lunedì 31 agosto 2015

LA CIA (ROTHSCHILD) DIETRO IL TRAFFICO DI DROGA IN ITALIA Scritto il agosto 31, 2015 by lastella Facebook2.2k Google + SCOPO : FIACCARE I GIOVANI NEL LORO IMPEGNO POLITICO COME MINACCIA AL POTERE COSTITUITO

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Io che ho partecipato a quegli anni ho visto un ‘intera generazione fiaccata dall’eroina, che si diffuse come un veleno nell’ambito di quella che era la frangia “estremista” della gioventù di allora (fine anni ’70). Una frangia carica di voglia di cambiamento, di rabbia verso il potere con cui era aspramente critica. Quella rabbia fu prima attenuata e poi spenta dagli oppiacei. Perchè quella carica poteva esser destabilizzante per il potere costituito, per l’establishment.
Sto leggendo un libro da poco uscito sull’omicidio di Moro, scritto da De Lutiis, mi sono imbattuto nella conferma della ricostruzione storica operata da G. Blumir nel suo libro Eroina, circa la diffusione di droghe nell’ambito dei movimenti giovanile negli anni 60/70.
Il libro stampato nel ’78 racconta di strani fenomeni intorno alla diffusione delle droghe, soprattutto quelle pesanti, nell’Italia degli anni ’70.
In quegli anni si assiste ad una feroce repressione di hippies e freakettoni che si facevano gli spinelli, mentre viene lasciata prima mano libera a chi spacciava le pasticche di morfina che provenivano dalle scorte della guerra in Vietnam; poi a quelli che spacciavano eroina.
Già allora Blumir punta il dito contro i servizi, che non sono deviati, ma operano secondo una precisa strategia politica,conosciuta dal potere politico di allora (cioè la DC).
Nel libro di De Lutiis che ho citato, si trova conferma, documentata, del fatto che i servizi occidentali usavano la droga come strumento di controllo.
E’ accertato che c’erano operazioni coperte volte ad infiltrare i “movimenti” giovanili per controllarli ed usarli. Ma anche per fiaccarli attraverso la diffusione di droga, impedendo che le frange della protesta si allargassero.
Io che ho partecipato a quegli anni ho visto un ‘intera generazione fiaccata dall’eroina, che si diffuse come un veleno nell’ambito di quella che era la frangia “estremista” della gioventù di allora (fine anni ’70). Una frangia carica di voglia di cambiamento, di rabbia verso il potere con cui era aspramente critica. Quella rabbia fu prima attenuata e poi spenta dagli oppiacei. Perchè quella carica poteva esser destabilizzante per il potere costituito, per l’establishment.
Le droghe in genere erano allora viste come un altro strumento di contestazione e rifiuto, ma se la marijuana non provocava danni, l’eroina era devastante per la volontà dei ragazzi. Cosi anche a Napoli avvenne che accanto alla scomparsa dal mercato delle droghe leggere, ci fu una diffusione massiccia delle droghe pesanti, anfetamina ed lsd prima, eroina dopo. Siamo nella seconda metà degli anni ’70. Giovani impegnati, anche se in maniera confusa, nei movimenti di quegli anni, divennero dei junkers, dei drogati, che non avevano altre interesse che la droga. Deboli fisicamente e mentalmente, ricattabili, passibili di arresti come e quando si voleva. Disposti a “collaborare” per una dose che alleviasse la loro astinenza.
Da allora in poi l’eroina fu usata come efficace strumento di controllo. Non solo attraverso lo spaccio nelle strade, ma anche attraverso i SERT (servizio territoriale tossicodipendenze). Questi all’inizio distribuivano metadone (vedi) a litri, facendo danni soprattutto ai ragazzi che rimanevano inebetiti dalle  dosi massicce. Perchè il metadone era usato impropriamente.
Perchè lo scopo non era aiutare, “guarire”,  era controllare.
Bisognava assicurarsi di spegnere la carica di rabbia di quella frangia di gioventù, chiamata deviante, potenzialmente pericolosa, in quanto non organica al potere, portatrice di una cultura che tendeva a disconoscere quel potere. Gli oppiacei erano uno strumento adattissimo di controllo. Perchè inducevano un ‘astinenza fortissima che metteva i consumatori abituali in una situazione di estrema vulnerabilità, in quanto facilmente ricattabili. Inoltre gli effetti degli oppiacei sono un torpore permanente, passata la breve fase euforizzante e fanno perdere interesse per tutto ciò che non è la droga ed i mezzi per procurarsela. Furono vittime i giovani più fragili, ma anche numerose intelligenze vivaci che, avrebbero potuto comunque dare fastidio. La merce droga ha interessato da sempre i servizi, Cia in testa. Questa è cosa accertata, tranne per quelli che si rifiutano di vedere. Sia perchè potente strumento di controllo, sia perchè fonte di profitti enormi impiegati poi per finanziare operazioni oscure e traffici di armi destinate a movimenti controllati dalla Cia stessa per destabilizzare governi non amici (Nicaragua).
In sudamerica il traffico di cocaina si svolge ormai da sempre sotto l’occhio interessato della Cia, o almeno di una parte di essa.
Cosi avveniva nel sud-est asiatico con l’eroina.
Queste cose bisognerebbe farle leggere agli idioti proibizionisti, alcuni in buona fede, che non riescono a capire quanto queste sostanze diventino pericoloso se proibite.
Consiglio la lettura sia dei brani sotto che dell’estratto riguardante la diffusione dell’eroina in Italia. Sono un po’ lunghi, ma illuminanti e chiave di lettura di molti altri avvenimenti.
giuseppe galluccio 16/3/08
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Tratto da “Il golpe di via Fani” di G. De Lutiis ed l’Unità/Sperling Kupfer
Questa particolare attenzione verso i movimenti e i gruppi giovanili di sinistra sia negli Stati Uniti sia in Europa dimostra come i servizi segreti statunitensi avessero previsto ben prima della primavera del 1968 il possibile sviluppo di movimenti studenteschi di estrema sinistra. Peraltro, dal rapporto finale della commissione Rockefeller emerge che nel 1969 e 1970 fu sviluppato il cosiddetto “Progetto 2”, che consisteva nell’inviare all’estero agenti statunitensi nell’ambito di acquisizioni informative all’interno dell’operazione Chaos, ma viene esplicitamente affermato che “la sua missione sarà valutare, conoscere e la sinistra nello spettro maoista”. Lo scopo specifico degli agenti statunitensi inviati all’estero era dunque – come sottolinea una commissione presieduta dal vicepresidente degli Stati Uniti – di sviluppare una sinistra maoista in opposizione a quella filosovietica. Opportunamente nel rapporto si evidenzia il rilievo particolare di questo specifico progetto interno all’operazione Chaos: […] Tutti coloro che hanno vissuto la turbolenta realtà politica degli anni Settanta ricordano che vi fu un abnorme sviluppo di movimenti marxisti-leninisti di ispirazione filocinese. E infine da rilevare che, secondo quanto acquisito nel citato rapporto del Ros, “il piano Chaos si avvalse anche delle intercettazioni di comunicazioni internazionali operate dalla Nsa”. La National Security Agency e il servizio segreto statunitense preposto al controllo, intercettazione e decodifica di tutte le comunicazioni di interesse per la sicurezza degli Stati Uniti, utilizzando anche la rete Echelon.” William Colby, divenuto direttore della Cia nel 1973, chiuse l’operazione Chaos i15 marzo 1974. L’anno seguente fu istituita la commissione Rockefeller sulle attività della Cia. […] L’operazione Chaos risulta conclusa nel 1974. Nel 1975 la cosiddetta commissione Rockefeller” redasse un rapporto, su questa e su altre operazioni illegali della Cia, che è stato declassificato e reso pubblico nel 1977. Ma l’operazione Chaos non è la sola che i servizi segreti statunitensi abbiano attivato negli anni a cavallo del Sessantotto per indebolire l’impegno politico dei giovani della sinistra europea. Il 28 giugno 1995 il capitano Massimo Giraudo, all’epoca ufficiale addetto al reparto Eversione del Ros dei carabinieri, su delega del giudice istruttore Salvini, interroga come teste Roberto Cavallaro, a suo tempo imputato nell’istruttoria sulla Rosa dei venti e che aveva collaborato con il giudice istruttore di Padova, Tamburino, fornendo preziose informazioni.
Cavallaro riferì a Giraudo che nel 1972, nel corso di un addestramento seguito in Francia, aveva appreso dell’esistenza di un’operazione della Cia in Italia, denominata Blue Moon, all’epoca già in atto, consistente nella diffusione di sostanze stupefacenti nei settori giovanili italiani al fine di contribuire al depotenziamento del loro impegno politico. Cavallaro aveva già avuto modo di parlare dell’addestramento dinanzi al giudice istruttore di Milano Antonio Lombardi. “Il teste aggiunse che l’operazione Blue Moon era condotta in Italia dai servizi statunitensi utilizzando uomini e strutture che facevano capo alle rappresentanze ufficiali di quel paese in Italia.” Nel corso delle attività di intelligence e di ricerca d’ archivio condotte dal Ros in seguito alle informazioni fornite da Cavallaro, venivano scoperte altre operazioni illegittime, tra le quali “l’utilizzo di Lsd contro leaders socialisti o di organizzazioni di sinistra in Paesi stranieri al fine di farli parlare incoerentemente e screditarli in pubblico” (dai documenti risulta accertata e dimostrata questa attività contro Fidel Castro). Da altra documentazione, proveniente direttamente dal governo degli Stati Uniti, emerge che alla convention hippy di Chicago svoltasi dal 25 al 30 agosto 1968, che degenerò in numerosi episodi di guerriglia, ben il 17 per cento dei partecipanti apparteneva ad agenzie federali e organismi di intelligence. La determinazione del governo statunitense nell’usodell’Lsd allo scopo di depotenziare l’impegno politico dei giovani traspare da un documento della Cia del 4 settembre 1970, nel quale, a fronte dell’impressionante estensione della protesta giovanile per la guerra in Vietnam, il dipartimento della Difesa suggeriva nuovi metodi di contenimento della violenza politica. Si affermava che la tendenza dei moderni metodi di polizia era quella di demoralizzare e rendere temporaneamente incapaci gli avversari. Si sosteneva che con l’avvento di potenti prodotti naturali, droghe psicotrope e immobilizzanti, fosse nata una nuova era nei metodi di applicazione della legge. Nel contempo, giornalisti vicini agli ambienti dei servizi diffondevano nella società americana la convinzione che il dissenso giovanile e la contrarietà alla guerra in Vietnam nascessero da giovani menti alterate dall’Lsd. A tale scopo fu diffusa la notizia che questa sostanza induceva danni cromosomici, al fine di creare il supporto scientifico all’ affermazione che il dissenso politico proveniva da una devianza genetica. Contemporaneamente, alla fine degli anni Sessanta, furono diffusi per le strade di New York e San Francisco massicci quantitativi di un superallucinogeno ancor pia devastante, denominato Stp (2,5 dimetossi 4 metilfeno-tilammina), prodotto dalla Dow Chemical Company e di cui vennero forniti campioni al quartier generale dell’Us Army Chemical Corps e a Edgewood Arsenal.” E da ricordare in quest’ ambito la figura di Ronald Stark, agente della Cia che stabile un contatto con brigatisti detenuti facendosi collocare nel loro stesso carcere. Nel laboratorio aperto da Stark a Bruxelles, sotto la copertura di un centro di ricerche biomediche, in soli due anni furono prodotti cinquanta milioni di dosi di allucinogeni. Nel 1977 Scotland Yard arrestò il chimico Richard Kemp, aiutante di Stark, sequestrando sei milioni di dosi di Lsd. Fu successivamente chiarito che Kemp, a meta anni Settanta, fabbricava da solo il cinquanta per cento della produzione mondiale di Lsd. E forse superfluo aggiungere che Stark entrò in contatto con le Brigate rosse per ben altri motivi […]
Fonte : www.altrestorie.org
Tratto da: nomassoneriamacerata via Sapere è dovere

 http://lastella.altervista.org/la-cia-rothschild-dietro-il-traffico-di-droga-in-italia/

venerdì 7 agosto 2015

MA COME SONO GARBATE LE GUERRE TRA DINASTIE FINANZIARIE – INTORNO ALL’”ECONOMIST” POTREBBE APRIRSI UNA DISPUTA TRA I ROTHSCHILD E GLI ELKANN-AGNELLI, CHE VOGLIONO SALIRE NELL’AZIONARIATO – MA I DISSAPORI PARE CHE SIANO GIÀ RIENTRATI E CASO STRANO C’È UN KISSINGER DI MEZZO Henry Kissinger è colui che ha presentato Lynn Forester, che si è autonominata vestale del settimanale britannico, al futuro marito Evelyn Robert de Rothschild. E l’ex segretario di Stato Usa è anche uno storico amico della famiglia Agnelli… -

Alberto Brambilla per "il Foglio"

LYNN ROTHSCHILD LYNN ROTHSCHILD
Nei rapporti tra le dinastie aristocratiche della finanza globale, un' increspatura sul velluto del salotto buono è comprensibile. Nulla che non si possa risolvere con una complice stretta di mano tra gentiluomini, almeno quando la tenzone si manifesta nel placido lago dell'editoria - tornato finalmente effervescente - e non nell' oceano periglioso della geopolitica.

Sembrano infatti rientrati i dissapori tra i discendenti della famiglia Rothschild e della famiglia Agnelli, a lungo sodali in operazioni finanziarie transcontinentali. Il sito Politico.eu mercoledì ha dato conto, con dovizia di particolari, di una contesa interna agli azionisti della società editrice del settimanale britannico Economist

LYNN ROTHSCHILD LYNN ROTHSCHILD
Ora si starebbe cercando una soluzione per conservare lo status quo, secondo fonti a conoscenza della situazione. Il precedente annuncio del gruppo Pearson di volere liberare il 50 per cento delle quote della testata, dopo cinquantotto anni di possesso, aveva motivato reciproci sospetti tra i soci di vecchia data del prestigioso magazine, che ha una circolazione di 1,6 milioni di copie nel mondo e fornisce altri esclusivi servizi d'informazione.

Tra i soci rilevanti ci sono i magnati dell' industria dolciaria Cadbury e Bruno Schroder, pronipote di John Henry Schroder, cofondatore del colosso di servizi finanziari Schroders. Il timore che qualcuno potesse comprare le azioni senza padrone e così riuscire a esercitare un' influenza dominante sulla linea editoriale - comunque difesa da una governance complessa e volutamente bizantina - ha motivato qualche fibrillazione.
john elkann john elkann

Soprattutto perché il colosso Pearson, intenzionato a concentrarsi sul business della didattica, aveva appena ceduto il Financial Times ai giapponesi di Nikkei spostando quindi il baricentro del quotidiano prediletto dalla City lontano da Londra.

Nel salotto gli sguardi si sono rivolti verso il new comer italiano John Elkann, 39 anni, nipote di Gianni Agnelli, la cui famiglia controlla il 10,4 per cento della Borsa italiana. Tramite la holding Exor detiene il 4,7 per cento del settimanale e, secondo indiscrezioni, era disponibile a salire. In queste settimane Elkann ha fatto parlare di sé per avere condotto l' acquisto della società di riassicurazione americana PartnerRe.

marchionne grande stevens john elkann marchionne grande stevens john elkann
La discrezione è un tratto distintivo dei discendenti della casata dei Rothschild, fondata dal patriarca Mayer Amschel a inizio Ottocento a Francoforte. La banca d' affari di riferimento è ora distinta dalle altre numerose attività del frammentato parentado.

La riservatezza proverbiale pare però essere stata superata dall' esuberante imprenditrice americana Lynn Forester de Rothschild, 61 anni. Rimarcò infatti di ritenersi vestale dell' Economist per conto della famiglia, di cui in realtà è parente acquisita ("la nostra famiglia resterà azionista per tutto il tempo che sarò viva").
COPERTINA THE ECONOMIST COPERTINA THE ECONOMIST

Lady de Rothschild custodisce la quota più consistente del settimanale (21 per cento) nella holding che possiede con il marito Evelyn Robert, già presidente dell' Economist (1972-1989). Per la loro unione fu galeotto il meeting del gruppo Bilderberg in Scozia del 1998. A quanto pare nella lista degli invitati c'era pure Cupido, ma a presentarli fu Henry Kissinger in persona.

Peraltro, l' amicizia con l' ex segretario di stato americano non è un vanto solo per la casata britannica ma anche per la dinastia torinese, vista l' intesa cordiale tra Kissinger e l' Avvocato Agnelli. Nel salotto nobile le spade resteranno appese al muro, per ora.
KOFI ANNAN JIMMY CARTER HENRY KISSINGER KOFI ANNAN JIMMY CARTER HENRY KISSINGER 

 http://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/ma-come-sono-garbate-guerre-dinastie-finanziarie-intorno-106515.htm

ARABIA ESAURITA - RIAD HA BISOGNO DI LIQUIDITA’ E VUOLE EMETTERE BOND PER 27 MILIARDI DI DOLLARI - LA “GUERRA DEL PETROLIO” CON GLI STATES SI RITORCE CONTRO I SAUDITI, INCAVOLATI ANCHE PER L’ACCORDO SUL NUCLEARE CON L’IRAN In un anno il prezzo del greggio è sceso da 115 a 50$ al barile, a causa della lotta dei Sauditi contro lo “shale oil” americano, estratto dalla roccia. Buco da 65 miliardi nel bilancio dell’Arabia Saudita, che pensa a una super-emissione di titoli di stato…

Paolo Mastrolilli per “la Stampa”

SAUDITI SAUDITI
L’Arabia Saudita ha bisogno di soldi, e intende andare sul mercato entro la fine dell’anno per piazzare bond da 27 miliardi di dollari. Lo rivela il Financial Times, dimostrando che la strategia scelta da Riad per il ribasso del prezzo del petrolio si sta ritorcendo contro se stessa.

A giugno dell’anno scorso un barile di greggio costava 115 dollari, mentre questa settimana è sceso sotto la soglia di 50. Il calo è dipeso soprattutto dall’ingresso sul mercato dello «shale oil» americano, cioè il petrolio di scisto diventato estraibile dalla roccia grazie a nuove tecnologie molto funzionali. Nel passato, quando l’oro nero perdeva valore l’Opec lo sosteneva, riducendo la produzione; stavolta, però, l’Arabia si è opposta.

LA BORSA DELL ARABIA SAUDITA LA BORSA DELL ARABIA SAUDITA
La ragione ufficiale è che non voleva perdere quote di mercato, e quindi era disposta a guadagnare meno pur di conservare le proprie posizioni. Quella ufficiosa, però, è che voleva spingere al fallimento l’industria americana dello shale, che per l’estrazione richiede grossi investimenti, non più convenienti se il prezzo scende sotto i 70 dollari al barile.
 
Il motivo di questa manovra era economico, ma anche politico. Le relazioni fra Washington e Riad, infatti, sono diventate più complesse negli ultimi tempi, in particolare per la scelta della Casa Bianca di non intervenire in Siria contro Assad, e negoziare invece l’accordo nucleare con l’Iran, portabandiera dell’offensiva sciita in Medio Oriente. Quindi l’Arabia ha pensato di lanciare un doppio segnale: il primo contro le compagnie petrolifere americane, di natura industriale; il secondo, politico, indirizzato all’amministrazione. Sullo sfondo, secondo alcuni analisti, c’era anche l’intenzione di mettere in crisi il settore estrattivo russo.
 
riad arabia saudita riad arabia saudita
A giudicare dallo scoop pubblicato dal Financial Times, però, questa linea si sta trasformando in un boomerang. E’ vero infatti che le compagnie americane hanno ridotto le loro operazioni, in particolare nelle regioni dove era avvenuto il boom dello shale, tipo il North Dakota. Molti impianti sono stati chiusi e gli operai licenziati, in attesa che il prezzo torni conveniente. L’Arabia però ha visto aprirsi un buco nei suoi bilanci, e ha dovuto usare 65 miliardi di dollari delle proprie riserve per tapparlo.

SHALE OIL SHALE OIL
Siccome non vuole ridurre le spese, i progetti per le infrastrutture interne e le operazioni di sicurezza come quella in corso nello Yemen, ha deciso di fare ricorso ai mercati per rastrellare finanziamenti. Non siamo sull’orlo del crac, naturalmente, ma il debito potrebbe salire in fretta fino al 100% del Pil, come era già accaduto alla fine degli Anni 90. Considerando che ormai l’accordo nucleare con l’Iran è fatto, e la politica saudita sta punendo soprattutto se stessa, Riad potrebbe riconsiderare la sua linea sul prezzo del petrolio. 

http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/arabia-esaurita-riad-ha-bisogno-liquidita-vuole-emettere-bond-27-106530.htm

domenica 2 agosto 2015

Varoufakis: ora Schäuble vuole prendersi Roma, Madrid e Parigi Pubblicato 2 agosto 2015 - 12.42 - Da Claudio Messora

dall’intervista rilasciata a El Pais
Alcuni giorni fa ha lasciato il ministero. Come è cambiata la sua vita quotidiana?
«I giornali pensano che io sia deluso per aver lasciato il governo. Di fatto però io non sono entrato in politica per far carriera, ma per cambiare le cose. E chi cerca di cambiarle paga un prezzo».
Quale?
«L’avversione, l’odio profondo dell’establishment. Chi entra in politica senza voler far carriera finisce per crearsi questo tipo di problemi ».
Intanto la Grecia continuerà a subire la tutela della Troika…
«Noi avevamo offerto all’Fmi, alla Bce e alla Commissione l’opportunità di tornare ad essere le istituzioni che erano in origine; ma hanno insistito per ripresentarsi come Troika. Ma l’ultimo accordo si basa sulla prosecuzione di una farsa, ma si tratta solo di procrastinare la crisi con nuovi prestiti insostenibili, facendo finta di risolvere il problema. Ma si può ingannare la gente, si possono ingannare i mercati per qualche tempo, non all’infinito».
Cosa si aspetta nei prossimi mesi?
«L’accordo è programmato per fallire. E fallirà. Siamo sinceri: il ministro tedesco Wolfgang Schaeuble non è mai stato interessato a un’intesain grado di funzionare. Ha affermato categoricamente che il suo piano è ridisegnare l’eurozona: un piano che prevede l’esclusione della Grecia. Io lo considero come un gravissimo errore, ma Schaeuble pesa molto in Europa. Una delle maggiori mistificazioni di queste settimane è stata quella di presentare il patto tra il nostro governo e i creditori come un’alternativa al piano di Schaeuble. Non è così. L’accordo è parte del piano Schaeuble ».
La Grexit è ormai scontata?
«Speriamo di no. Ma mi aspetto molto rumore, e poi rinvii, mancato raggiungimento di obiettivi che di fatto sono irraggiungibili, e l’aggravamento della recessione, che finirà per tradursi in problemi politici. Allora si vedrà se l’Europa vuole davvero continuare a portare avanti il piano di Schaeuble oppure no».
Schaeuble ha suggerito di togliere poteri alla Commissione, e di applicare le regole con maggior durezza. Se sarà lui a vincere la Grecia è condannata?
«C’è un piano sul tavolo, ed è già avviato. Schaeuble vuole mettere da parte la Commissione e creare una sorta di super-commissario fiscale dotato dell’autorità di abbattere le prerogative nazionali, anche nei Paesi che non rientrano nel programma. Sarebbe un modo per assoggettarli tutti al programma. Il piano di Schaeuble è di imporre dovunque la Troika: a Madrid, a Roma, ma soprattutto a Parigi».
A Parigi?
«Parigi è il piatto forte. È la destinazione finale della troika. La Grexit servirà a incutere la paura necessaria a forzare il consenso di Madrid, di Roma e di Parigi».
Sacrificare la Grecia per cambiare la fisionomia dell’Europa?
«Sarà un atto dimostrativo: ecco cosa succede se non vi assoggettate ai diktat della Troika. Ciò che è accaduto in Grecia è senza alcun dubbio un colpo di Stato: l’asfissia di un Paese attraverso le restrizioni di liquidità, per negargli l’imprescindibile ristrutturazione del debito. A Bruxelles non c’è mai stato l’interesse di offrirci un patto reciprocamente vantaggioso. Le restrizioni di liquidità hanno gradualmente strangolato l’economia, gli aiuti promessi non arrivavano; c’era da far fronte a continui pagamenti a Fmi e Bce. La pressione è andata avanti finché siamo rimasti senza liquidità. Allora ci hanno imposto un ultimatum. Alla fine il risultato è uguale a quando si rovescia un governo, o lo si costringe a gettare la spugna ».
Quali gli effetti per l’Europa?
«Nessuno è libero quando anche una sola persona è ridotta in schiavitù: è il paradosso di Hegel. L’Europa dovrebbe stare molto attenta. Nessun Paese può prosperare, essere libero, difendere la sovranità e i suoi valori democratici quando un altro Stato membro è privato della prosperità, della sovranità e della democrazia».
Anche se è vero che la Grecia ha cambiato i termini del dibattito, in politica si devono ottenere dei risultati. I risultati la soddisfano?
«L’euro è nato 15 anni fa. È stato concepito male, come abbiamo scoperto nel 2008, dopo il tracollo della Lehman Brothers. Fin dal 2010 l’Europa ha un atteggiamento negazionista: l’Europa ufficiale ha fatto esattamente il contrario di quanto avrebbe dovuto fare. Un Paese piccolo come la Grecia, che rappresenta appena il 2% del Pil europeo, ha eletto un governo che ha messo in campo alcuni temi essenziali, cruciali. Dopo sei mesi di lotte siamo davanti a una grande sconfitta, abbiamo perso la battaglia. Ma vinciamo la guerra, perché abbiamo cambiato i termini del dibattito ».
Lei aveva un piano B: una moneta parallela, in caso di chiusura delle banche. Perché Tsipras non ha voluto premere quel pulsante?
«Il suo lavoro era quello di un premier. Il mio, nella mia qualità di ministro, era di mettere a punto i migliori strumenti per quando avremmo preso quella decisione. C’erano buoni argomenti per farlo, come c’erano per non premere quel pulsante».
Lei lo avrebbe fatto?
«Chiaramente, e l’ho detto pubblicamente, ma ero in minoranza. E rispetto la decisione della maggioranza».
Tsipras ha ribadito che non esistevano alternative al terzo riscatto; mentre lei, col suo piano B, sosteneva che un’alternativa c’era.
«Fin da quando ero giovanissimo, ho sempre respinto nella mia concezione politica il discorso thatcheriano dell’“assenza di alternative”. C’è sempre un’alternativa».
Quale sarà l’eredità di Angela Merkel per l’Europa?
«L’idea europea non era quella di punire una nazione orgogliosa per intimorire le altre. Non è questa l’Europa di Gonzales, Giscard o Schmidt. Abbiamo bisogno di ricuperare il significato di ciò che significa essere europei, trovare le vie per ricreare il sogno di prosperità condivisa nella democrazia. L’idea che la paura e l’odio debbano essere le pietre a fondamento della nuova Europa ci riporta al 1930. l’Europa corre il rischio di trasformarsi in una gabbia di ferro. Spero che la cancelliera non voglia lasciarci un’eredità come questa».
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