L’INCHIESTA DEL “NEW YORK TIMES” SULLE ‘POTENZE STRANIERE CHE COMPRANO INFLUENZA NEI THINK TANK AMERICANI’
2. SOLDI STRANIERI AI «LOBBISTI OCCULTI» MA LA POLITICA USA NON SI INFLUENZA COSÌ
Massimo Gaggi per il "Corriere della Sera"
Il New York Times dedica un’inchiesta molto ampia alla crescente mole di contributi ricevuti dai più autorevoli think tank americani, dal Brookings Institution all’Atlantic Council . Soldi arrivati da Paesi stranieri interessanti a influenzare la politica degli Stati Uniti in vari campi, dall’energia al commercio internazionale, alla difesa. Centri di ricerca noti per la loro autorevolezza e indipendenza che operano, a volte, anche come «lobbisti occulti»?
Fosse così, non ci sarebbe molto da sorprendersi: Washington è una grande fabbrica che produce leggi, regolamenti, eroga incentivi, ordina beni e servizi, stabilisce regimi di controllo. Ma il prodotto più prezioso è la conquista dell’attenzione del presidente e della sua Amministrazione. Un bene scientificamente misurato in secondi, partecipazioni di Obama a eventi pubblici e privati, foto con supporter e finanziatori, menzione nei suoi discorsi di questo o quel personaggio.
È attorno a questo «fatturato» che lavora l’immensa macchina lobbistica della Capitale. Quando fu eletto, nel 2008, Obama promise di domare le lobby mettendole in condizioni di non nuocere. Invece da allora le società il cui mestiere è quello di influenzare la politica sono più potenti e ricche che mai. E i loro leader (alcuni dei quali sono ex collaboratori dello stesso presidente democratico) ormai rifiutano con sdegno la definizione di «lobbista»: vogliono essere chiamati «professionisti delle relazioni col governo».
Con tanti miliardi di dollari e tanti personaggi di prestigio in circolazione, non c’è da stupirsi che a volte i confini tra le società di questi professionisti e centri di ricerca spesso guidati da economisti, ex diplomatici o personaggi di elevato rango politico, possano in qualche punto confondersi.
Lo spettro agitato dal giornale americano è quello del «denaro straniero» ma Washington è pur sempre la capitale di un impero, anche se in declino, ed è abbastanza normale che Paesi che vogliono far sentire la loro voce al di là di quello che possono fare le loro ambasciate, puntino anche sui think tank .
Serve agli arabi per premere sulla politica energetica Usa? La Norvegia, come scrive il Times cerca di far cambiare idea al governo sulle politiche per l’Artico attraverso la Brookings? Forse è così. Ma difficilmente il paper di qualche esperto farà cambiare rotta alla Casa bianca o al Congresso su questioni cruciali. Spesso quei Soldi servono a risolvere problemi molto più terra-terra: trovare una sede di prestigio nella quale il ministro straniero in visita nella capitale dell’impero possa lasciare un segno, parlando in istituto davanti a un pubblico sussiegoso.
Nessun commento:
Posta un commento