Stefano Cingolani per “Il Foglio”
Quando
la società fece il suo debutto a Wall Street, il 17 gennaio 1956, nove
anni dopo la morte di Henry Ford che aveva sempre rifiutato di quotarla
in borsa (cioè di "metterla nelle mani degli speculatori ebrei") la già
numerosa famiglia decise di riservare per sé una quota di azioni di
"classe B" che incorporano uno speciale diritto pari a sedici voti per
ogni cedola.
In
termini assoluti il pacchetto oggi posseduto dai Ford è un' esigua
minoranza (si stima circa il due per cento), però equivale al 40 per
cento dei diritti di voto, quindi al controllo reale del gruppo
multinazionale. Le azioni si pesano e non si contano soltanto. Per aver
enunciato questo truismo, Enrico Cuccia è stato bollato come nemico
numero uno della democrazia economica. In realtà, il conflitto tra peso
specifico e quantità è vero sempre e ovunque, sia pure in forme diverse.
Il
modello Ford sembra aver conquistato anche gli eredi Agnelli. Il
progetto nasce da lontano, ma è stato messo a punto nell' ultimo mese.
Il 25 luglio John Elkann che il nonno, Gianni detto l' Avvocato, aveva
cooptato al vertice della piramide, ha informato che dopo la Fiat
Industrial, confluita nella Case New Holland, la Fiat -Chrysler e la
Ferrari, emigrano in Olanda anche Exor, cioè la holding finanziaria
dell' intero gruppo e la Giovanni Agnelli & C, società in
accomandita per azioni, in breve la cassaforte di famiglia.
Exor
diventa una spa olandese e l' altra una BV, Besloten Ven notschap, cioè
l' equivalente di una nostrana srl, società a responsabilità limitata.
Resta in Italia la Dicembre dei due fratelli John e Lapo Elkann, che
detiene il 33 per cento della nuova BV. Intanto, la Giovanni Agnelli
& C. cambia anche statuto. La nuova carta prevede che per l'
approvazione di una delibera del consiglio di amministrazione su
qualsiasi atto di vendita o trasferimento di azioni Exor, non sia più
necessario avere almeno il 51 per cento del capitale.
Dunque,
perdere la maggioranza delle azioni non è tabù a patto di continuare a
mantenere la maggioranza dei diritti di voto. Exor Nv adotterà in
Olanda, dove ciò è consentito, un meccanismo speciale, attribuendo
cinque diritti di voto per ogni azione posseduta da quei soci che
deterranno le quote per almeno cinque anni; e 10 diritti di voto per chi
le terrà più a lungo. Per vie diverse e più tortuose, insomma, si
arriva allo stesso obiettivo dei Ford: il massimo del comando con il
minimo esborso di denaro.
Gli
Agnelli, a partire soprattutto dagli anni Settanta, hanno controllato
la Fiat con un grande effetto leva: in media un euro di capitale proprio
ogni 13 euro conferiti dagli azionisti di minoranza.
Ma
non sono gli unici. Tutte le grandi famiglie del capitalismo italiano
hanno fatto lo stesso attraverso una struttura talvolta barocca,
riconducibile alle scatole cinesi. Le cose stanno cambiando? E come? Per
capirlo gettiamo uno sguardo nei piani alti, anzi altissimi del potere
economico, addirittura dentro i caveau più protetti e, talvolta, persino
segreti. Sarà pur vero che non conta chi possiede il capitale e dove,
eppure l' alfa e l' omega della società borghese, anzi di mercato, sta
sempre lì, nelle relazioni di scambio tra liberi proprietari.
silvano boroli lap
La
famiglia, o meglio le due famiglie (Boroli e Drago) che controllano il
gruppo De Agostini, hanno seguito le orme degli Agnelli. Dieci anni fa
hanno creato una spa dove raggruppare le azioni dei circa 40 parenti, ma
nel momento in cui la vecchia casa editrice, resa famosa dagli atlanti,
è diventata una multi nazionale diversificata tra giochi, tv, finanza, è
stato necessario rivedere almeno altre due volte l' intero castello di
carta.
L' ultimo
rimescolamento, il più importante, è avvenuto un anno fa quando, per chi
nella famiglia aveva quote nella holding De Agostini scadeva la
possibilità di svincolare parte di questi titoli. A comprare le azioni è
stata l' accomandita che già controlla la De Agostini con il 72 per
cento: la B&D Holding, dove i discendenti di Giuliana Boroli Drago
detengono il 34,6 per cento, il ramo di Anna Boroli Drago il 20, quello
di Adolfo Boroli il 22,6 e quello di Achille Boroli il 22,69.
marco drago
Questa
soluzione ha permesso di liquidare una parte delle azioni senza
alterare il controllo del gruppo che nel frattempo ha cambiato indirizzo
(sede a Londra, quotazione a Wall Street e sede operativa a Las Vegas) e
mestiere. Dopo l' acquisizione dell' americana Igt, dai giochi proviene
un fatturato di 4,2 miliardi di euro su un totale di 5 miliardi dell'
intero gruppo, secondo i dati del 2015. La De Agostini, come la ex Fiat,
ormai è l' appendice di una realtà industriale sempre più americana.
La
proprietà della Pirelli, invece, è diventata cinese, anche se la
vendita alla China National Chemical Corporation (ChemChina) posseduta
dallo Stato, cioè dal Partito comunista, ha lasciato al vertice Marco
Tronchetti Provera (vicepresidente operativo) fino al 2021 e la società
resta in Italia, quotata alla borsa di Milano.
Il
controllo è in capo alla società Marco Polo, due terzi della quale è in
mano a ChemChina e il resto a Tronchetti attraverso la finanziaria
Camfin che condivide con i russi di Rosneft. La cassaforte di famiglia
si chiama Mgpm e controlla la Mtp spa la quale possiede il 55 per cento
di Nuove partecipazioni che, attraverso Coinv (dove sono presenti anche
Banca Intesa e Unicredit) ha il 50 per cento di Camfin.
Finora
la Mgpm era divisa equamente con i figli i figli Giada, Ilaria e
Giovanni avuti con la seconda moglie Cecilia Pirelli, ma ai primi di
luglio è entrata anche Afef Jnifen sposata nel 2001.
Tronchetti
ha ceduto la nuda proprietà che a questo punto è divisa in quattro
parti uguali, ma ha l' usufrutto vita natural durante. Il lungo addio
alla Pirelli durerà ancora cinque anni, c' è tempo per trovare un nuovo
nocciolo duro nel mondo degli affari.
E
i Moratti amici, partner, soci di lunga data? Sono anch' essi al centro
del triangolo con russi e cinesi. Tre anni fa la Angelo Moratti spa
alla quale fa capo la Saras (la compagnia petrolifera di famiglia nella
quale sono entrati i russi di Rosneft con il 20 per cento ) è stata
divisa in due società: la prima fa capo a Gian Marco che guida le
attività industriali, l' altra a Massimo alle prese con i colpi di coda
della sua avventura calcistica finita con la vendita dell' Inter,
sponsorizzata da Pirelli, prima all' indonesiano Tohir poi ai cinesi del
Suning Commerce Group.
GIAN MARCO E MASSIMO MORATTI jpeg
I
due fratelli non si sono separati, ma hanno viaggiato su strade
parallele. Per la prima volta dal 2009 la Saras ha prodotto un dividendo
fino a 90 milioni di euro diviso in parti uguali. La raffinazione, si
sa, è ballerina.
L'
incertezza sui mercati ha spinto un esponente della nuova generazione
di capitalisti familiari a non cercare avventure. Mario Moretti
Polegato, il patron di Geox, ha trasferito davanti al Duomo di Treviso
la sede della sua spa, la Lir della quale sono azionisti anche la moglie
Licia Balzano e il figlio Enrico, vicepresidente della società che
oltre a Geox controlla anche Diadora.
"Avrei
potuto andare a Milano, o meglio ancora a Londra - ha detto Moretti
Polegato non senza polemica - Ma ho voluto dare un segnale al nostro
territorio. Non andiamo via da qui".
Il
vero dilemma non è geografico, bensì generazionale. Figli colpiti dalla
sindrome dei Buddenbrook, figli ribelli e figli dilapidatori, figli
innovatori e padri conservatori. Molti si sono arresi, come la famiglia
Merloni. Vittorio che aveva portato l' azienda di elettrodomestici da
Fabriano a Londra, si è spento nel giugno scorso, ma i suoi eredi due
anni fa avevano già venduto la Indesit alla Whirlpool. Anche i Marzotto
da tempo hanno lasciato il gruppo tessile, dilaniati da conflitti
intestini.
L'
elenco è lungo, noto e deprimente anche per i sacerdoti schumpeteriani
della "distruzione creatrice": raramente è emerso, al passaggio di
consegne, un nuovo capitalista -imprenditore.
I
Pesenti, da sempre consustanziali al cemento e a Bergamo, dopo aver
cercato fortuna in Francia, hanno venduto Italcementi ai tedeschi di
Heidelberg Cement perché questo oggi è un mestiere da giganti
internazionali e da grandi opere mentre in Italia non si fanno nemmeno
quelle piccole. Carlo, al quale il padre Giampiero ha lasciato il
testimone, giura che si tratta di una metamorfosi non di un addio:
continuerà a investire in Italia, sia pur da finanziere, attraverso il
fondo Clessidra rimasto senza timoniere dopo la morte di Claudio
Sposito.
Anche i
Benetton hanno cambiato pelle: dai maglioncini agli autogrill, dall'
industria ai servizi regolati come autostrade e aeroporti, da Ponzano
Veneto agli Stati Uniti. Chiusa l' èra degli United Colors e del
flamboyant Luciano, la guida è passata nelle mani di Gilberto.
Con
il radicale cambiamento del core business anche la catena di controllo
si era fatta lunga e tortuosa, un complicato reticolo che faceva capo a
Ragione l' accomandita dei quattro fondatori: Luciano, Giuliana,
Gilberto e Carlo. Dal 2009 la piramide è diventata via via più semplice e
corta: Ragione ha assorbito le altre società cambiando nome e adottando
quello di Edizione srl alla quale fanno capo le diverse attività con un
giro d' affari che supera gli 11 miliardi di euro.
FAMIGLIA BENETTON
I
Benetton si sono affidati a manager di grande esperienza, come Gianni
Mion e adesso hanno deciso di aprire all' esterno anche la cassaforte.
La nuova governance prevede che Edizione abbia un consiglio di
amministrazione formato non più da otto membri della famiglia, ma
soltanto da quattro. Dei fondatori restano Gilberto e Carlo, Giuliana
sarà rappresentata dalla secondogenita Franca e Luciano dal figlio
Alessandro.
Gli altri quattro consiglieri sono
manager di fiducia. Gilberto dice che prima o poi lascerà la presidenza
a un esterno, perché "si apre un nuovo ciclo", magari insieme a un
socio internazionale.
La
cassaforte in casa Del Vecchio è chiusa a doppia mandata da Leonardo.
Dopo il decennio segnato da un manager come Andrea Guerra, il fondatore
ha ripreso in mano le redini, anche se molti dubitano che a 81 anni
possa fare tutto da solo.
Dopo
l' uscita del figlio Claudio (ha imboccato la sua strada a New York
comprando la Brooks Brothers), Del Vecchio deve ancora trovare due
soluzioni, una per la catena della proprietà, l' altra per il comando in
azienda. Negli anni Novanta il gruppo era controllato da due
finanziarie: la Leonardo che deteneva il 56 per cento delle azioni e la
Delfin con il 15 per cento nelle mani del delfino (nomen omen).
Restava
incerta la posizione degli altri eredi avuti da mogli e compagne
diverse. Il primo matrimonio con Luciana Negro è finito con un divorzio e
tre figli: oltre a Claudio anche Marisa e Paola. Dalla seconda moglie
Nicoletta Zampillo nasce Leonardo Maria. Ma anche questa relazione si
scioglie in tribunale.
Nella
vita di Leonardo entra Sabina Grossi. Altri due figli, Luca e Clemente,
con una separazione (niente nozze questa volta) quando torna in scena
Nicoletta con la quale Leonardo si sposa di nuovo nel 2010. Per cambiare
l' assetto proprietario, fonde in Delfin le due finanziarie al comando
rafforzando così il proprio controllo. Ora pensa di costituire una
fondazione divisa tra tutti i figli, restano irrisolti però i problemi
legali legati alla quota legittima (un quarto spetta alla vedova).
Del
Vecchio si trova di fronte al dilemma del capo carismatico che colpisce
anche due altri grandi capitalisti italiani: Silvio Berlusconi e Carlo
De Benedetti, gli eterni rivali. L' ex Cavaliere ha da tempo sistemato
il pulviscolo di finanziarie dove aveva sparpagliato le sue proprietà.
marina berlusconi
Oggi
possiede il 61 per cento di Fininvest, il resto è diviso in parti
praticamente uguali tra i figli, sia quelli di primo letto, Marina e
Pier Silvio, sia i tre avuti con Veronica Lario: Barbara, Eleonora e
Luigi. L' erede vera è Marina che si è conquistata i galloni sul campo
per come ha rilanciato Mondadori e per la strenua difesa dell' azienda e
del padre. L' ultima battaglia è ancora in corso, contro gli appetiti
di Vincent Bolloré il quale, approfittando della grave crisi cardiaca di
Berlusconi, ha svelato le sue mire su Mediaset.
Marina
ha spinto fino all' ultimo per vendere il Milan dove Barbara ha cercato
di svolgere un ruolo dirigenziale de facto. La malattia ha rimesso al
centro il "consiglio di famiglia" con i cinque figli più Fedele
Confalonieri, Gianni Letta e Nicolò Ghedini. L' Economist (primo
azionista John Elkann) dubita che Silvio resterà al comando, ma il
settimanale britannico si è sbagliato spesso.
rodolfo carlo edoardo de benedetti con il paadre
Carlo
De Benedetti ha trasferito a titolo gratuito ai tre figli Rodolfo,
Marco e Edoardo, avuti dalla prima moglie, la Carlo De Benedetti &
Figli spa alla quale fa capo il gruppo Cir e di conseguenza anche l'
Espresso.
Al
capofamiglia resta Romed, cassaforte non quotata che utilizza per le
proprie operazioni finanziarie. A Rodolfo è andata la guida, non facile
in questi anni di crisi (l' azienda energetica Sorgenia è finita in mano
alle banche creditrici).
Ma
la mossa a sorpresa di John Elkann ha rilanciato i De Benedetti. La
fusione tra la Repubblica e la Stampa è stata gestita da Rodolfo che un
tempo avrebbe voluto uscire dall' editoria. Eppure, sarà sempre CDB a
tirare le fila, a pensionare e nominare i direttori, a determinare la
linea politica. Ingegnere, finanziere, industriale, infine editore, il
mestiere che più gli piace e, forse, più gli si addice.
violetta e bernardo caprotti
I
figli saranno pure piezz' e core, ma per loro non c' è spazio nel
futuro di Esselunga. La famiglia Caprotti è dilaniata da un conflitto
tragico, mitologico persino. La lunga saga ha riempito le cronache
giudiziarie. L' ultima puntata è che il novantenne Bernardo ha vinto un'
altra causa contro i suoi rampolli Violetta e soprattutto Giuseppe
allontanato nel 2005 dall' azienda di famiglia nella quale era
amministratore delegato. Adesso si attende solo la Cassazione.
Il
fondatore di Esselunga aveva tenuto per sé solo l' 8 per cento della
proprietà assegnando il resto a una fiduciaria controllata in parti
uguali dai due figli di primo letto più Marina nata dalla seconda
moglie. Senonché, cinque anni fa Bernardo ci ripensa, annulla il
contratto e poi annuncia che non lascerà l' azienda ai figli. Che fine
farà la catena di supermercati che ha saputo tenere in scacco le Coop
rosse e i giganti francesi alla Carrefour?
Uno
dei più importanti imprenditori italiani, Giorgio Armani, maestro di
forbici e di stile, s' è interrogato per anni sulla sorte della sua
azienda che non ha mai pensato di lasciare in famiglia, e non solo
perché non ha figli. Ha respinto le mire della LVMH di Bernard Arnault
che da tempo gli ronzava attorno.
E,
giunto all' età di 82 anni, ha deciso di creare una fondazione alla
quale affidare il futuro di un gruppo che produce oltre 2 miliardi e
mezzo di euro. La più personale delle imprese, così, diventa
istituzionale, il sarto di genio s' è ritagliato un capospalla un po'
germanico. Forse non sarà il modello per tutte le occasioni, ma fa
entrare aria fresca nel sistema italiano dove il mal sottile trasmesso
da parenti serpenti e fratelli coltelli ha troppo spesso consumato il
capitale.
http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/come-pagare-meno-tasse-garantire-futuro-sereno-pupo-tutte-130947.htm
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