La caduta A Berlusconi restano i soldi: offshore È stato condannato e non potrà più farsi eleggere. Però una partita con i giudici Berlusconi l'ha vinta: il miliardo e passa di euro che ha nascosto all'estero e non è mai stato trovato di Paolo Biondani
Dopo tanti processi, la
bagarre politica che accompagna la sentenza della Cassazione sull'affare
Mediaset rischia di far dimenticare una verità assoluta, che prescinde
dagli alterni e comunque controversi risultati dei singoli casi
giudiziari, per quanto importanti: Silvio Berlusconi resta senza dubbio
l'imputato più furbo d'Italia.
Per misurare la sua grandezza,
basta accantonare i codici e seguire la pista dei soldi, ripercorrendo
la storia di una formidabile caccia al tesoro che dura da vent'anni. Un
autentico tesoro: a conti fatti, più di un miliardo e 100 milioni di
euro. Una montagna di denaro nascosto all'estero, che una raffica di
sentenze definitive, convalidate negli anni scorsi anche dalla
Cassazione, nell'indifferenza quasi generale, avevano già certificato
come «la cassaforte occulta del gruppo Berlusconi».
Il bello è
che nessuna autorità è mai riuscita a toccare un solo euro di quella
fortuna. Insomma, per quanto sia ancora lontana la fine di altri
processi ad alto rischio, a cominciare dal caso Ruby che vede il leader
del centrodestra condannato in primo grado a sette anni, la più grande
caccia al tesoro dell'ultimo ventennio l'ha stravinta lui.
Tutto comincia con un calciatore: Gianluigi Lentini, ceduto al Milan dal
Torino nel 1994. Berlusconi guida il suo primo governo, dopo il trionfo
alle elezioni in cui ha potuto presentarsi come l'anti-politico: uno
dei pochissimi capitani d'azienda ancora non coinvolti in Tangentopoli.
Nell'Italia già in crisi, il prezzo di quell'attaccante crea un certo
scandalo: 18 miliardi e mezzo di lire. Ma il vero problema è che il
presidente del Torino va in bancarotta e a quel punto confessa di aver intascato altri 10 miliardi (5 milioni di euro) in nero.
Da
dove arrivano quei soldi? Da una misteriosa società offshore, la New
Amsterdam, che li ha trasferiti in Italia tramite una finanziaria
elvetica che spostava anche soldi di Cosa Nostra. I pm di Mani Pulite
scoprono che questa New Amsterdam è gestita dalla filiale svizzera della
Fininvest. Assistiti dal procuratore Carla Del Ponte, riescono a farla
perquisire. Ma non trovano niente. Le carte che scottano sono finite a
Londra, nascoste nello studio dell'avvocato David Mills.
A
Milano intanto infuria Tangentopoli. Quattro squadre della Guardia di
Finanza confessano di aver intascato mazzette dal gruppo Fininvest. Il
governo Berlusconi risponde con il decreto Biondi, che punta a
scarcerare i tangentisti, ma viene ritirato a furor di popolo.
L'inchiesta
più pericolosa riguarda Telepiù, la prima tv a pagamento, che
Berlusconi non potrebbe intestarsi per legge: salta fuori che molti soci
sono prestanome di lusso, finanziati segretamente con 320 milioni di
euro da un altro giro di società offshore, proprio quelle su cui
avrebbero dovuto indagare i finanzieri corrotti dalla Fininvest. Nello
stesso autunno del '94 il principale cassiere di Bettino Craxi confessa
che il leader socialista ha intascato cospicue tangenti in Svizzera.
Soldi bonificati dall'ennesima offshore, chiamata All Iberian, che si
rivela una cassaforte miliardaria.
Per trovare le carte sparite
dalla Svizzera, i magistrati devono mettere in moto la polizia inglese,
che il 16 aprile 1996 perquisisce lo studio di Mills. E trova i primi
documenti. Il legale inglese sembra collaborare e ammette di aver
aiutato i manager Fininvest a manovrare ben 64 offshore, compresa la New
Amsterdam. Mentre le banche svizzere documentano che la cassaforte
centrale, quella All Iberian che pagava Craxi e tanti altri, ad esempio i
giudici corrotti dall'ex ministro Cesare Previti, risulta «appartenente
al gruppo Fininvest». Berlusconi, finito all'opposizione, sembra
perduto: condannato in tribunale per le tangenti al Psi di Craxi e alla
Guardia di Finanza, nel 2000 tenta di trattare un patteggiamento per la
maxi-accusa di falso in bilancio, nata proprio dalla scoperta del
"sistema All Iberian", ben 775 milioni di euro nascosti in quei conti
offshore.
Ma
dopo le prime riforme della giustizia e soprattutto la vittoria
elettorale del 2001, per il miliardario imputato cambia tutto. Una legge
del 2002 annienta il reato-base di falso in bilancio: Berlusconi
guadagna la prescrizione sia per l'affare Lentini sia per tutta la
vicenda All Iberian, oltre che per la corruzione giudiziaria del Lodo
Mondadori. Le sentenze definitive spiegano che «non può certo dirsi
innocente», ma ormai neppure il fisco può fargli niente: i conti
svizzeri si possono usare come prove solo nei processi penali, mai
contro l'evasione in sé. Intanto una sezione della Cassazione lo assolve
pienamente per le tangenti alla Guardia di Finanza, senza neppure un
processo-bis, pur condannando i suoi manager-parlamentari: loro hanno
corrotto perfino un generale, ma lui poteva non saperlo.
E i
soldi svizzeri di All Iberian dove sono finiti? Spariti in un altro
paradiso fiscale: le nuove carte rivelano che, proprio tra il decreto
Biondi del '94 e la perquisizione inglese del '96, il tesoro si è
spostato alle Bahamas, sotto la regia dell'impenetrabile banca Arner.
Solo
nel 2001, dopo altri cinque anni di opposizioni legali della Fininvest,
arriva in Italia la documentazione su altri conti svizzeri. Che svela
la storia delle offshore più strategiche, quelle che pompavano i soldi
dentro la cassaforte All Iberian. E qui comincia l'inchiesta Mediaset.
Le nuove carte raccontano che la perquisizione dello studio Mills fu
depistata: un banchiere della Arner ha portato via 43 scatoloni di
documenti. Dunque, nuova caccia al tesoro, tra Guernsey e l'Isola di
Man. Anche qui sembra sparito tutto, tranne un appunto di cinque righe
con un indirizzo di Londra: il nascondiglio dove nel giugno 2003 vengono
finalmente trovate le carte mancanti. Di fronte ai documenti, Mills
ammette di aver gestito anche le offshore supersegrete. E conferma che
Berlusconi, appena fu indagato, gli chiese di intestarne un paio ai due
figli maggiori, comportandosi da vero padrone.
Queste nuove
casseforti offshore, così ben nascoste, hanno incamerato solo dal 1994
al 1998 la bellezza di altri 368 milioni di euro. La difesa le ha sempre
definite società estranee, che compravano i diritti di trasmettere film
americani e li rivendevano alle tv italiane. Per l'accusa invece erano
solo un trucco (paragonato dai manager al «gioco delle tre carte») che
consentiva a Mediaset di gonfiare a dismisura i costi dichiarati al
fisco italiano. E a qualche furbone di nascondere i soldi nei paradisi
esteri.
Dopo tutte le precedenti sentenze definitive, il nuovo
processo Mediaset doveva solo stabilire chi fosse quel furbone. Partendo
da una confessione. Spaventato dalle indagini inglesi, infatti, Mills
rivela al suo commercialista e nel 2004 anche ai pm milanesi di aver
incassato una tangente di 600 mila euro dalla Fininvest proprio per non
testimoniare che le offshore del tesoro televisivo erano «di proprietà
di Berlusconi».
È allora che si apre l'altro processo per la
corruzione del testimone inglese: Mills cerca di ritrattare, ma viene
condannato in primo e secondo grado, mentre Berlusconi rinvia i verdetti
grazie a leggi incostituzionali. La mossa più astuta è del 2005: la
legge ex Cirielli dimezza i tempi della prescrizione e rende impunibile
la corruzione di Mills. La stessa riforma minimizza anche le accuse del
processo Mediaset: dei 368 milioni scoperti dalle indagini, sopravvive
solo l'ultima fetta di frode fiscale da 7,3 milioni di euro.
Tra
tante sentenze definitive, un dato economico resta assodato: i tesori
delle offshore sono spariti. Anche perché molte indagini si sono fermate
contro muri di gomma: nessuna collaborazione da Hong Kong né da altri
paradisi fiscali. E perfino a Parigi, quando la procura è andata a
cercare due archivi dei contratti di Mediaset, si è sentita rispondere
che uno era andato distrutto da «un incendio fortuito», l'altro da «un
allagamento».
Nell'articolo c'è una data sbagliata,
segnalata da un lettore: il 1994 è l'anno in cui si scopre il nero
pagato per l'acquisto di Lentini che risale al luglio 1992(P.B)
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