mercoledì 30 novembre 2016

Obama, finto progressista e amico di Wall Street Dopo 8 anni il rapporto malsano tra politica e finanza è rimasto. Ecco perché ora Sanders e Trump vanno forte. MARIO MARGIOCCO

L’America di oggi è stata definita a inizio marzo 2016 dall’ex sindaco di New York Michael Bloomberg un Paese «arrabbiato e frustrato» a causa della «stagnazione dei salari all’interno» e del «declino del peso internazionale».
Con Washington che «non sa offrire risposte adeguate».
Ma non si può scaricare sulla presidenza di Barack Obama, in politica interna, responsabilità che non sono solo sue.
Già ereditava un’economia in declino, con una classe media in arretramento e da 20 anni.
È facile minimizzarne i risultati, sui tre o quattro grandi temi qualificanti: la crisi del 2008, il rilancio dell’economia e le nuove regole finanziarie; la riforma sanitaria; l’ambiente; la fine della guerra in Iraq e un Medio Oriente diverso.
Le truppe sono state ritirate nel 2011-2012, ma alla chetichella da ultimo 4 mila uomini sono tornati, e non c’è un Medio Oriente diverso, se non in peggio, colpa assai più di George W. Bush che di Obama (sulla politica estera vedere ''Il giudizio della Storia non sarà clemente'').
PROMESSE ESAGERATE. In politica interna in particolare le aspettative erano così alte, le promesse hope and changeyes we can e the audacity of hope così altisonanti che era inevitabile, dopo la poesia, la prosa.
Ma si è andati oltre. È emerso che il primo a non credere troppo in quelle promesse, utili per vincere ma non per governare, era Obama stesso.
Questo gli ha creato subito una frattura a sinistra. La tesi, diffusa anche in Italia, è che Obama non abbia potuto fare perché i repubblicani con in mano il Congresso dal 2010 glielo hanno impedito.
Vero solo in parte. A volte non ha fatto di sua iniziativa.
A BRACCETTO CON WALL STREET. Obama si presentava non solo come la risposta a quel clima di connivenze tra Wall Street e Washington che aveva reso così grave la crisi, ma come la fine dello strapotere a Washington di big business e grande finanza.
Uomo nuovo per definizione, prometteva uomini nuovi e politiche nuove, e lo faceva con grande enfasi.
Si può rileggere o riascoltare, utile e chiarificatore esercizio, il discorso tenuto a Green Bay, Wisconsin, il 22 settembre 2008.
«Votatemi. E se lo fate, ve lo prometto, cambieremo insieme l’America». 
A quella data Obama, questo il suo vizio d’origine, aveva già incominciato a imbarcare nella sua squadra, mettendo ai margini i vari Paul Volcker e altri che erano stati fino ad allora la sua immagine, gli uomini dei Clinton, quintessenza della Washington da cambiare.
Affiderà presto loro, molto vicini a Wall Street, le leve dell’economia. 
RIFORME SCRITTE DAI BANCHIERI. Sulla finanza ancora il 7 marzo 2016, incontrando alla Casa bianca tutti i controllori federali dei vari enti preposti, ha rivendicato il lavoro svolto perché «non è vero che non abbiamo fatto molto come invece si dice sui media e nella polemica politica. Siamo stati severi con le nuove regole finanziarie».
Ma non la pensa così Mervyn King, ex governatore della Banca d’Inghilterra, secondo cui anche negli Stati Uniti «banchieri e regolatori sono stati collusi nell’orchestrare una spirale di regole complesse che si autosmentiscono».
È noto che la riforma finanziaria firmata da Obama, la Dodd-Frank, l’hanno scritta soprattutto i banchieri.

La riforma sanitaria è stata un passo avanti, ma non per tutti




Controversa è stata anche la riforma sanitaria, certamente un passo avanti (per 15-20 milioni di americani, non per tutti) che non è affatto - come si crede a volte in Italia - un sistema universale pubblico di tipo canadese e quindi europeo.
Si tratta piuttosto, come spiega bene un sito dedicato dell’agenzia Bloomberg, di un tentativo di allargare la base dei tutelati salvando il sistema di medicina privata, cioè addossando ad altri - assicurati e in parte minore le casse pubbliche - i costi relativi.
Insomma, con la Obamacare c’è chi pagando e a volte con aiuti pubblici ha una copertura che prima non aveva, e c’è chi ha meno copertura o paga di più per avere la stessa.
AMBIGUO SULL'AMBIENTE. Quanto all’ambiente, anche qui Obama è stato bifronte: ha introdotto una robusta normativa ambientalista, ma ha favorito ampiamente il fracking(tecnica estrattiva di petrolio e gas naturale che sfrutta la pressione dei liquidi per provocare delle fratture nel terreno), esaltato l’autosufficienza energetica americana, oltre a lasciare disastri finanziari, dopo il crollo del prezzo del greggio, e guai ecologici, data l’invasività del sistema.
FINANZIAMENTI SOLO DAI PRIVATI. Se al centro della proposta riformista di Obama c’era nel 2008, ed è così, il rapporto malsano fra potere economico e politica, lo stesso punto da cui sono ripartiti Bernie Sanders e in parte il singolare Donald Trump, anche qui l’equivoco è all’origine.
Obama infatti fu nel 2008 il primo candidato di un grande partito a rinunciare, dopo oltre 20 anni, al finanziamento elettorale pubblico per potere avere mano libera con quello privato.
E, cosa nota ma confermata da Hillary Clinton meno di un mese fa, «Obama ha preso nel 2008 da Wall Street più soldi di quanto chiunque altro abbia mai preso». 
TROPPE VOLTE MARCIA INDIETRO. Il 21 marzo 2009 l’Associated press scriveva: «Al potere da due mesi, ha fatto marcia indietro in una serie di casi, disinvoltamente cambiando posizione come suggerito dalle circostanze e coprendosi politicamente per evitare di sminuire credibilità e autorità».

Un sondaggio della Brookings lo pone al 18esimo posto tra i presidenti




Fra i numerosi casi, oltre alla finanza, c’erano - per citarne due - il cosiddetto cramdown, promessa elettorale, cioè il potere dato ai giudici di rivedere il peso dei mutui caso per caso, totalmente dimenticato.
«Ma che prezzo, che cosa ha pagato Wall Street per le sue miserabili decisioni?», chiedeva al Senato nel silenzio della Casa bianca uno dei sostenitori del cramdown, ampiamente sconfitto al voto (due terzi del Congresso sono vicini a Wall Street, e di questo il giudizio su Obama deve tenere conto). Aveva pagato la campagna di Obama, ecco cosa.
PROPOSITI LETTERA MORTA. Un altro caso è quello dell’Efca (Employee Free Choice Act), la legge di cui anche Obama era nel 2007 fra i firmatari per bloccare il crollo della sindacalizzazione nelle imprese americane, pilotato dalle imprese stesse.
Nonostante le promesse, Obama non ha fatto nulla da presidente per difendere il progetto, rimasto lettera morta, pur parlando ogni tanto di diritti sindacali, difesi nel settore pubblico, che però non è il nocciolo del problema.
Il 44esimo presidente americano non è stato quel leader transformational che aveva promesso di essere.
Ha prodotto molto dal punto di vista legislativo e normativo e forse il tempo gli sarà più amico, nel giudizio degli storici.
Per ora un sondaggio della Brookings fra politologi lo pone al 18esimo posto, ma in modo controverso e molto dibattuto.
DISILLUSIONE PALPABILE. La disillusione fra i progressisti è palpabile, e i fenomeni populistici di Sanders, e Trump sul fronte opposto, parlano chiaro. Se Washington fosse cambiata, non sarebbero così forti.
Nell’agosto 2011 James Galbraith, economista autorevole, figlio di John Kenneth Galbraith e come suo padre uomo decisamente di sinistra in America, scriveva: «Il presidente non è un progressista, non è quello che ancora gli americani chiamano un liberal. È un attivo protagonista in un’epica scena di finta politica, una persona di fiducia del potere economico, il cui compito è neutralizzare la sinistra con timori e distrazioni e poi convergere a destra e produrre risultati conservatori».
Allora Obama sembrava pronto a forti tagli al welfare state che sono stati assai più contenuti. Oggi il giudizio sarebbe meno severo, ma non del tutto diverso.
http://www.lettera43.it/it/articoli/politica/2016/03/24/obama-finto-progressista-e-amico-di-wall-street/164997/

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