Benedetta Tobagi per La Repubblica
L' 11 luglio del 1979 veniva assassinato Giorgio Ambrosoli. Ma ora possiamo sapere molto di più sulla ragnatela del potere tessuta dall' uomo che ne ordinò l' omicidio grazie all' apertura al pubblico dell' archivio della sua banca. Consultandolo scopriamo storie ancora oggi molto attuali «Mi scusi, avvocato Ambrosoli», poi quattro colpi di pistola.
Moriva così, davanti al portone di casa, la notte dell' 11 luglio di 38 anni fa, il commissario liquidatore della Banca Privata Italiana di Michele Sindona, il mandante dell' omicidio, bancarottiere legato alla mafia, ma anche ad Andreotti. «È una persona che in termini romaneschi se l' andava cercando» disse di Giorgio Ambrosoli nel 2010 il sette volte presidente del Consiglio.
La sua colpa? opporsi ai piani di salvataggio dell' istituto sindoniano nato dall' incorporazione di Banca Privata Finanziaria in Banca Unione nell' estate del 1974, quando le casse dei due istituti erano già vuote a causa delle speculazioni spericolate del banchiere siciliano.
Nonostante i tentativi di corruzione, le pressioni politiche e infine le minacce di morte, Ambrosoli «ha fatto quello che riteneva giusto», spiega il figlio Umberto, per «evitare che lo Stato, con i soldi dei contribuenti, pagasse per l' enorme buco causato da un singolo». Storia lontana? Mica tanto. Nel caso BPI non c' era solo il profilo criminale di Sindona. È stato l' archetipo di tante vicende in cui gli interessi particolari dilagano, a suon di corruzione, a danno dei cittadini.
Un caso da manuale, in materia di deformazioni del rapporto tra finanza, impresa e mondo politico, «per questo la storia di papà è ancora attuale», ripete Umberto. E oggi risuona in modo particolare con le vicende dei salvataggi bancari che comportano conti salatissimi a carico dei contribuenti.
Per approfondire questa storia oggi c' è un formidabile strumento in più: l' archivio della Banca privata italiana (BPI), riordinato di recente e reso accessibile al pubblico grazie agli sforzi congiunti del Centro per la cultura d' impresa e della Camera di Commercio di Milano, dove è possibile consultarlo - non lontano da quei palazzi del centro tra Brera e la Scala dove pulsava il cuore dell' impero internazionale di Sindona. Per anni, finché durarono i processi, guardiano di queste carte fu Pino Gusmaroli, amico e collaboratore di Ambrosoli: la prima persona che l' avvocato contattò, appena accettato l' incarico di commissario liquidatore.
«Due tir di pacchi legati con lo spago, era impressionante», racconta Antonella Bilotto, archivista e direttrice del Centro per la cultura d' impresa, che ha materialmente eseguito il riordino e l' inventariazione. Ci sono voluti anni, ha dovuto inventarsi un metodo. Circa l' ottanta per cento è documentazione delle due banche in bonis, dagli anni Venti in poi: materiale per gli storici dell' economia.
Il venti per cento sono invece i succosi documenti della liquidazione: monumento all' intelligenza brillante di Ambrosoli, che con pochi fidati collaboratori seppe ricostruire l' architettura tentacolare messa in piedi da Sindona. «Se poche persone e pochissime istituzioni non avessero fermato Sindona, la Borsa di Milano oggi avrebbe un azionista di riferimento: la mafia», sintetizza il vicepresidente del Centro per la cultura d' impresa Antonio Calabrò.
Sono gli aspetti criminali della vicenda, i più noti: il riciclaggio, le manovre corsare con cui, dietro lo schermo di sedicenti "depositi fiduciari" dirottava liquidità dalle banche alle società offshore per alimentare il proprio impero e tentare di scalare colossi come Bastogi, la più importante finanziaria italiana dell' epoca. Ma nelle carte delle banche sindoniane c' è anche la trama, meno eclatante ma altrettanto istruttiva, dell' ordinaria patologia dei rapporti tra banche e potere politico.
Scorrendo i faldoni dei verbali dei Cda degli anni fatali tra il 1972 e il '74, per esempio, dà i brividi leggere che mentre la voragine del crac si allargava sotto i loro piedi, per Sindona e sodali era business as usual. Da tanti dettagli emerge, diffuso e in controluce, il fitto reticolo di rapporti col sottobosco politico. In coda a un Cda di Banca Unione, per esempio: si accenna alla proposta d' acquisto di un terreno a Sabaudia da parte di "un gruppo romano, molto ben appoggiato politicamente, rappresentato da persone sulle quali si sono raccolte ottime informazioni".
Vogliono comprare a un prezzaccio perché non chiedono l' edificabilità, loro: evidentemente hanno altri canali per ottenerla. Quante speculazioni edilizie si sono svolte in modo simile? La politica: salvagente di Sindona, ma anche zavorra che contribuì al naufragio. Hanno avuto parte importante nel crac le perdite connesse a fidi concessi con disinvoltura secondo criteri non ortodossi - "metabancari" o "extrabancari", nel lessico dei liquidatori (se la percentuale fisiologica d' insolvenza era lo 0,5 per cento, scriveranno i magistrati, nelle banche sindoniane veleggiava intorno al dieci per cento).
Concessione di fidi e linee di credito alle aziende? Macché bilanci e solidità patrimoniale, contano le entrature, gli appoggi, gli amici degli amici. Nei grandi albi manoscritti dei verbali dei Cda di Banca Privata Finanziaria del marzo '73, a fronte del richiamo della vigilanza di Banca d' Italia "circa l' asserita sproporzione della potenzialità economico-finanziaria della clientela" rispetto agli affidamenti, "il Presidente [Sindona] esprime il parere che il bilancio [] è certamente uno dei componenti più validi nella valutazione [] ma non il solo, potendosi desumere la tranquillità del rischio anche [] da fonti non contabili interne ed esterne a conoscenza di Amministratori o amici della Banca": spudorato (e quanto hanno pesato le ragnatele di relazioni nei fallimenti bancari che affollano le cronache recenti?).
E ancora: quando la vigilanza chiede di limitare i poteri di concessione dei fidi oltre il limite legale, Sindona cita i casi in cui "trattandosi di clientela di assoluto e riconosciuto prestigio", nell' interesse della banca non si può mica attendere di riunire il Cda secondo le regole.
Le ispezioni cominciano nel 1971. In pochi mesi, la vigilanza di Banca d' Italia formula giudizi nettamente sfavorevoli su entrambe le banche, evidenziando irregolarità, contabilità riservate, carenza di controlli. Ma non ci furono conseguenze. Il baratro si allarga, ma sul Titanic continuano a ballare: le relazioni agli azionisti di Banca Unione e Banca Privata Finanziaria magnificano i "notevoli risultati", il continuo incremento dei depositi bancari (senza specificare che offrivano interessi a due cifre!). Niente domande, battute d' arresto, esitazioni.
"Maestro direttore e concertatore [Sindona] ha potuto agire come ha voluto perché ben assistito da funzionari e amministratori e sindaci delle due banche", scrisse Ambrosoli in una delle relazioni che gli costarono la vita (depositata, fatalità, il 9 maggio '78, giorno dell' omicidio Moro). Maciocchi, Vochieri, Bordoni e tanti altri sodali di Sindona, che fine hanno fatto?
Le pagine dei verbali sottraggono Sindona al grandioso isolamento luciferino, mostrandolo come perno di un perverso ecosistema di potere che trasuda avidità e senso d' impunità. Viene spontaneo provare a immaginare cosa si dicessero i consiglieri delle banche che hanno occupato le cronache in anni recenti. Sindona fu fermato, ma l' orgia del potere politico-finanziario continua a riprodursi in nuove forme, su innumerevoli piccoli palcoscenici locali. E a pagarne le spese sono i cittadini.
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/segreti-parziali-sindona-ndash-diventa-pubblico-rsquo-archivio-151806.htm
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