Bernardo Fanti per La Verità
Qualcuno in Italia, nello stendergli il tappeto rosso, l' aveva definita «l' ancora di salvezza dei governi e degli istituti centrali» per come si è sempre affiancata alle istituzioni nelle più delicate operazioni finanziarie. Tuttavia, prima di ripercorrerne la storia, sarebbe utile ricordare che Jp Morgan, come tutte le banche, non fa beneficenza ma soltanto affari in giro per il mondo. E la partita che ha voluto giocare in Italia nell' operazione Monte dei Paschi è stata forse, per il nostro paese, la più visibile di sempre, sia in termini di reputazione che di remunerazione. Sennonché, il fatto è stranoto, il suo piano è stato un totale fiasco e al salvataggio dell' istituto senese ci ha dovuto (e ci dovrà) pensare lo stato italiano.
Ripasso veloce. A fine luglio 2016 Mps viene bocciata agli stress test (è la peggiore banca tra le 50 analizzate). Decide allora di affidare il suo destino a Jp Morgan, la più grande banca americana, numero tre al mondo per capitalizzazione, sponsorizzata direttamente da Palazzo Chigi. Si racconta di una cena in quei giorni tra il numero uno di Jp Morgan, Jamie Dimon, e l' allora inquilino di Palazzo Chigi, un Matteo Renzi preoccupatissimo di sporcarsi nuovamente l' immagine con una banca. Il primo rassicurò: a risolvere il problema ci penseranno i miei ragazzi; e il secondo garantì un mandato in bianco sulla terza banca italiana. Dimon passa il cerino a Guido Nola, capo delle attività in Italia, mentre Vittorio Grilli, che dal 2014 guida le operazioni in Europa, Medio Oriente e Africa, visto il suo recente passato al governo, per eleganza rimane dietro le quinte.
Il piano per Mps più che strategico era un vero e proprio rilancio (accezione pokerista): 1) aumento di capitale da piazzare tutto sul mercato da 5 miliardi di euro (dieci volte il valore di mercato della banca, una prodezza mai realizzata) senza nemmeno un vero consorzio di garanzia; 2) cessione completa del portafoglio sofferenze: 28 miliardi di euro il valore a libro, 9 miliardi il prezzo di vendita (la cui riscossione non sarebbe stata immediata ma successiva al collocamento di tre emissioni obbligazionarie con sottostante proprio quegli Npl); 3) prestito ponte da 6 miliardi per un massimo di 18 mesi fornito dalla stessa Jp Morgan a Mps (al tasso del 6% annuo) nell’attesa che l’acquirente delle sofferenze potesse cartolarizzarle (vedi punto 2) con garanzia pubblica; 4) tutto da fare entro fine 2016, al costo ottimistico, tra commissioni ed interessi, di circa 600 milioni di euro (più di quanto valeva Mps in borsa).
Ma lo schema non decolla. Decine di incontri con investitori vanno a vuoto. Eppure era stato fatto di tutto per facilitare la combinazione astrale. Prima vengono messi alla porta Ubs e Corrado Passera, che avevano presentato un piano alternativo. Poi è il turno di Fabrizio Viola che, su suggerimento di Jp Morgan (indispettita dalle resistenze dell' ad di Mps, a cui pretendeva di dare ordini, e dal fatto che Viola avesse voluto imporre la formula success fee: le commissioni te le pago solo se il piano funziona), viene licenziato con una telefonata di Pier Carlo Padoan e sostituito con Marco Morelli, capo della Bank of America Merrill Lynch in Italia e un passato in Jp Morgan.
Il tempo di rendersi conto della situazione e Morelli è costretto a dire che sì, forse trovare sul mercato 5 miliardi è un po' difficile, in effetti si potrebbe cominciare con la conversione dei subordinati. Si apre allora un fantozziano conto alla rovescia tra anchor investor evocati e mai apparsi e le conversioni negate e poi autorizzate (la Mifid riposi in pace). Finché il 22 dicembre il complicato piano di Jp Morgan muore ufficialmente: dispiace ma non si è fatto avanti nessuno.
Patetica lettera di ringraziamento a parte, per la banca americana il fallimento dell' operazione senese non può che bruciare, e non solo per la perdita di ricche commissioni, ma anche per l' orgoglio e la reputazione. Da quando John Pierpont Morgan (che la fondò insieme ad Anthony Drexel nel 1871) divenne il re di Wall Street, è entrata in tutti i grandi giochi politico -finanziari plasmando come nessuno il capitalismo del Novecento.
E i legami con l' Italia sono antichi e molto stretti. Nel 1910 John Pierpont venne invitato ad assumere l' incarico di presidente onorario nella commissione straniera per la preparazione del 50° anniversario dell' unità d' Italia. E il caso volle che trovasse la morte nel sonno proprio a Roma, il 31 marzo del 1913, all' età di 75 anni, nella suite reale del Grand Hotel dove risiedeva una volta l' anno.
I suoi successori rimarranno fedeli alla tradizione e, tra le altre cose, daranno una mano all' Italia durante la Grande guerra, negli anni Venti finanzieranno Mussolini per favorire il ritorno della lira nel gold standard e dopo la seconda guerra mondiale aiuteranno la Fiat in Italia e negli Stati Uniti. Tra i suoi clienti eccellenti ha annoverato a lungo anche il Vaticano con un conto dello Ior (poi chiuso nel 2012 per qualche sospettuccio di riciclaggio).
Restando ancora all' Italia, quando a metà degli anni Novanta diventò fondamentale il rispetto del 3% di deficit sul Pil per entrare in Europa, fu Jp Morgan a dare una grossa mano all' allora governo Prodi per allineare i parametri. Si racconta di un genietto dei prodotti derivati dell' epoca che si inventò uno swap tra lo yen e la lira che permetteva di contabilizzare immediatamente un utile per l' Italia e che veniva pagato a rate negli anni successivi senza figurare come passività nella contabilità nazionale.
Ed è nel momento peggiore della crisi, quando Deutsche Bank scarica sul mercato decine di miliardi di titoli di stato italiani, che Jp Morgan cerca di distinguersi dal coro, fedele alla tradizione, aumentando la propria esposizione verso controparti italiane: 5 miliardi nel 2011, che diventano 7,5 miliardi nel 2015 e 8,4 nel marzo 2016.
Intanto la potenza di Jp Morgan era aumentata notevolmente, sfruttando all' inizio del 2000 la possibilità offerta da Bill Clinton di diventare banca universale. Prima la fusione con la Chase Manhattan, poi con Bank One. Quando scoppia la crisi finanziaria nel 2008 è costretta dal governo a rilevare Bear Stearns sull' orlo del collasso, Washington Mutual pieno di mutui subprime, e a partecipare al salvataggio di Aig presso cui erano assicurate tutte le grandi banche del mondo. D' altronde, fu il suo fondatore a inventare quel gentleman banker' s code («la fiducia prima di tutto») che ancora si ritrova nell' attuale ceo Jamie Dimon.
Al timone dal 2005, stipendio base una ventina di milioni l' anno, da allora è sopravvissuto al crollo di Lehman Brothers, alla grande crisi finanziaria e a un cancro alla gola. Si presume quindi che sopravviverà anche al fallimento dell' operazione Mps. Non fosse altro per il fatto che recentemente ha rifiutato la carica di segretario al Tesoro offertagli da Donald Trump.
E non possiamo finire senza parlare anche di guai perché, del resto, Jp Morgan ne ha avuti parecchi. Nel 2010 arriva il cosiddetto scandalo London Whale. Un gigantesco ammanco scoperto nella filiale della City: 6 miliardi di dollari persi nella compravendita di derivati. Un anno dopo, parte una denuncia per truffa sui mutui subprime. La banca viene ritenuta responsabile del grande crac del 2008, dal quale si è salvata perché ha cominciato a uscire un anno prima dal settore immobiliare.
«Abbiamo capito prima degli altri che la bolla stava per scoppiare», si sono difesi alla Jp Morgan. Poi però ha patteggiato un risarcimento da 13 miliardi di dollari. Infine, è stata multata per parecchie centinaia di milioni di euro per aver manipolato, insieme ad altre banche, nell' ordine: il tasso Euribor, il tasso interbancario Libor e il tasso di cambio euro -dollaro.
Tornando a John Pier pont Morgan, una piccola nemesi. In pochi sanno che nel 1902 finanziò la nascita dell' International mercantile marine company, una compagnia di navigazione che puntava a controllare i trasporti oceanici. La Immc possedeva un transatlantico dal nome Titanic. E il suo affondamento nel 1912 segnò la strada verso il fallimento della compagnia. Prova che anche ai grandi banchieri, ogni tanto, capita di scommettere sul cavallo sbagliato.
http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/dopo-titanic-montepaschi-storia-flop-jpmorgan-banca-che-139016.htm
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