giovedì 4 agosto 2011
La Primavera araba nelle tesi di Fukuyama
Fonte : FEDERICO RAMPINI - LA REPUBBLICA
Mercoledì 30 Marzo 2011 08:01 -
"Le persone si mobilitano perché non sopportano di vivere sotto il
giogo delle dittature". "Non credo al determinismo però penso
che la prossima tappa sarà la Cina" L´intervista/Lo studioso
americano, che ha pubblicato un nuovo saggio, spiega: "Quello
che sta succedendo oggi dimostra ciò che sostenevo dopo l´89,
tutti aspirano a una democrazia liberale"
(PALO ALTO) - "Quel che sta accadendo nel mondo arabo è la migliore conferma della mia
tesi del 1989 su La fine della storia. Allora, quando osservai che la liberaldemocrazia era lo
stadio più avanzato nell´evoluzione delle società umane, tra le obiezioni che ricevetti c´era
proprio quella di chi mi rinfacciava l´eccezione araba. Ecco, oggi vediamo che quell´eccezione
non esiste. I popoli arabi non sono diversi da noi, hanno le stesse aspirazioni, la stessa dignità".
E´ il momento di un ritorno di gloria per Francis Fukuyama, il celebre e controverso studioso
americano di scienze politiche. Esce in America un suo nuovo saggio, The Origins of Political
Order, il primo volume di un´opera monumentale: l´analisi delle società umane e dei sistemi
politici dalla preistoria ai tempi moderni, con un taglio interdisciplinare che prende in prestito
anche le teorie evolutive della biogenetica. E´ un saggio che fa notizia fin dalla dedica: è in
memoria di Samuel Huntington, il teorico dello "scontro di civiltà" scomparso nel 2008, che fu al
tempo stesso un maestro di Fukuyama e un suo fiero avversario intellettuale. Tante cose sono
cambiate dal primo libro che lo proiettò nel dibattito mondiale. In seguito Fukuyama ha disertato
i ranghi dei neoconservatori. Di recente si è trasferito dall´università Johns Hopkins di
Washington a Stanford, un passaggio dalla East alla West Coast che ha significato anche una
presa di distanza dall´attualità politica («a Washington fior d´intelligenze studiano quel che
accade in Cina di ora in ora, ma pochi possono parlare in modo competente della dinastia
Han»). Oggi però l´attualità lo insegue, riportando in auge la sua tesi più controversa, quella che
lui lanciò all´epoca della caduta del Muro di Berlino. L´idea della "fine della storia" ebbe un
successo immediato, parve catturare lo spirito di un´epoca: il momento unipolare, il trionfo
dell´America con la caduta del comunismo. In seguito quella teoria cadde in disgrazia, via via
che l´avanzata delle democrazie si scontrava con rovesci e delusioni: Fukuyama divenne il
bersaglio ideale per accusare l´America di arroganza imperiale. Oggi paradossalmente, mentre
lui assapora un ritorno di celebrità e di autorevolezza, è proprio sullo stato dell´America che il
suo ottimismo s´incrina. Professor Fukuyama, partiamo dagli eventi in Libia, Egitto, Tunisia,
Siria, Giordania, Yemen. Siamo di fronte a un altro 1989, la caduta del Muro della "diversità"
araba? «Certo, rivediamo un fenomeno già accaduto in passato, sotto altri cieli e in altri
contesti: vaste masse si mobilitano perché non tollerano più di vivere sotto il giogo delle
dittature. E quel che vogliono non è molto diverso dalla democrazia intesa nel senso
occidentale. E´ il trend di lunga durata che a suo tempo definii come la terza via o terza ondata
delle democrazie: quella che ebbe inizio con le transizioni post-autoritarie di Spagna Portogallo
e Grecia, poi si trasferì in America latina, infine nell´Europa dell´Est. In quei vent´anni in cui il
numero delle democrazie triplicò, l´unica parte del mondo che sembrava isolata dal contagio
era il mondo arabo. Ora abbiamo la prova che i valori della liberaldemocrazia non sono
esclusivi, non appartengono a un solo tipo di cultura». La sua nuova opera è un affresco storico
di lunga durata. Che cosa ci può insegnare sulle convulsioni del mondo arabo di questi mesi?
«Nel mio lavoro storico guardo alle origini delle istituzioni che fondano la democrazia e lo Stato
di diritto. Nessuna di queste istituzioni è scontata, non possiamo darle per acquisite, sono il
frutto di un´evoluzione e di un lavoro paziente. Ricordo la delusione che ci fu quando dopo la
caduta del Muro di Berlino arrivarono le cosiddette "rivoluzioni arancioni" nelle repubbliche
ex-sovietiche (Georgia, Ucraina, Kazakhstan), e alcune finirono per rimettere al potere degli
autocrati. Questo accadde perché i movimenti democratici non erano stati capaci di costruire
istituzioni forti. Ebbene, oggi esiste lo stesso rischio in Egitto dove mancano istituzioni e le
uniche forze in campo sono i militari e i Fratelli musulmani. Entro due anni potremmo avere
delle enormi delusioni dalle rivoluzioni del mondo arabo». Dunque il fatto che nelle "Origini
dell´ordine politico" lei faccia uso di teorie evolutive come nella biogenetica, non significa
riesumare un determinismo storico o un cammino ineluttabile verso il progresso, alla
Hegel-Marx. «No, la storia è piena di incidenti, imprevisti, è segnata anche dal ruolo o
dall´assenza di leadership. E in quest´opera insisto sull´importanza decisiva delle istituzioni, per
sottrarsi ai capricci umani. Inoltre, anche se la natura umana è una sola, universale, ogni
comunità sviluppa le sue regole particolari e può rimanerne prigioniera a lungo. 22 secoli fa i
cinesi inventarono quella che era di gran lunga la più efficiente e moderna burocrazia statale
centralizzata. Quella è rimasta a lungo la forza della Cina, ma anche un suo limite». La Cina
resta il più importante modello alternativo all´Occidente. La recessione globale del 2008-2009
sembra perfino avere rafforzato quel capitalismo autoritario e dirigistico. Ma lei di recente ha
preso spunto dalle rivolte arabe per fare una previsione: la prossima volta tocca ai cinesi. Ne è
così sicuro? «La Cina non è un´eccezione. Anche là c´è un risentimento contro i metodi di
governo autoritari. La differenza è che la classe dirigente cinese è più efficace e intelligente, ha
saputo generare crescita e occupazione. Non esiste in Cina il problema di una vasta gioventù
istruita e disoccupata, come nel mondo arabo. Inoltre Pechino è più efficiente nel soffocare in
anticipo ogni virgulto di protesta. Ma non esiste una differenza culturale di fondo tra i cinesi e il
resto del mondo. Quel che conta è la storia, e la storia può imboccare dei percorsi con delle
lunghe deviazioni». Proprio mentre la voglia di democrazia fa crollare il Muro arabo,
l´entusiasmo per questo sistema politico si è appannato proprio nella sua culla, qui negli Stati
Uniti. «L´America vive un´epoca molto difficile, e non solo per le sue debolezze economiche.
L´intero sistema democratico sembra paralizzato dallo scontro fra i partiti, la polarizzazione è ai
massimi, le intese bipartisan per risolvere la crisi di bilancio e fare le grandi riforme necessarie
sembrano irraggiungibili. C´è il rischio che la situazione debba peggiorare ancora molto,
precipitando fino a sbocchi drammatici, prima che vi sia un soprassalto nazionale. La soluzione
può arrivare tardi, e con costi elevati. Non vi è neppure la certezza che questa soluzione arrivi.
L´ho detto: non c´è un determinismo della storia. I popoli che vivono nelle democrazie devono
essere molto vigilanti, perché dalla democrazia si può anche regredire».
http://www.micciacorta.it
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