VIENI AVANTI TONINO/2 (BY FACCI) – UNO, NESSUNO E CENTOMILA DI PIETRO IN CERCA DI CARRIERA POLITICA – LA DESTRA ACCECATA IMPAZZIVA PER LUI, MA LI “TRADÌ” SCEGLIENDO PRODI - BORRELLI: “SEMBRAVA QUASI CHE ANDASSE A PROPORSI AL MIGLIOR OFFERENTE” – ELIO VELTRI LO SENTÌ DIRE: “DEVO ESSERE ELETTO PERCHÉ PACINI BATTAGLIA HA PAURA SOLO DI QUELLI CHE STANNO DENTRO IL PALAZZO”. E GLI SI GELÒ IL SANGUE…
Filippo Facci per "Libero"Di Pietro - La storia vera di Filippo Facci
«Si va alla rivolta» titolava un post di Antonio Di Pietro scritto sul suo blog l'11 dicembre. «Si va», ha scritto. E dire che un tempo non sarebbe stato necessario: nel 1995, Di Pietro, aveva in mano il Paese. Ma Francesco Saverio Borrelli la riassunse così: «Di Pietro prese contatto con tutto il mondo politico di allora. E a me parve una cosa piuttosto ridicola, perché sembrava quasi o che andasse a proporsi al miglior offerente o che addirittura si sentisse investito di una missione superiore, e consultasse tutto il mondo politico ritenendo il suo appoggio decisivo alle sorti politiche del Paese.
Questo atteggiamento, a lungo andare, l'ha rovinato. Poco alla volta il ricordo di Mani pulite e di Di Pietro andò cancellandosi. Se un mese dopo le sue dimissioni si fosse subito candidato, avrebbe preso la maggioranza assoluta dei voti. Invece, secondo me, Di Pietro ha sperperato con le sue stesse mani il patrimonio che aveva acquisito».SAVERIO BORRELLI
Una sintesi perfetta. Nel giugno 1995 però era ancora acclamatissimo: un sondaggio Swg spiegava che il 50,6 per cento degli italiani pensava a lui come leader politico e il 61,4 lo riteneva vittima di un disegno giudiziario.
Un Paese ignaro e stordito sorreggeva Di Pietro da destra, da sinistra e dal centro. Gianfranco Fini, nel difenderlo pubblicamente, faceva a gara con Gianni Alemanno. Un dirigente di An annunciò i comitati «Di Pietro non si tocca». Il Fronte della Gioventù, il 26 giugno, organizzò una manifestazione pro Di Pietro davanti al ministero della Giustizia. Per non essere da meno, il 3 luglio ne organizzò una anche il Movimento sociale di Pino Rauti. Tutto così.
In realtà già trescava con la sinistra dalemiana, ma da spartiacque fecero le inchieste giudiziarie che lo investirono. A margine di un interrogatorio del 2 giugno 1995, oltretutto, rese noto un suo precedente «progetto strategico per il futuro» che annoverava, come primo punto, «Completare le inchieste sulla guardia di finanza e raccogliere le prove fondamentali sul gruppo Berlusconi lasciando il proseguimento dibattimentale ai colleghi, per non trovarsi bloccato per altri due anni».Di Pietro
Eppure moltissimi, a destra, non volevano capire. L'8 ottobre 1995, per dire, Di Pietro scrisse sulla Stampa: «Gli ultimi attacchi di Berlusconi alla magistratura non possono passare sotto silenzio... Ho detto a lui come mi senta vicino col cuore agli elettori di Forza Italia... Questo desiderio di rinnovamento ha contagiato molti e, confesso, anche me. Ho l'impressione, però, che se Berlusconi continua a raccontare frottole agli italiani, prima o poi in molti saranno costretti a rivedere la propria posizione. Tra questi, anch'io».
La commedia continuava. In una concatenazione cronica di abbagli, Maurizio Gasparri definì l'articolo «una dichiarazione d'amore per Forza Italia» subito imitato dal Tg2, che enfatizzò il passaggio in cui Di Pietro guardava «al cuore degli elettori di Forza Italia».GIANFRANCO FINI
La sostanza è che diverrà prima ministro col governo Prodi e poi candidato pidiessino al collegio del Mugello. Elio Veltri incontrò l'amico Tonino al bar Giolitti vicino a Montecitorio e ricorda ancora le parole dell'amico: «Mi devo candidare e devo essere eletto perché Pacini Battaglia ha paura solo di quelli che stanno dentro il Palazzo». A Veltri si gelò il sangue.
CONFLITTI DI CIVILTÀDopo una collezione di tranvate, e dopo non aver fondato un partito politico ma addirittura due, dal 2001 Di Pietro si avviò a spaccare il mondo: prese a scagliarsi in un conflitto di civiltà con destra e sinistra e chiunque non gli corrispondesse. Invocò una «Caporetto del Centrosinistra» e si pose come avversario unico di Berlusconi: «unica opposizione» già allora. Il suo nuovo baricentro, dal nulla, divenne il conflitto d'interessi: fece mozioni, interpellanze e frettolose proposte di legge.GIANNI ALEMANNO
Ma qui siamo ancora al dilettantismo, alla fase puberale di una polemica dipietrista che si muoveva negli spazi istituzionalmente previsti. In altre parole, lo invitavano ancora poco in televisione.
Il lume definitivo, in piena campagna elettorale, fu il caso Luttazzi. Il 14 marzo 2001 il giornalista Marco Travaglio fu invitato alla trasmissione «Satyricon» di Raidue per parlare del libro "L'odore dei soldi" (un monologo di ventisei minuti) in cui riassunse tutte le carte più o meno siciliane che avevano accusato Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri di ogni cosa. Di Pietro s'infilò nello spiraglio catodico e fu invitato per due volte al "Raggio verde" di Michele Santoro: parlò di società all'estero, prestanome, offshore e altri faldoni dei suoi tempi togati.MAURIZIO GASPARRI - copyright Pizzi
Risultato: un disastro. Alle elezioni del 13 maggio 2001 la Casa delle Libertà raccolse il 45,4 per cento nel maggioritario alla Camera e l'Ulivo il 43 per cento. Se uniti, i voti dell'Ulivo insieme a quelli dell'Italia dei Valori sarebbero stati 17.506.675 contro i 16.915.513 della Casa delle Libertà. La sconfitta del centrosinistra stava assumendo la corpulenza di Tonino, il cui obbiettivo era superare il 4 per cento alla Camera: immaginarsi quando apprese che aveva preso il 3,99 per cento. L'unica buona notizia fu che il senatore Valerio Carrara, in Lombardia, ce l'aveva fatta: ma passerà subito con Berlusconi.
Di lì in poi - complici le stagioni dei girotondi - abbiamo il Di Pietro piazzaiolo. Dopo lunga semina, s'avanzò una stagione di prima fioritura per una neotrasversalità che si cementò in una particolare visione della satira e della politica e del giornalismo, oltretutto in perfetta scia con un mercato collaudato. Beppe Grillo, Sabina Guzzanti, Michele Santoro e Marco Travaglio - per fermarsi a qualche nome.Pacini Battaglia
Ogni delirio di onnipotenza sarà travestito da missione salvifica, ogni disturbo narcisistico da sindrome da persecuzione cilena. Il cemento, manco a dirlo, sarà l'antiberlusconismo, un genere che tirava molto e che offriva a ciascuno tornaconti diversi.
Tonino, che pescava dove poteva e se possibile con la canna altrui, si unì a una compagnia di samurai che si incaricarono di avvelenare i pozzi ovunque si fosse deviato da un clima eternamente frontista: i migliori andavano divisi dai peggiori, la libertà dal regime, la democrazia da Berlusconi, la magistratura dalla politica, di seguito alcuni magistrati da altri, e altri politici da altri ancora.
Ogni accordo o dialogo saranno chiamati restaurazione o inciucio, innegabile il martirio, ennesimo il golpe. Tonino aprì due blog e divenne pazzo per il «Caimano» di Moretti: «La scena finale del film con i sostenitori del premier che scagliano molotov contro i magistrati», disse, «è tutt'altro che lontana dalla realtà, perché prima o poi avremo gli ultrà della politica». Già immaginava i grillini.
Nel 2006 vinse Romano Prodi di un niente e Di Pietro chiese il ministero della Giustizia, male che andasse le Telecomunicazioni così da sfasciare Berlusconi sul serio. Macché. Non si fidarono. Dopo la vacua parentesi ministeriale, Di Pietro si tenne ben stretto l'antiberlusconismo - nonostante l'accordo con Walter Veltroni - e dopo le perdute elezioni del 2008 divenne l'esagitato che è oggi.BERLUSCONI DELL UTRI
«CI VUOLE LA MAZZA»Prese a sostenere, non da solo, che la chiave di volta di ogni vittoria berlusconiana era sempre stata la mancata soluzione del conflitto di interessi. E che la capacità di plagiare e corrompere le menti attraverso il possesso dei mass media era il sostanziale merito di Berlusconi. «Unica opposizione», recitava il notiziario online dell'Italia dei Valori, Marco Travaglio intanto citava Orwell e definì metaforicamente «maiali» le prime quattro cariche dello Stato.
Ma Di Pietro battè sempre tutti: «Governo mafioso», «abrogheremo il Lodo Alfano, ci vuole la mazza, ci vuole», perché bisogna «fermare il diavolo», anzi quel «magnaccia», «nazista», «fascista», «razzista», «antisemita», «Hitler», «Videla», «Dracula», «Nerone». Chissa di chi parlava. Del resto le parole svolazzavano ormai insignificanti, intercambiabili, svuotate di peso culturale e storico, erano voci qualsiasi in un parolaio senza chiaroscuri.Santoro ad Annozero
Si era delegata alla magistratura ogni valutazione su che cosa potesse ledere la dignità di ciascuno: non si diceva più «mi hai offeso», si diceva «è un reato». Un giorno una sconosciuta ragazzetta, da un palco siciliano, additò «i delinquenti che oggi occupano le istituzioni italiane». Di Pietro la candidò subito per le Europee: era Sonia Alfano. E non stiamo a riportare le sue opinioni sul caso Noemi, sulla questione di Veronica Lario, sul caso dell'avvocato Mills, sulle feste a villa Certosa, su Spatuzza, sulle stragi, sull'universo mondo.
«Siamo l'unica vera opposizione al modello di governo berlusconiano, che toglie agli onesti per dare ai furbi». Basta questa. Anzi no, basta il titolo - vero, prego verificare - di un post del suo blog datato 11 dicembre: «O li ascoltano o si va alla rivolta». Si va, ha scritto.
[17-12-2009]
by dagospia
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