martedì 24 novembre 2009

le verità di calisto tanzi

Ettore Livini per "la Repubblica"

CALISTO TANZI


Accuse alle banche: «Conoscevano la reale situazione di Parmalat almeno dal 2002». Messaggi ai palazzi romani: «La politica? Abbiamo distribuito soldi se non a 360 gradi a 358». E, soprattutto, tanti «non so» e «non ricordo». A sei anni dal crac di Collecchio, Calisto Tanzi ha risposto ieri a Parma per la prima volta alle domande dei pm in un´aula di tribunale.

FAUSTO TONNA

Ribadendo la sua linea di difesa - «non mi occupavo di finanza, ho saputo del buco nei conti solo nel novembre 2003» - assicurando di non aver alcun tesoretto nascosto e alzando bandiera bianca a metà pomeriggio quando all´improvviso ha mostrato evidenti difficoltà a parlare («mi accade da sei anni») costringendo il tribunale a sospendere e rinviare l´udienza.

MEDIOBANCA

Lucido, in abito e cravatta scuri, Tanzi - già condannato a 10 anni in primo grado a Milano per aggiotaggio - ha ribadito la sua versione dei fatti. Puntando il dito contro il braccio destro Fausto Tonna e gli istituti di credito. La cosmesi di bilancio - ha ammesso - «è iniziata nel ‘93-94, appena dopo la quotazione».

L´ex patron ha però ribadito di non aver mai dato disposizione di truccare i conti. «Avevo tutti i poteri, certo - ha detto - , ma le operazioni le faceva Tonna, io non ne sarei stato capace. Fino all´ultimo ero convinto anch´io che in azienda ci fosse un miliardo di liquidità». Bonlat? «Non sapevo cosa c´era dentro». Le distrazioni verso il turismo? «Firmavo, ma non mi dicevano che i soldi arrivavano da Parmalat».

JPMORGAN CHASE

Tanzi ha rivelato invece una memoria di ferro quando si è trattato di chiamare in causa le banche. Su questo fronte ce n´è per tutti. Mps era a conoscenza dei guai di Collecchio «all´epoca della quotazione». «Mediobanca e Jp Morgan sapevano dei bilanci falsi a fine 2002 quando studiarono un aumento di capitale da 600 milioni». «Banca di Roma ci ha fatto forti pressioni per comprare Eurolat a un prezzo alto minacciando che i nostri rapporti si sarebbero incrinati».

Sui politici, per ora, nessun nome: «Abbiamo avuto contatti dal 1960 al 2003, prima per Odeon Tv poi per avere buone relazioni istituzionali. Abbiamo girato soldi attraverso il nostro conto Valori Bollati a tutto l´arco costituzionale», ha detto l´ex patron che ha invece chiamato fuori la famiglia: «Siamo stati utilizzati come prestanome dalle banche. E Parmalat, lasciatemelo dire, era la miglior impresa alimentare italiana». Il tesoretto? «Non esiste al mondo un mio conto o un conto di cui sia a conoscenza su cui ci sia un euro», ha concluso Tanzi.

[24-11-2009]
by dagospia

misteri romani

Filippo Ceccarelli per "la Repubblica"

MINO PECORELLI

Finché si scherza, si scherza. Ma prima o poi - e succede da qualche millennio - Roma sacrifica sull´altare del potere un´altra delle sue vittime; e dopo la cerimonia, che è cruenta, ma sempre invisibile, dentro i fumi del rogo già pare di scorgere l´immagine della creatura immolata, e con lei i dubbi, i sospetti, le leggende, le accuse, le credenze, i miti, a volte, che ne accompagneranno la più fantasmatica sopravvivenza all´interno del sistema politico, mediatico e cannibalico.

"Anvedi, porello", poveretto, o forse "porella", nel caso di Brenda, commenteranno i romani veraci, quelli che da venerdì mattina guardano l´orologio aspettandosi con impaziente scetticismo l´ingresso in scena dei servizi segreti. Perché non c´è qui fattaccio politico o delitto parapolitico che non contempli l´ombra di qualche spione. Basti pensare che pure nell´omicidio di via Poma, a un certo punto, è spuntato fuori un confidente del Sisde, impegnatissimo ad alzare il polverone.

CADAVERE PASOLINI

E anche nella storiaccia dell´Olgiata: a parte un certo numero di magheggi finanziari che collegavano certi conti svizzeri con l´onnipresente tangentona Enimont, la povera contessa aveva una relazione con un vicedirettore del servizio di sicurezza il quale in un empito di generosità le aveva regalato una collana con un biglietto che diceva: «Spero che ti ci possa strozzare», o qualcosa del genere, comunque poco simpatico e purtroppo abbastanza preveggente.

Nella città eterna, d´altra parte, i servizi possono entrare nell´almanacco dei delitti anche con ritardo quarantennale. Nel 2001 l´attuale direttore de Il Fatto, Antonio Padellaro, ha scritto un libro, "Non aprite agli assassini" (Baldini Castaldi Dalai) in cui il celebre caso Fenaroli (1958), marito condannato per aver strangolato la moglie Maria Martirano per ragioni di interesse, potrebbe invece spiegarsi con un ricatto che il sospetto assassino aveva imbastito ai danni dell´allora presidente della Repubblica Gronchi, roba di finanziamenti dell´Eni di Mattei.

Dell´Eni del resto si era occupato a fondo Pasolini, che ne stava scrivendo in Petrolio, e di stragi. "Io so": così cominciava i suoi articoli corsari. Per cui anche su quell´assassinio, altrimenti giustificato, si proietta il dubbio, si dipana l´incredulità, si nutre il romanzo giallo e quello nero, non di rado a puntate. Il punto di ambiguità è che i cadaveri non parlano, ma spesso e volentieri evocano terribili e plausibili certezze sulla loro fine.

BRENDA

Così quando l´energia del potere si dilata fino a comprendere le debolezze per non dire i vizi dei potenti - la droga e il sesso - ecco che lo spettro di una bella ragazza tedesca accoltellata nel 1963, Christa Wanninger, o quello di due giovani trovati morti dieci anni dopo sulle rive del lago di Martignano, la modella Tiffany e il suo amante Carabei, sembrano puntare il dito sulle perversioni altolocate o sul traffico della cocaina, sui ritrovi notturni dei ricchi come il Number One, in entrambi i casi con le dovute e innominabili complicità.

Invocatissimo, a proposito di Brenda e delle possibile conseguenze sulla vita pubblica, è l´affare che nel 1953 prese il nome da Wilma Montesi, la ragazza annegata, e anche lì c´erano le orge, c´era la droga, c´era un mare di chiacchiere, un delicato passaggio politico, un senso diffuso d´impunità.

E tuttavia, ciò che più rimanda al presente è che anche a quei tempi sotto accusa non era una persona, ma un´entità collettiva dissoluta e privilegiata; e che moltissimi erano disposti a credere che i colpevoli fossero da ricercare lì dentro, o lì sotto, comunque in quella che oggi si definisce la casta.

Accadde lo stesso dopo l´uccisione di Mino Pecorelli; o dopo il singolare suicidio del direttore generale delle Partecipazioni Statali, Castellari, trovato morto nel 1993 con un colpo già in testa, ma il cane della pistola sollevato. A pensarci bene, è un´impressione che si conferma anche nei delitti maturati sotto la cupola di San Pietro, la scomparsa di Emanuela Orlandi o la strage delle guardie svizzere: e in tutte e due le occasioni è mancata una parola pura, vera, autentica, sincera e addolorata, mentre abbondavano le versioni più comode e scivolose.

Con il risultato però di sollevare, sia pure per un attimo, la spessa coltre, l´indispensabile velo che nasconde alla vista il volto oscuro del potere, la grande menzogna della sua rispettabilità che in alcune circostanze si dissolve risolvendosi nel suo contrario.A questa trasfigurazione la Città Eterna offre da sempre scenari barocchi, insieme imprevedibili e scontati, carnali e simbolici, grandiosi e miserabili come l´appartamentino bruciacchiato della povera Brenda.

Da Tacito a San Bonaventura, che la identificava con la Grande Meretrice dell´Apocalisse; da Lutero, che la chiamò "cloaca", fino alle cronache di via Due Ponti, Roma stupisce con i suoi sacrifici al Comando, ai suoi peccati, ai suoi scarti. "Quell´adorabile Roma perversa/ in cui ogni immondizia somiglia/ a un´immondizia diversa" (Gaio Fratini). Quella Roma in cui ancora usa dire, con sfacciata malinconia: "Chi nun more se rivede".

[24-11-2009]
by dagospia

vaticano, orlandi ,banda della magliana e il vescovo: roma capitale dei misteri


Marco Ansaldo per Repubblica.it
ROSARIO PRIORE
"Sul caso di Emanuela Orlandi la responsabilità della Banda della Magliana appare chiara e si può dire che la pista dei Lupi grigi stia venendo meno. I nazionalisti turchi sono stati usati dalla Stasi in diversi comunicati con un intento di depistaggio. Ma il loro coinvolgimento nell'attentato a Wojtyla resta, e bisogna ancora indagare, e forse a lungo, per arrivare finalmente a scoprire i mandanti".
Per molti anni il giudice Rosario Priore si è occupato dell'attentato a Giovanni Paolo II, così come ha sempre seguito da vicino il caso di Emanuela Orlandi. Dopo le recenti novità emerse nell'inchiesta sulla ragazzina scomparsa a Roma 26 anni fa, il magistrato di tante indagini scottanti sembra essersi fatto un'idea precisa dei contorni della vicenda. Ne ha parlato con Repubblica.it.
Giudice Priore, lei pensa che le recenti rivelazioni fatte da Sabrina Minardi, la donna del boss della Magliana, Renato De Pedis, possano avvicinarci a una soluzione del caso? 
"Non so quanto stia accadendo all'interno dell'inchiesta in corso. So solo che gli inquirenti attuali sono serissimi e usi alla massima riservatezza. Lasciamoli lavorare, senza arrovellarci sui passi dell'indagine e fare nuovamente supposizioni devianti. I risultati non mancheranno".
GENITORI EMANUELA ORLANDI
Ma con l'individuazione del telefonista Mario la pista della Banda della Magliana è ormai certa? 
"Una cosa soltanto c'è da dire: che nel fatto ci fosse lo zampino (e oggi si rileva che si tratta di una zampa assassina) della Banda della Magliana, questo risultava da un pezzo. Così come si sapeva delle telefonate, dalle prime, quelle di Mario appunto, a quelle dell'apparente monsignore americano. Telefonate che avevano già a prima vista finalità di mediazione e d'inquinamento. Possibile mai che ai tanti istruttori e non, profondi conoscitori della Magliana, non emergesse alcun personaggio che poteva nascondere il sedicente Mario - anche lavorando sulla sua voce e le sue inflessioni dialettali - e solo oggi dall'83 si stanno forse facendo dei passi risolutivi sulla sua identificazione?".
MANUELA ORLANDI MANIFESTO
Perché dunque la Banda della Magliana si occupò di Emanuela? 
"L'entità della Banda era piuttosto complessa, ben diversa da come appare nell'immaginario collettivo. Non una semplice banda di quartiere, con personaggi di basso rilievo, quasi rozzi, violentissimi, che spesso si massacravano per spirito di guasconeria. Sicuramente è stato anche così, ma vi erano tra di loro anche cervelli con fini precisi, che perseguivano fermamente e con durezza. Tra gli altri scopi, c'era principalmente quello di accumulare ricchezza, che a sua volta con pratiche usurarie produceva ulteriore ricchezza. E quindi un misto tra vecchia Roma del dopoguerra e generone dei tempi in cui cominciavano a circolare danaro, belle donne e frequentazioni bene".
Ma Emanuela era solo una ragazzina... 
"Sto arrivando al punto. E' sempre esistita presso la Banda l'esigenza di "lavare" quel danaro accumulato, di provenienza delittuosa. Esigenza che si era rafforzata al tempo dei contatti con le organizzazioni meridionali, che avevano nelle proprie casse danaro proveniente dalle fonti più disparate, ma tutte di natura criminosa. A Roma, più che nelle zone di origine, si diceva che si trovassero, al di qua e al di là del Tevere, degli sportelli benevoli. Era quella centralità dei romani, già emersa in altre indagini. Romani che perciò svolgevano vere e proprie funzioni di banca: accumulo di contante, lavaggio, reimpiego con tassi, considerati i rischi delle operazioni, usurari".
WOJTYLA DOPO L'ATTENTATO (SOPRA LA SUA TESTA LA SPIA DELLA STASI ESTERMANN)
Da qui l'ipotesi di un ricatto della Banda al Vaticano per soldi prestati: soldi utili - probabilmente fra i 15 e i 20 miliardi di lire - alla causa di Solidarnosc, lei sostiene? 
"Qui a Roma alla fine degli Anni '70 c'era quel forte bisogno di capitali da usare, come più volte s'è detto, senza mai alcuna smentita, alla causa " polacca" , alimentata persino con fondi dei sindacati americani. La Banda della Magliana, che non ha mai perso le sue origini di associazione di usurai, non donava ma dava in prestito. E quindi voleva rientrare nei suoi crediti.
Non poteva agire dinanzi a tribunali; doveva impiegare altri mezzi, altri mezzi di pressione. E quale altro mezzo di sicura efficacia che quello - operazione che non poneva alcun problema a quella organizzazione efferata - che quello del sequestro di una fanciulla giovanissima - appena quindicenne - legata a colui che appariva il destinatario ultimo del danaro prestato, per via della cittadinanza".
Cioè il Papa? 
"Certo. Una cittadinanza acquisita peraltro da brevissimo tempo, come erano venuti a conoscenza per strade imperscrutabili i sequestratori, che così mostravano di non essere isolati e rozzi, come erano stati disegnati da alcuni media".
ENRICO DE PEDIS
Un ricatto dunque esercitato in maniera potente? 
"Sicuro. A tal punto forte ed efficace era la pressione che presso la Segreteria di Stato era stata installata una linea telefonica deputata ai contatti con i sequestratori. Linea telefonica che però avrebbe funzionato solo quando il Pubblico Ministero dell'inchiesta italiana lasciava la postazione, dimostrando così che le mosse del magistrato erano ben seguite e da vicino. Pressione a tal punto forte ed efficace che determinò in breve tempo non poche prese di posizione e appelli dello stesso Pontefice".
Viene dunque meno l'ipotesi di un coinvolgimento dei Lupi grigi turchi, ipotesi costruita a tavolino dalla Stasi, i servizi segreti tedesco orientali? 
"Su quella pista si sono intromessi in molti, senza avere alcuna parte in causa. Pista che fu aperta - devo affermarlo, rischio di apparire immodesto - da me, che per primo mi recai a bussare alla porta della Gauck Organisation, e ad avere l'accesso a quello che per anni era stato il prestigioso servizio della DDR, e ai suoi archivi.
MARKUS WOLF
E lì si rinvennero quelle carte che furono a tal punto ritenute preziose, da essere state richieste e inviate dalla commissione Mitrokhin. Nell'ambito di quell'inchiesta fu interrogato, dal Procuratore Capo di Berlino, Guenter Bohnsack, il colonello addetto al Dipartimento della disinformazione. Non si riesce a capire, certo, che cosa possa aver detto o possano avere inteso altri interlocutori in colloqui privati, non verbalizzati ( come è ovvio ) tenutisi in pubblici locali".
Lei incontrò anche Markus Wolf, il mitico "uomo senza volto" della Stasi, maestro di spionaggio: le disse qualcosa sul caso di Emanuela? 
"Wolf non rispose a Berlino, perché imputato in processi della Germania federale che riguardavano le sue attività nella Germania democratica. Ma accertò di rispondere a mie domande a Roma, al di fuori della giurisdizione tedesca, alla presenza dell'ammiraglio Fulvio Martini, capo dei servizi italiani, e di alcuni giornalisti".
E che cosa venne fuori? 
"Questi due personaggi, Bohnsack e Wolf, non fecero alcun cenno a quello che invece risulta in alcuni libri, che potrebbero apparire di fantasia, sempre che non si voglia metterne in luce altra natura, quella di essere inquinanti su queste vicende di sommo peso per la ricostruzione di eventi sicuramente di rilevante rilievo storico".
ALI AGCA
Sfuma dunque l'ipotesi che i Lupi grigi abbiano qualcosa a che fare con il caso Orlandi, nonostante Ali Agca, l'attentatore del Papa, avesse più volte sostenuto che la ragazza fosse viva. Ma le innegabili responsabilità dei nazionalisti turchi nell'attentato a piazza San Pietro possono portare finalmente a scoprire i mandanti di quest'altra vicenda? 
"Dall'inchiesta relativa all'attentato risultava chiaro che gli esecutori materiali dell'azione e quelli che stavano alle loro spalle, in Austria, fossero i Lupi grigi. Le prove per affermarlo erano sufficienti. Ma da chi ricevettero il mandato, su questo non ci sono prove, e occorre ancora indagare e forse a lungo".
2- LA MINARDI: DURANTE IL SEQUESTRO: "MONSIGNOR MARCINKUS VENNE A TROVARE EMANUELA"
Dal "Corriere della Sera - Roma"
«Monsignor Marcinkus venne a trovare Emanuela Orlandi» durante il sequestro nella casa al mare, a Torvaianica. A rivelarlo è Sabrina Minardi, la testimone dell'inchiesta sulla scomparsa, nell'83, della figlia del dipendente del Vaticano condotta dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dai pm Roberto Staffa, Simona Maisto e Andrea De Gasperis. La donna, ex moglie del calciatore della Lazio e del Napoli Bruno Giordano, aveva raccontato l'episodio ai magistrati e lo ha ribadito in una intervista a Rai News 24.
PAUL MARCINKUS
La Minardi ha anche aggiunto che sentiva le urla di Emanuela e che aveva intenzione di intervenire ma «De Pedis mi disse di farmi gli affari miei». La donna nell'intervista sostiene che lei stessa, «Renatino» De Pedis e Sergio «Er macellaro» avevano portato la ragazza nella casa al mare.
«Doveva restare solo un giorno - sostiene la Minardi - ma è rimasta 15 notti assistita da una zia di De Pedis, Adelaide». E ancora: «Ho sentito la voce di tale Mario che chiamò a casa Orlandi, l'ho riconosciuto: ha la mia età, era ricco di famiglia». Secondo la Minardi, Mario sarebbe un «grande amico di Renatino, sono certa della sua identità».
Intanto la magistratura ha chiuso un altro filone dell'indagine sulla scomparsa della Orlandi. Il gip Sante Spinaci ha archiviato nella scorsa primavera (ma la notizia è trapelata solo ieri) la posizione di Raul Bonarelli, ex numero due della Gendarmeria vaticana. Era stato indagato per sequestro di persona e favoreggiamento dopo le dichiarazioni (non confermate davanti al giudice) della madre di Mirella Gregori, la giovane sparita un mese prima della Orlandi: inizialmente aveva sostenuto di averlo visto in compagnia della figlia. Era stata la stessa procura, dopo tredici anni di indagini, a chiederne il proscioglimento ritenendo che Bonarelli non aveva avuto alcun ruolo nella vicenda Orlandi.



 
[23-11-2009]
by dagospia

domenica 22 novembre 2009

romanzo criminale italo vaticano

ROMANZO CRIMINALE – SONO MOLTE LE PISTE STORICHE NEL MISTERO DI EMANUELA ORLANDI: DALLO IOR AL GANGSTER SEPOLTO IN CHIESA - NEL PUZZLE DEGLI INDIZI UNA BMW VERDE E UN APPARTAMENTO PRIGIONE – E IL VATICANO TAGLIA CORTO: LE ACCUSE CHE LA MINARDI HA LANCIATO CONTRO MARCINKUS “SONO PURA FANTASIA”…

1- EMANUELA, MILLE IPOTESI E NESSUNA VERITÀ...
Massimo Lugli per "la Repubblica"

Un manifesto in bianco e nero, con la foto di una ragazza bruna, una fascetta nera un po´ da hippy sulla fronte e la scritta "Scomparsa" seguita da una descrizione di poche righe e da un numero telefonico di sette cifre.

EMANUELA ORLANDI

Pochissimi se ne accorsero, nessun giornale pubblicò più di qualche riga. I grandi gialli, di solito, iniziano in modo clamoroso. Quello di Emanuela, il mistero infinito su cui perse il sonno una generazione intera di investigatori, su cui si sono cimentati servizi segreti nazionali e d´importazione, poliziotti, magistrati, confidenti, spioni, scrittori, giornalisti e decine di figure "border line" più o meno in malafede, invece, cominciò in sordina.

In una capitale dilaniata dal terrorismo, spaventata da una mala sempre più sanguinaria, irrigidita da tremende tensioni politiche la storia di una quindicenne in jeans, camicia bianca e scarpe da ginnastica, uscita dalla scuola di musica il 22 giugno 83, salita su una Bmw verde e svanita nel nulla sembrava destinata a essere sepolta per sempre nelle brevi di nera. «Sapete quante adolescenti scappano tutti i giorni?» fu la risposta tranchant della questura ai pochi cronisti che cominciarono a far domande. Quasi tutti si accontentarono.

GENITORI EMANUELA ORLANDI

La famiglia di Emanuela, nel frattempo, era già precipitata in un incubo che dura da 26 anni. Un incubo ancora lontano dalla conclusione perché le ultime rivelazioni, la (probabile) identificazione di uno dei tanti telefonisti che si avvicendarono nell´alimentare speranze, angosce e delusioni sembra l´inizio di una traccia più che una pista vera e propria.

La verità è che nessuno, dalle 19,30 di quel 22 giugno, ha mai fornito una sola prova convincente che la quindicenne sia stata tenuta in ostaggio, non sia stata uccisa poche ore dopo il sequestro. I rapimenti, allora, erano routine e seguivano una trafila consolidata: alla famiglia, alla polizia o ai carabinieri arrivava una foto dell´ostaggio con un giornale in mano, o qualche lettera se non, nei casi più agghiaccianti, un dito o un orecchio. Di Emanuela si sono ritrovati solo un nastro registrato (che potrebbe essere stato inciso in qualunque momento) e una fotocopia dei documenti. Nessuna certezza.

MANUELA ORLANDI MANIFESTO

Fu l´appello del Papa, durante l´Angelus del 3 luglio, a scaraventare la piccola storia della quindicenne sparita in prima pagina e a rendere ufficiale l´ipotesi su cui la squadra mobile di Nicola Cavaliere stava già lavorando in sordina: quella del rapimento. Nel frattempo, al telefono di casa Orlandi (intercettato con l´arcaica tecnologia di allora) si erano già dati il cambio "Pierluigi" e "Mario", quel "Mario" che Sabrina Minardi (altra figura piena di ombre), ex moglie del calciatore Bruno Giordano e poi compagna del boss Enrico "Renatino" De Pedis avrebbe identificato in uno dei componenti della Banda della Magliana che in quegli anni stava consolidando il suo dominio su Roma a colpi di calibro 9 e raffiche di mitra.

MANUELA ORLANDI MANIFESTO2

Due giorni dopo entrò in scena l´ "Amerikano", una voce con spiccato accento straniero che mostrava di sapere parecchio e che fu il primo, vero, indizio per gli inquirenti sempre più disorientati. L´ "Amerikano" chiamò in causa, per la prima volta, Mehmet Alì Agca, il "Lupo grigio" che due anni prima aveva sparato a Giovanni Paolo II in piazza San Pietro (e che in seguito contribuì ad arricchire il giallo di una vena sovrannaturale citando il Terzo Mistero di Fatima). Sedici telefonate, tutte da cabine telefoniche diverse, poi anche la voce con l´accento straniero tacque per sempre.

Una nota del Sisde di Vincenzo Parisi, rimasta segreta fino al 1995 identificava l´Amerikano nel presidente dello Ior, la Banca Vaticana, Paul Marcinkus. La pista dei fondi neri d´oltretevere e dei collegamenti con il "suicidio" del banchiere Roberto Calvi, sotto il ponte dei Frati Neri a Londra, non ha portato da nessuna parte. Come le altre, almeno fino a ieri.

EMANUELA ORLANDI

Sulla scena, successivamente, comparve un´altra ragazza: Mirella Gregori, 15 anni come Emanuela, scomparsa il 7 maggio dello stesso anno. Fu un grande avvocato intenazionalista, Gennaro Egidio, a sostenere fino alla morte che le due storie erano collegate (anche se le adolescenti non si conoscevano affatto). Nessuna prova, nessun risultato.

Nel nulla, dopo anni di indagini oltreconfine e note top secret dei servizi segreti, finirono anche la "Pista bulgara", quella turca e le innumerevoli segnalazioni secondo cui Emanuela era viva, madre di un bambino, prigioniera in un harem o addirittura che era tornata, da anni, a Roma. E perfino il ritrovamento di un cranio umano nel confessionale di una chiesa di via Gregorio VII (a due passi dal Vaticano) che fu fatto analizzare nella vaga ipotesi che fosse proprio quello di Emanuela.

Col passare degli anni, i servizi cominciarono a perdere interesse nel mistero, i giornali a ricordarsene solo nell´anniversario della scomparsa o in occasione di qualche clamorosa quanto strampalata rivelazione dell´ultima ora, gli investigatori a passare ad altri incarichi. Fino al luglio del 2005, quando una telefonata anonima a "Chi l´ha visto" riaprì il caso e riaccese l´interesse su una vicenda ormai etichettata come uno dei tanti misteri made in Vaticano.

EMANUELA ORLANDI PP

Lo sconosciuto parlava di "Renatino", uno dei boss della Magliana freddato a colpi di pistola durante la faida coi Testaccini e suggeriva di indagare "sul favore che aveva fatto al cardinal Poletti". Quale favore? Mistero. Ma una cosa è certa: il boss malavitoso era stato sepolto nella Basilica di Sant´Apollinare, nella stessa piazza dove si trovava la scuola di musica di Emanuela. Indagini a vuoto.

Tre anni dopo, nel venticinquesimo anniversario della scomparsa, entra in scena Sabrina, l´ex donna del boss. Personaggio da prendere con le molle, spesso strafatta di cocaina, che entra ed esce dai domiciliari. Dice di aver visto il cadavere a Torvaianica, buttato in una betoniera da "Renatino" De Pedis assieme a quello del piccolo Domenico Nicitra, chiama in causa Danilo Abbruciati (il killer freddato nell´attentato a Roberto Rosone), Marcinkus e Andreotti.

"O delira o vuole soldi" pensarono in molti. Ma quando dietro sua indicazione fu ritrovata una Bmw intestata prima a Flavio Carboni e poi a un boss della Magliana parecchi, anche in procura, cambiarono idea e fu tutto uno scartabellare vecchi fascicoli ingialliti. Ora Sabrina avrebbe fatto identificare "Mario". Il giallo torna ai primi giorni, al punto di partenza. Con una nuova, labile pista e il dolore immutato della madre che non ha mai smesso di sperare.

2- IN VATICANO LE REAZIONI: "SU MARCINKUS FANTASIE INFAMANTI"...
Gian Guido Vecchi per il "Corriere della Sera"

DE PEDIS CADAVERE

«Cosa vuole, cerchino pure quello che vogliono. Anche se, da quanto si dice, è molto difficile che trovino qualcosa di sensato. Se lo trovassero, del resto, non sarebbe certo Marcinkus mandante». Dal Vaticano non arrivano commenti ufficiali, non si vuole dare la sensazione di seguire passo passo gli sviluppi dell'inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi «come ci fosse, da parte nostra, qualcosa da temere».

Le accuse che Sabrina Minardi ha lanciato contro il vescovo americano, allora presidente dello Ior, «sono pura fantasia», tagliano corto ai piani alti della Santa Sede. Un alto prelato, con un filo d'ironia, considera: «Uno può dire che Marcinkus non era un buon amministratore, ma non che fosse un assassino, questo no».

Quando la testimone tirò in ballo il «banchiere di Dio», l'anno scorso, intervenne il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano: «È il classico caso di scandalo estivo creato ad arte per catturare l'attenzione dei lettori già distratti dalle vacanze. Speriamo sia l'ultimo». Certo, «condividiamo con gli Orlandi il desiderio che la magistratura faccia quanto in suo potere per conoscere la sorte della amata Emanuela», aveva spiegato il cardinale ad Avvenire .

ENRICO DE PEDIS

Ma sulle accuse a Marcinkus «la Santa Sede ha già fatto conoscere in modo chiaro la propria posizione». Così, anche ora, Oltretevere si rimanda a quanto scrisse padre Federico Lombardi il 24 giugno 2008: premesso che «non si vuole in alcun modo interferire con i compiti della magistratura nella sua doverosa verifica rigorosa di fatti e responsabilità», la nota del portavoce vaticano criticava la divulgazione di «informazioni riservate, non sottoposte a verifica alcuna, provenienti da una testimonianza di valore estremamente dubbio».

PAUL MARCINKUS

Con due effetti: «Si ravviva il profondissimo dolore della famiglia Orlandi, senza dimostrare rispetto e umanità nei confronti di persone che già tanto hanno sofferto. E si divulgano accuse infamanti senza fondamento nei confronti di monsignor Marcinkus, morto da tempo e impossibilitato a difendersi». Di là dalle accuse, restano tuttavia lati oscuri. A cominciare dalla sepoltura del «benefattore emerito» Enrico De Pedis nella Basilica di Sant'Apollinare.

Monsignor Piero Vergari, che allora ne era rettore, ora vive in Umbria e non vuole parlare della faccenda: «Io sono qui, mi occupo di santissime cose, quanto avevo da dire l'ho già messo sul mio sito». Era stato lui, il 6 marzo '90, a scrivere al cardinale vicario di Roma Ugo Poletti che «il lavoro di sepoltura sarà fatto da artigiani e operai specializzati che hanno già lavorato per la tumulazione degli ultimi Sommi Pontefici». Nel sito (vergarimonspiero.com) scrive: «Anche in questa circostanza doveva essere valido, come sempre, il solenne principio dei romani 'Parce sepulto': perdona se c'è da perdonare a chi è morto e sepolto».

by dagospia

[20-11-2009]