Paolo Berizzi per “la Repubblica”
Nessun
pentimento («solo davanti a Dio» ). Nemmeno una dissociazione. Ma, per
la prima volta dopo oltre mezzo secolo dietro le sbarre — 34 anni in
isolamento, 23 in regime di 41 bis — , Raffaele Cutolo ha deciso di
collaborare con lo Stato. Una scelta clamorosa che
Repubblica
è in grado di rivelare e di ricostruire. Una scelta maturata
recentemente, in gran segreto, nel carcere di Parma, dove l’ex capo
della Nuova camorra organizzata ha appena compiuto 74 anni.
Qui,
due mesi fa, Cutolo ha chiesto — a sorpresa — di essere interrogato sul
rapimento e la morte di Aldo Moro. E ha parlato. Le sue rivelazioni —
il verbale è stato secretato — le hanno raccolte in cella un
luogotenente dei carabinieri e un magistrato. Collaborano entrambi con
la Commissione parlamentare di inchiesta che indaga sulla complessa, e
ancora oscura vicenda, dello statista democristiano rapito e ucciso dai
terroristi delle Brigate Rosse il 9 maggio 1978.
Ma
vediamo, con ordine, quello che è successo nel carcere di Parma. Siamo
all’inizio di settembre: l’Italia e l’Europa sono alle prese con il caos
migranti. Cutolo, come da routine, incontra la moglie Immacolata Iacone
nell’unico colloquio mensile previsto per i detenuti sottoposti al
regime del carcere duro (41bis). Piccolo ma non irrilevante passo
indietro: sei mesi prima. È il 2 marzo.
L’ex
boss della camorra si sfoga in un colloquio riportato sulle colonne di
questo giornale: «Mi hanno sepolto vivo in cella, se parlo crolla lo
Stato», dichiara Cutolo. A stretto giro arriva la replica del
procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti. «Cutolo dica quello che
sa e sarà valutato, siamo pronti a indagare», lo incalza il 10 marzo.
Un invito, più che eloquente, rivolto a “don Raffaele” affinché potesse
prendere in considerazione l’idea — sempre parole di Roberti — di fare
«seguire alle dichiarazioni contro lo Stato anche delle dichiarazioni
concrete».
Perché,
è il ragionamento, «la possibilità di uscire dalla condizione del 41bis
dipende soltanto da lui...». Lui, Cutolo. Torniamo dunque a settembre.
Non si sa se e quanto le parole di Roberti abbiano instillato nel
vecchio padrino della camorra lo spunto per una riflessione (a parte una
breve parentesi nel ’94 — morta sul nascere — l’ex boss di Ottaviano è
sempre stato un muro di silenzio). Ma adesso Raffaele Cutolo vuole
parlare. Di Moro, sicuramente. Forse anche di altro.
Chiede
di essere ascoltato da chi sulla morte del politico Dc sta cercando di
fare chiarezza. In questi casi la prassi prevede due possibilità: o il
detenuto scrive — di persona o attraverso il proprio legale — al
magistrato (o ai magistrati) che indagano. O affida la sua richiesta al
direttore del carcere. Sta di fatto che la seconda metà di settembre,
Giuseppe Boschieri, luogotenente dei carabinieri, consulente della
Commissione Moro, contatta uno dei legali di Cutolo, l’avellinese
Gaetano Aufiero.
Il
carabiniere chiede se all’interrogatorio richiesto dal detenuto
eccellente volesse prendere parte anche il suo difensore. Ma non
trattandosi di un interrogatorio di garanzia, il legale ritiene
superflua la propria presenza. Lunedì 14 settembre 2015. Nel carcere di
via Burla — dove sono reclusi tra gli altri anche i super boss Totò
Riina e Leoluca Bagarella (quest’ultimo appena trasferito in Sardegna),
il “Nero” Massimo Carminati e Marcello Dell’Utri — Cutolo parla.
Dichiarazioni spontanee. Che finiscono in un verbale.
È
uno dei 41 documenti raccolti dalla Commissione Moro e annunciati
all’ufficio di presidenza. Si legge nell’elenco: “Verbale di
riversamento di files audio su supporto informatico relativi
all’escussione del detenuto Cutolo Raffaele, avvenuta il 14 settembre
2015”. Mittente del documento 316/1, protocollo 1027, data 21-09-2015, è
il luogotenente Boschieri. Leggendo le carte che mettono in ordine i
documenti c’è un particolare che balza all’occhio: il verbale relativo
all’interrogatorio di Cutolo è segreto. Di più. dei 41 documenti
raccolti da parlamentari, magistrati, poliziotti, carabinieri che
collaborano con la commissione, il 316/1 è l’unico secretato.
Gli
altri sono tutti liberi o, al massimo, riservati. Perché? Che cosa ha
rivelato sulla fine di Moro l’ex capo della Nco? Ha riferito circostanze
e particolari che non devono o non possono essere resi pubblici? E,
soprattutto, perché a 74 anni, dopo mezzo secolo al gabbio, e 34 anni di
tolale isolamento, Cutolo decide di parlare accettando, di fatto, di
collaborare con quello Stato da cui si è sentito «usato e abbandonato»?
Il
riferimento è al suo coinvolgimento nella vicenda dell’ex assessore
regionale Dc Ciro Cirillo, sequestrato dalle Br a Torre del Greco nel
1981 e poi liberato — secondo una sentenza passata in giudicato — «alla
fine di una lunga e serrata trattativa tra apparati dello Stato e il
boss Raffaele Cutolo, a cui si è chiesto di intervenire presso le Br per
ottenere la liberazione di Cirillo».
Tredici
ergastoli, record italiano di lungodegenza carceraria, sposato con
Immacolata Iacone da cui ha avuto (inseminazione artificiale) la figlia
Denise di 7 anni. Disse Cutolo in un’intervista a Repubblica nel 2006:
«Mi sono pentito davanti a Dio, non davanti agli uomini. È immorale fare
arrestare persone innocenti per avere soldi e protezione dallo Stato.
Riabilitarsi significa pagare gli errori con dignità. La dignità è più
forte della libertà, non si baratta con nessun privilegio... ».
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/ora-canta-don-raffa-dopo-34-anni-isolamento-perche-cutolo-ha-113051.htm
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