domenica 27 settembre 2015

Con l’aiuto della Russia l’esercito siriano sta SPAZZANDO via l’ISIS (ed i media tacciono) Scritto il settembre 27, 2015 by lastella Facebook3.4k Google + I media italiani parlano di non meglio precisati raid francesi contro l’ISIS: raid tutti da verificare in termini di danno al califfato, e che potrebbero essere una farsa come quelli effettuati da Obama alcuni mesi fa, quando l’ISIS assediava gli Yazidi. Nel frattempo però l’esercito siriano, rinforzatosi con le nuove armi inviate dalla russia, e con il supporto dei cacciabombardieri e dei reparti speciali inviati in Siria da Putin, sta letteralmente spazzando via ISIS e riconquistando il terreno perduto! Mentre i media occidentali tacciono, perché questo porterebbe consensi a Putin e Assad! LaStella

L’Esercito Siriano sta per cogliere un successo decisivo intorno ad Aleppo, con la rottura dell’assedio della base di Kuweires; la Fars News Agency ha diffuso la notizia che ormai l’avanzata verso la posizione che per mesi ha resistito all’accerchiamento dell’ISIS é appena a un villaggio di distanza dall’angolo sudoccidentale del perimetro fortificato.
Durante tutto questo periodo rischiosi voli di elicottero hanno rifornito di viveri, munizioni e medicinali gli indomiti difensori della base, evacuando di tanto in tanto qualche ferito grave; una grande mano nello ‘sfoltire’ le posizioni terroriste sulla strada per Kuweires l’hanno data recentemente i dati satellitari russi che hanno guidato precisamente sulle maggiori concentrazioni di takfiri i cacciabombardieri di Assad.
“L’assedio militare dell’aeroporto Kuweirs non continuerà. Il sollevamento dell’assedio è inevitabile”, ha dichiarato una fonte militare ad Aleppo al quotidiano Al-Akhbar. “Non sarà domani, ma è imminente; siamo all’inizio di una nuova fase, inevitabilmente. La mappa di Aleppo vedrà cambiamenti significativi.” Ciò ha coinciso con l’inizio delle operazioni dell’esercito siriano per togliere l’assedio all’aeroporto.
DA palaestinafelix.blogspot.it
Kuweires Bombing
Per tutta la giornata di ieri un quasi continuo carosello di cacciabombardieri ha imperversato sopra la pianura intorno a Kuweires scaricando dozzine di missili aria-terra, bombe a guida laser e grappoli di razzi contro le postazioni dei terroristi dell’ISIS. La foto che vedete, presa ieri proprio nella zona in questione testimonia eloquentemente della massiccia potenza di fuoco scatenata contro i tagliagole.
Di questo passo il rilevamento della postazione assediata di Kuweires é solo questione di giorni.
E come se non bastasse le forze governative siriane (Esercito regolare, NDF, Liwa Al-Quds, Brigate Baath) hanno preso l’iniziativa in diverse zone circostanti ad Aleppo, ingaggiando i terroristi ad Al-Ameriyeh, Khan Touman, Kfarnaha, Al-Rashidin e Bustan al-Basha.
Anche a Nord della città, lungo le direttrici per il confine turco, si sono registrati intensi combattimenti a Kafr Hamra, Byanoun e Hreitan.
DA palaestinafelix.blogspot.it

 http://lastella.altervista.org/con-laiuto-della-russia-lesercito-siriano-sta-spazzando-via-lisis-ed-i-media-tacciono/

Oliver Stone: “dimenticate l’ISIS, è l’America la vera minaccia per il mondo” Scritto il settembre 27, 2015 by lastella

“Abbiamo destabilizzato il Medio Oriente, creato il caos. E poi diamo la colpa all’ISIS per il caos che abbiamo creato”.
Molta gente pensava che i giorni in cui Oliver Stone scalava le classifice fossero finiti. Molte persone si sbagliavano. Il suo libro del 2012 e la serie TV, “The Untold History of the United States”, suggeriscono che il regista rinnova gli sforzi per sfidare la narrazione tradizionale per quanto riguarda l’eccezionalismo americano, l’imperialismo economico e il “coinvolgimento nefasto” del governo americano in Medio Oriente, si legge su TheAntiMedia.org.
A completare la serie di documentari in 10 parti e le 750 pagina del libro, Stone ha collaborato con lo studioso della Seconfa Guerra Mondiale, Peter Kuznick. Il regista sostiene che nel valutare la storia americana dal 1930, è il coinvolgimento americano in Medio Oriente che in realtà ha catturato la sua attenzione.
“Abbiamo destabilizzato l’intera regione, creato il caos. E poi diamo la colpa all’ISIS per il caos che abbiamo creato”, ha detto Stone.
Secondo Stone, il ruolo destabilizzante del governo degli Stati Uniti in realtà risale a ben oltre l’ISIS. La sua nuova serie individua momenti di intrusione americana nella regione nel lontano 1930 e lo segue fino al colpo di stato iraniano appoggiato dalla CIA nel 1953, il supporto per i militanti in Afghanistan in funzione anti-Unione Sovietica nel 1980, l’invasione dell’Iraq di George HW Bush del 1990, e gli sforzi attuali in Iran, Siria e altri paesi.
L’ultimo episodio della serie “The Untold History of the United States” si intitola “Bush e Obama: Age of Terror”. Vengono trattati i seguenti argomenti:
Il Progetto per un Nuovo Secolo Americano, un think tank neoconservatore che ha invocato un evento come Pearl Harbor che faccia da catalizzare per l’azione militare in Medio Oriente
La tirannia di neoconservatori che ha spinto gli Usa in guerra con l’Iraq usando un’intelligence difettosa
Il Patriot Act, che spogliato gli americani di una vasta gamma di libertà civili, mentre ha legalizzato un nuovo stato di sorveglianza
Il lavaggio del cervello nazionalista e l’allarmismo per la guerra al terrorismo
Invadere l’Afghanistan per sconfiggere alcuni degli stessi terroristi che gli Stati Uniti hanno armato e addestrato due decenni prima
Tattiche di tortura e interrogatori incostituzionali a Guantanamo
Il lavoro dei media tradizionali a favore della guerra attraverso la propaganda e la collusione delle imprese
Obama che si è svenduto a JP Morgan Chase, Goldman Sachs, Citigroup, General Electric, e Big Pharma
Il piano di salvataggio finanziario da 700 miliardi di dollari pagato da lavoratori, pensionati, proprietari di case, piccoli imprenditori, e gli studenti con prestiti
L’aumento dei compensi per i CEO in mezzo al crollo della classe media
Il fallimento di Obama nell’offrire speranza, cambiamento, o la trasparenza, la persecuzione di informatori del governo. Anche se ha ripudiato l’unilateralismo di Bush, ha raddoppiato le truppe e, secondo Stone, “manca del coraggio di un John F. Kennedy ”
Gli attacchi dei droni di Obama su Afghanistan, Iraq, Pakistan, Yemen, Libia e Somalia (che include una clip sulle sue parole alle truppe: “A differenza dei vecchi imperi, non facciamo questi sacrifici per territori o per le risorse … .Noi lo facciamo perché è giusto. ”
Stone dice che la sua serie di documentari è un approccio alternativo alla storia americana, e spera di combattere il “crimine educativo” di esporre gli scolari di oggi alla propaganda dei libri di testo e programmi televisivi.
Su questa nota, Stone non usa mezzi termini:
“Non siamo in pericolo. Noi siamo la minaccia. ”
DA italian.irib.ir

http://lastella.altervista.org/oliver-stone-dimenticate-lisis-e-lamerica-la-vera-minaccia-per-il-mondo/

mercoledì 23 settembre 2015

William Colby Da Intervista con la storia, ed. Bur, 1990

Washington, marzo 1976

Più che di una intervista si trattò di una rissa, esasperata ed esasperante, angosciosa e cattiva, invano vestita coi toni civili della discussione. Oltre il gioco delle domande e delle risposte, il pretesto del giornalismo, la realtà rendeva entrambi consapevoli dei nostri ruoli opposti e nemici. Lui rappresentava il potere, la piovra invisibile e onnipresente che tutto domina e strozza. Io, la sua vittima. Lui credeva al diritto di spiare, interferire, corrompere, rovesciar governi, organizzare complotti, uccidere, tenere sotto controllo perfino me: ad esempio registrando le mie telefonate. Io credevo al diritto d’essere lasciata in pace e amministrarmi da sola la libertà che mi spetta. Così il rancore con cui l’avevo aggredito dicendogli subito che il mio paese non è una sua colonia, una sua repubblica delle banane, presto lo contagiò. E non fu più possibile trovare un punto d’intesa, di tolleranza reciproca. Per ore, come due insetti impegnati a bucarsi, ferirsi, straziarsi, ci gettammo in faccia rimproveri accuse e crudeltà. (Prevenzioni ideologiche, lui le chiamava.) E lo spettacolo aveva qualcosa di assurdo, ai limiti di una sottile pazzia. Avvelenata dalla passione e dalla rabbia, la mia voce a volte tremava. La sua invece restava inalterata, controllata, sicura. L’unico segno di ostilità veniva dagli occhi celesti, fermi quanto gli occhi di un cieco, che a tratti si accendevano di silenziosa ferocia senza che le sue labbra cessassero di sorridere, senza che le sue mani cessassero di versare con dolcezza il caffè. A un certo punto mi chiesi a chi assomigliasse quest’uomo di ghiaccio che mi faceva soffrire. E la risposta fu facile. Assomigliava a un prete dell’Inquisizione, o un funzionario del Partito comunista sovietico. Che poi è la stessa cosa. Una volta avevo visto sui giornali la fotografia di Suslov. E William Colby aveva lo stesso sguardo, lo stesso naso, la stessa bocca di Suslov. Aveva anche lo stesso corpo lungo, asciutto, elegante. La stessa compostezza spietata. Sbagliai a dirgli, da ultimo, che mi ricordava Cunhal. Con Cunhal aveva in comune solo il fanatismo e la mancanza di quella meravigliosa virtù che ha nome dubbio. (Ogni sua parola era tesa a dimostrare il suo odio cieco incrollabile, non solo per i comunisti ma per chiunque si definisse di sinistra.)
William Colby: per ventott’anni funzionario eminente della CIA, per due anni e mezzo suo direttore. Il suo vero ritratto è nel racconto che egli fa di se stesso. Eccolo. «Come si diventa capo della CIA? Per caso, by chance. E perché si entra nella CIA? Per avventura intellettuale. E per patriottismo. Mio padre era ufficiale dell’esercito. Aveva un alto senso del dovere. L’ho ereditato insieme al gusto di viaggiare e all’amore per l’America. La famiglia di mio padre venne qui nel 1600, dall’Inghilterra. La famiglia di mia madre ci venne duecento anni dopo, dall’Irlanda. Sono stato concepito nel Panama, sono nato nel Minnesota, sono cresciuto per alcuni anni in Cina: a Tien Tsin. A diciotto anni sono andato in Francia a imparare il francese. So il francese, il norvegese, il tedesco, l’italiano, il vietnamita: anche se li ho dimenticati un po’. Ho la laurea in legge e pensavo di fare l’avvocato. Perché divenni invece una spia? Non per divertimento, è sicuro. Non ho mai letto un libro su James Bond. Leggo solo testi di politica, storia, filosofia, marxismo, leninismo. La faccenda andò così. Durante la seconda guerra mondiale ero ufficiale in Oklahoma. Allenavo i soldati. Ma non volevo seguire la guerra da lontano, dall’Oklahoma. Così entrai volontario nei paracadutisti. Avevo ventidue anni. Un giorno venne uno dell’OSS. Cercava gente da paracadutare in Europa, per aiutare la Resistenza. Non avevo nulla di meglio da fare. Accettai. Mi paracadutarono in Francia e in Norvegia. Lì combattei coi partigiani. Operazioni di sabotaggio eccetera. Finita la guerra, l’OSS fu dissolto e perciò mi misi a fare l’avvocato. Ma scoppiò la guerra in Corea e rientrai nel servizio segreto, nella CIA. Dopo la Corea fui alcuni anni in Italia. Poi a Washington e in varie parti del mondo. Due volte in Vietnam. Al tempo di Diem e nel 1969-1970, quand’ero a capo del programma Phoenix.» Naturalmente non disse che il programma Phoenix sterminò, spesso con l’assassinio, oltre ventimila vietcong. E, quando glielo ricordai, sostenne che ventimila non sono molti: in battaglia muore più gente. Non disse che nessuna delle tragedie avvenute negli ultimi anni gli era estranea: che era implicato in quella del Cile, in quella di Cipro, in quella dei Curdi. Tanto per citarne due o tre. Però ammise d’essere stato lui il più forte sostenitore dei finanziamenti ai democristiani e ai socialdemocratici italiani. E questo era molto importante visto che ero andata da lui soprattutto per chiedergli della corruzione esercitata dalla CIA nel mio paese.
L’intervista-rissa avvenne nella modesta villetta in cui abitava, presso Washington, insieme alla moglie e ai due figli minori. (I due maggiori erano sposati. Il più vecchio aveva trentaquattr’anni e faceva l’avvocato.) Fui con lui due volte, per una lunga mattina di venerdì e un intero pomeriggio di domenica. Né la prima né la seconda volta si lasciò andare a un gesto di sgarberia o di impazienza, né la prima né la seconda volta accennò a farmi fretta. Fu sempre cortese, elegante, controllato: perfetto. Lo stesso comportamento che aveva tenuto dinanzi al senatore Church e al deputato Pike che lo interrogavano per i comitati di inchiesta parlamentare. Lo scandalo nato in quella circostanza intorno ai delitti della CIA e le dimissioni cui era stato costretto non gli avevano spaccato i nervi: figuriamoci se avrei potuto spaccarglieli io. Mantenne il suo sangue freddo anche quando l’intervista venne pubblicata, in quasi tutto il mondo, sollevando un rumore pari a quello che avevo provocato con le interviste a Kissinger e a Cunhal. Infatti sia alla televisione che alla stampa dichiarò che il testo scritto dimostrava come la battaglia fosse stata gloriosamente vinta da lui, penosamente persa da me, e perché non andavo a intervistare il capo del KGB? Poi, per dimostrarmi quanto fosse liberale e chiarire che la mia insolenza non lo toccava, prese anche a scrivermi letterine di indulgente simpatia e bonario rimprovero per il mio «anarchismo» e il mio «sinistrismo»: riconoscendo però che ero una giornalista accurata ed onesta. In una diceva: «Possiamo trovarci in disaccordo, e infatti noi due ci troviamo molto in disaccordo, ma ritengo benefico per le società libere che ci si possa litigare e scambiare idee senza paura l’uno dell’altro». Non gli risposi mai chiedendogli cosa intendeva per società libere e scambio di idee senza paura. Certo non avevo e non ho paura di lui o della sua CIA ma devo confessare che, vedendo la sua firma, avvertivo ogni volta una specie di brivido.
Io mi rendo conto che la CIA ha sempre il vantaggio di farsi intervistare e il KGB no: l’osservazione era giusta. Però è difficile dimenticare il senso di minaccia che si prova a sentirsi e sapersi controllati da essa: come io lo sono da anni. E non so se Colby ne è al corrente, visto che la cosa accadde quando egli era ormai un privato cittadino: ma sembra che la CIA non sia del tutto estranea all’uccisione di Alessandro Panagulis. E, per quanto ciò possa ingiustamente ferire il signor Colby, devo dire che tale pensiero fu il primo che mi venne alla mente quando, per il Natale del 1976, ricevetti un suo gentile cartoncino di auguri. Con la Madonna ammantata d’azzurro e teneramente abbracciata al Bambin Gesù.


ORIANA FALLACI. Quei nomi, signor Colby. I nomi dei miserabili che in Italia hanno preso soldi dalla CIA. L’Italia non è una repubblica delle banane della United Fruits, signor Colby, e non è giusto che il sospetto gravi su un’intera classe politica. Non crede che Pertini, il presidente della nostra Camera, abbia diritto di conoscere quei nomi?
WILLIAM COLBY. No, perché la nostra House of Representatives ha detto col voto che i nomi devono restare segreti e perché la CIA deve proteggere i suoi soci, deve proteggere chi lavora con lei. Naturalmente la decisione di dare o no quei nomi spetta al governo degli Stati Uniti, e io non parlo per il governo. Parlo per la CIA. Ma il mio giudizio è no, la mia raccomandazione è no. Niente nomi. È il minimo ch’io possa fare per rispettare l’accordo con la gente che lavorava con me. Al suo Parlamento possono fare tutte le inchieste che vogliono: non esiste una polizia per le indagini? Chi si sente sospettato non ha che da dire «non è vero, non ho ricevuto il denaro». Per me va benissimo. Io non posso sacrificare alcuni per evitare il sospetto su altri. Io ho promesso di tenere un segreto e lo terrò perché, se rompo la promessa, non potrò più rivolgermi a gente nuova. Sarebbe facile andare per esclusione, rispondere «no» a sei nomi e «no comment» al settimo. Lei avrebbe quello che cerca. Perché non cerca la stessa cosa coi russi? Perché non chiede al governo sovietico i nomi dei comunisti che prendono i soldi di Mosca in Italia? I sovietici fanno esattamente ciò che facciamo noi. Hanno i nostri identici problemi.

Parleremo dopo dei russi. Ora parliamo della CIA, signor Colby. Se io, cittadina straniera, venissi qui a finanziare un partito americano e ventuno dei vostri uomini politici, inoltre alcuni dei vostri giornalisti, cosa...
Lei commetterebbe una cosa illegale e, se venissi a saperlo, la denuncerei all’FBI perché la arrestasse.

Bene. Dunque io dovrei denunciare alla polizia italiana lei, il suo ambasciatore, i suoi agenti, e farvi arrestare.
Non dico questo.

Come no? Se è illegale che io corrompa, diciamo, un signor Pike o un signor Church, non è altrettanto illegale che lei corrompa, diciamo, un signor Miceli?
Io non dico che lei corromperebbe. Dico che agirebbe contro la mia legge.

Ma anche lei ha agito contro la mia, signor Colby! E sa cosa aggiungo? V’è solo un tipo più disgustoso del corrotto: il corruttore.
Noi della CIA non corrompiamo. Se avete un problema di corruzione, nella vostra società, esso esisteva molto prima che la CIA arrivasse. Corrompere significa dare denaro a chi fa cose per noi, e noi non diamo denaro per questo. Diamo denaro a chi non ha abbastanza denaro per fare quello che vuole. Fondamentalmente noi sosteniamo i regimi democratici e, fra tutti i paesi che dovrebbero capirlo, c’è l’Italia. È stato l’aiuto americano che per trent’anni ha impedito all’Italia di cadere in un comunismo autoritario. E ci siamo riusciti sostenendo i partiti del centro democratico, sempre.

I vostri «clienti», come lei li definisce nel rapporto Pike. Signor Colby, sul dizionario inglese-italiano la parola «client» è proprio tradotta «cliente». Ma cosa significa «cliente» per lei?
Bè,... ecco... Com’è che un avvocato chiama... Cosa fa un avvocato col suo cliente? Un avvocato aiuta il cliente... Sì, clienti dell’avvocato.

Dunque lei si considera l’avvocato dei democristiani e dei socialdemocratici in Italia.
Giusto. Cioè... No. Non voglio commentare nessuna situazione particolare.

Perché? Mi aveva forse risposto con una bugia?
Io non dico bugie. E soffro quando mi accusano di dire bugie. Non le dico proprio. A volte taccio qualcosa, a volte mi rifiuto di dare un’informazione, tengo il segreto. Ma niente bugie: neanche se volessi. La Camera non me lo permetterebbe, e neanche il Senato, neanche la stampa. Il capo dell’Intelligence americana non è come il capo dell’Intelligence di altri paesi dove gli è consentito negare cose vere. Qui l’Intelligence agisce sotto il controllo della legge, non al di fuori della legge. E, per cavarsela, bisogna dire «no comment». Ma, sui nostri finanziamenti ai partiti democratici, voglio porle una domanda io: sarebbe stato giusto o no se l’America avesse aiutato i partiti democratici contro Hitler?

Le rispondo subito, signor Colby: in Italia non esiste alcun Hitler. E quegli ottocentomila dollari che l’ambasciatore Graham Martin volle dare al generale Miceli, con la benedizione di Kissinger, non finirono affatto in mani democratiche. Finirono in quelle dei seguaci di Hitler.
Non discuterò alcuna operazione specifica della CIA ma le dirò che ho un grande rispetto per l’ambasciatore Martin. Siamo stati insieme in molte parti del mondo e l’ho sempre giudicato un uomo forte, un uomo che prendeva sempre le posizioni giuste e le responsabilità giuste nell’interesse degli Stati Uniti. Inoltre ritengo che in questo genere di attività la CIA possa avere un punto di vista e il nostro governo possa averne un altro. Non è la CIA che decide, è il presidente che decide. Non dimentichi che in ciascuna di queste operazioni la CIA è al servizio del governo, segue le direttive del governo. A volte le direttive sono accettabili, a volte no. Ma, in ogni caso, la CIA le segue con rigore. Almeno fino a un anno fa, cioè fino a quando è passata la nuova legge, il presidente poteva chiamare il direttore della CIA e dirgli: «Fai questo e non dirlo a nessuno».

Dunque furono proprio Nixon e Kissinger a voler dare quei soldi a Miceli: la CIA era davvero contraria. Se li vede, li ringrazi per le bombe che i fascisti fabbricano con quei soldi.
Non posso parlare di questo. Però so che i neofascisti hanno solo l’8 per cento dei voti e che, sebbene esistano elementi molto estremisti fra loro, non rischiate certo un’altra marcia su Roma. So che il pericolo per voi è rappresentato dai comunisti. E so che, dalla fine della guerra, noi della CIA non abbiamo fatto altro che aiutare le varie forme democratiche contro la minaccia comunista. E questo ha continuato per venticinque, anzi trent’anni.

Col risultato che i comunisti ora sono alle soglie del governo e ad ogni elezione guadagnano voti. Ma le sembra di averli spesi bene quei soldi? Le sembra che la sua Intelligence sia stata intelligente?
Di solito non spendiamo i nostri soldi in sciocchezze. Certe cose non si giudicano da un fattore e basta. In questo caso, dal 33 per cento che hanno ottenuto i comunisti nelle ultime elezioni. E forse gli interventi americani in Italia dopo la seconda guerra mondiale non sono stati perfetti, però sono stati utili. Positivi. Parlo anche della NATO e del Piano Marshall. Quando io ero a Roma, nel 1953, la gente viaggiava in Vespa. Ora viaggia in automobile. Oggi vivete meglio di come sareste vissuti se i comunisti avessero vinto nel 1948 e anche nel 1960. L’italiano medio vive meglio del polacco medio, dunque la politica americana non è stata un errore in Italia. Abbiamo fatto un buon lavoro. Quando dite di cavarvela male, ripetete le stesse cose del 1955. Anche allora gridavate che il governo era pessimo e tutto crollava. In Italia vedete sempre le cose in modo catastrofico, vi sentite sempre sull’orlo del precipizio. Eppure la catastrofe, nel 1955, non è avvenuta. E non avverrà neanche ora. Perché vi sono buoni italiani.

Certo non i suoi «clienti», signor Colby.
Io parlo della gente normale.

Qual era l’uomo politico che le piaceva di più quand’era in Italia?
De Gasperi, direi. Ma non posso far nomi. Non devo. Del resto non conoscevo molte persone importanti... Ero un giovane funzionario e il mio lavoro consisteva piuttosto nel raccogliere informazioni e stare in contatto coi gruppi politici giacché parlavo italiano. Posso dirle solo che, a quel tempo, io ero per l’apertura a sinistra. Sì, un’apertura ai socialisti. Li rispettavo. Li rispetto ancora perché i socialisti sono occidentali, sono europei, credono davvero nella libertà e nella democrazia. Negli anni Cinquanta ritenevo che avessero commesso un grande errore ad allearsi coi comunisti ma ritenevo anche che, alla lunga, non avrebbero mantenuto quell’alleanza. E così ero per una apertura verso di loro, sì. Ma, a quel tempo, questo non era il fattore decisivo della politica americana in Italia.

Già. C’era Claire Boothe Luce come ambasciatore. Fino a che punto, come CIA, lei operava e opera in collaborazione con l’ambasciata USA?
Operavo molto con l’ambasciata, ovvio. Ero l’addetto politico: political attaché. Si opera sempre con le ambasciate. La maggior parte delle informazioni le abbiamo attraverso le nostre ambasciate. E la signora Luce faceva un buon lavoro. Un ottimo lavoro. Sono ancora amico della signora Luce. Donna interessante, capace.

Soprattutto di interferire nelle faccende del mio paese, neanche fosse stato una sua colonia. Però non è solo attraverso la vostra ambasciata che voi operate in Italia: sappiamo tutti che il vero pied-à-terre della CIA in Italia è il SID. E le chiedo: con quale diritto lei si permette di spiarmi in casa mia usando il servizio segreto del mio paese? Con quale diritto controlla ad esempio il mio telefono?
Perché così io so quel che succede nel mondo. E il controllo del telefono, guardi... io ho avuto il telefono controllato tante volte, in tanti paesi, ne sono certo. E non me ne è mai importato. Anche se fosse controllato ora, cosa che escludo, non me ne importerebbe nulla. Almeno sul piano emotivo. Non ci vedo nulla di male a tentar di capire cosa succede nel mondo, cosa pensa la gente e cosa fa. Non si tratta mica di spiare la privacy altrui: si tratta di sapere se lei ha una pistola puntata contro di me, o una qualsiasi altra arma per farmi del male. Insomma, lei mi sta chiedendo: una nazione ha diritto o no di usare la sua Intelligence in un’altra nazione, attraverso attività clandestine? Bè, in ogni paese c’è una legge che risponde no. E quasi in ogni paese lo si fa. Perché moralmente si ha il diritto di tentar di scoprire cosa accade, e così proteggerci. È illegale ma se ne ha il diritto.

Guardiamo se ho capito bene. Lei considera illegale ma legittimo agire anche attraverso il servizio segreto di un altro paese. Ad esempio il mio.
Dipende. A volte un’altra Intelligence ci aiuta. Dipende dalla politica del paese. A volte due paesi hanno un interesse reciproco, ad esempio sono molto vicini ai loro alleati e molto preoccupati di una penetrazione. Così lavoriamo insieme.

Come dicevo. È vero o no che la migliore operazione della CIA col SID fu la fuga da Mosca di Svetlana Stalin?
Non posso dirlo. Soprattutto in questo periodo di investigazioni non devo parlare dei nostri soci e dei nostri rapporti coi servizi segreti stranieri. Se lo faccio, se chiunque di noi lo fa, non si fidano più della nostra Intelligence. Un servizio di Intelligence non deve dire nulla sui suoi soci. Lei non immagina quanto sia stata danneggiata la CIA da quel che è successo. Immensamente. In tutto il mondo. C’è gente che ora ci dice: «Ma come faccio a stare con voi? Posso davvero affidarvi la mia vita? Oppure racconterete tutto al Senato e al Congresso?». Molti ci hanno voltato le spalle. Molti che operavano con noi ci hanno detto no, basta, non continuo. Perfino certi servizi segreti stranieri ci hanno detto no, basta, vi davamo tanto materiale segreto e d’ora innanzi non vi daremo più nulla. Abbiamo perduto una quantità di collaborazione, una quantità di agenti...

Solo agenti o anche clienti?
Anche clienti. Alcuni ci hanno detto: «Non dateci più nulla, per carità, sennò poi lo raccontate». Gente nuova e gente di antica data. Si sono sentiti traditi. Noi della CIA ci siamo battuti molto per tenere i loro nomi segreti, e direi che abbiamo vinto. Ma la pubblicità intorno a questa faccenda ci ha fatto lo stesso un gran male. E queste sono cose che al KGB non succedono. In Italia avete un mucchio di agenti del KGB. Molti. Anche italiani, naturalmente. Il KGB fa uno sforzo molto grosso in Italia, a parte il fatto che può contare sul Partito comunista italiano. Uno sforzo molto energico. Però nessuno chiede al KGB di rivelare i nomi dei suoi agenti, dei suoi clienti, o le sue attività. Nessuno gli chiede di comportarsi in modo democratico e liberale. Al KGB non si rimproverano colpe, del KGB non si rivela nulla: né il giusto né lo sbagliato. Chi accusa il KGB di interferire con le faccende private del suo paese?

Lei si sbaglia, signor Colby. La santa verità è che non vogliamo né voi né loro. Ne abbiamo abbastanza di voi e di loro.
Bene, bene. Ma allora perché non parlate dei soldi che i comunisti italiani prendono dal commercio con l’Europa dell’Est? Tutto il materiale che va e viene attraverso il commercio con l’Unione Sovietica e i paesi satelliti passa da agenzie che danno una percentuale ai comunisti italiani. È un buon sistema. Complicato ma buono. Ci hanno messo trent’anni per perfezionarlo. Che ne direbbe se l’America avesse con l’Italia un commercio governativo e desse la percentuale a un partito?

Non ci pensa la CIA a fare questo? Non ci pensano gli ambasciatori come Martin? Non ci pensano le ditte come la Lockheed, la Gulf, la Esso?
È straordinario il suo modo di razionalizzare e indirettamente concludere che gli altri sono bravi ragazzi, creature buone pulite squisite. I sovietici danno una percentuale dei loro commerci con l’Italia a certe persone che poi la passano al PCI, e lei dice: è la stessa cosa. Sì, è la stessa cosa che fecero in Polonia affinché il PC polacco andasse al governo e poi al potere. Si incomincia sempre così: si aiuta il partito comunista coi soldi, il partito va al governo, poi va al potere, e ci resta. Ma guai se non ci resta come vuole l’Unione Sovietica! Arriva una delegazione da Mosca, si mette intorno a un tavolo col comitato centrale, e gli spiega che è «meglio comportarsi bene». Vorrebbe che l’Italia finisse così? E supponiamo che la corruzione in Italia sia da una parte e basta, supponiamo che i comunisti in Italia siano bravi ragazzi puliti: per questo li lascerebbe andare al governo? Per questo lei correrebbe un simile rischio? Nomini un paese che sia stato comunista e che ora non lo sia più. Uno solo! Uno dove il PC sia andato al potere e poi si sia ritirato secondo le regole del gioco democratico, lasciando a un altro partito il diritto di governare. Lo nomini! Uno! Uno solo!

Signor Colby: cosa ci fareste, voi americani, se i comunisti vincessero le elezioni in Italia?
Nomini un paese! Uno solo!

Signor Colby, ci fareste un golpe come in Cile?
Un paese! Un paese solo! Romania? Cecoslovacchia? Ungheria? Polonia?

Mi risponda, signor Colby: un altro Cile?
E se poi non ci fossero altre elezioni? Se poi accadesse come accadde con Hitler e Mussolini? Ma non capisce che i comunisti sono stati tutti questi anni al gioco democratico perché gli conveniva? Non capisce che, finché erano in minoranza, il sistema democratico gli serviva? Ma lei crede davvero che quando saranno al governo continueranno a essere democratici? Quella non è gente cui si possa dire «siccome-siete-bravi-ragazzi-vi-lasciamo-comandare-per-un-po’». Il loro centralismo democratico non ha nulla a che fare con la democrazia. E i vostri guai potete risolverli in modo migliore che lasciandogli vincere le elezioni. Lo ricordi. O non vincerete le elezioni mai più.

Lei potrebbe anche aver ragione. Però le ricordo che a gettare i paesi nelle braccia dei comunisti siete proprio voi americani: comprando, corrompendo, proteggendo i fascisti in tutto il mondo. L’America è la più grande fabbrica di comunisti del mondo, signor Colby.
Questo è un insulto dettato da prevenzioni ideologiche e io lo respingo.

Respinga, respinga. Però mi dica: secondo le informazioni che lei ha sempre avuto come capo della CIA, vede nessuna differenza tra il PC di Cunhal e i PC di Carrillo, Marchais, Berlinguer?
Il PCI è lo stesso che era ai tempi di Gramsci e di Togliatti, cioè un partito che cerca di lanciare un ponte tra il sistema sovietico e quello occidentale tentando di vivere un po’ nell’uno e un po’ nell’altro campo. C’è un’ambivalenza nel PCI. E i comunisti francesi, come i comunisti spagnoli, non fanno che imitarlo. Il PCI ha sempre preteso di essere molto rivoluzionario per tenere il passo totalitario, e allo stesso tempo ha sempre preteso di essere molto italiano per riempire il vuoto col resto dell’Italia. Lei in realtà vuol chiedermi se io credo o no a certi uomini del PCI quando dicono d’essere per il pluralismo eccetera. Le rispondo: non conosco quegli individui ma la questione non è avere fiducia o no negli individui. La questione sta nei loro imperativi politici. Attualmente, con un’Europa occidentale piuttosto unita e forte e protetta dagli interessi americani, l’imperativo politico per i comunisti è far parte dell’Europa occidentale. Domani, se l’Europa occidentale ha problemi economici o se c’è un cambio di leadership nell’Unione Sovietica, il loro imperativo politico può cambiare. Ed essi possono diventare più autoritari e più leali ai sovietici.

Recentemente il PCI e il PCE e il PCF hanno attaccato con una certa chiarezza l’Unione Sovietica.
Oh, questo è facile. Lo fecero anche in Cecoslovacchia nel 1968. In compenso hanno appoggiato l’URSS in molte occasioni e continuano a mantenere ottimi rapporti con Mosca. La loro politica dice che non dovrebbe esserci né la NATO né il Patto di Varsavia. La cosa più semplice, intanto, è eliminare la NATO. Liberarsi del Patto di Varsavia è duro. Loro mirano a ridurre il contributo dell’Italia alla NATO dicendo, bè, del Patto di Varsavia ci occuperemo dopo. Ma quale sarebbe il grado di collaborazione tra militari italiani e militari americani, governo italiano e governo americano, il giorno in cui aveste un primo ministro comunista? Crede davvero che ci sarebbe una collaborazione nell’interesse della NATO? Io credo che sorgerebbero molte difficoltà.

Forse. Ma insisto nella domanda cui lei non vuole rispondere: cosa ci farebbero gli americani se i comunisti andassero al governo in Italia?
Non lo so. Questo riguarda la politica degli Stati Uniti. Non lo so.

Sì che lo sa, signor Colby. Un altro Cile?
Non necessariamente. Non so... È una domanda ipotetica, non posso rispondervi. Dipende da troppi elementi. Potrebbe non succedere nulla, potrebbe succedere qualcosa, potrebbe succedere qualche sbaglio.

Uno sbaglio come il Cile? Coraggio, signor Colby. Crede che sarebbe legittimo per gli Stati Uniti intervenire in Italia con un Pinochet se i comunisti andassero al governo?
Non credo di poter rispondere a questa domanda. E il vostro Pinochet non è in America. È in Italia.

Lo so, ma ha bisogno di voi. Senza di voi non combina nulla. Signor Colby, io cerco di farle ammettere che l’Italia è uno Stato indipendente, non una repubblica delle banane, non una vostra colonia! Non potete far sempre i poliziotti del mondo. Chiaro?
Chiaro ma sbagliato. [In italiano nel testo.] Lasci che spieghi. Dopo la prima guerra mondiale l’America visse un fenomeno di rigetto. Dicemmo che la guerra era stata sbagliata, mal combattuta, e avemmo un periodo di innocenza. Riducemmo il nostro esercito a qualcosa come 150.000 uomini, volemmo una diplomazia aperta, e il segretario di Stato dissolse l’Intelligence sostenendo che i gentiluomini non leggono la posta altrui. Ci accingemmo insomma a vivere in un mondo di gentiluomini e annunciammo di non volerci coinvolgere più negli affari stranieri. Sorsero problemi in Europa e non intervenimmo. Sorsero problemi in Manciuria e non intervenimmo. Venne la guerra in Spagna e ci dichiarammo neutrali. Passammo perfino una legge sulla nostra neutralità. Ma non funzionò. E ci caddero addosso i problemi economici, e vennero leader autoritari che credettero di poter dominare i loro vicini, e scoppiò la seconda guerra mondiale e dovemmo entrarci. Dopo la seconda guerra mondiale ricominciammo daccapo: nel 1945 dissolvemmo l’esercito, e dissolvemmo l’OSS, e dicemmo Pace. Però ebbe inizio la guerra fredda. Diventò subito chiaro che Stalin non avrebbe seguito la strada che avevamo tracciata. Il comunismo russo divenne una minaccia in Grecia, in Turchia, in Iran. E così imparammo la lezione. Rimettemmo insieme il nostro servizio segreto, lo chiamammo CIA, contenemmo l’espansione autoritaria dell’Unione Sovietica con la NATO e il Piano Marshall e la CIA. Liberali e conservatori insieme: entrambi convinti, stavolta, di dover aiutare all’estero. Io ero uno di quei liberali. Ero stato addirittura radicale da ragazzo e...

Perbacco. Come ha fatto a cambiare così?
Clemenceau dice che chi non è radicale da giovane non ha cuore, e chi non è conservatore da vecchio non ha testa. Ma mi lasci concludere. La NATO funzionò. Il contenimento dell’espansionismo sovietico funzionò. Il piano di sovversione dei partiti comunisti fu neutralizzato. E questo non fu gettarci dalla parte dei fascisti, non fu la destra contro la sinistra. Fu la ricerca di una soluzione democratica. E fu la politica americana che la CIA abbracciò e da allora seguì: decidendo che avremmo combattuto per la libertà a ogni costo. Certo... bè, sì: nel corso di questa battaglia a ogni costo capitarono e capitano situazioni con leader locali piuttosto autoritari. O più autoritari di quanto la gente vorrebbe.

Da Franco a Caetano, da Diem a Thieu, da Papadopulos a Pinochet. Senza contare tutti i dittatori fascisti dell’America Latina. I torturatori brasiliani ad esempio. E così, in nome della libertà, diventaste i sostenitori di tutti coloro che dall’altra parte uccidono la libertà.
Come nella seconda guerra mondiale quando, contro la maggiore minaccia di Hitler, sostenemmo la Russia di Stalin. Sì, proprio allo stesso modo in cui allora lavorammo con Stalin ora capita che lavoriamo con... insomma, talvolta dobbiamo lavorare con qualcun altro. La espansione comunista, dagli anni Cinquanta in poi, prese il posto della minaccia nazista, e noi... Bè, sostenendo qualche leader autoritario contro la minaccia comunista si lascia sempre aperta l’opzione che il paese di quel leader autoritario diventi democratico in futuro. Coi comunisti, invece, il futuro non offre speranze. Così non vedo motivo di scandalo in certe nostre alleanze. Alle alleanze si arriva sempre per fronteggiare una minaccia più grossa. E, per noi americani, la minaccia più grossa resta il comunismo. Il mio governo riconosce Pinochet come il governo legittimo del Cile, è vero. Ma io non accetto che duecento milioni di russi vivano sotto il comunismo sovietico? E poi Pinochet non vuole conquistare il mondo. Chi si preoccupa di Pinochet?

Glielo dico io, Mr. Colby. Anzitutto se ne preoccupano i cileni che da oltre due anni vengono imprigionati e perseguitati e torturati e uccisi da lui. Poi se ne preoccupano quelli che alla libertà ci credono davvero e non a parole come lei. Infine se ne preoccupano i paesi che, come il mio, temono di diventare un secondo Cile. Grazie a voi americani.
Lei sbaglia proprio a scegliere il Cile come esempio. Se legge attentamente il rapporto senatoriale sul Cile, pubblicato malgrado le mie obiezioni, vede che dal 1964 in poi noi ci limitammo ad aiutare il centro democratico contro un Allende che si diceva associato con Castro e coi comunisti. La CIA non ebbe parte nel rovesciamento di Allende nel 1973. Il comitato senatoriale non trovò una prova della nostra collaborazione, dopo il 1970.

Davvero? E il finanziamento degli scioperi? E gli interventi della ITT?
Bè, un po’ di denaro fu dato: un contributo infinitesimale. Lo demmo attraverso altra gente, cioè a un gruppo che poi lo passò a un altro gruppo. Roba da niente. Legga i miei dinieghi dinanzi al senatore Church quando dico: «Con una eccezione che durò sei settimane nel 1970».

Io direi piuttosto che incominciò nel 1970: l’11 novembre, quando Nixon e Kissinger chiamarono Richard Helms, allora capo della CIA, e gli ordinarono di rovesciare Allende organizzando un golpe.
Durò solo sei settimane... E non riuscimmo... Il resto del nostro programma in Cile fu di sostegno alle forze del centro democratico contro la minaccia della sinistra. Non rientrava nella nostra politica rovesciare Allende nel 1973. Noi aspettavamo le elezioni del 1976 sperando che le forze democratiche vincessero nel 1976. Certo non aiutammo Allende, però siamo innocenti del golpe del 1973. Quel golpe fu causato dallo stesso Allende che stava distruggendo la società e l’economia cilena, che si comportava in modo antidemocratico, che sopprimeva la stampa di opposizione, che agiva in modo anticostituzionale come dissero sia il Parlamento che la Corte suprema che...

Ma che diavolo sta inventando, signor Colby?!? Ma come si permette di falsificare la storia così? Ma se la stampa di opposizione tormentò Allende fino all’ultimo momento!
Che Allende fosse democratico è una sua opinione personale. Lo dichiarava lui stesso di voler sopprimere l’opposizione, la borghesia. Sopprimere! Era un estremista, il suo Allende, un oppressore. Io lo so. Io ho buone informazioni.

Se tutte le sue informazioni assomigliano a questa, signor Colby, capisco perché la CIA si rende così spesso ridicola. Ma io voglio sapere questo da lei che si batte in nome della democrazia: avendo vinto democraticamente le elezioni, Allende aveva o no il diritto di governare il suo paese?
Bè, ecco...

Non esiti, signor Colby. Mi risponda.
Mussolini non vinse le elezioni? Hitler non divenne cancelliere della Germania grazie alle elezioni?

Lei non può essere così in malafede, signor Colby. Lei non può paragonare Allende con Hitler e Mussolini. Questo è fanatismo.
Io non sono fanatico. Io credo in una democrazia liberale occidentale.

In che modo? Ammazzando? Mi racconti dell’assassinio del generale Schneider, il capo di Stato maggiore di Allende.
Noi della CIA avemmo pochissimo a che fare con l’assassinio del generale Schneider. Pochissimo... È scritto nel rapporto senatoriale sul Cile: apparentemente il gruppo che tentò di rapirlo non era lo stesso che riceveva le armi dalla CIA. È la solita storia di quelle sei settimane. Oh, il suo modo di vedere la CIA è davvero paranoico. Lei si comporta come la stampa americana quando si eccita per la Pistola Nera, quella con le frecce, di cui parla il senatore Church. Un’arma che non fu mai usata, mai. Ah, siete voi della stampa che gettate il fango sulla CIA, che falsate, distorcete. Naturalmente, nel corso delle nostre attività all’estero, qualcuno è rimasto ucciso... Naturalmente... Nostri agenti e anche persone dall’altra parte della barricata... Ma niente assassinii. Conosco chi lavora per me e posso assicurarle che si tratta di buoni americani, di veri patrioti che lottano per proteggere il proprio paese... per il diritto di difendere la libertà...

Perché quel diritto non ve lo prendete con Pinochet?
Ogni nazione deve fare le sue scelte e poi queste sono faccende che riguardano il mio governo. Lei non lo capisce perché parte da un atteggiamento ideologico. Io non sono ideologico, sono nazionalista e pragmatista. E da buon pragmatista le dico che tocca agli Stati Uniti decidere dove vogliono aiutare e dove no. Era nostro diritto sostenere gli oppositori di Allende, così come è nostro diritto aiutare in Europa chi si oppone all’avanzata comunista. La CIA fa questo da trent’anni ripeto e lo fa bene. E l’Italia è l’esempio migliore, ripeto.

Mi dica, signor Colby: in nome di quel pragmatismo è mai capitato che la CIA suggerisse al suo governo un dialogo coi comunisti italiani ed europei?
Un dialogo? Non vedo come possa esserci un dialogo tra noi e loro. E poi le loro posizioni sono note: conosciamo la loro politica, i loro programmi. La buona fede di un individuo non ci interessa: un uomo in buona fede può sempre essere rimpiazzato da un altro. Quanto alle loro promesse... Anche Gromiko faceva promesse. Anche Molotov. Anche Vishinski. Promesse solenni.

Dunque fu la CIA a raccomandare che non fosse concesso il visto a Segre e a Napolitano, quando furono invitati dal Council on Foreign Affairs.
Non mi sembra utile indicare ai comunisti che siamo pronti per il loro compromesso storico. Peggio ancora, per un compromesso storico tra il PCI e gli Stati Uniti. No, non accetto quella roba. Non accetto gente che, una volta al potere, ridurrebbe la sua amicizia per gli Stati Uniti. Non ho simpatia alcuna per gente di quel tipo.

E il viaggio di Almirante a Washington?
Questa è una domanda per il Dipartimento di Stato, non per me. Io non lo conosco questo Almirante. So soltanto che è un fascista al di fuori del centro democratico. E i fascisti non mi piacciono. La CIA non c’entra proprio col suo viaggio in America. Io non ne sapevo nulla.

Ma come?! Con tutte le spie che avete nei partiti italiani vi vien a mancare un’informazione così? Perché ne avete di spie, no? Anche nel PCI.
Naturalmente abbiamo tutto l’interesse di conoscere i loro piani futuri e segreti. Naturalmente vogliamo sapere in che direzione vanno e se sono sinceri quando dicono di voler restare nella NATO. Anche il KGB ha i suoi agenti per questo. Però otteniamo le nostre informazioni anche in molti altri modi: leggendole, ad esempio. Prenda questa razionalizzazione del compromesso storico. A leggerla bene si capisce che, al di sotto dei discorsi tattici, si nasconde una dichiarazione strategica. Sicché, in due anni, tutti quei discorsi tattici possono essere sostituiti da una visione stalinista della storia. Non dimentichi che Stalin poté fare un accordo con Hitler e poi romperlo. Io credo nel leggere ciò che la gente dice di voler fare. Forse lo farà. Se avessimo letto con più attenzione Mein Kampf di Hitler...

Signor Colby, lei mi sta presentando la CIA come un’associazione di boy scouts che passano la maggior parte del loro tempo in biblioteca. Per cominciare, voi siete delle spie...
Un momento. Sì, nei tempi andati l’Intelligence era solo spionaggio. Mata Hari e via dicendo. Oggi invece l’Intelligence è un processo intellettuale che consiste principalmente nell’accumulare informazioni le quali vengono centralizzate e studiate da specialisti. Informazioni ottenute dalla radio, dalla stampa, dai, libri, dai discorsi. Per questo ci chiamiamo Central Intelligence Agency. Oltre a questo c’è l’elettronica, ci sono i computers, c’è la tecnologia insomma. E negli ultimi quindici anni la tecnologia ha talmente cambiato l’Intelligence che non c’è più bisogno di Mata Hari che ruba il segreto per darlo al generale. Voglio dire: prima ci chiedevamo quanti missili avessero i sovietici. Ora li contiamo, sappiamo quanto sono grandi, quanto vanno lontano... Naturalmente il lavoro clandestino c’è ancora, soprattutto nei paesi chiusi. Ma la vecchia Intelligence come segreto totale è finita. E la parola spia non rende l’idea, proprio perché l’Intelligence non significa soltanto spionaggio. Significa analisi, tecnologia. Una faccenda molto più grossa, molto più affascinante del lavoro alla Mata Hari. Ed è questo che rende la CIA il servizio segreto migliore del mondo.

Meglio del KGB?
Oh, il KGB è un’altra cosa. La maggior parte del lavoro del KGB si svolge nell’Unione Sovietica dove esso è l’FBI, la CIA, la polizia di Stato, i carabinieri, tutto. Naturalmente, c’è poi il resto. Qui negli Stati Uniti, al tempo delle spie atomiche, fecero alcune buone operazioni. Davvero eccellenti. Come quando reclutarono una ragazza della sezione controspionaggio del nostro Dipartimento di Giustizia, e lei rivelò tutto ciò che sapevamo sulle loro spie. Ottima operazione, ottima. E quando sistemarono un trasmettitore nel tacco della scarpa di un nostro diplomatico? Anche quello fu un colpo eccellente. Eccellente. Sa, questa è gente che lavora per il suo governo, e il fatto che io non sia d’accordo con la loro filosofia non significa che non li ritenga capaci di fare un buon lavoro. Naturalmente, bisogna distinguere tra la loro abilità e il loro scopo. Se la prima può essere ottima, il secondo può essere pessimo. Comunque le dirò che, attualmente, anche il KGB sta copiando i sistemi della CIA. Anche i russi incominciano a vedere l’Intelligence come un processo intellettuale, uno studio sofisticato, una analisi.

Signor Colby, la CIA è anche qualcosa di peggio. È una forza politica segreta che organizza complotti e colpi di Stato. È uno strumento che punisce chiunque sia contro gli interessi o la politica degli Stati Uniti. È...
Ciò a cui lei si riferisce riguarda solo il 5 per cento del nostro bilancio. Solo il cinque per cento va alle nostre attività politiche e paramilitari. Attività segrete, ovvio, e necessarie nel mondo in cui viviamo. Siamo realisti: un po’ di aiuto ad alcuni paesi, ad alcuni amici, può evitare lo svilupparsi di una crisi seria e magari la terza guerra mondiale. Negli anni Cinquanta quelle attività costituivano il trenta per cento del nostro bilancio. Negli anni Ottanta, se il mondo continua a svilupparsi in direzione totalitaria come sembra, possiamo tornare al trenta per cento. O anche di più. Ma, ora come ora, è solo il 5 per cento. E su quello avete sollevato questo illegittimo polverone. Illegittimo, sì. Non è meglio difenderci finanziando qualcuno anziché facendo la guerra?

Sì, ma qui non si tratta di finanziare e basta. Si tratta, ad esempio, di assassinare i leader stranieri. Parlo dei vostri veleni e delle vostre fiale batteriologiche per ammazzare Castro, Lumumba...
Nel 1973, prima che esplodesse questa faccenda, io detti ordini precisi contro i progetti di assassinio. Ho respinto numerose proposte di assassinio in numerose occasioni durante la mia carriera e soprattutto quando sono diventato capo della CIA. Ho sempre detto che l’assassinio era una cosa sbagliata. Però molti le risponderanno che se Hitler fosse stato assassinato nel 1938, oggi il mondo andrebbe meglio.

E dài con Hitler! Castro non è Hitler.
Castro permise all’Unione Sovietica di installare missili nucleari a Cuba, così mettendo sotto la minaccia nucleare tutte le città americane a sud-est del Mississippi.

E ciò la autorizzava ad ammazzare Castro?
Le garantisco che nell’Italia del Rinascimento molta gente discuteva, dentro e fuori la Chiesa, sui pro e i contro del tirannicidio.
Anzi la discussione era incominciata alcuni secoli prima, coi greci e i romani. Come morì Giulio Cesare? Come morivano i principi dei vari Stati italiani? L’assassinio era un’arma politica e, come tale, non è stato davvero inventato in America ieri mattina. Per favore, non venga a farmi del moralismo. Non si alzi in piedi, come italiana, per darmi lezioni di morale su quest’argomento.

Lezioni di morale forse no. Sebbene, personalmente e nel 1976, io ne abbia tutto il diritto. Lezioni di storia, sì. Le ricordo infatti che Cesare fu ucciso da un romano e non da un americano. E Pericle innalzava monumenti ai greci che uccidevano un tiranno greco, non agli americani che ammazzavano i cubani.
Però Vercingetorige fu ammazzato da Cesare, e Attilio Regolo dai cartaginesi, e una quantità di capi stranieri da Lucrezia Borgia. Io non cerco giustificazioni. Io dico che s’è sempre fatto e che è difficile per un paese dare lezioni morali a un altro paese.

Siete voi che dite d’essere più morali degli altri. Siete voi che vi presentate come l’arcangelo Gabriele. Democrazia, libertà, e via dicendo. Ora si ripara sotto le gonne di Lucrezia Borgia?
Forse la nostra morale non è perfetta ma è meglio di quella degli altri. In tutto il mondo la politica americana è guardata come un faro di libertà e le vostre calunnie sulla CIA hanno il solo scopo di ingiuriare l’America. Ho lavorato ventott’anni alla CIA e sono in grado di affermare che in ventott’anni, sono state ben poche le cose che non avremmo dovuto fare. Per esempio, aprire la posta. Sì, ci fu un periodo degli anni Cinquanta in cui aprivamo la posta in partenza e in arrivo dall’Unione Sovietica. V’era un motivo: l’America pullulava di spie sovietiche. Tuttavia non avremmo dovuto e...

Ma chi parla di posta! Qui si parla di assassinii, signor Colby!
La CIA non ha mai assassinato nessuno. Neanche Diem. Accusarci di assassinio è ingiusto. Vi furono casi in cui andammo e tentammo, è vero. Ma non riuscimmo mai. Non realizzammo mai i nostri piani.

Anche se lei dicesse la verità, signor Colby, non le sembra vergognoso che la CIA facesse progetti per ammazzare gli avversari come faceva Al Capone?
La gente fa queste cose in tutto il mondo, che sia saggio o no. Progetti di uccidere capi di Stato esistono in tutto il mondo. Io lo so. Lo so... E confermo che sono sempre stato contro l’idea di ammazzare in quel modo. Ne ho fatto una regola, nel 1973. Ho personalmente licenziato alcuni direttori della CIA perché mi proponevano cose simili. Gli ho detto: «Lei non lo farà!». Chiarito questo, le cito un motto di Jefferson: «L’albero della libertà deve essere innaffiato ogni vent’anni dal sangue dei tiranni».

Insomma, quando-ci-va-ci-vuole. È religioso, lei, Mr. Colby?
Sì, molto. Sono un cattolico osservante e rigoroso.

Di quelli che vanno alla messa ogni domenica mattina?
Sì, certo. Anche stamani sono andato.

Di quelli che credono al Paradiso e all’Inferno?
Sì, certo. Io credo in tutto quello che la Chiesa dice. Perché?

Così. Mi racconti della mafia. Dell’uso che la CIA fa della mafia.
Un caso! Un caso solo! Nel 1960! Per Castro! Quando Castro prese il potere a Cuba considerammo l’opportunità di lavorare con persone che a Cuba avevano ancora certi amici. Persone della mafia, voglio dire. Amici della mafia. E li contattammo e, secondo il nostro progetto, essi dovevano tentare di uccidere Castro. Ma fu molto... Bè, non funzionò. Allen Dulles e McCone erano direttori della CIA a quel tempo.
E McCone disse di non saperne nulla.

Bobby Kennedy però lo sapeva. Quindi lo sapeva anche John, il presidente. Sa cosa penso? Chi rimane più screditato da queste rivelazioni non è nemmeno la CIA, sono i presidenti degli Stati Uniti.
Le rivelazioni dimostrano che la CIA non è mai stata un elefante selvaggio, uno Stato dentro lo Stato, un governo al di fuori del governo, ma ha sempre lavorato come parte della politica americana. E ora che il paese sta attraversando un processo di revisionismo, la CIA è un po’ il capro espiatorio di quel revisionismo... La prova che i presidenti volessero certe azioni specifiche non è molto evidente, in alcuni casi non è neppure chiaro se il presidente lo sapesse o no. Ma i fatti indicano, semplicemente, che la CIA operava entro i limiti di una politica che sembrava autorizzarla a fare certe cose.

Infatti da Eisenhower a Nixon non se ne salva uno. E sotto Johnson quale birbanteria combinaste? Ah, sì: il golpe di Papadopulos.
La CIA non appoggiò, ripeto non appoggiò, il golpe dei colonnelli in Grecia. I colonnelli... certo non li respingemmo. Ma nemmeno li sostenemmo. Diciamo insomma che lavorammo con loro. Dopo che Papadopulos ebbe assunto il potere, tenemmo una liaison con lui per lo scambio di informazioni. E anche con Joannidis la CIA aveva la stessa liaison per lo stesso scopo. Il resto è mito. E avere buoni rapporti con qualche leader autoritario non significa mica sostenerlo. Ah, lei non vuol proprio accettare l’immagine di una CIA diversa da quella che la sua fantasia ha costruito. Lei mi ricorda la storia dei ciechi e dell’elefante. Sa quale? Arriva un elefante e i quattro ciechi gli si avvicinano. Uno gli tocca la proboscide e dice: «È una lancia». Uno gli tocca una zampa e dice: «È un albero». Uno gli tocca la coda e dice: «È un serpente». Uno gli tocca un fianco e dice: «È un muro». E nessuno di loro si accorge che, nell’insieme, è un elefante. Certo una parte della colpa è nostra. L’Intelligence dovrebbe essere segreto totale. Quando Schlesinger divenne direttore della CIA, disse: «Perché sull’autostrada non c’è un cartello che indica l’edificio della CIA?». Gli rispondemmo: «C’era ma quando Kennedy divenne presidente ci ordinò di toglierlo giudicando ridicolo che un servizio segreto fosse indicato con un cartello sull’autostrada». E Schlesinger rispose: «Rimettetelo». Così lo rimettemmo e... Ma la democrazia non dipende forse dal segreto? Il voto non è forse segreto?

Eppure lei è proprio quello che ha infranto il segreto. Si pente mai di aver rivelato tante cose ai comitati di investigazione? Poteva rifiutarsi?
Certo non mi pento di aver detto la verità. Non ho mai avuto dubbi o esitazioni sul fatto di dover rispondere alle loro domande con la verità. Quanto a rifiutarmi di testimoniare, non avrei potuto neanche se avessi voluto. La legge mi ingiungeva di parlare. Non avevo scelta. Non mi aspettavo nemmeno che le mie rivelazioni restassero segrete. Però non credevo che certi casi venissero così sensazionalizzati. Il fatto è che non è comodo vivere in una società aperta come quella americana. Consideri il caso di Richard Welsh, l’agente della CIA ammazzato ad Atene. Sa come sono andate le cose? Un anno fa un funzionario chiamato John March scrisse un articolo, qui a Washington, sostenendo di sapere come si fa a identificare nelle varie ambasciate chi lavora per la CIA. E lo dimostrò. Avremmo potuto impedirlo? No. Avremmo potuto impedire che i vari nomi fossero pubblicati? No. La nostra legislazione è debole in quel senso. Perché il rapporto Pike non fosse pubblicato è stato necessario l’intervento del Parlamento. E perché il Parlamento giungesse a tanto è stato necessario che Welsh morisse. Una perdita enorme per noi della CIA. Enorme. Era un agente estremamente abile.

Era stato anche in Cile?
Non so, era stato in vari paesi dell’America Latina.

Parliamo un po’ del rapporto Pike. Anche nel rapporto Church la CIA fa una pessima figura. Ma in quello di Pike, siamo sinceri, passa proprio da cretina. Non si sa se ridere o piangere, ecco.
Il rapporto Pike è assolutamente parziale, totalmente prevenuto, e scritto con l’intenzione di screditare la CIA. Il rapporto Church, cioè quello sugli assassinii e sul Cile, è abbastanza giusto. Quello Pike è... è... Non c’è nemmeno tutto quello che ho detto! Lui afferma che lo spionaggio della CIA è così cattivo che, se l’America fosse attaccata, non lo saprebbe in tempo. È una dichiarazione falsa. E insensata. E irresponsabile. Tutto ciò che Pike afferma in quel senso non viene nemmeno dalle sue investigazioni: viene dalle nostre stesse critiche. Lui non ha fatto che prendere le nostre carte e copiarle. Ma non le carte che parlano dei nostri successi: quelle che parlano dei nostri insuccessi! Prenda l’esempio del Medio Oriente. Nella primavera del 1973 noi dicemmo al nostro governo che, ammeno di un intervento politico, con probabilità ci sarebbe stata una guerra nel Medio Oriente. E demmo tutte le informazioni a sostegno di questa tesi. La sera del 5 ottobre valutammo le cose in altro modo: «Alcuni segni indicano che la guerra non ci sarà. In complesso riteniamo dunque che la guerra non ci sarà». D’accordo, questo secondo dispaccio fu un errore. Però, mesi prima, avevamo detto che forse la guerra ci sarebbe stata, e alla CIA non leggiamo mica il futuro dentro una palla di cristallo, no? Non lo sappiamo mica al cento per cento tutto quello che accadrà domani, no?

Signor Colby, per una Intelligence che si vanta d’essere la migliore del mondo, l’errore mi sembra grossino. Quasi grosso come quello che commetteste in Cecoslovacchia quando per due settimane «perdeste» l’esercito sovietico e fu l’ambasciatore sovietico a dire a Johnson cosa stava accadendo. Quanto al Portogallo... Non sapevate nulla neanche sul Portogallo.
Sapevamo qualcosa, checché ne dica il signor Pike. Sapevamo che c’erano dissensi nell’esercito, che c’era disagio. E lo dicemmo al nostro governo. Il Portogallo, guardi... Come per la guerra tra gli arabi e Israele, uno può conoscere il quadro nel suo insieme e poi fare piccoli errori. Il Portogallo non lo seguivamo nei dettagli perché a quel tempo non era importante.

Però, dopo, lo avete seguito bene. No?
Eh, sì. Certo. Ora sappiamo tutto quel che succede, eccome. Uno non dà molta importanza a ciò che succede nell’Antartide oggi. Ma, se nell’Antartide scoppia una guerra, le cose cambiano.

Voglio dire, tutte quelle sommosse nel nord del Portogallo quando i cattolici si ribellarono a Cunhal. Uno zampino di CIA... eh?
La gente come lei vede la CIA sotto ogni divano. La vede perfino nei concorsi per l’elezione del più bel cane dell’anno. Ma quello, ripeto, riguarda solo il cinque per cento delle attività della CIA. Non abbiamo il tempo di trovarci in ogni villaggio del mondo. Il Portogallo... cosa vuole che le dica del Portogallo? È ragionevole dedurre che, dopo, abbiamo lavorato molto duramente su ciò che stava succedendo.

Un aiutino qua, un aiutino là...
No comment. Né sull’Italia, né sul Portogallo, né su alcun paese specifico.

Suvvia, signor Colby. Non vorrà farci credere che l’Italia è il solo paese dove la CIA ha speso miliardi. Perché non mi parla, ad esempio, della Germania?
Certi paragoni non sono possibili. Ogni paese è un caso a parte. Noi ci preoccupiamo e ci siamo sempre preoccupati di tutti i paesi europei. L’Europa è molto importante per gli Stati Uniti. Tutta. E non direi proprio che l’Italia sia il paese dove abbiamo dovuto lavorare di più. Quanto alla Germania... ha abbastanza soldi per conto suo. Io posso dirle soltanto che il posto dove noi della CIA abbiamo avuto maggiore successo nel mondo è, indiscutibilmente, l’Europa occidentale. Un programma davvero riuscito.

Signor Colby, chi ha voluto che lei lasciasse la direzione della CIA? Kissinger?
No. Kissinger è sempre stato un grande sostenitore dell’Intelligence. Tra me e lui vi sono stati momenti di accordo e di disaccordo, però non siamo affatto nemici. Di Kissinger non posso che dire un gran bene: ritengo che sia stato un eccellente segretario di Stato e che meriti un Premio Nobel per la Pace. Un altro. Sì. Per il Medio Oriente. Io sono fuori della CIA perché il presidente mi fece sapere che intendeva offrirmi un altro lavoro e... Il presidente può avere molte ragioni per cambiare il capo della CIA. È un suo privilegio e... Mi offrì un altro lavoro ma io lo rifiutai. Gli dissi che avrei servito meglio la CIA scrivendo un libro su ciò che la CIA è veramente e... Del resto, quando ebbero inizio le investigazioni senatoriali, io fui il primo a dire che al mio posto ci sarebbe voluto una faccia nuova. Le assicuro che non v’è in me nessuna amarezza.

Lo vedo. Niente scuote il suo gelo, la sua imperturbabilità.
Non sono un emotivo, lo ammetto. Però alcune cose mi feriscono. Come quando fui nominato capo della CIA e un gruppo innominato riempì Washington di manifesti che mi definivano assassino. La cosa mi ferì. Molto. Proprio come quando lei dice che la CIA è una associazione di assassini. Per settimane i miei figli dovettero vivere con quei manifesti e...

Capita mai che i suoi figli le diano di «sporco reazionario»?
Reazionario... no. Conservatore semmai. Ci sono discussioni in famiglia. I miei figli erano contro la guerra in Vietnam, si figuri e... Non smentisco d’essere un conservatore. Votai per Nixon. E ancora oggi ritengo che, in politica internazionale, egli abbia fatto un lavoro splendido. Pensi alla Cina, a...

... al Cile, a Cipro, al finanziamento dei democristiani e dei socialdemocratici in Italia. Signor Colby, sono esausta. Solo quando intervistai Cunhal soffrii quanto ho sofferto con lei.
Mi dica, mi dica: che tipo è Cunhal?

Gliel’ho detto: in fondo, un tipo come lei.
Cosa?!?

Sì, un prete come lei. Oh, non capirà mai, signor Colby, quanto vi assomigliate voi due. Se fosse nato dall’altra parte della barricata, lei sarebbe uno stalinista perfetto.
Respingo con sdegno questa affermazione. Però, forse... No, no. E non sono un prete. Tutt’al più sono un puritano. Nessun’altra domanda?

Una sola. Posso leggere il rapporto che la CIA ha su di me?
Secondo la legge americana, lei può scrivere una lettera alla CIA e chiedere di leggere qualsiasi cosa abbiamo su di lei. Le costerà qualcosa, spese di francobolli eccetera, ma le faranno vedere tutto. Ammenoché non esista qualche ragione per tenere segreto il rapporto. Antropov, il capo del KGB, può fare lo stesso. Non è ridicolo?

No, è sconcertante. Ma tutto ciò che mi ha detto era sconcertante,
signor Colby. E molto, molto triste.

http://www.oriana-fallaci.com/colby/intervista.html

Andreotti e la Cia: i diari dell'ex Presidente

tratto da La Stampa - I DIARI DELL’EX PRESIDENTE: CHIESI PIÙ VOLTE CHE FOSSE FATTA LUCE SUI SOSPETTI Andreotti e la Cia «Qualcuno dei miei mi tese una trappola» «Circolava la voce che Washington pagasse la Dc ma certo quel denaro non lo presi io» - 9/12/2005 di Paolo Mastrolilli e Maurizio Molinari ROMA. L'appuntamento è alle 10 del mattino nel suo studio al primo piano di Palazzo Giustiniani. Giulio Andreotti ha preparato sulla scrivania alcune cartelline di documenti con sopra scritto, a penna blu, «C.I.A. - Lettere, Telegrammi, Interviste, Corrispondenza». Il fascicolo «Central Intelligence Agency» che le contiene è il numero 323/33. L'ex presidente del Consiglio, dopo aver abbassato il volume della tv a circuito chiuso che trasmette in diretta i lavori del Senato, lo apre, passando di foglio in foglio per mettere assieme i tasselli della memoria che riguardano i servizi segreti americani. Il primo è un telegramma all'ambasciatore Usa a Roma, Graham Martin, datato 11 maggio 1970. Il secondo è la traduzione di un articolo di Seymour Hersh, pubblicato dal quotidiano militare «The Stars and Stripes» del 14 maggio 1973, nel quale si racconta che proprio il rappresentante diplomatico americano aveva chiesto nel 1970 di «rinnovare i finanziamenti segreti al maggiore partito politico italiano», ovvero la Democrazia Cristiana. Quelle accuse di Martin, su fondi per sei milioni di dollari arrivati ad una cinquantina di politici democristiani, si ritrovano in una miriade di ritagli di giornali conservati dentro le cartelline, assieme ai documenti con le contromosse di Andreotti. La più importante è una lettera all'ambasciatore degli Stati Uniti a Roma John Volpe, il 26 gennaio 1976, nella quale il leader Dc informava Washington di aver fatto approvare alla direzione del suo patito una richiesta al presidente americano affinché «non si serva del veto per impedire che vengano pubblicati dal Congresso documenti relativi ad attività della Cia in Italia e in Angola».
SOLDI ALL’ITALIA
Il presidente del Consiglio chiedeva di pubblicare i risultati dell’indagine congressuale guidata dal deputato di New York Otis Pike, relativa ai fondi destinati alla Dc. «Osservo solo - continuava il testo della lettera - che quando la stampa insinua che vi siano stati uomini e partiti politici italiani finanziati dalla Cia, e si affacciano anche insinuazioni ed ipotesi, è necessario che tutta la verità venga fuori senza riguardi per chicchessia. Proprio coloro che da sempre sono stati e si onorano di essere amici degli Stati Uniti, senza aver mai ricevuto né chiesto alcun beneficio personale o di gruppo, hanno il diritto a non vedere ombre di alcun genere su aspetti così delicati di correttezza e di indipendenza». Andreotti si riteneva innocente e voleva provarlo: «Un chiarimento mi sembra tanto più necessario in quanto l’Usis del 9 gennaio ha diffuso un’intervista televisiva del signor William Colby (ex capo della Cia a Roma e poi direttore dell’Agenzia, ndr) nella quale è detto: “Non abbiamo speso neppure un centesimo in Italia negli ultimi mesi”. Non aggiungo altro». La dichiarazione di Colby lasciava intendere che prima degli «ultimi mesi» la Cia avesse speso nella penisola. Questo aveva attirato l’attenzione del procuratore della Repubblica Siotto, che il 12 febbraio 1976 aveva chiesto al presidente del Consiglio e al ministro degli Esteri di ottenere una copia del rapporto Pike, per «urgenti ragioni di giustizia penale». La domanda del magistrato aveva avviato un lungo tira e molla fra le due sponde dell’Atlantico, con i diplomatici italiani inutilmente impegnati a cercare il documento sui finanziamenti della Central Intelligence Agency a partiti e uomini politici di Roma. Il 26 febbraio si era mosso ancora Andreotti con un telegramma personale a Martin - in quel momento al desk Vietnam del Dipartimento di Stato - affinché facesse luce sui sospetti che aveva sollevato, con ripetute dichiarazioni che indicavano proprio nel presidente del Consiglio uno dei maggiori destinatari dei fondi americani alla Dc. «Poiché la stampa ha pubblicato, non so se esattamente o meno, sue dichiarazioni al Comitato Pike circa contributi erogati in Italia a personaggi e candidati politici, mi sembra doveroso che, indipendentemente dai chiarimenti ufficiali che mi auguro siano forniti dalla Casa Bianca e dal Congresso, lei personalmente fornisca precise indicazioni alla opinione pubblica italiana». Andreotti in sostanza sollecitava Martin a parlare anche fuori dai canali ufficiali, perché aveva il dovere di risolvere lo scandalo: «Credo che, come me, tutti i sinceri e disinteressati amici degli Usa abbiano il diritto a chiedere questo chiarimento. Aggiungo che essendo io stato uno dei presidenti del Consiglio durante il suo periodo di ambasciatore in Roma, ritengo di avere una veste particolare chiedendole di non ritardare una completa e inequivoca messa a punto». Andreotti alla fine aveva avuto un contatto diretto con Otis Pike, ma solo nel maggio del 1978, quando il deputato responsabile dell’inchiesta sui fondi Cia gli aveva scritto una lettera in occasione dell’omicidio di Aldo Moro: «Caro signor Primo Ministro, io sono stato in politica per 25 anni, 18 dei quali in Congresso. Potrebbe aver sentito il mio nome in connessione con l’inchiesta sulla nostra Central Intelligence Agency e il suo presunto ruolo in Italia alcuni anni fa. Tutto il mondo civile piange il brutale e codardo assassinio di un uomo anziano e indifeso, che era stato anche premier della vostra grande nazione. Questa lettera, tuttavia, vuole esprimere il mio sostegno personale e l’ammirazione per le decisioni tremendamente difficili che lei e il suo governo hanno dovuto prendere nelle ultime settimane». L’appoggio di Pike era totale: «Gli occhi del mondo sono stati puntati su di lei, ed io so che è stato terribilmente lacerato fra il sentimento di compassione e responsabilità verso la sofferenza di un essere umano e della sua famiglia, e i doveri verso i concetti della legga, la giustizia e l’umanità con cui tutte le nazioni civili devono governarsi. Se la storia ci ha insegnato qualcosa, ciò è che cedere al terrore non ha mai soddisfatto o pacificato i terroristi. Piuttosto li ha rafforzati, indebolendo la civiltà. Volevo semplicemente farle sapere che milioni di persone in tutto il mondo hanno condiviso la sua angoscia, e credono tuttavia che le terribili decisioni a cui lei è stato forzato fossero corrette. Con rispetto e ammirazione, Otis G. Pike».
NEMICI MISTERIOSI
Più sfoglia i documenti, più la voce di Andreotti descrive lo stupore di allora per le accuse ricevute, che si unisce alla curiosità ancora inappagata su chi ricevette davvero quei milioni di dollari da Washington. «Martin prima si autodefinì come uno che aveva salvato l’Italia, poi disse dei soldi dati alla Dc e mi chiamò in causa. Ma io non li ho mai visti, non mi sono mai occupato del partito. Con tutti quei dollari mi sarei rifatto una posizione». Dunque chi prese quel danaro? «Io davvero non lo so, non l’ho mai saputo». Non ne parlò mai con Amintore Fanfani, anche lui chiamato in causa dalle rivelazioni dell’epoca? «Non ricordo di averlo fatto» ribatte il senatore, lasciando trasparire il proprio disappunto per essere stato forse usato come parafulmine da qualche altro democristiano. «D’altra parte spesso ho subito trabocchetti. Il fatto che a qualcuno davo fastidio non deve sorprendere. A cominciare dal mio partito. C’era chi faceva la fila dal 1921, e invece io da giovane, senza una famiglia importante alla spalle, diventai subito sottosegretario alla presidenza con De Gasperi. Il giorno in cui lui morì, ci fu un ministro che disse alla sua segretaria: “Adesso ci leviamo Andreotti dalle scatole”. Poi lei stessa me lo rivelò, con un velo di commozione».
CRAXI E REAGAN
Più l’ex presidente del Consiglio si racconta e legge le carte che ha davanti, più svela l’amaro dubbio che sia stato qualche suo compagno di partito a tenerlo costantemente nel mirino. Sull’ipotesi che questi avversari interni abbiano trovato alleati a Washington quando arrivarono prima Tangentopoli e poi le accuse di associazione mafiosa, si mostra prudente: «La Cia è una cosa, il Dipartimento di Stato un’altra, la Dia un’altra ancora, e la Casa Bianca sta per conto proprio. Tangentopoli fu un fatto interno. A questo proposito ricordo la fierezza di Craxi: una volta fece una lavata di testa a Reagan per il sostegno a Pinochet, ma nella loro conferenza stampa non se ne parlò. Per gli americani il suo appoggio sugli euromissili era più importante persino della crisi di Sigonella». Poi, però, Andreotti si sofferma su un ricordo: «Una volta comprai per tre dollari alla Libreria del Congresso un libricino sui piani della Cia per uccidere capi di stato stranieri. Trujillo ci passò veramente. A volte questi piani riescono». Quindi ricostruisce la testimonianza del pentito Marino Mannoia, «che mi accusava di essere filoarabo» durante il dibattimento di Palermo. «In effetti in quel processo da un lato ho avuto la solidarietà ufficiale dagli Stati Uniti, perché sono venuti a deporre a mio favore tre ex ambasciatori, Maxwell Rabb, Peter Secchia e Vernon Walters, ma dall’altro uno di questi personaggi, forse legato alla Dia, disse che avevo una segretaria con cui mi telefonavo tutti i giorni in America. Era una balla assoluta, che oltretutto poteva mettermi in difficoltà con mia moglie. Ma perché disse questo? Ancora non lo so». Dalla Dia a Mannoia il passo è breve: «C’è un’altra cosa che mi ha inquietato. Ho letto nei giornali che uno di questi collaboranti, Marino Mannoia, ha una villa a New York, e non credo gliela lasciò la nonna. Comunque so che dall’Italia riceveva uno stipendio favoloso. Inoltre, su richiesta di un magistrato americano, il procuratore Caselli gli diede la garanzia che qualunque cosa avesse detto al processo, non poteva essere usata contro di lui in Italia. In poche parole, io non avrei potuto neanche querelare Mannoia». Insomma Andreotti ritiene che tanto a Washington, quanto nella Dc, vi fosse qualcuno che tentò a più riprese di fargli lo sgambetto. Così uno degli uomini che hanno fatto la storia d’Italia si interroga ancora sui possibili tradimenti subiti, come su episodi della politica più recente sui quali continua non vederci chiaro. E’ il caso della caduta del governo Prodi alla fine del 1998: «Fu una vicenda strana, cadde per un solo voto. La Pivetti era a Milano, e il giorno prima della fiducia aveva chiamato per sapere se doveva venire alla votazione, ma le risposero che non serviva. Dopo arrivò D’Alema, che fece la guerra in Kosovo. Poi, a conflitto terminato, venne sostituito da Amato. E’ come se vi fosse stato davvero qualcuno a tessere i fili dell’Italia».
I FONDI DEL PCUS
Prima di richiudere i fascicoli e tornare ad occuparsi dei lavori al Senato, Andreotti ha ancora tempo per raccontare che sta leggendo i diari di Benedetto Croce: «Il 28 ottobre del 1922 appuntò che stava sbrigando la propria corrispondenza», come se la Marcia su Roma stesse avvenendo su un altro pianeta. Quindi l’ex presidente del Consiglio torna con la mente ad un altro dei misteri d’Italia, l’assassinio di Giovanni Falcone. «Quando fu ucciso, Falcone aveva condotto e stava conducendo un’inchiesta sui fondi del Pcus passati per l’Italia, ed aveva in programma l’incontro con un giudice russo per i primi di giugno. Qualcuno sostiene che per il suo omicidio vi siano due piste, questa e quella di Cosa Nostra. Anche perché l’attentato avvenne in maniera più scientifica rispetto ai tradizionali delitti di mafia. C’è un telegramma che ho visto, secondo cui i magistrati russi sarebbero dovuti arrivare proprio in quei giorni». Sui fondi di Mosca la memoria è lucida: «I finanziamenti al Pci? Noi facevamo anche dell’ironia: visto che Mosca pagava in dollari, dicevamo che in fondo aiutavano l’economia nazionale. Ogni mese i soldi arrivavano al Partito comunista in una valigetta portata a mano da un’ambasciata di un diverso Paese dell’Est». Un ultimo pensiero è per il rapimento Moro: «Nel 1949 Dossetti e altri esponenti della sinistra erano contro l’alleanza militare con gli Usa, ma lui non era fra loro. La Cia non c’entrava col suo omicidio».

 http://guide.supereva.it/alleanza_nazionale/interventi/2005/12/236480.shtml

La burocraC.I.A. del terrore di Noam Chomsky (traduzione dal periodico "In these times" di Chicago)

Nel gennaio 1976 la Commissione Pike della Camera dei deputati degli Stati uniti completò il suo rapporto sulla CIA e sull'FBI. benché fosse ufficialmente coperto da segreto il documento trapelò alla stampa e comparve il 16 e il 23 febbraio sul Village Voice. Il rapporto definitivo della Commissione senatoriale (Commissione Church) sulle attività dei servizi segreti fu reso pubblico in aprile. Il documento veniva a integrare la vasta serie di formazioni provenienti dalle aule dei tribunali e da altre fonti. L'analisi di questo materiale dà modo di comprendere a fondo il ruolo dei servizi segreti americani all'interno e all'esterno del paese e l'evoluzione della politica nazionale e internazionale degli Stati uniti dal dopoguerra ad oggi.
I documenti rivelano che la CIA e l'FBI sono stati impegnati in azioni sovversive, terroristiche, di istigazione alla violenza e di disgregazione dei movimenti d'opposizione in tutto il mondo. Non si trattò di attività sporadiche o "prive di controllo", bensì di azioni sistematiche, relativamente indipendenti da cambiamenti politici e in generale organizzate ai più alti livelli dello stato. Ma quali furono queste attività della CIA?
Secondo il Comitato Pike, tutte le prove indicano che la CIA, lungi dall'essere priva di controllo, ha eseguito fedelmente le istruzioni del Presidente e dell'addetto alla sicurezza nazionale. La "stragrande maggioranza" delle sue "attività segrete" furono ispirate da organismi esterni alla CIA, cioè da quegli organismi civili che di fatto utilizzano la CIA come il braccio armato della presidenza.
Una delle funzioni della CIA, fin dalle sue origini, fu quella di minare i governi nei paesi alleati o sottoposti al dominio degli Stati Uniti. Dal 1948 al 1968 la CIA e "organizzazioni collegate" spesero solo in Italia più di 65.000.000 di dollari per sconvolgere il quadro politico di quel paese. Tutto questo rientrava nel quadro delle iniziative prese dal governo degli Stati Uniti, e favorite dalla burocrazia del lavoro, per spaccare e indebolire il movimento operaio e, in generale, per rafforzare il capitalismo e garantire agli USA il dominio del mondo industriale. La Commissione Pike fornisce i seguenti dati: dal 1965 ad oggi, il 32% delle attività segrete approvato dalla Commissione dei Quaranta avevano come obiettivo il finanziamento di campagne elettorali a favore di partiti e uomini politici stranieri. La Commissione dei Quaranta è un organo cui spetta la supervisione e l'approvazione delle attività dei servizi segreti ed è sottoposto al diretto controllo del Presidente. I tentativi di indebolire i governi costituiscono di gran lunga l'attività principale della CIA e sono diretti soprattutto verso il Terzo Mondo. Tra questi non sono compresi i tentativi del governo e di altri organismi ad esso collegati di interferire in paesi come il Cile o, più recentemente, la Thailandia.
Lo stesso vale per la politica interna. La Commissione Church riferisce che tutte le amministrazioni, da quella di Franklin D. Roosevelt a quella di Richard Nixon, hanno avallato e a volte addirittura incoraggiato le attività di spionaggio del governo in campo politico. Il bersaglio principale, ma non l'unico, fu la sinistra. Le indagini sul N.A.A.C.P. (National Association for the Advancement of Colored People) ad esempio, si protrassero per oltre 25 anni, anche se non si riuscì mai a scoprire nulla che smentisse i risultati del primo anno di indagine, e cioè la spiccata tendenza di questa organizzazione a non compromettersi con attività comuniste.
Le indagini e il tentativo di smembrare il Socialist Workes Party furono portati avanti per 34 anni e di fatto continuarono per molto tempo anche dopo che presumibilmente il partito aveva cessato di esistere. Ciò che la Commissione Pike chiama razzismo dell'FBI raggiunse il culmine negli anni '60, con la crescita del movimento dei neri e di quello per i diritti civili. Le azioni programmate per indebolire questi movimenti e screditarne i leaders iniziarono al tempo di Kennedy, si fecero più massicce sotto la presidenza di Johnson e Nixon, per arrivare infine ad una vera e propria istigazione alla violenza e all'omicidio e, pare, alla complicità dell'FBI nell'assassinio dei leaders della Pantere Nere Fred Hampton e Mark Clark. Anche la CIA esercitava un'intensa attività all'interno del paese. La Commissione Church riferisce, per esempio, che circa 250.000 lettere private furono aperte e fotografate dalla CIA negli Stati Uniti tra il 1953 e il 1973, consentendo la schedatura a mezzo computers di 1 milione o 1 milione e mezzo di persone.
Le attività sovversive dei principali servizi segreti sono state volta a volta ridimensionate in rapporto alla gravità dei fenomeni che si presumeva presentassero una minaccia per la politica del governo. La violenza diretta contro il movimento pacifista e le provocazioni ad opera di agenti infiltrati crebbero negli anni '60. Verso la metà del decennio tutte le "università libere" erano controllate dall'FBI. La Commissione Church riferisce che l'FBI nel 1970 promosse indagini su tutti i membri dell'SDS (Students for Democratic Society) e su tutti i gruppi di studenti neri e altre organizzazioni simili. In tutto il paese, agenti dell'FBI, infiltrati e gruppi terroristici clandestini alimentarono la violenza con attentati dinamitardi, omicidi, rapimenti, pestaggi, rapine e così via. All'estero la situazione non era diversa.
Il rapporto Pike fa luce sulle gravi conseguenze della incompetenza dei servizi segreti. Nell'ottobre '73, per esempio, le proteste sovietiche per le violazioni del cessate il fuoco in Egitto da parte degli israeliani portarono il mondo sull'orlo di un conflitto nucleare. Secondo la Commissione Pike, i servizi segreti americani si fidarono ciecamente (sic) dei bollettini di guerra israeliani, eccessivamente ottimisti. L'Unione Sovietica, che disponeva di informazioni più precise al riguardo, reagì duramente alla violazione della tregua e giunse perciò a un diverbio con gli Stati Uniti. Le minacce di un intervento militare sovietico misero in allarme le truppe americane in tutto il mondo. L'ottusità e la leggerezza dei servizi segreti avevano portato l'America sull'orlo della guerra.
Leggendo tra le righe potremmo supporre che le violazioni di cui parlavano i rapporti eccessivamente ottimisti apparissero da questi assai meglio riuscite di quanto non fossero realmente e di quanto avessero constatato i servizi segreti russi. Indirettamente perciò il rapporto della Commissione Pike induce ad alcune interessanti riflessioni sulla politica perseguita in quegli anni dal governo americano.
Alcune delle attività della CIA spiccano per particolare cinismo. Per limitarci a un solo esempio: la CIA appoggiò in Iraq la rivolta dei curdi, mentre il governo degli Stati Uniti cercava di impedire la creazione di un assetto politico che avrebbe potuto garantire a quel popolo un minimo di autonomia. Inoltre, Kissinger, Nixon e lo Scià si accordarono per una politica di "non-vittoria", per far continuare la rivolta e compromettere sia le sorti del paese, sia quelle del movimento curdo. Un brusco mutamento nella linea politica internazionale rappresentò infine la condanna dei curdi e gli USA negarono ai loro ex-alleati, schiacciati con la forza, anche la più elementare assistenza sul piano umanitario. Un alto funzionario del governo giustificò questo fatto presso la Commissione Pike dicendo: le attività segrete non devono essere confuse con l'opera missionaria. 200.000 curdi riuscirono a trovare scampo nella fuga. L'Iran, tuttavia, ne rimandò indietro a viva forza 40.000 e il governo americano si rifiutò di concedere loro asilo politico, anche se ne avrebbero avuto pieno diritto.
Tuttavia, il rapporto della Commissione Pike non prende in esame tutte le più sordide attività delle organizzazioni terroristiche governative. Non dice nulla, perciò, della guerra segreta della CIA nel Laos o del programma Phoenix nel Vietnam, che, secondo il governo di Saigon, causò oltre 40.000 vittime e fu un vero e proprio massacro indiscriminato. La Commissione Church porta numerose prove per dimostrare che l'FBI tentò di scatenare guerriglie tra bande rivali nei ghetti neri, ma non parla a sufficienza delle atrocità perpetrate nel corso della campagna per l'eliminazione e la distruzione del Black Panther Party, così come non indaga sulle istigazioni alla violenza, sui finanziamenti e il rifornimento di armi ai gruppi terroristici, sulla copertura di attività criminali e simili di cui i servizi segreti si resero responsabili a San Diego e in altre città americane. Il rapporto, comunque, fornisce elementi sufficienti a farci comprendere fino a che punto il governo degli Stati Uniti si adoperò attivamente per garantire, in patria e all'estero, un ferreo controllo sociale attraverso l'uso di mezzi illeciti, quali l'istigazione alla sovversione, la forza e la violenza.
Un'indagine più accurata farebbe risalire le attività dei servizi segreti politici al Terrore Rosso degli anni immediatamente successivi alla I guerra mondiale, quando Edgar J. Hoover guadagnò una posizione di sempre maggior rilievo nel quadro delle attività del governo per la distruzione della sinistra e del movimento operaio, con l'appoggio della stampa e degli industriali. Erano i tempi del procuratore generale Palmer, che disse di voler estirpare le radici del movimento rivoluzionario, che hanno stretto le idee americane nella morsa letale delle loro venefiche teorie.
Di fatto, però, tutto ebbe inizio molto prima di allora. Bisognerebbe analizzare il ruolo non indifferente giocato dal liberalismo americano nello sviluppo e nella giustificazione dei meccanismi di controllo ideologico e bisognerebbe poi risalire fino ai giorni nostri, citando i discorsi del genocida Henry Kissinger sulla moralità in politica estera, non mancando di notare che essi furono riportati senza alcun commento dalla stampa liberale. Si giungerebbe inevitabilmente alla conclusione che nulla muterà, di fatto, fino a quando non si svilupperanno, nel nostro paese come nel resto del mondo, movimenti di massa in grado di contrastare efficientemente l'azione violenta dello stato, diretta e organizzata da coloro che detengono il potere di governo in virtù di un incontrastato dominio sull'economia privata.


 http://www.arivista.org/?nr=079&pag=79_08.htm

domenica 20 settembre 2015

L’Intervista proibita! Ecco L’Impero invisibile di chi comanda affinché si attui il NUOVO ORDINE MONDIALE! Video Scritto il settembre 19, 2015 by lastella Facebook2.9k Google + Intervista a Daniel Estulin. Assolutamente da leggere… Importanti rivelazioni e colpi di scena!! Inoltre potrete guarda anche una VIDEO-INTERVISTA dai contenuti davvero scottanti… La trovate in fondo all’articolo! Quello che nessuno dice, porterà all’inizio del nuovo ordine mondiale, che annienta chi è di troppo…

Tutti gli eventi sono tra loro interconnessi. Tutti facciamo parte di un disegno architettato per uno scopo finale… Legato ad ottenere la supremazia del Nuovo Ordine Mondiale…
Daniel Estulin. Ex KGB nasce il 29 Agosto 1966 a Vilnius. E’ uno scrittore russo interessato principalmente alle attività del Gruppo Bilderberg. Su questo argomento infatti, ha scritto alcuni libri tra cui Il Club Bilderberg, pubblicato in Italia per la prima volta nel 2009. Scaturendo non poche polemiche… Daniel Estulin è figlio di un dissidente che avrebbe combattuto per la libertà di espressione in Unione Sovietica, finendo imprigionato e torturato da agenti del KGB. Sarebbe stato questo il motivo del trasferimento in Canada dell’intera famiglia. Di qui Daniel Estulin si trasferì poi a vivere in Spagna.
A motivo delle sue esperienze e di quanto ha scritto nel suo libro, essendosi documentato per molto tempo, ci tiene a spiegare che “la Terra è un pianeta piccolo” e che, per andare fino in fondo, è fondamentale capire chi tira le fila. Perché “noi siamo solo burattini”.
Le persone che tirano le fila del mondo vogliono che le guerre, la crescita zero e la deindustrializzazione ogni città del mondo assomigli a Detroit.
  “Grazie ai progressi tecnologici, le società si sviluppano, creano e costruiscono. Ma chi tira le fila del mondo sa che la terra è un pianeta molto piccolo e una popolazione è in continua crescita. Per cui vi è un conflitto vero e proprio sulla base del fatto che ora siamo 7 miliardi e stiamo già esaurendo le risorse naturali. Ci sarà sempre abbastanza spazio sul pianeta, ma non c’è abbastanza cibo e acqua per tutti.Perché i potenti sopravvivano, noi dobbiamo morire. A MOTIVO DI QUESTO, L’INTENTO DELLE NAZIONI E’ QUELLO DI DISTRUGGERE LE NAZIONI CON UNA PARTE DI POPOLAZIONE,  AFFINCHE’ CI SIA UN VANTAGGIO PER LE STRUTTURE SOVRANAZIONALI COSICCHE’ POSSANO GESTIRE AL MEGLIO LE RISORSE FINANZIARIE ED ECONOMICHE. GESTENDO AL MEGLIO IL DENARO A DISPOSIZIONE!” E Putin non rientra in questo disegno…in quanto pensavano di poterlo addomesticare a loro piacimento… E non riescono nell’intento per via della grande supremazia nucleare di cui gode la  Russia. È questo che la rende troppo pericolosa agli occhi di tutti” “Bisogna sapere che l’alleanza intera è orientata verso una struttura mondiale che per essere controllata ha bisogno di nazioni deboli. Christine Lagarde, Mario Draghi, Mario Monti, Petro Oleksijovyč Porošenko… tutte queste persone sono sostituibili. e poste nella mani di chi detiene davvero il potete globale! Per un unico scopo che è quello si distruggere per creare nuovamente…. “Il Bilderberg ha dato ordini e ha comandato per diverso tempo…Il suo ruolo è stato principale negli anni 50′, quindi nel periodo nel mondo guerra. Ora è molto meno importante di quanto non si creda. Organizzazioni come il Bilderberg o la Trilaterale non sono il vertice di nulla. Sono la cinghia di trasmissione. I veri processi decisionali hanno luogo ancora più in alto. L’Aspen institute è molto più importate del Bilderberg.” “I giornali mainstream, ovviamente fanno parte di questo gioco. Pensare che media come il New York Times, il Washington Post o Le Monde siano indipendenti, è da idioti. I giornalisti lavorano per azionisti, che decidono la linea editoriale del giornale. E QUESTO VALE ANCHE PER L’ITALIA… Secondo Daniel Estulin, anche l’estremismo e il terrorismo islamico rientrano in questo disegno.Infatti, non è pensabile credere che Obama lavori nell’interesse degli Stati Uniti rimettendoci anche la faccia… Come è impensabile credere che un’organizzazione come l’Isis sia passata, nel giro di poche settimane, dall’ anonimato più assoluto a rappresentare la peggiore organizzazione terroristica del mondo.
Qui stiamo parlando di un nemico costruito a tavolino, per di più anche finanziato! L’effetto è sempre lo stesso: si costruisce e si finanzia un gruppo terroristico, in Ucraina come in Medioriente, e dopo un certo periodo di gestazione questo ti torna indietro e ti colpisce.
Un qualsiasi attacco implica l’uso dell’esercito e, quindi, la necessità di investire soldi nell’industria bellica. La formula è la stessa, cambiano solo i giocatori. Oltre alla guerra ci sono modi diversi per ottenere lo stesso risultato: la fame, la siccità, droghe, la malattie. Li stanno usando tutti. Distruggendo dove è possibile. E L’EBOLA è solo un esempio per vedere la reazione della popolazione mondiale. Viene presentata come un’epidemia ma ha ammazzato appena tremila persone negli ultimi dieci anni. Ogni anno raffreddore, tosse e influenza ne uccidono 30mila solo negli Stati Uniti. La prossima volta che ci sarà una vera epidemia, conosceranno già le reazioni umane.”
VI PARE POCO!?!? A VOI LE CONCLUSIONI!!!!


DA jedasupport.altervista.org

 http://lastella.altervista.org/lintervista-proibita-ecco-limpero-invisibile-di-chi-comanda-affinche-si-attui-il-nuovo-ordine-mondiale-video/

domenica 6 settembre 2015

Spunta il tesoretto dell'Avvocato

I pm di Milano: occultati all'estero beni di Gianni Agnelli
 di Alessandra Ricciardi 

Un nuovo capitolo nella saga dell'eredità Agnelli. Un capitolo che lascia ancora aperta la porta ai dubbi relativi alla reale consistenza e dislocazione del patrimonio dell'Avvocato, deceduto nel 2003. Questi i fatti: ieri la procura di Milano ha chiesto l'archiviazione per Margherita Agnelli e per l'avvocato Charles Poncet, indagati per tentata estorsione ai danni dell'avvocato Emanuele Gamna accusato, a sua volta, di falso in scrittura privata.
Stando ad una prima ricostruzione della procura, la figlia di Agnelli e Poncet avrebbero fatto pressioni su Gamna, minacciando una denuncia per evasione, perché firmasse un documento in cui riconosceva di aver lavorato non per Margherita, ma a favore di Gianluigi Gabetti e Franz Grande Stevens per pilotare i fondi neri dell'eredità Agnelli verso il figlio di Margherita, John Elkann, oggi a capo dell'impero di famiglia. Chiusa l'indagine, la procura ha chiesto l'archiviazione per Margherita e i due legali. Nell'ambito dell'inchiesta sarebbe emerso un vero tesoretto gestito e custodito all'estero e finora sfuggito alla rendicontazione del patrimonio di Gianni Agnelli: nel novero, due società offshore e una finanziaria riconducibili all'Avvocato. Su cui la magistratura italiana però, a quanto si apprende, non è stata in grado di fare ulteriori accertamenti per la mancata collaborazione, è l'argomentazione addotta, delle autorità locali del Liechstein e della Svizzera. Ma pure in assenza di prove processualmente definite, i pm ritengono «verosimile» l'esistenza di un patrimonio immenso in capo al defunto Agnelli, che al momento non è possibile individuare e quantificare, ma che sarebbe comunque più ampio di quello ad oggi conosciuto ai fini dei passaggi ereditari. Così stando le cose, «l'iniziativa giudiziaria promossa da Margherita Agnelli» per ottenere una fetta maggiore di eredità paterna, «non può essere liquidata come una pretesa avventata», scrivono i magistrati, «e non possono escludersi, in linea teorica, accordi tra le persone coinvolte per marginalizzare Margherita Agnelli sul piano economico». I primi indizi conducono gli inquirenti alla Morgan Stanley di Zurigo, su cui graverebbe un conto non inserito nella dichiarazione dei redditi di Agnelli per gli anni di imposta 2002 e 2003 e che ammonterebbe a un miliardo. Altri indizi hanno condotto i pm a Vaduz, dove avrebbero sede fondazioni e società offshore riconducibili sempre all'Avvocato. Dalle indagini sarebbero spuntati anche tre moli sulla costa Azzurra. Insomma, ci sarebbero beni sfuggiti all'eredità ufficiale, tanto da poter far escludere a carico della figlia dell'Avvocato il reato di tentata estorsione. Il procedimento è nato nel 2004, quando la stessa Margherita impugnò l'eredità contestando l'esistenza di altri beni mobili e immobili rispetto a quelli censiti. La madre di John Elkann puntava il dito contro Grande Stevens, Gabetti e Sigrifid Maron, colpevoli, a suo dire, di volerla escludere delle attività del gruppo. Intanto, sempre ieri Gabetti e Grande Stevens sono stati condannati a un anno e quattro mesi nel processo d'appello, a Torino, per l'equity swap di Ifil-Exor, l'operazione finanziaria che nel 2005 permise a Ifil di restare l'azionista di riferimento della Fiat.
Per Gabetti e Grande Stevens, a cui è stata concessa la sospensione condizionale, c'è anche la pena accessoria dell'interdizione per un anno dai pubblici uffici, alla quale si aggiunge, per Grande Stevens, l'interdizione dall'esercizio dell'avvocatura. Su questo filone, come su l'altro dell'eredità, tutti sono pronti a scommettere che non è affatto finita.

 http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=1812819&codiciTestate=1