Passione offshore, i paradisi di Silvio In vent’anni di indagini scoperti un miliardo e 277 milioni nascosti al Fisco. È il primato dell’ex Cavaliere. Rivelato in un libro-inchiesta di Paolo Biondani
In Italia c’è abbondanza di
evasori. Ma anche in questo campo Silvio Berlusconi non ha rivali. Dopo
la condanna definitiva per frode fiscale, consacrata il primo agosto
2013 dalla Cassazione, ora è possibile fare un primo bilancio completo e
documentato sui fondi neri scoperti in vent’anni d’indagini sul
proprietario della Fininvest. Il conto finale è da primato: almeno un
miliardo e 277 milioni di euro. Per guadagnare la stessa cifra un
maresciallo della squadra anti-evasione della procura di Milano, che ha
uno stipendio di 2 mila euro al mese se fa gli straordinari, dovrebbe
lavorare per 53 mila e 208 anni.
Nel video-messaggio del 18 settembre Berlusconi si è proclamato
«assolutamente innocente» e ha accusato la magistratura di averlo
colpito con «una sentenza mostruosa e politica». La riprova del
complotto sarebbe la presunta esiguità dell’evasione per cui è stato
condannato: 7 milioni e 300 mila euro, nulla per un miliardario come
lui. In realtà quella frode è l’unico pezzo di processo che è riuscito a
sopravvivere alla legge ex Cirielli, approvata nel 2005 dai suoi
parlamentari, che ha dimezzato i termini di prescrizione dei reati. Ma
in tutti i gradi di giudizio le sentenze definiscono «colossale» la
massa di denaro nero che si è riversata sulle società offshore gestite
dal gruppo Fininvest e risultate «di proprietà personale di Berlusconi».
L’accusa ha dimostrato che i prezzi dichiarati al fisco per i film
americani comprati da Fininvest e Mediaset venivano costantemente
gonfiati, per portare soldi all’estero. La condanna definitiva
quantifica in 368 milioni e 510 mila dollari il totale dei fondi neri
creati, con i contratti truccati, nel solo quinquennio esaminato nel
processo, che va dal 1994 al 1998. Di questa «sistematica frode
fiscale», spiegano i giudici, Berlusconi è stato «l’ideatore,
l’organizzatore e il beneficiario finale»: i soldi finivano su conti
offshore gestiti dai suoi tesorieri personali. E le stesse sentenze
precisano che questa è solo una parte di un enorme patrimonio segreto
accumulato «fin dagli Ottanta». Ora un libro-inchiesta di Paolo Biondani
e Carlo Porcedda (“Il Cavaliere Nero”, edito da Chiarelettere)
ricostruisce come si è formato e in quali paradisi fiscali è stato
nascosto l’intero tesoro nero di Silvio Berlusconi, pubblicando per la
prima volta i documenti originali che comprovano le accuse.
Il processo Mediaset è nato da una costola delle indagini di
Tangentopoli, che già negli anni Novanta avevano portato alla scoperta
delle prime 64 società offshore del gruppo Fininvest, attive tra il 1989
e il 1994-95. La tesoreria centrale si chiamava All Iberian: un sistema
di conti esteri «non ufficiali» che ha finanziato «operazioni
riservate» per un totale di 1.550 miliardi di lire (775 milioni di
euro). Un fiume di denaro nero utilizzato, tra l’altro, per pagare
tangenti a politici come Bettino Craxi e per corrompere il giudice
civile romano che ha regalato il gruppo Mondadori alla Fininvest. Per
questo primo tesoro offshore il Cavaliere aveva ottenuto l’impunità,
dopo le elezioni del 2001, grazie alla contestatissima legge che ha
trasformato quel gigantesco falso in bilancio in una semplice
contravvenzione a prescrizione ultra-rapida: le sentenze definitive però
spiegano che Berlusconi «non può certo dirsi innocente».
Il processo Mediaset, quello che ha portato alla condanna finale, è
partito dalla scoperta dei depistaggi organizzati per fermare Mani
Pulite: documenti sotratti alle perquisizioni, conti svuotati per far
sparire i soldi, fino alla corruzione del testimone chiave, l’avvocato
inglese David Mills. L’obiettivo di tante manovre di «inquinamento
probatorio», come le ha definite il pm Fabio De Pasquale, era nascondere
le offshore personali di Berlusconi, tra cui spiccano le società
Century One e Universal One: due forzieri esentasse con almeno 252
milioni di dollari. Le carte fatte sparire nel 1996, e ritrovate solo
nel 2003-2004, riguardano anche la società Bridgestone, intestataria di
uno yacht e di una villa da 12 milioni di dollari alle Bermuda: un
regalo offshore di papà Silvio alla figlia Marina Berlusconi.
Il Cavaliere, inoltre, controlla personalmente un sistema di conti alle
Bahamas, che hanno ricevuto almeno 26 milioni di dollari fino al 1998,
attraverso un grossista di carni di Montecarlo, trasformato in
improbabile venditore di film.
Non bastasse,
c’è il nero italiano. Nella sentenza definitiva del processo per le
tangenti alla Guardia di finanza, chiuso nel 2001, si legge che la
Fininvest aveva notevolissime «disponibilità extra-bilancio» già negli
anni Ottanta: almeno 65 milioni di euro. Un patrimonio nero così
quantificato dagli stessi giudici della Cassazione che in quel caso
avevano assolto il Cavaliere, spiegando che i manager della Fininvest
avevano davvero corrotto 12 finanzieri tra cui un generale, ma lui
poteva non saperlo.
Un altro tesoro nascosto è invece attualissimo. Nel processo Mediaset il
ruolo di primattore spetta a Frank Agrama, imprenditore del cinema con
base a Los Angeles, condannato a tre anni. La sentenza definitiva lo
bolla come un «intermediario fittizio», che incassava il nero e lo
spartiva segretamente con Berlusconi. Nel solo quinquennio 1994-98, le
tv del Cavaliere hanno speso 200 milioni di dollari per acquistare film
della Paramount attraverso quel fortunatissimo mediatore americano. Ma
al colosso di Hollywood è arrivato soltanto un dollaro su tre. Ben 55
milioni li ha trattenuti Agrama «senza svolgere alcuna attività». E
altri 80 milioni di dollari sono rispuntati sui conti delle solite
offshore personali di Berlusconi.
Di tutti questi fondi neri, nessuna autorità italiana è mai riuscita a
sequestrare un solo centesimo. La sentenza Mediaset ha condannato
Berlusconi, per effetto della ex Cirielli, a risarcire solo 10 milioni
di euro. Meno di un trentaseiesimo dei profitti accumulati con la frode
fiscale di cui è stato riconosciuto colpevole.
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