Faccio scoppiare l’Italia con la crisi dello
spread, la costringo a svendere i gioielli di famiglia e quindi arrivo
io, col portafogli in mano, pronto a rilevare a prezzi stracciati interi
settori vitali dell’economia italiana,
messa in ginocchio dalla manovra finanziaria. Secondo “Limes”,
l’architetto supremo del complotto non è la Germania, ma il colossale
fondo d’investimenti statunitense BlackRock, azionista rilevante della
Deutsche Bank che nel 2011, annunciando la vendita dei titoli di Stato
italiani, fece esplodere il divario tra Btp e Bund causando la “resa” di
Berlusconi e l’avvento di Monti, l’emissario del grande business
straniero. La rivista di Lucio Caracciolo, riassume Maria Grazia
Bruzzone su “La Stampa”, ha messo a fuoco un po’ meglio le dimensioni, gli interessi e il vero potere del
primo fondo d’investimenti mondiale, fattosi sotto con l’ascesa di
Renzi a Palazzo Chigi, dopo che ormai il Pil italiano era stato
letteralmente raso al suolo dai tecnocrati nostrani, in accordo con
quelli di Bruxelles. Il “Moloch della finanza globale”
vanta la gestione di 30.000 portafogli, per un totale di 4.650 miliardi
di dollari: non ha rivali al mondo ed è una delle 4-5 “istituzioni” che
ricorrono tra i maggiori azionisti delle banche americane.
Con
la globalizzazione dell’economia, il valore complessivo delle attività
finanziarie internazionali primarie è passato dal 50% al 350% del Pil
mondiale, raggiungendo i 280.000 miliardi di dollari, di cui solo il 25%
legato agli scambi di merci. E il valore dei
derivati negoziati fuori dalle Borse (“over the counter”) a fine giugno
2013 aveva toccato i 693.000 miliardi di dollari, in gran parte legati
al mercato delle valute: al Forex si scambiano in media 1.900 miliardi
di dollari al giorno. Tutto ha avuto inizio col neoliberismo promosso da
Margaret Thatcher e Ronald Reagan: deregulation e meno vincoli per le
megabanche, autorizzate a “giocare” con sempre nuovi prodotti finanziari
come gli “hedge fund”, i fondi a rischio speculativi e le società di
investimento spesso collegate alle banche, innanzitutto anglosassoni. Il
colpo di grazia porta la firma di Bill Clinton, che negli anni ‘90
rende assoluta la deregolamentazione della finanza,
abolendo il Glass-Steagal Act creato da Roosevelt negli anni ‘30 per
limitare la speculazione alle sole banche d’affari e tenere il credito
commerciale al riparo dalla “ruolette” finanziaria di Wall Street che
aveva causato la Grande Crisi del 1929.
A estendere al resto del mondo l’immediata cancellazione dei vincoli di sicurezza provvide il Wto, egemonizzato dagli Usa,
su impulso delle megabanche, dell’allora segretario al Tesoro Larry
Summers e del suo vice Tim Geithner, futuro ministro di Obama. Questo il
clima in cui cominciò l’ascesa di BlackRock, autonoma dal 1992 e basata
a New York, pronta a inserirsi in banche e aziende acquistando azioni,
obbligazioni, titoli pubblici e proprietà, per un totale di oltre 4.500
miliardi, cioè pari al Pil della Francia sommato a quello della Spagna.
BlackRock comincia anche a far politica:
entra nel capitale delle due maggiori agenzie di rating, “Standard
& Poor’s” (5,44%) e “Moody’s” (6,6%), ottenendo la possibilità di
influire sulla determinazione di titoli sovrani, azioni e obbligazioni
private, incidendo così su prezzo e valore delle attività acquistate o vendute.
Quindi opera anche nell’analisi del rischio, vendendo “soluzioni
informatiche” per la gestione di dati economici e finanziari, ed elabora
dati che «incorporano anche pesanti elementi politici».
Naturalmente sfrutta appieno la crisi del
2007: due anni dopo, lo stesso Geithner consulta proprio BlackWater per
valutare gli asset tossici di Bear Stearns, Aig e Morgan Stanley.
Compiti che BlackRock esegue, «agendo alla stregua di una sorta di Iri
privato». Nel 2009 fa anche un colpo grosso, acquistando Barclays
Investment Group, col suo carico immenso di partecipazioni azionarie
nelle principali multinazionali. Il colosso finanziario americano
informa e «manipola i propri clienti, utilizzando tecniche e software
non diversi da quelli impiegati da Google (di cui ha il 5,8%) o dalla
Nsa per sondare gli umori della gente», scrive “Limes”. Si serve della
piattaforma Aladdin, «con almeno 6.000 computer in 12 siti più o meno
segreti, 4 dei quali di nuova concezione, ai quali si rapportano 20.000
investitori sparsi per il mondo». Il suo centro studi d’eccellenza, il
“BlackRock Investment Institute”, esamina le variabili
politico-strategiche: il maxi-fondo è interessato al profitto «ma anche
alla stabilità, sicurezza e prosperità degli Stati Uniti». Il fondatore e
leader, Larry Fink, è considerato «il più importante personaggio della finanza mondiale», eppure resta «virtualmente uno sconosciuto» a Manhattan, secondo “Vanity Fair”.
Proprio BlackRock, aggiunge “Limes” è probabilmente il vero regista della crisi italiana del 2011, o meglio della capitolazione dell’Italia di fronte agli appetiti della grande finanza.
Lo spread fra i Bund tedeschi e i nostri Btp iniziò a dilatarsi non
appena il “Financial Times” rese noto che nei primi sei mesi di
quell’anno Deutsche Bank aveva venduto l’88% dei titoli che possedeva,
per 7 miliardi di euro. «Molti videro un attacco al nostro paese
ispirato da Berlino e dai poteri forti di Francoforte», ma forse –
secondo “Limes” – non era così. La rivista di Caracciolo rivela che il
potente istituto di credito tedesco aveva allora un azionariato diffuso,
il 48% del capitale sociale era detenuto fuori dalla Repubblica
Federale, e il suo azionista più importante era proprio BlackRock con il
5,1%. Peraltro, aggiunge la Bruzzone sulla “Stampa”, oggi la “Roccia
Nera” detiene in Deutsche Bank una quota ancor maggiore (il 6,62%) e ne è
il maggior azionista, seguito da Paramount Service Holdings, basato
alle Isole
Vergini Britanniche. «Si può escludere che il fondo non abbia avuto
alcuna parte in una decisione tanto strategica come quella di dismettere
in pochi mesi quasi tutti i titoli del debito sovrano di un paese
dell’Ue?».
«Se attacco c’è stato non è detto che sia stato perpetrato dalle
autorità politiche ed economiche della Germania: è un fatto che a
picchiare più duramente contro i nostri titoli a partire dall’autunno
2011 siano proprio “Standard & Poor’s” e “Moody’s”». Un’ipotesi,
quella di Limes, che getta nuova luce su tanta parte della narrazione di
questi anni sulla Germania, l’Europa e
i Piigs, a partire dalle polemiche di quell’agosto bollente, «con
Merkel e Sarkozy fustigati da Giuliano Amato sul “Sole 24 Ore”», anche
se Amato – ricorda la Bruzzone – in quel 2011 era fra l’altro “senior
advisor” proprio di Deutsche Bank. «E chissà che senza la decisione di
Deutsche Bank di vendere i titoli di Stato di Portogallo, Italia,
Irlanda, Grecia, Spagna, la tempesta finanziaria non sarebbe iniziata».
Un’ipotesi realistica, secondo la Bruzzone, che apre altri
interrogativi: sugli intrecci fra potere finanziario e politico, sul “potere sovrano”
degli Stati (anche della potente Germania) e sulla composizione
azionaria di questi onnipotenti istituti. Banche, fondi, superfondi: di
chi sono? Chi decide che cosa, al di là dei luoghi comuni ripetuti delle
narrative ufficiali?
La fine della Deutsche Bank come motore sano dell’economia industriale tedesca risale all’epoca del crollo dell’Urss, quando l’attenzione della finanza angloamericana
si concentra sull’Europa. E avviene a seguito di misteriosi omicidi,
scrive la giornalista della “Stampa”, ricordando che Alfred Herrhausen,
presidente della banca e consigliere fidato del cancelliere Kohl – un
uomo che aveva in mente uno sviluppo della mission tradizionale e stilò
addirittura un progetto di rinascita delle industrie ex comuniste, in
Germania, Polonia e Russia, andandone persino parlarne a Wall Street –
venne «improvvisamente freddato fuori dalla sua villa», a fine 1989. Si
disse dalla Raf, o dalla Stasi, o da altri ancora. Stessa sorte toccò al
suo successore, altro economista
che si era opposto alla svendita delle imprese ex comuniste elaborando
piani industriali alternativi alla privatizzazione. Fu ucciso nel 1991
da un tiratore scelto.
Dopo di lui, alla sede londinese di Deutsche Bank arriva uno
squadrone di ex banchieri della Merrill Lynch, compreso il capo, che
diventa presidente, riorganizzando tutto in senso “moderno”. Anche lui
però muore, a soli 47 anni, «in uno strano incidente del suo aereo
privato». Va meglio al suo giovane braccio destro, Anshu Jain, un
indiano con passaporto britannico, cresciuto professionalmente a New
York, tutt’oggi presidente della banca diventata prima al mondo per
quantità di derivati, spodestando Jp Morgan: la Deutsche Bank infatti è
considerata fuori dalle righe “la banca più fallita del mondo”, «esposta
per 55.000 miliardi, cioè 20 volte il Pil tedesco», a fronte di
depositi per appena 522 miliardi. «Quanto è pericoloso il potere di
mercato delle maggiori banche di investimento?». Se lo chiedeva due
anni fa lo “Spiegel”, riportando un durissimo scontro fra Deutsche Bank e
il ministro tedesco dell’economia, il super-massone Wolfgang Schaeuble.
Scriveva il settimanale: «Un pugno di società finanziarie domina il
trading di valute, risorse naturali, prodotti a interesse. Migliaiaia di
investitori comprano, vendono, scommettono. Ma le transazioni sono in
mano a un club di istituti globali come Deutsche Bank, Jp Morgan,
Goldman Sachs. Quattro banche maneggiano la metà delle transazioni di
valuta: Deutsche Bank, Citigroup, Barclays e Ubs». Un’altra ragione che
dovrebbe farci prestare attenzione alla “Roccia Nera”, aggiunge “Limes”,
è che ha messo radici in molte realtà imprenditoriali nel nostro paese.
Per “L’Espresso”, addirittura, «si sta comprando l’Italia». Se un altro
colosso americano, State Street Corporations, ha acquistato la
divisione “securities” di Deutsche Bank e nel 2010 ha comprato
l’attività di “banca depositaria” di Intesa SanPaolo (custodia globale,
controllo di regolarità delle operazioni, calcoli, amministrazione
delle quote, servizi ausiliari, gestione dei cambi e prestito di
titoli), è proprio BlackRock a far la parte del leone.
A fine 2011, il super-fondo americano aveva il 5,7% di Mediaset, il
3,9% di Unicredit, il 3,5% di Enel e del Banco Popolare, il 2,7% di Fiat
e Telecom Italia, il 2,5% di Eni e Generali, il 2,2% di Finmeccanica,
il 2,1% di Atlantia (che controlla Autostrade) e Terna, il 2% della
Banca Popolare di Milano, Fonsai, Intesa San Paolo, Mediobanca e Ubi. E
oggi Molte di queste quote sono cresciute e BlackRock è ormai il primo
azionista di Unicredit (col 5,2%) e il secondo azionista di Intesa
SanPaolo (5%). Stessa quota in Atlantia, mentre avrebbe ill 9,4% di
Telecom. «Presidi strategici, che permetteranno a BlackRock di
posizionarsi al meglio in vista delle privatizzazioni prossime venture
invocate da molti “per far scendere il debito”», scrive “Limes”. E’ la
nuova ondata in arrivo, dopo quella del 1992-93 a prezzi di saldo. «La crisi dei Piigs a che altro serve, se no?».
Chi è BlackRock? Il web rivela, più che altro, un labirinto. Secondo “Yahoo Finanza”, il maggiore azionista (21,7%) sarebbe Pnc, antica banca di Pittsburgh, quinta per dimensioni negli Usa ma
poco nota. Azionisti numero uno e due sarebbero Norges Bank, cioè la
banca centrale di Norvegia, e Wellington Management Co., altro fondo di
investimenti, di Boston, con 2.100 investitori istituzionali in 50 paesi
e asset per 869 miliardi di dollari. Poi ci sono State Street
Corporation, Fmr-Fidelity e Vanguard Group, che a loro volta sono gli
unici investitori istituzionali di Pnc. Sempre loro, i “magnifici
quattro”, si ritrovano con varie quote fra gli azionisti delle
principali megabanche: non solo Jp Morgan, Bank of America, Citigroup e
Wells Fargo, ma anche le banche d’affari come Goldman Sachs, Morgan
Stanley, Bank of Ny Mellon. A ricorrere nell’azionariato di questi
istituti ci sono anche altre società e banche, ma i “magnifici quattro”
non mancano mai.
Oltre ai soliti BlackRock, Vanguard, in Barclays – megabanca
britannica che risale al 1690 – è presente anche Qatar Holding,
sussidiaria del fondo sovrano del Golfo, specializzata in investimenti
strategici. La stessa holding qatariota è anche maggior azionista di
Credit Suisse, seguita dall’Olayan Group dell’Arabia Saudita, che ha
partecipazioni in svariate società di ogni genere, mentre nell’altra
megabanca elvetica, Ubs, si ritrovano BlackRock, una sussidiaria di Jp
Morgan, una banca di Singapore e la solita Banca di Norvegia. Barclays
Investment Group compariva tra i grandi azionisti di BlackRock, e
viceversa, ma prima della crisi del
2008: dopo, non più – almeno in apparenza. Su “Global Research”,
Matthias Chang mostra come nel 2006 “octopus” Barclays fosse davvero una
piovra con tentacoli ovunque: Bank of America, Wells Fargo, Wachovia,
Jp Morgan,
Bank of New York Mellon, Goldman Sachs, Merrill Lynch, Morgan Stanley,
Lehman Brothers e Bear Sterns, senza contare un lungo elenco di
multinazionali di ogni genere, americane ed europee, comprese le
miniere, senza dimenticare i grandi contractor della difesa.
Dopo la crisi, che ha
rimescolato le carte dell’élite finanziaria, il paesaggio cambia:
Barclays Global Investors viene comprata nel 2009 da BlackRock. Il
maxi-fondo, che nel 2006 aveva raggiunto il trilione di dollari in
asset, dal 2010 al 2014 cresce ancora (fino ai 4.600 miliardi di
dollari) insieme a Vanguard, presente in Deutsche Bank. Seguite i soldi,
raccomanda il detective. Chi c’è dietro? «Attraverso il crescente
indebitamento degli Stati – scrive la Bruzzone – megabanche e superfondi
collegati, già azionisti di multinazionali, stanno entrando nel
capitale di controllo di un numero crescente di banche, imprese
strategiche, porti, aeroporti, centrali e reti energetiche. Solo per
bilanciare l’espansione dei cinesi?». E’ un processo che va avanti da
anni, «accelerato molto dalla “crisi” del 2007-8 e dalle politiche
controproducenti come l’austerità, che sempre più si rivela una scelta politica». Tutto ciò è «evidentissimo nei paesi del Sud Europa,
Grecia in testa, ma presente anche altrove e negli stessi Stati Uniti».
Lo dicono blogger come Matt Taibbi ed economisti come Michael Hudson.
Titolo del film: più che Germania contro Grecia, è la guerra delle
banche verso il lavoro. Guerra che continua, dopo Thatcher e Reagan, nel
mondo definitivamente globalizzato dai signori della finanza.
http://veritanwo.altervista.org/fa-crollare-litalia-poi-se-la-compra-ma-chi-e-blackrock/
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Io penso che tutti questi meschini giochi di potere crolleranno miseramente quando nel mondo il popolo mondiale si renderà conto che per strane circostanze nel mondo sono stati sbagliati i principi fondamentali delle energie e delle depurazione. Pertanto è tutto da ricostruire in modo più sostenibile secondo quanto pubblicato su http://www.spawhe.eu. Ci saranno inevitabili grandissimi crolli in borsa, ma anche lavoro per tutti e una più equa distribuzione della ricchezza.
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