Salvatore Tropea per "la Repubblica"
«Se me li ricordo, i libici? E come potrei dimenticarmeli: quella sera, a Ginevra, quando abbiamo chiuso l´accordo con cui uscivano dalla Fiat dopo dieci anni, ho stretto la mano ad Abdullah Saudi e gli ho detto: guardi qui, ho appena scritto tre miliardi di dollari. Sappia che lei mi fa firmare l´assegno più pesante della mia vita».
Gianluigi Gabetti, l´uomo per oltre vent´anni più vicino all´Avvocato Agnelli, ha seguito passo passo il negoziato d´ingresso della Libia nell´azionariato Fiat, nel 1976, e ha guidato la trattativa per l´uscita degli uomini di Gheddafi, nel 1986. In quegli anni, ha stretto un rapporto con i plenipotenziari di Tripoli, un rapporto d´affari ma anche personale, con passeggiate sotto i portici di Torino e qualche cena al "Cambio" e al "Gatto Nero". «Ho anche avuto molti inviti ad andare a trovarli. Ma non venga a Tripoli, mi diceva sorridendo Saudi: meglio in Barhein, dove ho una bella casa».
GIANNI AGNELLI A SPASSO - COPYRIGHT PIZZI
Dottor Gabetti, quell´accordo fece scandalo e clamore in tutto l´Occidente. A chi venne l´idea?
«A loro. L´Avvocato un giorno mi disse che un alto dirigente Fiat era stato contattato da un emissario libico che offriva collaborazione. Lui era incuriosito, io diffidavo: dobbiamo vedere chi rappresenta davvero, dicevo, e per che cosa. Pochi giorni dopo capimmo che si trattava di un intervento finanziario, e che dietro c´era il governatore della Banca libica. Incaricammo Mediobanca, e Cuccia prese direttamente in mano la cosa. Nacque un rosario di incontri fissati, disdetti, ripresi, tutti in gran segreto. Finché alla cena decisiva al ristorante Toulà si presentò direttamente Saudi, disse che era l´ideatore della cosa, il negoziatore e il futuro consigliere. Fu chiaro che facevano sul serio».
Quanto tempo durò il negoziato?
«Dieci mesi. E sempre attenti a non farci scoprire. Nessuno seppe mai nulla. Tanto che all´annuncio, il primo dicembre ‘76, l´Avvocato si concesse il lusso di chiedere ai giornalisti: qualcuno ha idea di cosa sto per dirvi? Silenzio. Il segreto era assoluto. Anche questa, disse Cuccia ad Agnelli, era una prova della volontà libica di arrivare fino in fondo».
GHEDDAFI PRIMO PIANO
Ma non era un´alleanza innaturale, tra occidentali e libici?
«Altro che. Le nostre titubanze erano fortissime. Anche perché il partner era un´entità per noi sconosciuta. Quel che conoscevamo bene, però, erano le esigenze finanziarie stringenti della Fiat, che prevalsero sui timori di una trattativa con ignoti».
Realpolitik da parte di Agnelli, o cinismo?
«Diciamo che più del dolor potè il digiuno. Temevamo che a un certo punto nel negoziato si facesse vivo Gheddafi. Non telefonò mai. Agnelli lo incontrò molto più tardi, a Mosca».
E come si comportò Tripoli in Consiglio?
«Con grande correttezza. I due rappresentanti, Saudi e Misallati, avevano modi anglosassoni, parlavano inglese, erano cortesi e preparati. Si erano anche predisposti una base tecnica d´appoggio a Torino, allo studio Mailander. Ottimi partner, mai uno screzio».
CESARE ROMITI
Ma a un certo punto scalano in Borsa: è così?
«Non abbiamo mai capito davvero che cosa stava succedendo. Improvvisamente, circolano voci sulla loro voglia di ampliare la posizione, loro negano, il titolo comincia a correre, studiamo con Misallati una clausola protettiva fatta di medie complicate dei prezzi. Ma a quel punto, il prezzo è altissimo, la plusvalenza troppo allettante. E loro, alla fine sono degli speculatori».
Quando decidono di vendere?
«Il giorno di Ferragosto dell´86 sono in vacanza ad East Hampton quando suona il telefono e il centralino di casa Agnelli mi passa l´Avvocato da Sankt Moritz. Venga subito, mi dice, c´è qui Saudi, vogliono vendere. Arrivo e trovo Cuccia, Romiti e Maranghi con Agnelli. Tutti contenti».
AGNELLI ENRICO CUCCIA
Il socio era diventato troppo scomodo?
«Sì. L´imbarazzo internazionale cresceva e l´America era molto inquieta. La Libia era finita nella lista nerissima, e noi rischiavamo di perdere gli ordini americani per le macchine movimento terra. Agnelli non poteva nemmeno concepire che la Fiat finisse a sua volta sulla lista nera, per Gheddafi, ne parlò direttamente con Bush padre, già capo della Cia, vicepresidente e, poi, presidente degli Stati Uniti».
BUSH FIGLIO E PADRE
Quindi fu facile negoziare l´uscita?
«Difficilissimo. Anzi, drammatico. Non avevamo i soldi. Volevano tre miliardi e mezzo di dollari. Chiesi un mandato speciale ad Agnelli e mi chiusi per una settimana a Ginevra con Saudi. Era una roccia: ho questo mandato, ripeteva, non posso muovermi. Alla fine un poco si mosse, spuntai 500 milioni, e ci stringemmo per l´ultima volta la mano. Si alzò e disse che doveva telefonare».
A chi?
«Non ho mai saputo chi c´era dietro le quinte».
BY DAGOSPIA
mercoledì 23 febbraio 2011
GABETTI, PER VENTI ANNI BRACCIO FINANZIARIO DI AGNELLI, RACCONTA IL LUNGO NEGOZIATO SEGRETO PER L’INGRESSO DEI LIBICI IN FIAT - OGGI SI SCOPRE CHE LA FIAT NON AVEVA IL CONTROLLO DELLA SITUAZIONE: “LA NECESSITÀ DI SOLDI CI FECE SUPERARE LA PAURA DI TRATTARE CON IGNOTI. POI, COMINCIARONO LA SCALATA IN BORSA, NON CAPIVAMO COSA STESSE SUCCEDENDO” - NEL 1986, LA FIAT COSTRETTA DAGLI USA A LIBERARSI DI GHEDDAFI. I LIBICI, PARA-GURI, HANNO FATTO GONFIARE IL PREZZO PER RIVENDERE ALLA CIFRA RECORD DI 3 MLD DI DOLLARI…
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