulente per conto dei familiari delle vittime, sostiene che la principale causa del danneggiamento del velivolo sia stata la detonazione di una o forse due testate missilistiche di grande potenza, avvenuta nella parte anteriore destra della fusoliera, e la perforazione della fusoliera stessa da parte del missile. 23 dicembre 1993. Un imprenditore toscano, Andrea Crociani, riferisce al giudice Rosario Priore, le confessioni ricevute dal tenente colonnello Mario Naldini, morto nel 1988 nella tragedia delle Frecce Tricolori a Ramstein. Naldini, che era in volo su un TF-104 insieme a Ivo Nutarelli, anche lui morto a Ramstein, riferì all’imprenditore di aver intercettato, prima di ricevere l’ordine di rientrare a Grosseto e prima della caduta del DC9, tre aerei: uno autorizzato e due no. 29 giugno 1994. I periti di parte degli ufficiali dell’Aeronautica inquisiti sostengono che il DC9 sia esploso in volo per una bomba. 23 luglio 1994. Per il collegio peritale nominato da Priore è tecnicamente sostenibile che una bomba, posta nella toilette posteriore dell’aereo, abbia causato il disastro. Due periti presentano una nota aggiuntiva dove sostengono anche l’ipotesi della “quasi collisione” con un altro aereo. 12 ottobre 1994. Le conclusioni del collegio Misiti non convincono il procuratore della Repubblica di Roma Michele Coiro e i sostituti Giovanni Salvi e Vincenzo Roselli che inviano a Priore un documento con cui contestano la tesi sostenuta dai periti. 21 dicembre 1995. Il maresciallo dell’Aeronautica Franco Parisi s’impicca ad un albero nella periferia di Lecce. Nel 1980 Parisi era controllore di difesa aerea presso la sala operativa del centro radar di Otranto. Anche su quest’ultimo suicidio gli inquirenti nutrono fortissimi dubbi; potrebbe essere collegato con il disastro del DC9 e la caduta del MiG sulla Sila. 23 dicembre 1995. I consulenti di parte Itavia, Luigi Di Stefano e Mario Cinti, ex generale e portavoce della compagnia aerea, presentano un documento che evidenzia le contraddizioni dell’ipotesi bomba. Gli esperti forniscono al giudice una ricostruzione virtuale del relitto del DC9, utilizzando tecniche di disegno elettronico. Cinti e Di Stefano sostengono che il DC9 sia stato abbattuto dai corpi inerti di due missili, esplosi a una distanza tale da non potersi determinare l’impatto delle schegge della testa di guerra: proseguendo nella loro corsa avrebbero così trapassato la parte anteriore della fusoliera dell’aereo causando la caduta. Durante la nuova perizia radaristica ordinata dal giudice Priore, gli stessi periti dell’Itavia sosterranno che l’aereo aggressore è penetrato nello spazio aereo italiano mascherandosi con una operazione di guerra elettronica, che risulta riconoscibile dall’esame dei tracciati radar militari. 26 marzo 1996. La Nato nega al giudice istruttore Rosario Priore i codici per decifrare il funzionamento del sistema radar Nadge. Per la Nato tali codici sono assolutamente riservati e su di essi non può essere tolto in alcun modo il segreto. 17 dicembre 1996. Il Presidente del Consiglio Romano Prodi e il Vicepresidente Walter Veltroni ottengono la collaborazione del segretario generale della Nato Javier Solana nel reperire i codici necessari per decifrare i tracciati radar senza dei quali le indagini non possono andare avanti. 16 giugno 1997. Tre esperti, Franco Donali, Roberto Tiberio e Enzo Dalle Mese, consegnano a Priore una perizia radaristica in cui è definita plausibile l’ipotesi di un velivolo nascosto nella scia del DC9 e uno scenario attorno al volo civile più complesso di quanto non sia emerso dalla perizia del collegio Misiti. Per gli esperti quella sera sul Tirreno c’era sicuramente un intenso traffico di aerei militari e una portaerei in navigazione ma non si tratta della Usa Saratoga che era alla fonda nel porto di Napoli. In questa fase risulterà determinante, dopo le pressioni esercitate dal Governo, la collaborazione offerta dalla Nato nel decifrare i tracciati radar. 6 dicembre 1997. In un supplemento di perizia radaristica, i periti nominati dal giudice istruttore affermano che la sera del disastro a tutti gli aerei militari che si muovevano nello spazio percorso dal DC9, fu impartito l’ordine di spegnere il transponder che avrebbe consentito la loro identificazione. 7 gennaio 1998. Il giudice Priore chiude l’inchiesta. Gli atti, depositati nel bunker di piazza Adriana, vengono messi a disposizione dei pubblici ministeri per le conclusioni e per le eventuali richieste di rinvio a giudizio. 31 luglio 1998. I pubblici ministeri romani Settembrino Nebbioso, Vincenzo Roselli e Giovanni Salvi chiedono il rinvio a giudizio per i generali dell’Aeronautica militare Lamberto Bartolucci, Zeno Tascio, Corrado Melillo e Franco Ferri. L’accusa è attentato contro gli organi costituzionali. Viene richiesto un processo anche per altri cinque, ufficiali e sottufficiali dell’Ami, accusati di falsa testimonianza: Francesco Pugliese, Nicola Fiorito De Falco, Umberto Alloro, Claudio Masci, Pasquale Notarnicola e Bruno Bomprezzi. I magistrati precisano di non essere in possesso di elementi idonei per stabilire quali furono le cause della caduta del DC9, escludono però la “sussistenza di indizi di cedimento delle strutture”. richieste dei P.M. [Leggi la richiesta] 8 aprile 1999. Al giudice Priore giungono le note conclusive dei periti radaristi: l’incidente al DC9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento verosimilmente nei confronti dell’aereo nascosto nella scia del DC9: l’aereo di linea è rimasto vittima fortuita di tale azione. L’ipotesi più probabile che spiega le modalità di rottura del DC9 sarebbe da ricercare nella “mancata collisione”. Lo scenario così delineato è perfettamente congruente con tutti i dati disponibili e per di più offre spiegazioni logiche a tutta una serie di fatti fino a quel momento inspiegabili, determinati dalla necessità di mantenere segreta una operazione militare che tale doveva rimanere. A tale riguardo i fatti più rilevanti sono: la reticenza dell’Aeronautica e più in generale del personale in servizio nei vari siti al momento dell’incidente, la mancata collaborazione internazionale alle ripetute rogatorie dell’autorità giudiziaria, le innumerevoli incongruenze registrate nella vicenda del MiG caduto in Sila, la sparizione di dati e reperti che sarebbero stati fondamentali per l’inchiesta, le illogicità presenti in ipotesi alternative come quella della presenza di una bomba a bordo. 31 agosto 1999. Il giudice Rosario Priore rinvia a giudizio i generali Lamberto Bartolucci, Zeno Tascio, Corrado Melillo e Franco Ferri e gli altri 5 ufficiali per attentato contro gli organi costituzionali con l’aggravante dell’alto tradimento, mentre dichiara di non doversi procedere per strage perché “ignoti gli autori del reato”. Per Priore il DC9 è stato abbattuto, “è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti. Nessuno ha dato la minima spiegazione di quanto è avvenuto”. [Leggi la sentenza-ordinanza] 23 giugno 2000. La procura militare di Roma chiede l’archiviazione dell’indagine sul disastro di Ustica: “Non ci sono i presupposti per rivendicare spazi di giurisdizione da parte della magistratura militare”. 28 settembre 2000. Si apre a Roma nell’aula bunker di Rebibbia, davanti alla sezione terza della Corte d’Assise di Roma, il processo sui presunti depistaggi. 1 dicembre 2000. La Corte d’Assise di Roma dichiara la nullità dell’attività istruttoria compiuta dal Giudice Istruttore Rosario Priore nei procedimenti per il reato di falsa testimonianza contestato agli imputati Pugliese Francesco, Alloro Umberto, Masci Claudio, Notarnicola Pasquale e Bomprezzi Bruno, e dell’Ordinanza di rinvio a giudizio. 11 aprile 2001. Aldo Davanzali, presidente dell’Itavia, chiede allo Stato un risarcimento di 1.700 miliardi per i danni morali e patrimoniali subiti dopo la strage di Ustica. 2 luglio 2001. Il processo resta di competenza della giustizia civile. Lo stabilisce la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso del procuratore militare Antonino Intelisano contro l’ordinanza del gip militare che gli aveva imposto di indagare i quattro generali già sotto processo dinanzi alla III^ Corte d’Assise di Roma. 24 gennaio 2002. La Corte dei Conti chiede 27 miliardi di lire a militari ed altre persone coinvolte a vario titolo nell’inchiesta sulla strage di Ustica come risarcimento per le spese sostenute per recuperare la carlinga del Dc9 dell’Itavia. 1 settembre 2003. Il leader libico Gheddafi nel corso di un discorso al Paese, in occasione del 34° anniversario della rivoluzione libica, afferma che il DC9 è stato abbattuto da aerei Usa. Secondo il colonnello gli americani credevano che in volo ci fosse lui stesso e volevano eliminarlo. 26 novembre 2003. Il Tribunale di Roma condanna i ministeri della Difesa, dei Trasporti e dell’Interno a risarcire 108 milioni di euro alla compagnia Itavia perché lo Stato non avrebbe garantito la sicurezza dell’aerovia nella quale viaggiava il DC9. L’Itavia sostiene che il disastro di Ustica “non fu provocato da cedimento strutturale dell’aereo, ma da un missile lanciato da un altro aereo”. [Leggi la sentenza] 19 dicembre 2003. I pm Erminio Amelio, Maria Monteleone e Vincenzo Roselli, nel corso delle requisitorie in Corte d’Assise, chiedono la condanna a 6 anni e 9 mesi di reclusione, di cui 4 anni condonati, per i generali Lamberto Bartolucci e Franco Ferri, accusati di attentato agli organi costituzionali con l’aggravante dell’alto tradimento. Secondo l’accusa: avrebbero omesso di fornire informazioni al Governo. Chiesta l’assoluzione nei confronti dei generali Zeno Tascio e Corrado Melillo. 30 aprile 2004. Si chiude il processo sui presunti depistaggi: la Corte d’Assise di Roma assolve da tutte le accuse i generali dell’Aeronautica Lamberto Bartolucci, Franco Ferri, Zeno Tascio e Corrado Melillo. Per un capo di imputazione, nei confronti di Ferri e Bartolucci, riguardante le informazione errate fornite al Governo in merito alla presenza di altri aerei la sera dell’incidente, il reato è considerato prescritto in quanto derubricato. [Leggi il dispositivo] 27 novembre 2004. La Corte d’Assise di Roma deposita le motivazioni della sentenza di assoluzione dei quattro generali dell’Aeronautica. Per i giudici i militari non si macchiarono del reato di alto tradimento, ma solo di quello di turbativa. Non riferirono al Governo i risultati dell’analisi dei dati del radar di Ciampino né le informazioni in merito al possibile coinvolgimento nel disastro di altri aerei. Secondo gli stessi giudici è errata l’ipotesi che il MiG trovato sulla Sila sia precipitato la stessa sera del disastro del DC9. I giudici rilevano, tra l’altro, “una forte determinazione ad orientare nel senso voluto dallo Stato maggiore dell’Aeronautica le indagini a qualsiasi livello svolte su Ustica”. Le motivazioni depositate, secondo Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione dei parenti delle vittime della strage, “ribadiscono che ad opera dei vertici dell’Aeronautica è stato commesso il reato di alto tradimento: in quanto, avendo dati sulla presenza di altri aerei attorno al DC9 inequivocabilmente significativi, decisero di non trasmetterli al Governo”. [Leggi le motivazioni] 15 febbraio 2005. Il pm e i difensori di parte civile presentano una richiesta di appello contro la sentenza pronunciata dalla Corte d’Assise di Roma il 30 aprile 2004. Presentano la stessa richiesta anche i legali della compagnia Itavia. [Leggi le richieste] 26 maggio 2005. Muore all’età di 83 anni il presidente della compagnia Itavia Aldo Davanzali. 3 novembre 2005. Inizia a Roma il processo di appello ai generali Bartolucci e Ferri perché rispondano del reato di omessa comunicazione al Governo di informazioni sul disastro di Ustica. Il dibattimento di secondo grado scaturisce dall’impugnazione della sentenza fatta dai pm Monteleone e Amelio limitatamente alla dichiarazione di prescrizione del reato. 29 novembre 2005. I pm chiedono alla Corte d’Assise d’Appello di Roma una condanna a 6 anni (4 dei quali condonati) e 9 mesi per gli ex generali Bartolucci e Ferri. 15 dicembre 2005. I giudici della prima Corte d’Assise d’Appello di Roma, presieduta da Antonio Cappiello, assolvono “perché il fatto non sussiste” Bartolucci e il suo vice Ferri. [Leggi il dispositivo] 29 dicembre 2005. Il Governo con la Legge Finanziaria 2006 stanzia un fondo di 8 mln di Euro (circa 98mila euro a ciscun erede) a favore dei familiari delle vittime della strage. [Gazzetta Ufficiale n° 302 del 29/12/05] 6 aprile 2006. La Corte d’Assise d’Appello di Roma deposita le motivazioni della frettolosa sentenza del 15 dicembre 2005 che ha assolto i generali Bartolucci e Ferri. Per la Corte sostenere che accanto al DC9 la sera del disastro c’era un aereo significa compiere “un salto logico non giustificabile”. Tale ipotesi, si legge nelle motivazioni, è supportata solo “da deduzioni, probabilità e basse percentuali e mai da una sola certezza”. Bartolucci, non poteva, secondo il giudice Antonio Cappiello, “omettere di comunicare al ministro della Difesa ciò che probatoriamente gli era ignoto”. [Leggi le motivazioni] 10 maggio 2006. La Procura Generale di Roma propone ricorso per Cassazione perché venga annullata la sentenza della Corte d’Appello del 15 dicembre 2005 dichiarando che “il fatto contestato non è più previsto dalla legge come reato” anziché “perché il fatto non sussiste”. [Leggi il ricorso] 1 giugno 2006. Il Governo dà mandato all’Avvocatura dello Stato, costituita quale parte civile, a proporre ricorso per Cassazione contro la sentenza della Corte d’Appello di Roma del 15 dicembre 2005 che assolse i generali Bartolucci e Ferri. [La nota della Pcm]. 1 giugno 2006. Lo Stato risarcisce i genitori di Rita Guzzo, morta all’età di 30 anni sul DC9. A pagare (123 mila euro più le spese legali) sarà il Ministero alle Infrastrutture e dei Trasporti per effetto di una sentenza pronunciata dal Tribunale civile di Palermo. 20 giugno 2006. La Corte dei Conti assolve in via definitiva 35 tra alti ufficiali, sottufficiali e militari dall’accusa di aver procurato un danno all’erario facendo spendere al Governo quasi 28 miliardi di lire per il recupero della carlinga del DC9. Per i giudici contabili quelle spese furono disposte dal magistrato inquirente in assoluta autonomia nel tentativo di far luce sulla vicenda e non possono essere addebitate agli ufficiali inquisiti. [Leggi la sentenza] 25 giugno 2006. Il relitto del DC9 Itavia viene trasferito dall’hangar dell’aeroporto romano di Pratica di Mare a Bologna. Trasportati da un lungo convoglio di mezzi dei vigili del fuoco, i resti del velivolo, dopo essere stati affidati in custodia al Comune di Bologna, verranno riassemblati nel Museo della Memoria all’ex deposito Zucca di via Saliceto. 27 giugno 2006. Nel ventiseiesimo anniversario della strage una mozione parlamentare al Senato chiede al Governo di intraprendere nelle sedi più opportune ogni possibile iniziativa finalizzata all’accertamento della verità sull’abbattimento del Dc9 e di adoperarsi presso le istituzioni internazionali affinché Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Libia collaborino alle indagini. 10 gennaio 2007. La Corte di Cassazione, dichiarando inammissibile il ricorso della Procura Generale del Tribunale di Roma e rigettando anche quello delle parti civili, assolve definitivamente, per mancanza di prove, i generali Bartolucci e Ferri. L’istruttoria, secondo i supremi giudici, “si è limitata ad acquisire un’imponente massa di dati dai quali peraltro non è stato possibile ricavare elementi di prova a conforto della tesi di accusa”. La sentenza di appello, scrivono ancora nelle motivazioni, “ha ritenuto in modo chiaro ed esplicito che la prova dei fatti contestati sia del tutto mancata” e quindi la formula assolutoria è dovuta alla mancanza di prove e non all’insufficienza o alla contraddittorietà delle stesse. [Leggi le motivazioni] 25 gennaio 2007. Il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga in un’intervista a Radio Rai parlando della strage di Ustica scagiona Libia e Stati Uniti e afferma di non poter dire, pur sapendolo, qual è il Paese alleato che “puntando male un missile” colpì il DC9. 30 maggio 2007. La seconda sezione civile del Tribunale di Palermo condanna i ministeri dei Trasporti e della Difesa al risarcimento, per complessivi 980 mila euro, di 15 familiari di quattro delle 81 vittime: Gaetano La Rocca, Marco Volanti, Elvira De Lisi e Salvatore D’Alfonso. 27 giugno 2007. Viene inaugurato a Bologna il Museo per la memoria di Ustica allestito da Christian Boltanski. [Vai al sito] 9 gennaio 2008. 88 familiari delle vittime della strage di Ustica citano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Palermo, i ministeri della Difesa e dei Trasporti, «colpevoli delle omissioni e delle negligenze» che, di fatto, avrebbero impedito di sapere cosa accadde la sera del 27 giugno del 1980. 19 febbraio 2008. Il Presidente Emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, in un’intervista a Sky Tg24, afferma: «furono i nostri servizi segreti che, quando io ero Presidente della Repubblica, informarono l’allora Sottosegretario Giuliano Amato e me che erano stati i francesi, con un aereo della Marina, a lanciare un missile non ad impatto, ma a risonanza. Se fosse stato ad impatto non ci sarebbe nulla dell’aereo. La tesi è che i francesi sapevano che sarebbe passato l’aereo di Gheddafi. La verità è che Gheddafi si salvò perchè il Sismi, il generale Santovito, appresa l’informazione, lo informò quando lui era appena decollato e decise di tornare indietro. I francesi questo lo sapevano videro un aereo dall’altra parte di quello italiano che si nascose dietro per non farsi prendere dal radar». 30 maggio 2008. La Presidenza del Consiglio dei Ministri, attraverso il generale Giuseppe Cucchi, direttore del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (DIS), smentisce ufficialmente l’esistenza di un dossier riservato o di atti secretati sulla strage di Ustica rispondendo all’istanza dell’avvocato Daniele Osnato, difensore di parte civile di alcuni familiari delle vittime. Secondo il DIS: “su indicazione del presidente del Consiglio dei ministri che, a seguito dell’istruttoria effettuata, è emerso che nel corso del procedimento penale non è mai stato opposto il segreto di Stato, né risulta che tale vincolo sia stato apposto su atti o documenti inerenti il caso Ustica“. [Leggi la lettera] 21 giugno 2008. La procura di Roma riapre l’inchiesta sulla strage di Ustica, dopo aver convocato e sentito come testimoni il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga e Giuliano Amato, ai tempi sottosegretario alla presidenza del Consiglio. L’iniziativa dei pm Maria Monteleone e Erminio Amelio fa seguito alle dichiarazioni dell’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga a Sky Tg24. 6 maggio 2009. Sarà un nuovo processo civile a stabilire le eventuali responsabilità dei ministeri della Difesa e dei Trasporti nel mancato controllo dello spazio aereo in cui avvenne la tragedia del Dc 9. A deciderlo è la Cassazione, accogliendo il ricorso della compagnia Itavia contro la sentenza della Corte di appello di Roma che aveva negato il risarcimento danni alla società ed escluso le responsabilità civili dei due ministeri in relazione al disastro. La Terza Sezione Civile della Cassazione osserva: «che il solo fatto che i ministeri non avessero conoscenza della presenza di velivoli nell’aerovia assegnata ad Itavia, e a maggior ragione, che si trattasse di aerei militari non identificati, di per sé non è elemento idoneo ad escludere la colpevolezza, poiché integra proprio, se non altrimenti giustificato, l’inosservanza delle norme di condotta e di sorveglianza e di controllo o quanto meno il difettoso esercizio di tali attività». [Leggi la sentenza] 8 maggio 2010. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, celebrando al Quirinale il Giorno della Memoria per le vittime del terrorismo e delle stragi, afferma che sulla strage di Ustica «oltre ad intrecci eversivi, ci furono anche intrighi internazionali che non possiamo oggi non richiamare, insieme con opacità di comportamenti da parte di corpi dello Stato, ad inefficienze di apparati e di interventi deputati all’accertamento della verità». 15 giugno 2010. La Corte d’appello di Palermo conferma la condanna dei ministeri dell’Interno, dei Trasporti e della Difesa a risarcire complessivamente un milione e 390mila euro a sei familiari di tre delle 81 vittime del disastro aereo di Ustica. [Leggi la sentenza] 22 giugno 2010. Il portavoce del ministero degli esteri francese Bernard Valero, rispondendo a una domanda di un giornalista dell’Ansa in merito al caso Ustica, afferma che «non appena le autorità italiane ci invieranno una rogatoria internazionale, siamo pronti a cooperare pienamente». 1 luglio 2010. Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, firma e inoltra quattro rogatorie internazionali sul caso Ustica: i Paesi interessati sono gli Stati Uniti, la Francia, il Belgio (Nato) e la Germania. La richiesta di rogatoria era stata avanzata al Guardasigilli dalla Procura di Roma nell’ambito della nuova inchiesta sul caso Ustica avviatasi nel 2008 dopo le dichiarazioni dell’ex Capo dello Stato Francesco Cossiga. 22 novembre 2010. «A causare la strage del DC9 Itavia fu una bomba messa nella toilette di coda, non un altro aereo che passando radente fece collassare il velivolo, tantomeno un missile». Lo afferma il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Carlo Giovanardi, nel corso di una conferenza stampa tenuta nella Prefettura di Bologna, insieme ad Aurelio Misiti, membro del collegio peritale che svolse, dal ’90 al ’94, la perizia sulla carlinga. 27 giugno 2011. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nella ricorrenza del XXXI anniversario, in un messaggio ai familiari delle Vittime, afferma: “L’iter tormentoso di lunghe inchieste e l’amara constatazione che le investigazioni svolte e i processi celebrati non hanno consentito la esauriente ricostruzione della dinamica dell’evento e la individuazione dei responsabili non debbono far venir meno l’impegno convinto di tutte le istituzioni nel sostenere le indagini tuttora in corso. Ogni sforzo deve essere compiuto, anche sul piano internazionale, per giungere finalmente a conclusioni che rimuovano le ambiguità, i dubbi e le ombre che ancora oggi circondano quel tragico fatto. La scelta dell’Associazione di celebrare l’anniversario attraverso un percorso artistico nello spazio antistante il “Museo della Memoria” contribuirà ad accrescere la partecipazione collettiva al ricordo di una tragedia che resta viva nella coscienza dell’intero Paese e che esige una valida e adeguata risposta di verità e giustizia”. [Leggi il discorso] 10 settembre 2011. I familiari delle vittime saranno risarciti dai ministeri della Difesa e dei Trasporti. Lo ha deciso il giudice Paola Proto Pisani del terza sezione civile del Tribunale di Palermo. A 81 parenti andranno oltre cento milioni di euro. Il Tribunale, ricostruendo i fatti accaduti la sera del 27 giugno 1980, ha ritenuto responsabili i ministeri per non avere garantito la sicurezza del volo Itavia, ma anche per l’occultamento della verità, con depistaggi e distruzione di atti. Secondo la sentenza si può “ritenere provato che l’incidente occorso al DC9 si sia verificato a causa di un intercettamento realizzato da parte di due caccia, che nella parte finale della rotta del DC9 viaggiavano parallelamente ad esso, di un velivolo militare precedentemente nascostosi nella scia del DC9 al fine di non essere rilevato dai radar, quale diretta conseguenza dell’esplosione di un missile lanciato dagli aerei inseguitori contro l’aereo nascosto oppure di una quasi collisione verificatasi tra l’aereo nascosto ed il DC9”. [Leggi la sentenza fonte:www stragi80.it

martedì 27 marzo 2012

DERIVATI AVARIATI - LO STATO ITALIANO HA PAGATO A MORGAN STANLEY LO 0,15% DEL PROPRIO PIL PER CHIUDERE UN CONTRATTO DERIVATO CHE ERA STATO SOTTOSCRITTO NEL 1994 DAL MINISTERO DEL TESORO, QUANDO IL DIRETTORE GENERALE ERA, UDITE! UDITE!, MARIO DRAGHI - IN TANTI ANNI NESSUNO HANNO FATTO LUCE SUL PORTAFOGLIO DI QUESTI STRUMENTI IN CARICO ALL’ITALIA. PERCHÉ RIGOR MONTIS NON DÀ SPIEGAZIONI? NON È CHE LA MAGGIOR PARTE DELLE NOSTRE TASSE AGGIUNTIVE SERVIRÀ SOLO A COPRIRE I BUCHI DEL PASSATO?...

Superbonus per il "Fatto quotidiano" Lo Stato Italiano ha pagato a Morgan Stanley lo 0,15 per cento del proprio Pil per chiudere un contratto derivato che era stato sottoscritto nel 1994 dal ministero del Tesoro, quando il direttore generale era Mario Draghi. Di questa esorbitante spesa sappiamo poco o nulla, la risposta del governo all'interrogazione parlamentare presentata dall'Idv chiarisce un po' il quadro agli addetti ai lavori, ma insinua il ragionevole dubbio che i conti dello Stato siano "corretti" da 160 miliardi di contratti derivati. mario draghi La composizione complessiva del portafoglio di derivati della Repubblica italiana è uno dei segreti meglio custoditi della storia d'Italia, nessun governo di nessun colore politico ha negli ultimi venti anni comunicato al Parlamento o anche alla sola Commissione bilancio l'esatta esposizione finanziaria del ministero delle Finanze e le perdite o i guadagni relativi. L'onerosa chiusura del contratto di swap con Morgan Stanley getta un'ombra sulle stesse dichiarazioni del governo in carica secondo il quale "In merito al valore di mercato del ‘portafoglio derivati' della Repubblica italiana, si precisa che lo stesso è definito come il valore attuale dei flussi futuri scontati al presente e che varia continuamente al variare sia del livello dei tassi di mercato sia della conformazione della curva dei rendimenti. Appare evidente che lo stesso è, quindi , un valore in continuo mutamento, la cui rilevanza per uno Stato sovrano risulta essere limitata". morgan stanley La limitata rilevanza per lo Stato sovrano non sarebbe tale se all'interno dei contratti ci fossero clausole che stabiliscono un costo futuro certo che l'Italia si troverà a dover pagare nei prossimi mesi o nei prossimi anni. Spesso i derivati sono stati usati nella contabilità pubblica per aggirare i vincoli di bilancio europei, la Grecia è stato l'esempio più lampante ma i nostri enti locali non sono stati da meno, attraverso complicati contratti sono in molti ad aver posposto l'onere del debito al futuro liberando così risorse finanziarie da spendere nel presente. In sostanza gli enti pubblici occultano un prestito che viene loro erogato dalle banche internazionali e che non è contabilizzato come tale, la restituzione del prestito è scaglionata in un tempo lontano quando il derivato inizia a produrre i suoi effetti e il flusso di cassa relativo non può essere più occultato. Mario MontiDati i numerosi casi di questo tipo che coinvolgono Regioni, Province e Comuni italiani è lecito chiedersi se anche la Repubblica Italiana abbia contratto derivati di questo tipo. È inoltre lecito chiedersi se tali derivati non siano stati usati per coprire buchi di bilancio e far quadrare i conti rispetto alle regole imposte dall'Europa. Allo stato delle informazioni in possesso del Parlamento, dell'opinione pubblica e di tutti i cittadini italiani non possiamo sapere quali e quanti oneri saremo costretti a pagare, o stiamo già pagando alle banche internazionali per coprire la cattiva gestione del bilancio pubblico dei governi precedenti. Il governo attuale sta chiamando tutti noi a sostenere grandi sacrifici in nome di un interesse pubblico superiore, ma la sua reticenza sullo svelare la struttura e la composizione del portafoglio di contratti finanziari della Repubblica italiana ci fa sorgere il dubbio che in realtà la maggior parte delle nostre tasse aggiuntive serviranno solo a coprire i buchi del passato che riemergeranno allo scadere delle clausole inserite dalle banche d'affari e sottoscritte dai governi precedenti. MARIO MONTI Se già questo non fosse abbastanza grave si aggiunga che il New York Times nel febbraio 2010 ha sostenuto che l'Italia è entrata nell'euro grazie a un massiccio uso di strumenti derivati che le hanno consentito di mascherare il vero deficit che sarebbe stato ben al di sopra di quello stabilito dall'Unione europea. Il governo Monti dovrebbe sgonfiare sul nascere questa bolla di sospetti, tanto più pericolosa ora che la fiducia è un bene sempre più raro nella finanza internazionale. Se, come sostiene il Tesoro, i derivati sono solo e tutti di "copertura dal rischio di tasso o dal rischio di cambio" non si vede perché l'opinione pubblica non ne debba conoscere la natura e la composizione. Se di coperture si tratta la speculazione internazionale non potrà beneficiare dell'informazione in quanto, per definizione, a una perdita su da una lato dell'operazione dovrebbe corrispondere un simmetrico guadagno. Se così non fosse sarebbero invece guai seri per il professor Monti. E per tutti i suoi predecessori. by dagospia

martedì 20 marzo 2012

TRILATERAL, GREMBIOULINI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI! - CAMBIANDO L’ORDINE DEGLI “ADDENTRATI”, IL POTERE NON CAMBIA: PER UN MONTI CHE LASCIA LA POLTRONA DI PRESIDENTE EUROPEO DELLA LOGGIA DEI POTERI FORTI C’È UN TRICHET PRONTO A RIMPIAZZARLO - NEL “THINK TANK” TARGATO ROCKFELLER C’È LA MEJO GIOVENTÙ INCAPPUCCIATA MONDIALE E NEL RAMO ITALIANO SI ANNIDANO YACHT ELKANN, FEDERICA GUIDI, L’AD DI INTESA ENRICO CUCCHIANI ED ENRICO LETTA…

Giovanni Stringa per il "Corriere della Sera" L'ex presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, prenderà il posto (o, meglio, uno dei posti) che Mario Monti ha lasciato dopo la nomina a presidente del Consiglio. L'ambita poltrona è quella di presidente del gruppo europeo della Trilateral Commission, il «think tank» fondato nel 1973 su iniziativa di David Rockefeller per facilitare il dialogo tra le tre grandi «regioni economiche» del pianeta: ieri Nord America, Europa e Giappone; oggi Nord America, Europa e Asia-Pacifico. monti «Ieri c'è stata la consueta assemblea dei soci italiani della commissione - spiega Carlo Secchi, ex rettore della Bocconi e oggi numero uno del ramo italiano della Trilateral -, in cui io ho comunicato la designazione di Jean-Claude Trichet come presidente del gruppo europeo». Secchi ha fatto parte del comitato esecutivo che, a livello continentale, ha prima verificato la disponibilità dell'ex numero uno dell'Eurotower a entrare ai piani alti della Trilateral e poi lo ha indicato all'unanimità come nuovo presidente europeo, dopo aver sentito i soci nazione per nazione. La nomina ufficiale arriverà all'appuntamento annuale (e mondiale) della commissione, che quest'anno si svolgerà a Tokyo il 21 e 22 aprile. Vale a dire nel «terzo» più in movimento di tutta la Trilateral: partita soprattutto da Giappone e Corea del Sud, la commissione «orientale» ha poi inglobato i pesi massimi di Cina e India, dove il gruppo nazionale sta crescendo. trichet I soci, in Italia come negli altri Paesi, sono un mix di imprenditori, ambasciatori, economisti, banchieri e politici. Nel gruppo tricolore siedono, per esempio, John Elkann, Federica Guidi, Enrico Cucchiani ed Enrico Letta. In totale sono diciotto i soci della sponda italiana del «terzo» europeo dell'intera commissione mondiale. Con l'arrivo di Trichet, l'organizzazione riafferma la sua doppia valenza di «centro studi» e di «forum internazionale», con l'obiettivo di offrire ai soci una «piazza» permanente di dibattito per approfondire i temi comuni alle tre aree interessate, migliorarne la comprensione e dare contributi intellettuali per la soluzione dei problemi di volta in volta affrontati. David Rockefeller La Trilateral ha un sito ufficiale: www.trilateral.org, con elenco dei soci e documenti di studio, dall'Iran al cambiamento climatico fino alla crisi economica. Su cui, al capitolo del debito, dopo i picchi più caldi di pochi mesi fa, spiega Secchi, adesso «pare che il clima sia più ottimista. Tokyo sarà un importante banco di prova per capire se le opinioni sono davvero cambiate rispetto a qualche mese fa». by dagospia

ITALIA ALLA DERIVA(TI) - IL TESORO HA DOVUTO PAGARE 2,6 MLD € ALLA MORGAN STANLEY PER COPRIRE LA PERDITA SU UN DERIVATO DI CUI NON SI CONOSCEVA L´ESISTENZA - CON QUALI DIRITTI E RESPONSABILITÀ, SULLA BASE DI QUALI CONSIDERAZIONI, E CON QUALI LIMITI DI RISCHIO, LO STATO HA IL POTERE DI "SCOMMETTERE" VOLUMI INGENTI DI DENARO DEI CITTADINI? - A DIFFONDERE LA NOTIZIA È STATA “BLOOMBERG”: SARÀ SOLO UN CASO SE “IL SOLE” E IL “CORRIERE” L’HANNO MINIMIZZATA E MIMETIZZATA?...

Alessandro Penati per "la Repubblica" ALESSANDRO PENATI Prima notizia: lo Stato italiano ha dovuto pagare 2,6 miliardi di euro alla banca d´affari americana Morgan Stanley per coprire la perdita su un derivato di cui non si conosceva l´esistenza. Seconda notizia: lo abbiamo appreso avant´ieri da un´agenzia americana, Bloomberg, che lo ha scoperto dai bilanci della banca. Terza: il Sole-24Ore non se n´è accorto (per amor di buoni rapporti con il Governo in questo momento?). Quarta: Repubblica e Corriere hanno ripreso l´articolo di Bloomberg, ma il Corriere è riuscito a infarcire di errori e inesattezze un titolo già criptico: "XX Settembre: meno oneroso chiudere i contratti che rinnovarli. Il Tesoro esce dei derivati anni ´90". Voglia di minimizzare? Secondo Bloomberg, chiudere i contratti non è stata una decisione del Tesoro, ma di Morgan Stanley, in virtù di una clausola (Termination clause) che tipicamente dà diritto a chiudere una posizione se la perdita della controparte, in questo caso l´Italia, eccede le garanzie e i margini stabiliti. Significa anche che, senza questa clausola, la perdita dello Stato sarebbe rimasta occulta. Morgan Stanley Una perdita poi, è una perdita. Se compro un titolo a 10 euro, e poi crolla a 6, venderlo non è "meno oneroso" di tenerlo, "rinnovandolo": ho sempre perso 4 euro. Né importa se ho acquistato il titolo nel 2010 o "negli anni ´90": continuo ad aver perso 4 euro. Dare l´impressione che questo derivato sia un retaggio del passato è ingannevole: il Tesoro ha consapevolmente deciso di tenerlo in portafoglio fino a ieri. Nell´analisi dei bilanci vale il principio dello scarafaggio: se ne vedi uno, ce ne sono molti. Il Tesoro dovrebbe essere obbligato a pubblicare tempestivamente e regolarmente (ogni tre mesi, come le società quotate) la posizione in derivati dello Stato ai prezzi di mercato (mark-to-market), cioè ai prezzi ai quali le banche sarebbero disposte a chiudere le posizioni; non certo sulla base di valutazioni interne (mark-to-model). Bisognerebbe sapere se, come stima Bloomberg, le perdite nette dello Stato in derivati ammontino veramente a 24 miliardi di euro (presumo a prezzi di mercato): sarebbe un punto e mezzo di Pil. Ed è debito pubblico sommerso. L´informativa sulla posizione in derivati dovrebbe essere estesa a tutte le amministrazioni pubbliche, vista la storia dei danni che i derivati hanno fatto agli enti locali. Perfino l´indagine di due anni fa della Banca d´Italia, peraltro occasionale, fatta a seguito dei vari scandali scoppiati nella Penisola, si limitava a censire i derivati con banche residenti in Italia. Ma è noto che il Tesoro, come altre entità pubbliche, operano direttamente con controparti estere, senza passare per eventuali filiali italiane. Dunque, era una foto, peraltro ingiallita, che riprendeva solo la punta dell´iceberg. bankitalia big Il Tesoro dovrebbe comunicare regolarmente anche il rischio controparte e la sua concentrazione. In questo caso lo Stato Italiano ha perso la scommessa; ma se l´avesse vinta, come poteva essere certo che Morgan Stanley avrebbe avuto i soldi per pagarla? Questo è il rischio controparte. Ed è enorme: oggi, non più di sette banche controllano il mercato mondiale dei derivati over-the-counter (negoziati direttamente e non in un mercato regolamentato). Per questa ragione, dopo Lehman, è diventata buona prassi esigere il versamento bilaterale dei margini: chi potrebbe subire una perdita per la variazione di valore del derivato, non importa se la banca o il cliente, versa alla controparte un deposito a garanzia. Quale è la politica del Tesoro? Credo che i cittadini italiani abbiano il diritto di sapere quale sia complessivamente l´esposizione in derivati dello Stato, e con quali banche; soprattutto perché ognuno di noi si accolla 32.500 euro di debito pubblico. La trasparenza è il primo passo. Il secondo dovrebbe essere la liquidazione di tutte le posizioni in derivati dello Stato. I derivati non vanno demonizzati: sono strumenti utilissimi per la gestione del rischio. Non sono loro a causare guasti, ma il loro abuso: i farmaci sono utili, anche se qualcuno li usa per suicidarsi e per doparsi. Si potrebbe argomentare che se lo Stato ha perso la scommessa è perché i tassi a lunga sono scesi; pertanto la perdita sul derivato implica che il Tesoro ha pagato meno interessi sui Btp. Bloomberg Quindi era una buona copertura del rischio: se avesse pagato di più perché i tassi erano saliti, avrebbe guadagnato sul derivato. Corretto, se lo Stato fosse un privato. Ma lo Stato non è un privato. Chi, con quali diritti e responsabilità, sulla base di quali considerazioni, e con quali limiti di rischio, ha il potere di "scommettere" volumi ingenti di denaro dei cittadini? Nel settore privato, alla fine, gli azionisti guadagnano o perdono: per questo assegnano precise responsabilità e limiti di rischio, verificano che siano rispettati, e sanzionano chi li prevarica. Regole contabili e regolamentazione assicurano poi che anche i terzi siano informati dei rischi. Ma per uno Stato tutto questo non vale. Per questo dico sì ai derivati; ma no a quelli di Stato. by dagospia

mercoledì 14 marzo 2012

«Pensano soltanto a fare soldi

Ambiente tossico. Arricchirsi unico credo. I clienti? Pupazzi» La replica del numero uno del colosso bancario: «Falso» Lettera di un banchiere al New York Times «Pensano soltanto a fare soldi Ecco perchè lascio Goldman Sachs» «Ambiente tossico. Arricchirsi unico credo. I clienti? Pupazzi» La replica del numero uno del colosso bancario: «Falso» Goldman Sachs, quartiere generale a Manhattan (Afp) MILANO - Lettera choc al New York Times di un banchiere dimissionario sulla vita in Goldman Sach una delle prime banche d'affari nel mondo, il gruppo finanziario che ha dato tanti "tecnici" ai governi americani (e non solo americani), in particolare all'amministrazione Obama, a partire da Tim Geithner, il ministro del Tesoro. Nel j'accuse che il quotidiano newyorkese pubblica nella pagina degli editoriali e dei commenti (guarda il pop-up) Greg Smith, già capo dei derivati in Europa, Africa, Medioriente, parla di «un ambiente mai stato più tossico e distruttivo come ora» e che avrebbe smarrito l'etica e la cifra che un tempo ne faceva un' istituzione del paese. «Niente di illegale» precisa l'autore, ma il «fare soldi» sembra oggi l'unica mission da inseguire anche a spese dei clienti che alcuni in banca chiamerebbero «muppets», pupazzi. Un attacco frontale alla gestione di Lloyd Blankfein, il Ceo, che scrive a sua volta ai dipendenti: «Che delusione, nulla di vero». WAKE-UP CALL - «Oggi è il mio ultimo giorno a Goldman Sachs e dopo averci lavorato per 12 anni posso dirvi che l'ambiente nella banca non è mai stato più tossico e distruttivo di adesso». «Una volta Goldman stava dalla parte dei clienti», tempi andati secondo il manager che sostiene di aver «visto almeno cinque dirigenti definire i loro clienti muppets, pupazzi, nelle email interna. Una volta la leadership dipendeva dalle idee e dagli esempi che davi «ora se generi molti soldi per l'azienda, vieni promosso». «Spero che questa possa essere una sveglia per il consiglio d'amministrazione, il cliente deve tornare a essere il punto focale dell'azienda» LA REPLICA - «Non occorre neppure dire quanta delusione c'è per le affermazioni di questo individuo, affermazioni che non rispecchiano i valori dell'azienda e la sua cultura» ha scritto poi Blankfein in un messaggio a doppia firma con il direttore operativo Gary Cohn. «Tutti hanno diritto alla propria opinione» e che in un'azienda con oltre 30.000 dipendenti ci possono essere malumori è prevedibile «ma è una cosa spiacevole quando uno parla a voce più alta del normale e dalle pagine di un giornale». Blankfein e Cohn concludono scrivendo che «non siamo perfetti, ma rispondiamo in modo serio e concreto se c'è un problema, lo abbiamo dimostrato con i fatti» anche durante la crisi, quando la banca «ha avuto la sua parte di problemi». Paola Pica twitter:@paolapica http://www.corriere.it/economia/12_marzo_14/perche-lascio-goldman-sachs_8b1350be-6dfc-11e1-98c2-a788cd669a01.shtml

martedì 13 marzo 2012

L’ORO DEL RENO - NON DITE A MARPIONNE CHE LA VOLKSWAGEN, MENTRE LA FIAT VALUTA SE CHIUDERE STABILIMENTI, HA RADDOPPIATO L’UTILE NETTO, CON 160 MLD € DI RICAVI - UN IMPERO CHE COMPRENDE AUDI, SKODA, BENTLEY E BUGATTI (E FRA UN PO’ ANCHE PORSCHE E DUCATI) CHE È A GESTIONE FAMILIARE - INFATTI, LA CAZZUTISSIMA MOGLIE DEL PRESIDENTE PIËCH, L’EX BAMBINAIA URSULA, ENTRERÀ NEL CONSIGLIO DI SORVEGLIANZA - IL CEO WINTERKORN, NEL 2011, HA GUADAGNATO 17,5 MLN €, LA META’ DI MARPIONNE...

Giuliana Ferraino per il "Corriere della Sera" ferdinand piech Ben vengano le quote rosa, ma alla Volkswagen sembra soprattutto un affare di famiglia: Ursula Piëch, moglie di Ferdinand Piëch, il presidente della casa automobilistica tedesca, si prepara ad entrare nel consiglio di sorveglianza. Una mossa, probabilmente, per garantire la continuità del controllo più che favorire l'ascesa femminile nei consigli, come chiede l'Europa. Non è noto chi guiderà Volkswagen dopo Ferdinand Piëch, che compirà 75 anni il 17 aprile, due giorni prima dell'assemblea degli azionisti, e che in ogni caso punta alla rielezione con un nuovo mandato quinquennale. Ma la Germania ha una lunga tradizione di mogli che succedono ai mariti: come Frida Springer, vedova di Axel Springer, vice presidente del gruppo media; o Liz Mohn, vedova di Reinhard Mohn, nel consiglio di sorveglianza di Bertelsmann e suo «leader» carismatico. SERGIO MARCHIONNE Frau Piëch, 55 anni, austriaca, un tempo gestiva un asilo, poi ha fatto la bambinaia in casa Piëch: è così che ha conosciuto il nipote del fondatore della Porsche nonché inventore del maggiolino, che ha poi sposato nel 1984. Quando nel 2010 Ferdinand Piëch ha messo la propria partecipazione in Volkswagen in due fondazioni, ha nominato la moglie Ursula come sua sostituta al vertice alla sua morte, a condizione che non abbiano divorziato e che lei non si risposi. Ora Frau Piech fa un passo avanti anche in azienda. Appassionata di automobili, sempre al fianco del marito nelle occasioni ufficiali, è candidata a sostituire Michael Frenzel, ceo del gruppo Tui. L'ingresso della signora Piëch, «sebbene debba essere deciso, è la condizione perfetta per garantire il successo del gruppo», ha affermato ieri Martin Winterkorn, ceo della casa di Wolfsburg alla conferenza sui dati definitivi del bilancio 2011. Un anno record per il primo gruppo automobilistico europeo, che controlla i marchi Audi, Skoda, Bentley e Bugatti e sta assorbendo Porsche. Logo VOLKSWAGEN I ricavi consolidati sono saliti del 25,6% a 159,3 miliardi e l'utile netto è raddoppiato a 15,4 miliardi, mentre per la prima volta è stata superata la soglia di 8 milioni di veicoli. Da primato anche i bonus: oltre 70 milioni per 8 top manager. Winterkorn ha ricevuto 17,5 milioni totali (1,9 di retribuzione fissa), l'88% in più rispetto al 2010: «meritati», secondo il direttore finanziario Dieter Poetsch, al quale sono andati 8,1 milioni. Mentre i lavoratori hanno trovato un premio di 7.500 euro in busta paga. by dagospia

venerdì 9 marzo 2012

GRECIA: EVITATO IL CRAC, ARRIVA IL PATATRAC? - LA SPALMATA DI VASELLINA DEL MAXI-SWAP DI IERI È SOLO L’ANTICAMERA DI NUOVI BRUCIORI - I COSTI DEL SALVATAGGIO RICADONO SOPRATTUTTO SULLE BANCHE (E SU 450 AZIENDE CHE HANNO ACCETTATO UN TAGLIO DEL 73% SU 110 MLD €) MA ADESSO ATENE È IN GINOCCHIO: STIPENDI GIÙ DEL 30%, ALMENO 5 ANNI DI RECESSIONE, DISOCCUPAZIONE GIOVANILE AL 51% - L’EUROPA HA BLINDATO L’EURO ED EVITATO UN CRAC DA MILLE MLD €, MA COSA NE SARÀ DI UNA DEMOCRAZIA COMMISSARIATA?...

Ettore Livini per "la Repubblica" PAPADEMOS E ANGELA MERKEL Meno 25-30% gli stipendi. Età pensionabile portata da 58 a 67 anni, cinque anni di recessione di fila (nel 2011 il Pil è sceso del 7%) e disoccupazione giovanile raddoppiata al 51,1%. I cittadini greci hanno già pagato un conto salatissimo alla crisi del paese. Bce e Fmi metteranno sul piatto 130 miliardi di tasca loro. Lo swap chiuso ieri sera - destinato a tagliare da 206 a 107 miliardi il debito privato di Atene - ha caricato un po' del costo del salvataggio anche sulle spalle dei mercati finanziari. Banche, risparmiatori e speculatori sono stati chiamati ad accettare un sacrificio pari al 75% del loro investimento. Ecco come si sono comportati e quanto hanno perso. Il "sì" sofferto ha consentito almeno per ora di evitare un crac della Grecia che - secondo l'Institute for international finance - sarebbe costato mille miliardi di euro, mettendo a rischio pure la stabilità e i titoli di Stato di Spagna, Portogallo e Italia e moltiplicando le perdite potenziali in particolare per gli istituti di credito. Che, non a caso, hanno detto sì in massa consolandosi con i prestiti low-cost della Bce. evangelos venizelos ATENE COSTA 80 MILIARDI AGLI ISTITUTI CHE SI CONSOLANO CON I SOLDI BCE Il sacrificio più consistente (in termini numerici) nello swap sul debito greco se lo sobbarcheranno le banche. L'adesione degli istituti di credito all'offerta di concambio è stata massiccia. Le 450 aziende rappresentate dalla Institute for international finance hanno accettato un taglio del 73% su un patrimonio complessivo vicino ai 110 miliardi di euro. Come dire che dalla sera alla mattina cancelleranno 80 miliardi dall'esposizione di Atene. Il sacrificio, però, vale la candela. Un default disordinato avrebbe non solo azzerato (in sostanza) il valore dei bond greci, ma soprattutto falcidiato quello dei titoli di stato degli altri paesi a rischio come Italia, Spagna e Portogallo. Un'ipotesi da incubo visto che solo le prime 20 banche continentali, per dare un'idea, avevano a dicembre scorso in portafoglio 381 miliardi di titoli dei cosiddetti Piigs. Generali In realtà quasi tutti gli istituti hanno già svalutato in bilancio tra il 50 e il 70% il valore dei loro bond ellenici. Tra gli italiani le Generali hanno perso 328 milioni, IntesaSanpaolo 593 e Unicredit 316. Ma i mille miliardi prestati dalla Bce alle banche per tre anni con un tasso all'1% hanno consentito di digerire meglio questo colpo basso. I FONDI SPECULATIVI DICONO DI "NO" PUNTANDO TUTTO SUL DEFAULT ELLENICO Il convitato di pietra del maxi-swap greco sono stati gli hedge fund. Molti fondi speculativi hanno comprati titoli ellenici a prezzi di saldo (anche a sconto dell'80%) sul mercato negli scorsi mesi di crisi. Quindi in qualche caso arriverebbero addirittura a guadagnare con lo sconto al 75%. La loro vera scommessa però è legata ai credit default swap, complessi strumenti finanziari che hanno consentito loro di scommettere sul possibile default del paese. UNICREDITSe l'adesione sarà sopra il 90% avranno perso la loro scommessa sui Cds ma faranno un affarone sui titoli in portafoglio. Se Atene attiverà le clausole di azione collettiva obbligando tutti ad accettare il taglio al debito (in sostanza un default), gli hedge passeranno all'incasso monetizzando le loro puntate spericolate e un po' ciniche sui Cds. Quanto valgono in tutto) Circa 3,2 miliardi di valore reale e 70 circa di nozionale. Qualcuno teme un effetto domino sui mercati dopo il loro esercizio (molte banche dovrebbero sopportare perdite) ma Bce e Bruxelles sono convinti che si tratti di paure esagerate. Nei meccanismi ormai un po' oscuri della finanza, la risposta si avrà solo se questo scenario si trasformerà in realtà. FINALE CON IL FIATO SOSPESO PUNTANDO ADRUSH ADESIONI SOPRA IL 90% I risparmiatori mondiali, secondo le stime di settore, avevano in portafoglio circa 18 miliardi di titoli della Grecia di cui un miliardo circa nelle tasche dei piccoli investitori italiani. Secondo gli esperti, questa categoria di creditori ha in gran parte detto "no" alla proposta di Atene. Obiettivo? Sperare in un'adesione sopra il 90% che convinca il governo Papademos ha chiudere lì la partita, onorando per intero capitale e interessi (a quel punto una cifra relativamente bassa) di chi ha rifiutato il concambio. Con un livello di "sì" tra il 75 e il 90% invece, la Grecia potrebbe attivare (con l'ok dell'Eurogruppo) le clausole di azione collettiva. MARIO DRAGHI ALLA BCE Obbligando in sostanza anche i piccoli risparmiatori esposti su bond emessi sotto la legislazione ellenica - la grandissima maggioranza - ad accettare forzosamente il taglio del 75% al capitale investito. Nei giorni scorsi il ministro delle Finanze Evangelis Venizelos ha minacciato di non pagare i creditori che rifiutavano l'offerta anche se la percentuale di ok avesse superato la soglia del 90%. Ma molti hanno giudicato l'uscita come una minaccia preventiva di difficile realizzazione. I ri- sparmiatori, nel dubbio, incrociano le dita. IL GOVERNO PAPADEMOS PREPARA UN SALVAGENTE PER LA PREVIDENZA È uno dei capitoli più delicati dello swap. Cosa ne sarà delle pensioni dei greci visto che buona parte dei loro risparmi previdenziali era investita in titoli di stato del paese? Subiranno anche loro un taglio del 75%? Il ministro delle finanze Evangelis Venizelos ha provato nei giorni scorsi a rassicurare tutti. Provando a convincere i gestori dei fondi pensioni nazionali ad accettare il concambio garantendo loro che avrebbe poi provveduto a tappare i buchi grazie anche ai 130 miliardi in arrivo da Ue e Fmi. Diversi operatori però non si sono fidati: i fondi di giornalisti, poliziotti, avvocati e ingegneri (con unportafogliodibondparia3,2miliardi)ha detto di no, accodandosi alle speranze dei risparmiatori. Altri fondi con maggior spirito patrio (per un patrimonio totale di 3,7 miliardi) hanno accettato la proposta di swap. La banca centrale greca invece si è presa la responsabilità di accettare per conto dei 17 miliardi di fondi di assistenza sociali investiti in titoli di stato e depositati nei suoi conti. Sperando che il governo mantenga le sue promesse. I prossimi giorni diranno se hanno fatto bene o meno. by dagospia