martedì 19 agosto 2014

Caso Moro, Pieczenik interrogato in qualità di testimone dalla magistratura italiana L'ambiguo "negoziatore" ha rivelato di essere stato accusato dalle autorità Usa di complicità nell'omicidio ma la Procura di Roma l'ha sentito solo in qualità di testimone Pubblicato il 6 giugno 2014 da Simona Zecchi in Misteri italiani // Nessun commento

La notizia riferita ieri da lettera35, riguardo la presunta incriminazione dell’ex analista del Dipartimento di Stato americano, Steve Pieczenik, coinvolto nel caso Moro, comincia ad avere i dettagli in chiaro e i toni della conferma. Ieri sera l’agenzia Ansa, dopo la pubblicazione del nostro articolo, ha battuto la notizia che la Procura di Roma ha interrogato, nel corso di una rogatoria, l’esperto americano che fu chiamato dall’allora ministro dell’Interno, Francesco Cossiga, a “gestire la crisi” nei 55 giorni di prigionia del presidente Moro.
Secondo quanto ha riferito l’Ansa il pm romano, Luca Palamara, titolare di un filone dell’inchiesta sulla morte dell’allora presidente della Dc, si è recato negli Stati Uniti e ha sentito Pieczenik come “testimone”. L’atto istruttorio – spiega l’agenzia – si è tenuto attraverso una rogatoria internazionale, promossa dal ministero della Giustizia italiano, e l’ex consulente continuerebbe a rivestire la veste di testimone.
Il 2 giugno era stato lo stesso psichiatra ed esperto di terrorismo, in un’intervista rilasciata al giornalista investigativo Alex Jones, a riferire che l’amministrazione Obama, attraverso una richiesta ufficiale del Dipartimento di Giustizia firmata dal giudice distrettuale della Florida Cecilia Altonaga, l’ha accusato di complicità nell’omicidio di Aldo Moro e per essersi rifiutato di negoziare il rilascio dei terroristi.
In merito a quanto sta emergendo, intanto, è lecito un primo distinguo, così come il dubbio che da esso deriva. L’ex consulente di Francesco Cossiga, nel 2008 insieme al francese Emmanuel Amara, scrisse un libro Abbiamo ucciso Aldo Moro (Cooper edizioni) in cui di fatto già rivelava una notizia di reato che fino ad oggi, nonostante un’inchiesta aperta e chiusa nel mezzo, non aveva suscitato nessuna curiosità o stimolo ad approfondire l’attività investigativa.
Il “negoziatore” Pieczenick arriva a Roma nel marzo 1978 su mandato dell’amministrazione Carter per dare una mano a Cossiga alle prese con il sequestro Moro. Prende una stanza all’Excelsior e comincia lo studio dell’avversario. Così racconta Pieczenik, poi però svela quale è stata la decisione che optò per la “condanna” a morte dello statista rifiutandosi di negoziare con le Brigate Rosse e avallando, se non gestendo, la posizione del governo.
Il “negoziatore” mancato sostiene, da sempre, di aver avuto un ruolo con le autorità italiane per attuare una «manipolazione strategica al fine di stabilizzare la situazione dell’Italia». «Mi aspettavo che le Br – scriveva Pieczenik nel suo libro – si rendessero conto dell’errore che stavano commettendo e che lo liberassero Moro, mossa che avrebbe fatto fallire il mio piano. Fino alla fine ho avuto paura che liberassero Moro».
Dunque se diamo per buone le parole da lui scritte, questo suo ruolo non colliderebbe affatto con le recenti rivelazioni dell’ex ispettore Enrico Rossi, il cui filone avocato dal procuratore generale della Corte d’Appello di Roma Luigi Ciampoli, vedrebbe il coinvolgimento dei Servizi segreti.
Il dubbio che sorge sulla sottolineatura da parte della magistratura sul ruolo puramente testimoniale, come riferito dall’agenzia Ansa, sta nel fatto che contrariamente le dichiarazioni di Piecznick al giornalista americano Alex Jones, riportate come esclusiva sul sito infowars.com, sono di tutt’altro tenore e significato: «I was brought in on criminal charges», cioè sono stato incriminato, «at the behest of the Italian prosecutor», dunque su richiesta ufficiale del pubblico ministero italiano. Non si tratta di interpretazione linguistica ma di traduzione letterale dei termini che specificano i fatti. Dunque, bisogna capire dove sta la verità tra questi due fuochi.
E’ possibile, certo, che sia lo stesso Pieczenik a millantare il fatto, tuttavia sembra difficile credere che un sospettato o un semplice testimone dia per primo la notizia di essere incriminato e quindi si faccia reo-confesso senza che ci sia del vero. Proprio per sottolineare le sue aspre critiche verso l’amministrazione Obama, certo, per la gestione della politica estera, come racconta nel corso dell’intervista a Jones, dopo l’imbarazzante caso dell’ultimo prigioniero di guerra liberato Bowe Bergdahl. Inoltre, date le precise parole di Pieczenik, non è cosa possibile che l’incriminazione avvenga da parte di un’amministrazione americana, direttamente, senza un atto di rogatoria da altro paese.
Il riserbo sulla questione da parte di Piazzale Clodio è ovviamente assoluto. Dobbiamo attendere, dunque, che si faccia chiarezza e che non si mescolino le carte.

 http://www.lettera35.it/caso-moro-pieczenik-interrogato-dalla-magistratura-italiana/

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