sabato 31 dicembre 2016

buon anno

la redazione del complotto del mantecatore augura un buon 2017 a tutti.

LA PAGLIUZZA MPS E LA TRAVE DEUTSCHE BANK - L’EUROPA ROMPE LE PALLE SUL SISTEMA BANCARIO ITALIANO MA NON VUOL VEDERE L’ESPOSIZIONE AI DERIVATI TOSSICI DELL’ISTITUTO TEDESCO - UNA SITUAZIONE CHE IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE HA DEFINITO IL PEGGIOR FATTORE DI RISCHIO DI CREDITO GLOBALE

Nino Sunseri per “Libero quotidiano”

Guerra di nervi fra Italia e Germania in tema di banche. Berlino che chiede alla Bce di aumentare la vigilanza su Mps per avere la certezza che non siano in corso manovre strane. La parola d'ordine implicita è assai poco lusinghiera: basta con i lassismi e con i trucchi in salsa mediterranea preparati a Roma.

L'Italia che risponde con uno studio dell' Abi in cui dimostra che i derivati in portafoglio alle banche tedesche e, segnatamente alla Deutsche Bank sono molto più rischiosi di qualunque prestito andato a male. Le sofferenze sono un problema ma i titoli illiquidi che intasano i bilanci degli istituti del centro-nord sono esplosivo pura. Bombe ad altissimo potenziale. Da qui la richiesta dell' Abi alla Bce: anziché perdere tempo a esaminare il capello delle banche italiane perché non vi occupate della trave conficcata nell' occhio del sistema tedesco?

DEUTSCHE BANK DEUTSCHE BANK
Insomma il balletto continua. Gli italiani che si sentono perseguitati da una normativa europea inutilmente severa e la Germania che teme la catastrofe. Una tragedia potrebbe costringere i contribuenti tedeschi a dover pagare per le cicale mediterranee. La diagnosi che arriva da Francoforte a proposito di Mps è scoraggiante. Ha liquidità a dicembre per 4 mesi; erano 11 a novembre. Da gennaio a settembre ha subìto una fuga di depositi di 14 miliardi. Ne ha poi 47 di crediti deteriorati lordi, 28 netti, cioè non coperti da riserve, in aumento del 10 per cento nel 2016. I non performing loans (Npl) sono il male maggiore e comune delle banche italiane.

john cryan deutsche bank john cryan deutsche bank
Niente però a fronte dell' esposizione ai derivati tossici che rappresenta il grande vizio della Deutsche Bank. Una situazione che il Fondo monetario internazionale ha definito il peggior fattore di rischio di credito globale. Però Db non ha chiesto fondi pubblici né ha attivato alcuna procedura europea.

Proprio per questo il consiglio d' amministrazione di Mps è riunito a Siena per il nuovo piano industriale. Dovrà arrivare a Francoforte il più velocemente possibile. Forse già settimana prossima il vertice della banca potrebbe chiedere un appuntamento alla Vigilanza.
john cryan deutsche bank john cryan deutsche bank

Non meno incerto, anche se per altri motivi, il futuro di Popolare di Sondrio e Banca Popolare di Bari. Il termine per la trasformazione in Spa è scaduto ma non è ancora successo nulla. Il Consiglio di Stato ha bocciato la riforma e ora aspetta l' intervento della Corte Costituzionale. Il tribunale di Milano ha impedito alla Popolare di Sondrio di celebrare l' assemblea per il cambio di governance. Una gran confusione. Era diffusa l' opinione che il governo sarebbe intervenuto nel decreto Milleproroghe per sospendere i termini. Invece non è successo nulla. E ora? A Sondrio fanno sapere di essere fermi in attesa degli eventi.

i credit default swap di deutsche bank dal 2011 a oggi i credit default swap di deutsche bank dal 2011 a oggi
Nella lettera ai 182mila azionisti il presidente Francesco Venosta e l' amministratore delegato Pedranzini fanno presente che è tutto pronto per la trasformazione. Nel frattempo, però, ci tengono a sottolineare che i conti vanno bene. Nonostante ci si sia trovati a lavorare in un contesto difficile, incerto, possiamo anticipare dati di bilancio soddisfacenti, con la previsione di un adeguato utile d' esercizio, frutto della sola gestione ordinaria. Risultato ottenuto grazie a una discreta attività finanziaria e alla significativa riduzione delle rettifiche nette su crediti.

 http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/pagliuzza-mps-trave-deutsche-bank-europa-rompe-palle-138606.htm

giovedì 29 dicembre 2016

“MONTE” DI PIETÀ - IL 70% DEI CATTIVI DEBITORI DI MPS NON SONO ARTIGIANI O COMMERCIANTI MA RICCHI IMPRENDITORI, COME LA FAMIGLIA DE BENEDETTI (CASO SORGENIA) O I MARCEGAGLIA, CHE A MARZO HANNO RICEVUTO UN NUOVO FINANZIAMENTO DI QUASI MEZZO MILIARDO, NONOSTANTE ABBIANO GIÀ 1,5 MILIARDI DI DEBITI

Giuliano Zulin per ''Libero Quotidiano''

titolo mps in 12 mesi titolo mps in 12 mesi
Natale è passato, ma il governo (e la Bce) si apprestano a fare un bel regalo agli italiani: una tassa di 251 euro a famiglia. L'altro ieri abbiamo scoperto che l'aumento di capitale di Montepaschi non sarà più di 5 miliardi, bensì di 8,8. Dei quali ben 6,5 saranno a carico del contribuente. Il conto dunque è presto fatto.

Basta dividere 6,5 miliardi per quasi 26 milioni di famiglie e spunta fuori l' obolo per Siena: 251 euro, appunto. Le associazioni dei consumatori hanno dato altri numeri, prendendo a riferimento tutta la dote del cosiddetto decreto salva-risparmio, 20 miliardi, votato a tempo di record dal Parlamento (dieci minuti esatti): 330 euro a italiano, compresi neonati e ultracentenari, che fanno 774 euro a famiglia. Che sberla, eh...
RENZI MPS RENZI MPS

Però quello che fa più arrabbiare è il caso Mps. Innanzitutto per un motivo politico: fino a fine novembre la banca più antica del mondo teneva botta, ma dopo il referendum è scattata la fuga di correntisti e risparmiatori per timori di un crac. Da qui l' allargarsi del buco e la richiesta della Bce di iniettare più soldi nelle casse malandate di Siena.

Eppure l'idea di fare le pulizie finali dalle sofferenze nei bilanci è di fine luglio. Perché si sono sprecati cinque mesi? Lo capiamo il motivo: il governo Renzi non voleva usare denari pubblici per salvare l'istituto che fu del Pd. Va bene, ma quei 3,8 miliardi aggiuntivi? In fondo sono soldi nostri, no? È come aver buttato al vento il gettito della tassa sulla prima casa...

MPS MPS
Quello che però fa veramente incazzare è anche la gestione allegra di Siena nel concedere prestiti. Ci hanno spiegato che le banche sono in crisi perché da otto anni il Pil è agonizzante, per cui molti finanziamenti alle imprese si sono trasformati in sofferenze. Giusto, peccato che, a un'analisi sommaria, si scopra che il 70% dei cattivi debitori del Monte non siano l' artigiano o il commerciante travolti dalla crisi.

carlo de benedetti carlo de benedetti
No, precisamente il 69,7% dei crediti in sofferenza erano prestiti a ricchi. Neanche 10mila clienti in tutto. In particolare le pratiche con importi compresi tra uno e tre milioni rappresentano il 24,3% delle sofferenze per un valore di quasi 2,5 miliardi, mentre quelle superiori ai tre milioni sono il 32,4%, per un valore di oltre 3 miliardi.

LA LISTA
Chi sono questi signori? Qui sta il vero mistero di Mps. Perché tutta questa fretta nello statalizzare la banca? Forse per non far vedere chi sono i signori che hanno tirato il pacco alla banca? La lista dei cattivi pagatori è il vero tesoro, forse ormai l'unico, dell'istituto. E chi la conserva tiene per le palle tutti i potenti d'Italia, perché è quasi inevitabile che imprenditori, politici e vip abbiano avuto rapporti con il terzo istituto del Paese...

sorgenia sorgenia
Noi sappiamo alcuni nomi, quelli che si possono ricostruire dai vecchi comunicati di Mps. E già ci bastano per farci salire la pressione. Tipo la famiglia De Benedetti. Ricordate Sorgenia? A un certo momento il gruppo energetico non stava più in piedi, oberato da 600 milioni di perdite. Le banche che avevano finanziato le attività della società chiedevano di rientrare dei loro prestiti, ma dalle parti dell'Ingegnere non ne hanno voluto sapere di metter mano al portafogli. Così Mps e le sue sorelle hanno dovuto convertire i crediti in azioni, mettendosi poi a gestire l'azienda.

emma marcegaglia emma marcegaglia
E poi c' è la storia del gruppo Marcegaglia. La società attiva nell' acciaio di proprietà di Antonio ed Emma Marcegaglia. A marzo hanno ricevuto un nuovo finanziamento di quasi mezzo miliardo, nonostante abbiano già 1,5 miliardi di debiti. Soldi che sulla carta serviranno ad agevolare i piani di sviluppo del gruppo. Anche qui, ci ha messo del suo Mps. Sette anni durerà il prestito. Quando la liquidità di Siena è appena di quattro mesi, come certificato dalla Bce.

IL CAVALLO DI TROIKA
Ecco il terzo motivo per non stare sereni, dopo il varo del decreto salva-risparmi. La Banca centrale europea, insieme all'Unione Europea, ormai decideranno il nostro futuro più di quanto non lo facciano già. La questione è semplice: la Ue è anche disponibile a concederci un aumento di 20 miliardi del debito pubblico per mettere in sicurezza le banche, anche se nei trattati dovremmo invece diminuirlo...

IL TITOLO MPS MONTEPASCHI DA LUGLIO 2015 A GENNAIO 2016 IL TITOLO MPS MONTEPASCHI DA LUGLIO 2015 A GENNAIO 2016
Perché? Beh, ci penserà Bruxelles a far rispettare le regole del Fiscal Compact, cioè diminuire il debito un tot all' anno, nelle prossime leggi di bilancio. Come dire: aumenti il debito? Va bene, taglierai di più la spesa. Oppure aumenterai le tasse, tipo quella di successione che è troppo bassa rispetto alla media Ue (sostengono sempre gli eurocrati), o quella sulla casa (ricordate i mugugni dopo che Renzi cancellò la Tasi?). In ogni caso il conto arriverà a noi.

Tutti capiscono che non si possono far saltare le banche, perché non sono imprese come le altre, però è da incoscienti perdere tempo per poi farsi dettare gli interventi da Bruxelles o da Francoforte. Dopo non lamentiamoci se nel 2018 la gente voterà Salvini o Grillo. Il cosiddetto populismo non nasce sugli alberi: è figlio del dilettantismo di chi ha gestito l' Italia fino ad ora.

 http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/monte-piet-70-cattivi-debitori-mps-non-sono-artigiani-138450.htm

martedì 20 dicembre 2016

LA MALEDIZIONE DEL FMI - LAGARDE CONDANNATA PER LO SCANDALO TAPIE/ADIDAS, MA IL BOARD DEL FONDO LE RINNOVA LA 'PIENA' FIDUCIA - LEI: 'HO SEMPRE AGITO NELL'INTERESSE PUBBLICO, NON FARÒ APPELLO'. BEH, IN QUESTO E' COERENTE: NON LO FECE NEANCHE CONTRO IL FOLLE ARBITRATO CHE RICONOBBE 403 MILIONI AL FURBO FINANZIERE CONVERTITO AL SARKOZISMO

.FMI ESPRIME 'PIENA FIDUCIA'' IN LAGARDE 
(ANSA) - Il board del Fmi esprime ''piena fiducia'' in Christine Lagarde e nella ''sua capacita' di continuare a portare avanti'' l'incarico di direttore generale del Fondo. Lo afferma il Fmi al termine della riunione del board per discutere gli sviluppi in Francia di Lagarde.
christine lagarde

2.LAGARDE, SEMPRE AGITO IN INTERESSE PUBBLICO 
 (ANSA) - Christine Lagarde si dice delusa dalla sentenza in Francia sul caso Tapie e si difende: ''in tutta la mia vita professionale, ho svolto i miei compiti con responsabilita' e con chiara attenzione all'interesse pubblico''. Lo afferma Lagarde, sottolineando che non presentera' appello contro la decisione.

 ''C'e' un punto in cui bisogna fermarsi, voltare pagina e andare avanti. Sono contenta di non presentare appello e di concentrare tutta la mia attenzione, i miei sforzi , la mia energia e il mio entusiasmo alla mia missione al Fmi'' mette in evidenza Lagarde.


3.LAGARDE CONDANNATA
Stefano Montefiori per il Corriere della Sera

lagarde sarkozy tapie locandina
La Corte di giustizia della Repubblica francese a sorpresa ha dichiarato la direttrice generale del FMI, Christine Lagarde, colpevole di negligenza. Nel 2008 l' allora ministra delle Finanze non fece ricorso contro la decisione del tribunale arbitrale che attribuiva 400 milioni di soldi pubblici all' affarista Bernard Tapie.

Lagarde rischiava un anno di prigione con la condizionale e 15 mila euro di ammenda.
Pur riconoscendo la sua colpevolezza la Corte ha preferito dispensarla da qualsiasi pena, valutando «la personalità», la «reputazione» e il fatto «che all' epoca Lagarde era occupata a lottare contro la crisi finanziaria internazionale».

Christine Lagarde, 60 anni, si trova adesso in una situazione delicata, che sarà valutata dal board del Fondo monetario internazionale pronto a riunirsi nelle prossime ore. È possibile che l' ex ministra francese sia invitata a dimettersi dalla carica di direttrice generale, anche se non è previsto alcun automatismo.

Dopo la pessima esperienza con il predecessore francese Dominique Strauss-Kahn il FMI ha sempre ribadito in questi anni la completa fiducia in Lagarde, rinnovando lo scorso febbraio l' incarico per un secondo mandato quinquennale. E il governo socialista francese, anche se di segno opposto rispetto a quello di cui faceva parte Lagarde, ieri non le ha fatto mancare il sostegno.
lagarde e sarkozy su un tapie in fiamme

«Christine Lagarde esercita il suo mandato al FMI con successo e il governo mantiene la fiducia nella sua capacità di esercitare le sue responsabilità», si legge in una nota del ministro delle Finanze Michel Sapin. A fine 2007 Lagarde, allora ministro sotto la presidenza Sarkozy decise di ricorrere a un arbitrato privato per chiudere in fretta il contenzioso tra Bernard Tapie e Crédit Lyonnais per la cessione di Adidas.

Nel luglio del 2008 il tribunale arbitrale stabilì che il «Consortium de réalisation», ovvero la struttura pubblica incaricata di liquidare il passivo del Crédit Lyonnais (in sostanza lo Stato francese) avrebbe dovuto risarcire Tapie con la cifra record di 403 milioni.

BERNARD TAPIE
Lagarde preferì non fare ricorso, ed è per questo che è stata dichiarata «colpevole di negligenza». Durante il dibattimento la presidente della Corte, Martine Ract Madoux, ha incalzato Lagarde dicendo che «quella decisione del tribunale arbitrale è stata un pugno nello stomaco, avrebbe dovuto farla reagire!». E Bruno Bézard, che all' epoca dirigeva l' Agenzia delle partecipazioni statali, ha aggiunto che «davanti a una decisione così scandalosa, anche se avessimo avuto solo un' occasione su 1000 di vincere, bisognava ricorrere in appello».

In questi anni Lagarde è stata sospettata di avere voluto favorire consapevolmente Bernard Tapie, uomo d' affari ed ex ministro nel governo socialista all' epoca di Mitterrand, poi entrato nelle grazie del presidente Nicolas Sarkozy.
Ma quella complicità non è stata dimostrata.

Quindi una decisione a metà - «colpevolezza senza pena» - che verrà valutata dal board FMI in una riunione presieduta dal componente più anziano, il russo Aleksei Mozhin.

http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/maledizione-fmi-lagarde-condannata-scandalo-tapie-adidas-ma-137998.htm

lunedì 19 dicembre 2016

Esplora il significato del termine: IL CASO TAPIE Francia, atteso il verdetto su Lagarde La direttrice generale del Fmi accusata di aver permesso una sottrazione di fondi pubblici pari a 403 milioni per «negligenza»quando era ministra dell’Economia di Redazione EsteriIL CASO TAPIE Francia, atteso il verdetto su Lagarde La direttrice generale del Fmi accusata di aver permesso una sottrazione di fondi pubblici pari a 403 milioni per «negligenza»quando era ministra dell’Economia di Redazione Esteri

La giustizia francese si esprime oggi sul caso della direttrice del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde, accusata di aver consentito «per negligenza» a una immensa sottrazione di fondi pubblici (oltre 400 milioni) quando era ministro dell’Economia (2007-2011) con Sarkozy presidente. La Corte di giustizia della Repubblica emetterà la sua sentenza sull’arbitrato fra l’uomo d’affari ed ex ministro di Mitterand, Bernard Tapie, e la banca Credit Lyonnais. La Lagarde è accusata di aver favorito il controverso uomo d’affari marsigliese nell’arbitrato che nel 2008 pose fine alla contesa sulla proprietà del gruppo Adidas e che costò alle casse dello Stato la somma di 400 milioni di euro. 
Il processo
Nel corso delle udienze del processo, lungo tutta la scorsa settimana, la Lagarde ha ammesso di aver mal esercitato il suo potere di vigilanza, ma ha rivendicato di aver agito in buona fede; il procuratore della Repubblica nella sua arringa finale ne ha chiesto l’assoluzione: la sentenza è attesa per le 15.
Le indagini
Quel che non torna agli inquirenti, e neanche allo Stato francese che poi si è costituito parte civile, è come sia stato possibile che Christine Lagarde e Stéphane Richard (oggi amministratore delegato del gruppo di telecomunicazioni Orange, messo nei mesi scorsi sotto inchiesta per truffa e favoreggiamento in questa vicenda), all’epoca rispettivamente ministra delle Finanze e direttore di gabinetto, a fine 2007 abbiano deciso di ricorrere irritualmente a un arbitrato privato per risolvere il contenzioso tra Tapie e il Crédit Lyonnais o meglio tra Tapie e il «Consortium de réalisation», cioè la struttura pubblica incaricata di liquidare il passivo della banca nel frattempo fallita. Quell’arbitrato finì con una sentenza clamorosa: il «Cdr» ossia lo Stato francese venne condannato a pagare all’uomo d’affari 285 milioni più interessi, ossia in totale 403 milioni. Soldi pubblici, ma a nessuno venne in mente di fare ricorso. Tolti i debiti e gli arretrati fiscali, Tapie si mise in tasca tra i 200 e i 220 milioni di euro. 
All’epoca di Sarkozy presidente, Bernard Tapie frequentava spesso l’Eliseo e prodigava i suoi consigli all’amico Nicolas. Ecco perché molti — come per esempio il presidente del MoDem François Bayrou — trovarono scandalosa la decisione della ministra Christine Lagarde e del suo braccio destro Stéphane Richard di tagliare corto con la giustizia ordinaria e nominare tre arbitri.

http://www.corriere.it/esteri/16_dicembre_19/francia-atteso-verdetto-lagarde-tapie-cd0d707e-c5d3-11e6-81c3-386103f9089b.shtml

martedì 6 dicembre 2016

MNUCHIN, IL PREDESTINATO DAL NOME IMPRONUNCIABILE - CHI È IL SEGRETARIO AL TESORO DI TRUMP: FIGLIO DI UN SUPER-BANCHIERE, 20 ANNI IN GOLDMAN SACHS, PRODUTTORE DI ''X-MEN'', FINANZIATORE DEI DEMOCRATICI, ''BRUTTINO, UN PO' SFIGATO'', MA IMPLACABILE - È IL PALAZZINARO TOM BARRACK A PORTARLO NEL CERCHIO MAGICO DELL'AMICO DONALD

Fabrizio Goria per il ''CorrierEconomia - Corriere della Sera''

steven mnuchin
Finanziere, produttore cinematografico, filantropo, nerd. Tutto nella stessa persona. Questo è Steven Mnuchin, il prossimo segretario del Tesoro statunitense sotto l' amministrazione di Donald Trump, fino ai trent' anni considerato il classico figlio di papà e oggi diventato la persona chiave della nuova politica economica americana.

Steven è un predestinato, ma non ha avuto problemi ad essere apprezzato per il suo lavoro e la sua dedizione alla causa. Negli ambienti finanziari di Washington si fa infatti notare come «se è vero che suo padre lo ha introdotto nell' élite bancaria di New York, è altrettanto vero che tutto ciò che ha guadagnato lo ha guadagnato sul campo». Vale a dire, sgobbando fino a 18 ore al giorno dietro ai dossier di Goldman Sachs, il suo datore di lavoro per quasi un ventennio, lo stesso che fu del padre e mentore, Robert Eliot Mnuchin.
steven mnuchin con la moglie

Fu infatti lui che trasmise a Steven non solo la passione per lo studio (entrambi laureati a Yale), ma anche quella per l' arte, dato che Robert fondò la Mnuchin Gallery a New York, considerata ancora oggi uno dei centri nevralgici dell' élite finanziaria della Grande Mela.

Nonostante i natali, la storia di Steven non è stata così semplice come si può immaginare. Le pressioni su di lui furono molte, data la lucentezza della stella del padre in Goldman Sachs. Non è un caso che il fratello, Alan, abbia optato per altre università, Wharton School per la laurea e Chicago per il master, e ora, dopo dodici anni in Goldman e tre anni a Lehman Brothers, sia in una società indipendente di consulenza fiscale, la AGM Partners LLP.



Tanto è stato ribelle Alan, spiegano i bene informati di Washington, quanto è stato diligente Steven. «È il classico nerd, un po' sfigato, bruttino, un po' monotematico», spiega sorridendo un partner di Hamilton Place Strategies, primaria società di consulenza della capitale statunitense. «Quello che è certo, tuttavia, è che Mnuchin sa come funziona il mondo, sa cosa vuole, sa come ottenerlo e sa come gestire le persone», continua il lobbista.

Il carattere 
Sono proprio il decisionismo e il pragmatismo ad aver portato Mnuchin al posto di successore di Jacob Lew al Tesoro. È partito come «figlio di Rob Mnuchin» e in breve tempo, a Goldman, ha scalato le gerarchie. Fino a garantirsi nel 2000, si narra pagando in contanti, un appartamento duplex - il numero 8/9A, per la precisione - da 600 metri quadri al 740 di Park Avenue, nel palazzo considerato fra i più prestigiosi di New York, costruito nel 1929 da James T. Lee, il nonno di Jacqueline Kennedy Onassis. Del resto, quando uscì da Goldman Sachs, nel 2002, il suo conto in banca vedeva una cifra ragguardevole: poco più di 46 milioni di dollari, fra titoli e stipendi.
oliver stone steven mnuchin, chris o donnell

Finita l' epoca Goldman, Mnuchin decise di prendersi un po' di tempo libero per stare con la moglie Heather, dalla quale divorzierà nel 2014. Ma la passione per la finanza, o meglio il suo essere monotematico, ha avuto la meglio. Nel 2009, dopo il crac di Lehman Brothers, decide di sfruttare i suoi contatti per effettuare un' operazione considerata fra le più complicate: comprare IndyMac Bank dalla Federal deposit insurance corporation (Fdic) col fine di salvarla e renderla profittevole. Mnuchin chiama quindi direttamente il finanziere George Soros, che lo stima, e iniziano a lavorare sul problema di IndyMac, chiamandola OneWest Bank.

L' operazione riesce ed entrambi sorridono, dato che il team di salvataggio torna a casa con dividendi totali per 1,75 miliardi di dollari.
Altri goal Mnuchin non si ferma, però.
TRUMP MNUCHIN

Prima compra una villa da 26,5 milioni di dollari a Bel Air da Benjamin Nazarian, esponente della famiglia con più possedimenti immobiliari fra Beverly Hills e Bel Air, appunto. Poi comincia ad appassionarsi sempre di più ai blockbuster hollywoodiani. Produce Avatar, American Sniper, X-Men . Film che piacciono, film che vendono, film che fanno guadagnare. E Mnuchin reinveste i suoi soldi sia nella galleria d' arte del padre sia in beneficenza sia nelle campagne del Democratic Party, su consiglio di Soros. Tutto funziona per anni. Dopo un po' qualcosa cambia.

In una delle tante cene a cui partecipa Mnuchin a Los Angeles conosce Thomas Barrack, un eccentrico finanziere vicino a Trump. In realtà, si conoscevano già di vista, ma non c' era mai stata l' occasione di discutere di politica.

steven mnuchin
Barrack, amico fraterno di Trump, spiega a Mnuchin gli obiettivi del tycoon newyorkese e lo convince a entrare nel team della campagna elettorale. Così, si arriva ai giorni nostri, con un Mnuchin che decide di mettere in campo tutta la sua rubrica telefonica per sostenere Trump. Fino a diventare il suo uomo al Tesoro.

Per Mnuchin arriva il momento della verità. E potrà farlo a cuor leggero, dato che ha già superato il prestigio del padre. Tuttavia, per passare alla storia dovrà evitare che l' economia statunitense finisca in recessione dopo quasi un decennio di stimoli monetari.

http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/mnuchin-predestinato-nome-impronunciabile-chi-segretario-137172.htm

lunedì 5 dicembre 2016

Perché questa alluvione di liquidità? FABIO SDOGATI

Perché questa alluvione di liquidità?
Soltanto chi sa nuotare si salverà da questa crisi?
Perché i governi europei ci stanno imponendo questa recessione?
Abbiamo peccato ed ora dobbiamo espiare?
O ci sono altre ragioni?
Una storia di distribuzione del reddito, globalizzazione, rendite finanziarie
La crisi corrente fu rivelata per la prima volta al grande pubblico europeo il 9 agosto 2007, quando una grande banca convocò una conferenza stampa per comunicare che tre dei suoi fondi comuni di investimento non erano solventi. Il 2009 è l’anno in cui è stata registrata la peggior crisi degli ultimi 80 anni, quanto meno se misurata dal tasso di contrazione del prodotto interno lordo. La peggiore fino ad ora, perché sappiamo che il 2012 sarà pesante, ma non sappiamo ancora quanto.
Dal momento che chi scrive appartiene alla schiera, evidentemente in via di estinzione, di coloro che credono che le autorità di politica economica esistono per opporsi alle crisi e che stimolare l’economia (qualunque economia) è possibile, in questo lavoro ci si chiede perché le combinazioni di politica fiscale e monetaria adottate negli ultimi quattro anni abbiano avuto l’effetto di produrre una recessione in Europa e una crescita positiva ma tutto sommato modesta negli Usa.
L’indagine consente di verificare che, nella maggior parte dei paesi, combinazioni appropriate di politica monetaria e fiscale furono adottate soltanto nella seconda metà del 2008 e nella prima del 2009, e che da allora le misure di politica economica adottate nell’area euro in particolare non sono state dirette alla ripresa e alla crescita. Perché?
  1. Perché si è voluto imporre al popolo europeo una recessione tanto brutale? L’evoluzione della combinazione di politica fiscale e politica monetaria negli ultimi quattro anni e mezzo mostra che nel 2008 l’ipotesi di un rilancio dell’economia mediante lo stimolo fiscale era ancora un tema di discussione, ma che non lo è più stato da allora. In media i governi europei hanno adottato, e si sono impegnati ad adottare per il future prevedibile, politiche fiscali aggressivamente recessive; e la Banca Centrale Europea ha adottato una politica monetaria espansiva tanto quanto mai prima, nonostante abbia accumulato per anni evidenza empirica che le espansioni non hanno alcun effetto sull’economia reale, la produzione e il consumo, gli investimenti e le esportazioni.
  2. Attraverso quali canali l’enorme ammontare di liquidità immesso nel sistema bancario tornerà in rapporto con il settore reale dell’economia? In questo lavoro avanzo l’ipotesi che  la combinazione di immensi ammontari di liquidità detenuti dalle banche da un lato, e le politiche fiscali restrittive condotte prevalentemente attraverso tagli alle spese e miranti alla riduzione dei deficit e dei debiti pubblici sono condizioni necessarie e sufficienti a:
    • finanziare una massiccia ondata di privatizzazioni e vendita di patrimonio pubblico, apparentemente il solo modo in cui i governi europei sembrano riuscire ad immaginare una via di uscita dalla recessione;
    • accelerare il processo di formazione del capitale in paesi a basso reddito pro capite – i cosiddetti ‘paesi emergenti’, quelli cioè in grado di generare tassi di profitto sufficientemente alti da soddisfare la domanda di rendite finanziarie in Europa come, in generale, in paesi ad alto reddito pro capite.
    • https://scenarieconomici.com/2012/05/29/perche-questa-alluvione-di-liquidita/

mercoledì 30 novembre 2016

ECONOMIA E POLITICA / I liberal delusi da Obama di Mario Margiocco

«Un tremendo risveglio dalle speranze di un anno fa... l'amministrazione prevede alta disoccupazione per anni... stiamo assistendo a un terribile fallimento nazionale». Così il Nobel Paul Krugman, faro dei progressisti americani in economia, scorticava il bilancio 2011 della Casa Bianca appena presentato. Non era un attacco a Obama, ma la constatazione che ai sogni segue la realtà. 

I progressisti americani amano ancora Barack Obama? Da molti mesi è un rapporto difficile. Già nell'inverno scorso c'erano stati malumori, legati prima alla scelta della squadra economica, che riportava in auge gli uomini di Bill Clinton e del suo ex ministro del Tesoro, Bob Rubin, mai amati a sinistra perché espressione dei corporate democrats e amici più di Wall Street che di Main Street. Gli americani si erano rivolti a Obama perché «volevano disperatamente credere in qualcuno - scriveva a febbraio sul New Yok Times Maureen Dowd - ma il debutto li ha lasciati scettici». 

A marzo 2009, scrivendo sul Washington Post, uno dei più noti esperti di storia finanziaria e firma del giornalismo progressista americano, William Greider, alzava il tiro. «L'approccio di Obama finora è stato quello di rinvigorire i nomi famosi di Wall Street, e i suoi consiglieri economici gli dicono che questo è l'imperativo "responsabile", e non importa se può offendere il popolo bue. Obama evidentemente concorda. E non sembra accorgersi che i tecnocrati ciechi lo stanno conducendo in una strada senza sbocco».

C'erano a maggio alcuni passaggi legislativi che facevano rizzare le orecchie a sinistra, quello sulle carte di credito e quello sugli aiuti all'immobiliare. Disattendevano entrambi promesse esplicite di Obama. Un limite ai tassi usurari da parte delle banche, che non arrivava in una legge, per il resto buona, sulle carte di credito. E la facoltà per i giudici fallimentari di rivedere entità, durata e rate del mutuo, alla luce dei valori immobiliari crollati.
Sull'economia l'americano medio si è fatto alcune idee. La crisi è colpa soprattutto dei grandi banchieri di Wall Street e di un Congresso che li ha aiutati. Il costo è stato addossato al contribuente, è la convinzione, che lega le colpe di Wall Street alla disoccupazione abnorme e tenace. Obama si è dimostrato troppo amico di Wall Street, e troppo poco dell'americano medio, è la conclusione. C'è una quota di populismo, ma si tratta comunque di una risposta a gravi errori commessi dalle élite.

Il terreno era quindi pronto quando a giugno 2009 la Casa Bianca e il Tesoro presentavano le proposte di riforma finanziaria. «La falsa riforma finanziaria di Obama» titolava The Nation, la "bandiera della sinistra" come si autodefinisce il più vecchio settimanale americano. Sotto quel titolo, l'incipit di Greider era inequivocabile: «La cosa più fastidiosa nell'appello di Barack Obama per una riforma finanziaria è il modo con cui il presidente ha falsificato la nostra situazione. Ha cercato di far apparire come se tutti fossero implicati nel disastro finanziario e quindi alla fine nessuno fosse colpevole». Joe Nocera, firma finanziaria di punta del progressista New York Times, un giornale che da 50 anni la destra americana invita a boicottare, riteneva che nelle proposte del governo c'era «solo un lontano profumo di Roosevelt». Come dire che a fronte di quelle del '33-35 erano acqua fresca.

Il distacco fra la sinistra democratica e il presidente, non irreversibile ma serio, maturava nel corso dell'estate e probabilmente lo scritto che meglio coglie il passaggio è di Frank Rich, commentatore del New York Times, e anche qui il titolo è inequivocabile: «Ma Obama ci starà per caso prendendo in giro?». Scriveva Rich: «La paura più grossa è che Obama possa essere solo un altro amico del big business, che prende in giro gli elettori più o meno come fanno i repubblicani quando dicono di essere grandi amici del common guy». Arianna Huffington dell'Huffington Post, il giornale online che si è speso molto per Obama nel 2008, non era da meno. «Incredibilmente ingenuo», era il suo giudizio dopo l'incontro di Obama con il mondo della finanza, alla Federal Hall di New York nel settembre 2009. L'elenco potrebbe essere lungo, non dimenticando gli articoli bisettimanali sul Times e il blog di Krugman, e i numerosi interventi e il libro appena uscito, Freefall, cioè il capitombolo, dell'ancor più progressista Nobel Joseph Stiglitz.

Si è arrivati così al risultato del Massachusetts, quando a metà gennaio 2010 lo stato più liberal ha consegnato a un repubblicano il seggio che fu dei Kennedy. Messaggio chiarissimo. Sarà stata una sorpresa, ma non del tutto, per chi aveva seguito questi umori. E poi alla ricomparsa di Paul Volcker a fianco del presidente, dopo oltre un anno di oblio. Quello che Volcker chiede piace ai progressisti, perché impedirebbe ad alcune grandi banche, le protagoniste della crisi, di ripetere gli errori. Ma, si chiede il sito di Simon Johnson, ex capo economista del Fondo monetario e non particolarmente progressista ma molto letto a sinistra, «quello di voler adottare la Volcker rule è forse qualcosa di più di uno slogan di marketing?». Il popolo progressista spera, e aspetta, ma ha da tempo ritirato la cambiale in bianco.

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Italia/2009/commenti-sole-24-ore/03-febbraio-2010/liberal-delusi-obama.shtml

Obama, finto progressista e amico di Wall Street Dopo 8 anni il rapporto malsano tra politica e finanza è rimasto. Ecco perché ora Sanders e Trump vanno forte. MARIO MARGIOCCO

L’America di oggi è stata definita a inizio marzo 2016 dall’ex sindaco di New York Michael Bloomberg un Paese «arrabbiato e frustrato» a causa della «stagnazione dei salari all’interno» e del «declino del peso internazionale».
Con Washington che «non sa offrire risposte adeguate».
Ma non si può scaricare sulla presidenza di Barack Obama, in politica interna, responsabilità che non sono solo sue.
Già ereditava un’economia in declino, con una classe media in arretramento e da 20 anni.
È facile minimizzarne i risultati, sui tre o quattro grandi temi qualificanti: la crisi del 2008, il rilancio dell’economia e le nuove regole finanziarie; la riforma sanitaria; l’ambiente; la fine della guerra in Iraq e un Medio Oriente diverso.
Le truppe sono state ritirate nel 2011-2012, ma alla chetichella da ultimo 4 mila uomini sono tornati, e non c’è un Medio Oriente diverso, se non in peggio, colpa assai più di George W. Bush che di Obama (sulla politica estera vedere ''Il giudizio della Storia non sarà clemente'').
PROMESSE ESAGERATE. In politica interna in particolare le aspettative erano così alte, le promesse hope and changeyes we can e the audacity of hope così altisonanti che era inevitabile, dopo la poesia, la prosa.
Ma si è andati oltre. È emerso che il primo a non credere troppo in quelle promesse, utili per vincere ma non per governare, era Obama stesso.
Questo gli ha creato subito una frattura a sinistra. La tesi, diffusa anche in Italia, è che Obama non abbia potuto fare perché i repubblicani con in mano il Congresso dal 2010 glielo hanno impedito.
Vero solo in parte. A volte non ha fatto di sua iniziativa.
A BRACCETTO CON WALL STREET. Obama si presentava non solo come la risposta a quel clima di connivenze tra Wall Street e Washington che aveva reso così grave la crisi, ma come la fine dello strapotere a Washington di big business e grande finanza.
Uomo nuovo per definizione, prometteva uomini nuovi e politiche nuove, e lo faceva con grande enfasi.
Si può rileggere o riascoltare, utile e chiarificatore esercizio, il discorso tenuto a Green Bay, Wisconsin, il 22 settembre 2008.
«Votatemi. E se lo fate, ve lo prometto, cambieremo insieme l’America». 
A quella data Obama, questo il suo vizio d’origine, aveva già incominciato a imbarcare nella sua squadra, mettendo ai margini i vari Paul Volcker e altri che erano stati fino ad allora la sua immagine, gli uomini dei Clinton, quintessenza della Washington da cambiare.
Affiderà presto loro, molto vicini a Wall Street, le leve dell’economia. 
RIFORME SCRITTE DAI BANCHIERI. Sulla finanza ancora il 7 marzo 2016, incontrando alla Casa bianca tutti i controllori federali dei vari enti preposti, ha rivendicato il lavoro svolto perché «non è vero che non abbiamo fatto molto come invece si dice sui media e nella polemica politica. Siamo stati severi con le nuove regole finanziarie».
Ma non la pensa così Mervyn King, ex governatore della Banca d’Inghilterra, secondo cui anche negli Stati Uniti «banchieri e regolatori sono stati collusi nell’orchestrare una spirale di regole complesse che si autosmentiscono».
È noto che la riforma finanziaria firmata da Obama, la Dodd-Frank, l’hanno scritta soprattutto i banchieri.

La riforma sanitaria è stata un passo avanti, ma non per tutti




Controversa è stata anche la riforma sanitaria, certamente un passo avanti (per 15-20 milioni di americani, non per tutti) che non è affatto - come si crede a volte in Italia - un sistema universale pubblico di tipo canadese e quindi europeo.
Si tratta piuttosto, come spiega bene un sito dedicato dell’agenzia Bloomberg, di un tentativo di allargare la base dei tutelati salvando il sistema di medicina privata, cioè addossando ad altri - assicurati e in parte minore le casse pubbliche - i costi relativi.
Insomma, con la Obamacare c’è chi pagando e a volte con aiuti pubblici ha una copertura che prima non aveva, e c’è chi ha meno copertura o paga di più per avere la stessa.
AMBIGUO SULL'AMBIENTE. Quanto all’ambiente, anche qui Obama è stato bifronte: ha introdotto una robusta normativa ambientalista, ma ha favorito ampiamente il fracking(tecnica estrattiva di petrolio e gas naturale che sfrutta la pressione dei liquidi per provocare delle fratture nel terreno), esaltato l’autosufficienza energetica americana, oltre a lasciare disastri finanziari, dopo il crollo del prezzo del greggio, e guai ecologici, data l’invasività del sistema.
FINANZIAMENTI SOLO DAI PRIVATI. Se al centro della proposta riformista di Obama c’era nel 2008, ed è così, il rapporto malsano fra potere economico e politica, lo stesso punto da cui sono ripartiti Bernie Sanders e in parte il singolare Donald Trump, anche qui l’equivoco è all’origine.
Obama infatti fu nel 2008 il primo candidato di un grande partito a rinunciare, dopo oltre 20 anni, al finanziamento elettorale pubblico per potere avere mano libera con quello privato.
E, cosa nota ma confermata da Hillary Clinton meno di un mese fa, «Obama ha preso nel 2008 da Wall Street più soldi di quanto chiunque altro abbia mai preso». 
TROPPE VOLTE MARCIA INDIETRO. Il 21 marzo 2009 l’Associated press scriveva: «Al potere da due mesi, ha fatto marcia indietro in una serie di casi, disinvoltamente cambiando posizione come suggerito dalle circostanze e coprendosi politicamente per evitare di sminuire credibilità e autorità».

Un sondaggio della Brookings lo pone al 18esimo posto tra i presidenti




Fra i numerosi casi, oltre alla finanza, c’erano - per citarne due - il cosiddetto cramdown, promessa elettorale, cioè il potere dato ai giudici di rivedere il peso dei mutui caso per caso, totalmente dimenticato.
«Ma che prezzo, che cosa ha pagato Wall Street per le sue miserabili decisioni?», chiedeva al Senato nel silenzio della Casa bianca uno dei sostenitori del cramdown, ampiamente sconfitto al voto (due terzi del Congresso sono vicini a Wall Street, e di questo il giudizio su Obama deve tenere conto). Aveva pagato la campagna di Obama, ecco cosa.
PROPOSITI LETTERA MORTA. Un altro caso è quello dell’Efca (Employee Free Choice Act), la legge di cui anche Obama era nel 2007 fra i firmatari per bloccare il crollo della sindacalizzazione nelle imprese americane, pilotato dalle imprese stesse.
Nonostante le promesse, Obama non ha fatto nulla da presidente per difendere il progetto, rimasto lettera morta, pur parlando ogni tanto di diritti sindacali, difesi nel settore pubblico, che però non è il nocciolo del problema.
Il 44esimo presidente americano non è stato quel leader transformational che aveva promesso di essere.
Ha prodotto molto dal punto di vista legislativo e normativo e forse il tempo gli sarà più amico, nel giudizio degli storici.
Per ora un sondaggio della Brookings fra politologi lo pone al 18esimo posto, ma in modo controverso e molto dibattuto.
DISILLUSIONE PALPABILE. La disillusione fra i progressisti è palpabile, e i fenomeni populistici di Sanders, e Trump sul fronte opposto, parlano chiaro. Se Washington fosse cambiata, non sarebbero così forti.
Nell’agosto 2011 James Galbraith, economista autorevole, figlio di John Kenneth Galbraith e come suo padre uomo decisamente di sinistra in America, scriveva: «Il presidente non è un progressista, non è quello che ancora gli americani chiamano un liberal. È un attivo protagonista in un’epica scena di finta politica, una persona di fiducia del potere economico, il cui compito è neutralizzare la sinistra con timori e distrazioni e poi convergere a destra e produrre risultati conservatori».
Allora Obama sembrava pronto a forti tagli al welfare state che sono stati assai più contenuti. Oggi il giudizio sarebbe meno severo, ma non del tutto diverso.
http://www.lettera43.it/it/articoli/politica/2016/03/24/obama-finto-progressista-e-amico-di-wall-street/164997/

IL NOSTRADAMUS DE NOANTRI - NEL 1998 GIUSEPPE CAPUANO AVEVA GIA’ PREVISTO TUTTO: DALLA CRISI DELLO SPREAD AL CRAC DELLA GRECIA, DAI VANTAGGI "ESCLUSIVI" PER LA GERMANIA AL FLOP DEL CONTROLLO DELL'INFLAZIONE - AVEVA ANCHE MESSO IN GUARDIA PRODI E CIAMPI, MA NESSUNO DETTE RETTA AL FUNZIONARIO DEL MINISTERO...

Francesco De Dominicis per Libero Quotidiano

nostradamus
Dalla crisi dello spread al crac della Grecia, dai vantaggi "esclusivi" per la Germania al flop del controllo dell'inflazione: tutti i danni e gli effetti collaterali cagionati dall'euro messi nero su bianco. Non in una (facile) analisi postuma. Ma in una previsione ragionata e dettagliata, ma rimasta inascoltata. Dunque, non è un pianto sul latte versato, di cui oggi abbondano gli scaffali (anche virtuali) delle librerie del Paese. Siamo nel 1998 e la moneta unica è alle porte: a gennaio dell'anno successivo comincerà a sostituire i coni nazionali nelle transazioni e nei contratti, per poi entrare materialmente nelle tasche dei cittadini a gennaio 2002.

Quindici anni fa, Giuseppe Capuano – oggi alto dirigente del ministero per lo Sviluppo economico – è un economista già noto fra gli addetti ai lavori. Tuttavia, il suo libro Moneta unica, sviluppo economico e economie locali: una analisi critica della politica economica dell'euro resta nei cassetti delle stanze del potere. Letto, sì. Ma non adeguatamente considerato. Senza dubbio viene snobbato (consapevolmente?) da chi – dentro e fuori i confini nazionali – sta guidando la macchina della transizione all'area euro e del successivo change over.
giuseppe capuano

La lettura delle considerazioni di Capuano non avrebbe consentito addirittura di evitare tutti i guasti della moneta unica di cui oggi ci si lamenta; certamente avrebbe messo in guardia, limitando il discorso all'Italia, chi era allora sul ponte di comando: ovvero il premier Romano Prodi, il ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi, il governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio. Ma non solo.

Certo, è difficile – oggi – dire quale sarebbe stato lo stato di salute dell'economia europea, se l'architettura dell'area euro avesse avuto qualche correzione in corsa. La lunga crisi di questi anni, del resto, è figlia anche di fattori esogeni, su tutti il crac della finanza Usa, prima coi mutui subprime del 2007 e poi con il default di Lehman Broters, il 15 settembre 2008. A deprimere la crescita, peraltro, contribuiscono anche le difficoltà delle economie asiatiche e problemi di natura globale.

giuseppe capuano
L'euro, ovviamente, ha fatto la sua parte. E Capuano l'aveva scritto. Partiamo dallo spread. La crisi del debito pubblico in Italia ha portato il differenziale di rendimento a 570 punti base nel novembre 2011, era già stata prevista 13 anni prima. "L'andamento dei tassi di interesse dell'Unione europea – si legge nel libro – sarà influenzato anche da fattori esogeni al sistema (ciclo economico internazionale, pressioni speculative, rapporti di forza tra le varie valute mondiali, politica monetaria della Fed), che potenzialmente potrebbero creare delle tensioni monetarie e quindi condizionare al rialzo i tassi di interesse interni".

PRODI CIAMPI
In poche righe è sintetizzato quello che è accaduto a partire dall'estate di cinque anni fa, quando le pressioni internazionali sul governo italiano sono cresciute a dismisura, costringendo il presidente del consiglio in carica, Silvio Berlusconi, a rassegnare le dimissioni nelle mani del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Una procedura tanto anomala (il Parlamento non aveva sfiduciato il governo) quanto rapida: in pochi giorni, l'ex Cavaliere fu sostituito dal professor Mario Monti – fresco di nomina a senatore a vita – che si mise alla testa di un cosiddetto esecutivo tecnico, conseguenza proprio di quelle "pressioni speculative" previste e denunciate da Capuano nel 1998.

BERLUSCONI SPREAD
Capitolo Germania. Nelle 90 pagine del testo del dirigente ministeriale, viene ampiamente previsto lo strapotere tedesco, quella egemonia economica oggi presa di mira nei partiti e nei movimenti anti euro. Scrive Capuano: "Le politiche di convergenza realizzate dai governi nel periodo 92-98 hanno finito da un lato per rafforzare le aree forti (leggasi Germania, ndr) dall'altro per allontanare le aree deboli con effetti negativi sul processo di coesione". Fari puntati, poi, sull'austerity e su quell'ossessione per il rigore nei conti pubblici che: L'Ue "ha costretto a marce forzate i governi a rientrare nei parametri previsti con la conseguenza di rallentare la crescita e i processi di coesione economica".

EFFETTO DOMINO SULLO SPREAD jpeg
Vantaggi immediati, come la stabilizzazione delle finanze pubbliche e una crescita apprezzabile, e guai nel futuro, a cominciare dall'inflazione:"Nel breve periodo - si legge ancora - ci sarà una convergenza delle economie europee, ma nel lungo periodo a causa degli squilibri reali il controllo degli aggregati monetari, di bilancio e del tasso di inflazione sarà più difficile".

MERKEL BUNDESTAG
C'è un passaggio, poi, tra le tante osservazioni dell'autore, che lascia a dir poco l'amaro in bocca. Ovvero quando Capuano scrive che la creazione dell'area monetaria unica avrebbe portato a un "percorso squilibrato con un aumento della disoccupazione e una accelerazione dei divari regionali". Ossia: il conto, alle fine, lo pagheranno i più deboli: Spagna, Grecia, Italia. È andata così: hanno "vinto" la Germania e pochi altri. E, purtroppo, si sapeva.


http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/nostradamus-de-noantri-1998-giuseppe-capuano-aveva-gia-previsto-136800.htm

giovedì 17 novembre 2016

L'UOMO DEI MISTERI CHE ACCUSA LA FIAT DA MORTO - DURISSIMO IL NECROLOGIO DI LUCHINO REVELLI BEAUMONT: ''PER 20 A RISCHIO DELLA PROPRIA VITA AL SERVIZIO DELLA FIAT, POI IMMEMORE E INSENSIBILE AL GRAVISSIMO DANNO ESISTENZIALE DA LUI SOFFERTO'' - LA STORIA INCREDIBILE DEL 'MINISTRO DEGLI ESTERI' DI AGNELLI CHE PORTÒ L'AZIENDA IN RUSSIA E CINA, FECE INVESTIRE GHEDDAFI E ORGANIZZÒ IL RITORNO DI PERON IN ARGENTINA. RAPITO A PARIGI DAI TERRORISTI, FU 'PENSIONATO' IN FRETTA E FURIA..

Giorgio Arnaboldi per “la Verità
il necrologio di luchino revelli beaumont

«Una notizia può nascondersi ovunque, anche dietro un annuncio funebre». L’insegnamento dei vecchi giornalisti con le mani sporche d’inchiostro ha un riscontro modernissimo: fra i necrologi del Corriere della Sera di sabato scorso ce n'è uno che non può passare inosservato. «Con la speranza cristiana di riunirsi alla sua Maria Elda si è conclusa a 97 anni la lunga, intensa, travagliata esistenza dell’Avvocato Luchino Revelli Beaumont, volontario di guerra, sottotenente di artiglieria. Per vent' anni anche a rischio della propria vita al servizio della Fiat, poi immemore e insensibile al gravissimo danno esistenziale da lui sofferto».

Immemore e insensibile, come dire che l' azienda simbolo del nostro Paese gli ha voltato le spalle almeno pubblicamente e non ha più voluto sentir parlare di lui. Di lui che era una leggenda. Di lui che era il Marchionne degli anni Settanta. Di lui che era il ministro degli Esteri di Gianni Agnelli e aprì la strada allo sbarco in Unione Sovietica, in Argentina, in Brasile superando ostacoli politici e ambientali grandi come l' Everest e favorendo il periodo di massima espansione del marchio italiano nel mondo.
luchino revelli beaumont

Di lui che partecipò al ritorno di Peron in Argentina dall' esilio a Madrid. Di lui che fu rapito a Parigi da un commando di guerriglieri mentre rivestiva la carica di direttore generale di Fiat Francia e per 89 giorni fu in bilico fra la vita e la morte, prima di essere rilasciato in cambio di un riscatto di due milioni di dollari. Come si usa dire oggi: tanta roba. La vita di Luchino Revelli Beaumont non si può nascondere o sottostimare. È come un airbag, al primo urto si libera e riempie tutto lo spazio possibile.

Nasce a Genova nel 1919 da un' antica famiglia piemontese che ha dato il cognome a filosofi, letterati, politici, giureconsulti. Il padre è un geografo, socio dell' Accademia dei Lincei e amico di Papa Pio XI. Nel dopoguerra Luchino è un giovane avvocato che entra nell' orbita Fiat e fa carriera in fretta accanto a Gianni e Umberto Agnelli. Nel 1968 viene nominato responsabile dell' ufficio di Parigi e gli viene affidato un compito che potrebbe trasformarsi nella prima, grande fusione fra produttori d' auto: un accordo operativo tra Fiat e Citroen.

luchino revelli beaumont
La casa francese è in difficoltà ma conta sul miglior settore «tecnologia e ricerca» d' Europa, quella italiana è in espansione e vorrebbe accelerare sull' innovazione. Matrimonio perfetto, la famiglia Agnelli spinge per farlo, Francois Michelin (proprietario di Citroen) e André Bettencourt (ministro francese dell' Industria) sono d' accordo. Il veto arriva direttamente da Charles de Gaulle con la frase: «Impossibile, la Citroen è la Francia».

All' inizio degli anni Settanta Luchino diventa ministro degli Esteri degli Agnelli, coordina le operazioni diplomatiche che portano all' apertura della fabbrica Fiat a Togliattigrad (un calco di Mirafiori), poi lo sbarco in Argentina a Cordoba e quello in Brasile. Sono anni in cui le multinazionali americane fanno fatica a conquistare l' Est europeo e l' America Latina per via delle forti tensioni politiche e la diplomazia della Fiat ha buon gioco.

gianni agnelli
Revelli Beaumont è in prima fila anche nello sbarco in Cina con il marchio Iveco, più avanti parteciperà ai negoziati per l' ingresso di Gheddafi con capitale libico nella Fiat. La sua abilità lo porta a diventare consigliere del presidente egiziano Nasser nell' operazione di nazionalizzazione del Canale di Suez. È un Marchionne degli anni Settanta, forse anche di più. E la similitudine diventa del tutto calzante quando Revelli Beaumont riesce a vendere la Simca (che faceva parte del gruppo Fiat) alla Chrysler.

Il suo posto nella piramide del potere a Torino è molto in alto, ma la stagione dei guai sta per cominciare. Tutto parte dall' Argentina, dove le tensioni sociali sono fortissime. Nel 1971 un commando dell' Esercito rivoluzionario del popolo (una cellula trotzkista) sequestra e uccide Oberdan Sallustro, presidente di Fiat Argentina e uomo molto duro con gli operai.

gianni agnelli fiat
Luchino Revelli Beaumont viene mandato a Cordoba a trattare con i terroristi e a gestire l' esplosiva situazione. Racconta la figlia Laura in una lunga intervista al quotidiano spagnolo El Pais: «Mio padre stava a Cordoba, dove tentarono di rapirlo, ma nessuno allora lo rivelò. L' abbiamo saputo anni dopo, lui era molto utile alla Fiat. E questo fatto che tutti in azienda sapevano tranne noi, dimostra che la responsabilità della Fiat fu grande. Allora l' azienda era uno Stato nello Stato».

A Cordoba il contesto è esplosivo, in fabbrica non vi sono certezze di portare avanti la produzione, in tutta l' Argentina regna il caos. Allora Revelli Beaumont si fa venire un' idea pazzesca e affascinante per stabilizzare la situazione: favorire il ritorno di Juan Domingo Peron. Il Caudillo è in esilio a Madrid e Luchino, dopo aver cucito rapporti nel sottobosco del peronismo, gli parla alla Puerta De Hierro, la casa che in futuro sarà acquistata dal calciatore Jorge Valdano.

giovanni agnelli
Spiega la figlia Laura: «Il rientro di Peron avrebbe significato il ritorno a una calma sociale vera e la Fiat era molto interessata a questo. Più pace, un Paese più equilibrato, meno scioperi. Per questo la Fiat finanziò l' operazione. Anch' io conobbi Peron. Bisognava consegnargli una lettera a mano e io, che dovevo andare a Madrid, mi trovai nelle condizioni di farlo. Restai delusa, mi parlò della sua ammirazione per Mussolini. Però era galante, colse una rosa nel suo giardino e me la donò».

La missione riesce, Luchino Revelli Beaumont è sull' aereo che riporta il Caudillo a Buenos Aires il 20 giugno 1973. Il ministro degli Esteri della real casa sabauda sembra all' apice del successo, ma l' operazione «Ritorno» lo costringe a conoscere e a frequentare un mondo che segnerà il suo destino. Luchino vive a Parigi in rue de la Pompe, con il suo stile e la sua imponenza sembra non conoscere ostacoli.

i familiari luchino revelli beaumont
Ma la sera del 13 aprile 1977 viene sequestrato da un sedicente commando rivoluzionario del popolo argentino, in pratica peronisti di sinistra. Unico sequestro politico in Francia, unica azione rivendicata dai guerriglieri fuori dall' Argentina. Una prigionia di 89 giorni, un feuilleton mediatico che lascia i francesi incollati al televisore. I rapitori chiedono un riscatto di 30 milioni di dollari; per comprendere l' enormità basti ricordare che un lustro più tardi gli Stati Uniti metteranno una taglia di 25 milioni su Saddam Hussein.

Luchino viene rilasciato dopo tre mesi di prigionia in un luogo che la polizia francese sembra conoscere ma non prende d' assalto. Riscatto: solo due milioni. La cosa lascia presumere che dietro la patina politica ci sia una semplice estorsione. La figlia Laura, che nove anni fa decise di far riaprire il caso per illuminarne i punti oscuri, spiega così a El Pais l' intrigo internazionale: «Mio padre fu vittima di un insolito intreccio di interessi politici ed economici, ai quali si aggiunsero le relazioni che aveva con Peron».

luchino revelli beaumont
Il mandante sarebbe Hector Villalon, faccendiere argentino molto potente a quell' epoca, poi diventato un intoccabile in Brasile come grande elettore di Lula. Sarà lui a comprare a Buenos Aires la pizzeria Il Filo da una vecchia conoscenza del terrorismo italiano: Giovanni Ventura. Villalon si dichiara estraneo a una storia che la polizia francese ha sempre trattato con enorme discrezione. Lo stesso presidente Giscard d' Estaing liquida la faccenda con la frase: «È una storia fra italiani e argentini».

Luchino Revelli Beaumont esce distrutto da questa esperienza. Durante la prigionia subisce un processo politico ed è costretto a scrivere un libro nero della Fiat in Argentina; il manoscritto sarebbe nelle mani di Villalon. Almeno così sostiene Juan Gasparini, biografo di uno dei rapitori condannati in Francia otto anni dopo il sequestro. Quando viene rilasciato, Luchino è preda della sindrome di Stoccolma, inneggia a Bakunin, la sua vita è distrutta. Una commissione di psichiatri lo dichiara invalido mentale al 100% e la Fiat lo pensiona in fretta a 58 anni.
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Le Monde scrive che «la Fiat si rifiuta di pagare le spese sanitarie». Accantonato e dimenticato molto in fretta, non rivedrà più la famiglia Agnelli e trascorrerà il resto dell' esistenza a ricapitolare quegli anni e quegli eventi, protetto amorevolmente dalla famiglia. Il buen retiro dell' uomo che fu eminenza grigia dell' Avvocato diventa Courmayeur, ne sarà cittadino onorario.

Quando riceve l' onorificenza dice: «Ho 93 anni ma vengo qui da 94 perché la mamma mi portò per la prima volta quando ero nella sua pancia. Per me la montagna è una sola, il Bianco». Pur in quel paradiso, fino all' ultimo giorno i suoi fantasmi lo vengono a trovare. E lui non sa se temere quelli con il volto dei nemici o degli amici.

http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/uomo-misteri-che-accusa-fiat-morto-durissimo-necrologio-136046.htmrapimento luchino revelli beaumont