Da “la Stampa”
Più
si scava sul caso Moro, più aumentano le scoperte spiazzanti, quelle
capaci di riscrivere interi capitoli di una delle storie più misteriose
della Repubblica. Trentotto anni dopo il rapimento del leader
democristiano da parte delle Brigate rosse, la apposita Commissione
parlamentare di inchiesta sta svolgendo un lavoro al "ralenti" su
singoli segmenti, per ingrandire ogni dettaglio.
Come
dimostrano anche i tempi di "lavorazione": dopo un anno di indagine
sono state passate al setaccio le prime due ore del rapimento, oltre ai
tanti segnali che lo precedettero. Un metodo pragmatico che ha consento
diverse scoperte, alcune clamorose e ora accessibili grazie ad una prima
relazione, completata nei giorni scorsi.
ALDO MORO CON LA FIGLIA AGNESE
Scoperte
favorite dal clima nel quale ha lavorato la Commissione, «senza la
volontà di riscrivere la storia, senza tesi precostituite, senza
clamori», dice il presidente Giuseppe Fioroni. E senza la pressione di
alcuni protagonisti di quella vicenda, ormai scomparsi e anche senza i
partiti allora più "implicati": la Dc e il Pci.
Uno
sforzo corale, come dimostra la prima relazione, approvata all'
unanimità da un arco di forze che va dai Cinque Stelle agli ex missini
di Fratelli d' Italia. Il caso Moro, vicenda piena di enigmi e
depistaggi, lungi dall' essere compresa fino in fondo. Come dimostra una
novità: su alcuni filoni scoperti dalla Commissione si sono riaccesi i
riflettori della Procura di Roma.
2 - 12 ORE PRIMA DEL RAPIMENTO MORO CHIESE AIUTO ALLA POLIZIA
Fabio Martini per “la Stampa”
ALLARME, 25 GIORNI PRIMA
Da
decenni l'enigma resta senza risposte chiare: è mai possibile che non
scattò nessun allarme preventivo nelle settimane che precedettero l'
assalto a Moro e alla sua scorta? La Commissione di indagine ha compiuto
diverse scoperte.
La
prima è un documento, rimasto secretato per 37 anni. Il 18 febbraio
1978 (l' azione Br scatterà 25 giorni più tardi, il 16 marzo) un agente
dei Servizi di stanza a Beirut scrive un cablogramma ai superiori di
Roma, nel quale riferisce quanto appreso da un suo «abituale
interlocutore» del Fronte per la liberazione della Palestina Habbash:
«Organizzazioni terroristiche europee» si sono riunite per pianificare
«una operazione terroristica di notevole portata che potrebbe
coinvolgere» l' Italia.
Scrive
nel suo rapporto, la Commissione: «E' evidente che se fosse accertata
una relazione con il sequestro Moro, il documento aprirebbe prospettive
allo stato imprevedibili», a partire dal fatto che occorrerebbe
«riconoscere che si era in presenza di un quadro di elevata allerta, i
cui segnali furono probabilmente percepiti dallo stesso Moro».
Perché
alla Commissione ritengono che l' autore del cablogramma possa essere
stato Stefano Giovannone, l'uomo di Moro in Medio Oriente. Che
evidentemente avvisò, oltre ai superiori, il suo leader di riferimento. I
superiori "sottovalutarono". E Moro?
MORO CHIEDE AIUTO
E
qui scatta la seconda scoperta. La Commissione ha rinvenuto negli
archivi della Polizia una relazione di Domenico Spinella, dirigente
della Digos, nella quale si dà conto di un incontro riservatissimo
svoltosi nello studio di Aldo Moro la sera del 15 marzo 1978 (mancano 12
ore all' azione brigatista) e in quella occasione il presidente della
Dc fece sapere di ritenere urgente l' attivazione di «un servizio di
vigilanza a tutela dell' ufficio di via Savoia».
L AGGUATO DI VIA FANI DELLE BRIGATE ROSSE PER RAPIRE ALDO MORO
Ma
la relazione del dottor Spinella al Questore - ecco un altro punto
oscuro - è datata 22 febbraio 1979, ben undici mesi dopo l' attentato e
oggi se ne capisce la ragione: è stata scritta d' urgenza, dopo un
articolo uscito quel giorno sul "Secolo XIX" e relativo ad un generico
timore di Moro per un attentato. Sostiene il presidente della
Commissione Fioroni: «Trentasette anni dopo abbiamo scoperto questa
relazione "post-datata", dalla quale apprendiamo con certezza che Moro,
poche ore prima di essere colpito, aveva chiesto tutela.
Nella
relazione è scritto che non avrebbe chiesto aiuto per sé e per la sua
scorta ma per il suo ufficio. Ma oramai sappiamo che Moro era
preoccupato per sé e non per le sue carte.
MORO
Come
confermato da altri dati: per esempio abbiamo appreso che in quei
giorni il maresciallo Leonardi chiese improvvisamente più caricatori e
altri particolari emergeranno prossimamente». Per esempio che la mattina
del 16 marzo Aldo Moro non volle portare con sé il nipotino, come
faceva quasi sempre?
LO "SCATTO" DELLA DIGOS
La
Commissione ha scoperto che una "Alfasud" presente in via Fani dopo l'
attentato e della quale per decenni non si era individuata la proprietà,
apparteneva allo stesso dirigente della Digos che il giorno prima aveva
raccolto l' allarme di Moro. La Commissione ha scoperto che la mattina
del 16 marzo il dottor Spinella fu tra i primi ad arrivare in via Fani.
ALDO MORO E GIULIO ANDREOTTI
Ma
con qualche probabilità (anche se non con certezza), l' arrivo
tempestivo sulla scena dell' attentato è determinato da quella che viene
definita «una partenza "anticipata"». L' attentato scatta in via Fani
alle 9,03, ma come ha raccontato alla Commissione Emilio Biancone, che
allora svolgeva il compito di autista, l' Alfasud della Digos parte
dalla Questura alle 8,30, più di mezzora prima dell' assalto brigatista.
Perché tanto presto? Ansia? Senso di colpa? Consapevolezza di una
sottovalutazione?
IL BAR OLIVETTI
IL CORPO DI ALDO MORO FOTO ANSA
Le
indagini della Commissione hanno scoperto che il bar Olivetti, davanti
al quale si svolse l' assalto a Moro, era un luogo ricco di "ambiguità".
Scrive la Commissione: «Suscita sconcerto la totale assenza di indagini
sul bar e sul suo amministratore Tullio Olivetti», «noto agli atti
della polizia di prevenzione per essere stato coinvolto in una complessa
vicenda di traffico internazionale di armi», «nonché citato in una
corrispondenza con la questura di Bologna relativa alla presenza nei
giorni antecedenti la strage alla stazione del 2 agosto 1980».
E
«la gravità di simile omissione non risulterebbe attenuata anche se si
dovesse accertare che nessun legame esiste tra il caso Moro e il
complesso intreccio di interessi, tra intelligence, criminalità
organizzata, ambienti dell' eversione, massoneria e terrorismo
internazionale che ruotava attorno alla figura di Olivetti e alle sue
frequentazioni».
Aldo Moro
Alla
luce di questo quadro assume una luce diversa quanto disse al telefono,
il primo maggio 1978, il deputato dc Benito Cazora: «Dalla Calabria mi
hanno telefonato per informarmi che in una foto presa sul posto quella
mattina, si individua un personaggio a loro noto». E «loro» sarebbero
personaggi legati alla 'ndrangheta.
FOTO E TESTIMONI RIMOSSI
E
sarebbero state preziose per gli inquirenti anche tutte le foto che
furono scattate sul luogo dell' attacco, ma la Commissione denuncia che
diversi rullini «sono scomparsi». In particolare quello consegnato ad
uno dei magistrati inquirenti, che secondo una testimone tagliò cinque
negativi e restituì il resto, senza «redarre verbale». E ancora:
«Numerosi testimoni oculari sono stati del tutto ignorati dagli
inquirenti dell' epoca e le loro dichiarazioni sono state messe a
verbale per la prima volta dalla Commissione».
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/caso-moro-mistero-italia-12-ore-prima-rapimento-aldo-moro-chiese-116910.htm
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