Marcello Sorgi per “la Stampa”
bettino craxi
Il
15 aprile 1986, giorno in cui Gheddafi lanciò due spompatissimi missili
Scud su Lampedusa, per vendicarsi dell’attacco aereo che il giorno
prima Reagan aveva ordinato contro di lui, Craxi e Spadolini erano
seduti uno accanto all’altro in Senato al tavolo del governo.
Entrò
un commesso e porse a Spadolini un dispaccio di France Presse con la
notizia, che l’allora ministro della Difesa si affrettò a passare al suo
vicino di banco. «E lo dobbiamo sapere daFrance Presse, possibile che
nessuno ci abbia avvertito?, commentò il presidente del Consiglio.
cena fund raising di forza italia silvio berlusconi
Un
minuto dopo Spadolini, in una sala riservata, era al telefono con il
capo di stato maggiore della Difesa per capire cos’era successo. Craxi
lo raggiunse. «I missili non hanno raggiunto l’obiettivo. Pare che siano
stati lanciati da una nave libica», lo informò sommariamente il
ministro.
«Affondiamola», fu la laconica reazione
di Craxi. Quando finalmente divenne chiaro cos’era accaduto,
l’Aeronautica proponeva un raid punitivo contro il colonnello. Craxi,
superata la tensione del primo momento, chiese una valutazione del
rischio, che non si poteva escludere, che i caccia italiani incappassero
nella contraerea libica. Vedendo lo sgomento stampato sulla faccia del
generale mentre gli illustrava i dettagli del piano, guardò Spadolini e
concluse: «Lasciamo perdere». Così Gheddafi fu perdonato.
Lucia Annunziata Giuliano Amato
L’epilogo
sorprendente, da «Guerre pacioccone», come titolava un famoso fumetto
satirico, alludendo alla rinomata scarsa capacità militare dell’Italia,
di un episodio rimasto tuttavia memorabile, è contenuto nel libro di
memorie (Bettino Craxi, Io parlo e continuerò a parlare, Mondadori, pp.
246, € 18), voluto dalla figlia Stefania e curato da Andrea Spiri, che
raccoglie gli scritti del leader socialista negli ultimi sette anni di
vita, vissuti fino alla fine ad Hammamet, in Tunisia.
«Amo
troppo l’Italia per tornarci da carcerato», scriveva Craxi quando ormai
la malattia non gli accordava molto tempo, e la decisione dei giudici
che lo avevano condannato per Tangentopoli, di imporgli di essere
piantonato in ospedale malgrado le gravissime condizioni di salute, lo
spingeva a decidere di farsi operare a Tunisi il 22 novembre ’99, poco
prima della morte, avvenuta anche per gli esiti dell’intervento, il 19
gennaio 2000.
Massimo D Alema
Ora
che la «damnatio memoriae» del leader socialista comincia a venir meno e
sulla sua vicenda sono stati pubblicati diversi libri che tendono a
ridargli il posto che gli tocca nella storia, si può leggere questo
diario del lungo esilio craxiano come un documento, a tratti tragico,
del tumultuoso passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica.
Con
l’occhio ad alcune previsioni che il leader, dotato di formidabile
intuito, formula anche se è privo dei contatti e delle informazioni di
prima mano di cui poteva fruire ai tempi della sua normale attività.
Come rivela la vicenda di Lampedusa, Craxi non aveva affatto un’idea
retorica della Prima Repubblica, ed anzi era perfettamente consapevole
dei suoi limiti.
Ma della Seconda coglie subito
due aspetti che la porteranno alla fine, oltre a influire sul
deterioramento della democrazia italiana. I suoi timori riguardano la
nascita di una sorta di «videocrazia», di cui ovviamente vede come
protagonista Berlusconi, uomo che al massimo «è in grado di strappare il
sorriso a chi è di buon umore», e di una «Repubblica dei magistrati»,
destinata a stravolgere l’assetto istituzionale e l’equilibrio tra i
poteri che aveva consentito al sistema italiano di funzionare, pur con
tutti i suoi problemi.
UMBERTO BOSSI E MATTEO SALVINI 4
Sebbene
le note che compongono questo libro - e corrispondono oggi, va detto,
ad analisi condivise dalla maggior parte degli attuali leader politici -
venissero inviate quotidianamente in Italia via fax, e in parte
pubblicate da L’Avanti, nell’Italia del tempo nessuno era disposto a
prenderle in considerazione.
Anche perché
insisteva sul sistema di finanziamento occulto dei partiti, tollerato da
tutti e di cui tutti erano al corrente, per il quale era stato
condannato. Per questa ragione sono durissimi i giudizi, tranciati da un
Craxi che sente venir meno le forze per combattere la sua battaglia,
sul personale politico della Seconda Repubblica, ormai tramontato dopo
la rottamazione renziana e l’incerto inizio della Terza.
Oscar Luigi Scalfaro
Così
Amato è «un genio elettronico dell’opportunismo». D’Alema «veste i
panni del rinnovatore senza macchia e senza paura, ma è nato e cresciuto
nel Pci ed è stato in Urss 25 volte». Fini, a dispetto del suo passato
fascista, è diventato «un compagno come si deve». La saggezza di
Scalfaro «è attraversata da dimenticanze e macchiata da qualche intrigo
di corte». Bossi, in realtà, del Nord se ne frega e “ha aperto un
ufficio di rappresentanza della Padania a Roma».
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/bettino-for-ever-giudizi-universali-craxi-amato-genio-85066.htm
martedì 23 settembre 2014
BETTINO FOR EVER - I GIUDIZI UNIVERSALI DI CRAXI: “AMATO GENIO DELL’OPPORTUNISMO, D’ALEMA FA IL RINNOVATORE MA È STATO IN URSS 25 VOLTE” - IL “COMPAGNO” FINI - BOSSI? “DEL NORD SE NE FREGA” - E BERLUSCONI? AL MASSIMO RIESCE A STRAPPARE UN SORRISO A CHI È DI BUON UMORE” Raccolti gli scritti degli ultimi 7 anni del leader socialista: tra i suoi timori la nascita di una “videocrazia” e di una “Repubblica dei giudici” - I retroscena della mancata risposta ai missili di Gheddafi su Lampedusa per paura che i nostri jet fossero colpiti dalla contraerea del Colonnello - “L’Italia? La amo troppo per tornarci da carcerato”…
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