Entrare nelle vicende del servizio segreto clandestino chiamato Anello è
un po’ come spingersi in una delle tante stanze di uno «Stato
parallelo». Come vedrà il lettore paziente, la fatica va fatta non solo
perché permette di attraversare una buona parte della storia d’Italia,
ma anche perché è un racconto sul livello occulto del potere che, ancorché sconosciuto per definizione, non è affatto qualcosa di indefinibile e impenetrabile.
Lo storico Angelo Ventura, come ricordo in Doppio livello, propone di individuare i requisiti essenziali del concetto di poteri occulti
per non «cadere nel paradosso e dilatar[n]e il concetto sino a privarlo
di significato reale e quindi di efficacia» e individua i seguenti
caratteri costituenti: «Il segreto, che copre in tutto o in parte i
membri, le azioni e talvolta gli stessi fini e addirittura l’esistenza
dell’organizzazione; la funzione di contropotere, in quanto perseguono
autonomamente fini propri di potere, diversi o contrari rispetto al
potere legittimo; il carattere illegale delle attività e, per lo più,
della stessa esistenza dell’organizzazione occulta».
Dopo la definizione, Ventura individua i principali poteri occulti
operanti nel nostro paese almeno nell’ultimo ventennio, attivi in una
dimensione internazionale e caratterizzati da un complesso intreccio di
rapporti, pur conservando la loro autonomia: i servizi segreti nazionali,
o settori di essi, quando assumono il carattere di corpi separati
sottratti al controllo del governo politico, e quelli stranieri, che
operano nel nostro territorio con metodi illegali e senza
l’autorizzazione del governo italiano; le organizzazioni eversive clandestine, rosse e nere; la loggia massonica P2 e le altre logge segrete; la grande criminalità organizzata, definita anche «strutturata».
Questi sono i soggetti che incontriamo nel racconto dell’Anello
e in quello di tutti gli altri organismi e personaggi della guerra
sotterranea che ha trovato il suo luogo più naturale nel paese chiave
del Mediterraneo, «ventre molle» dell’Alleanza atlantica. I misfatti dell’Anello
rientrano a pieno titolo nella storia non ufficiale del nostro paese.
Contrariamente a quello che si possa immaginare, di questo organismo noi
sappiamo già molto o, almeno abbastanza, rispetto ad altri organismi
(ai quali accenna Paolo Cucchiarelli nella sua efficace e lucida postfazione); per esempio, si pensi ai Nuclei di difesa dello Stato di cui sappiamo ben poco.
Dell’Anello – altrimenti conosciuto, sulla base dei documenti esistenti, anche come «noto servizio»,
nome usato tra gli addetti ai lavori per evitare una sua esplicita e
inopportuna identificazione – come si vedrà sappiamo varie cose (nomi,
zone territoriali d’influenza, tipo di attività, mezzi a disposizione)
anche se non possiamo illuderci di stabilire una gerarchia tra i vari
servizi e le agenzie. D’altra parte, non sappiamo se in futuro ne
verranno scoperti altri: non si tratta di una ipotesi spericolata, visto
che la guerra non convenzionale che è stata esportata
in Italia per controllare e orientare l’evoluzione della nostra
democrazia si è servita soprattutto di strutture occulte alle quali va
aggiunto a pieno titolo, per esempio, il movimento politico Ordine Nuovo.
L’esistenza di segreti è connaturata al potere e non è di per sé
espressione di una sua deviazione dai fini legittimi e dichiarati. Così
la dialettica tra azioni pubbliche e quelle «coperte» non
necessariamente produce zone «affrancate» da ogni possibilità di
controllo democratico, come, invece, è successo in Italia. Nel nostro
paese i poteri espressione dello Stato democratico-formale ed
effettivamente operanti in questa funzione in tutte le sue
manifestazioni hanno gestito da una certa distanza poteri illegittimi
che hanno fatto parte anch’essi, in definitiva, della nostra
Costituzione materiale – definizione che si può adattare perfettamente
anche a un solo uomo: Giulio Andreotti, il politico più di altri vicino agli ambienti dell’Anello, uno dei suoi «utilizzatori finali», oseremmo dire.
A riguardo è verosimile quanto mi fu riferito da un uomo dell’Anello sul servizio scorte
garantito al politico più longevo d’Italia soprattutto nei suoi
spostamenti più riservati come quelli in terra siciliana: Andreotti
avrebbe goduto di una agibilità completamente protetta dai resoconti
ufficiali cui sono tenuti gli agenti delle scorte di Stato. La storia
che leggerete nel mio libro ci introduce, dunque, nelle modalità
operative dei poteri occulti i quali si dotano di strumenti invisibili e
non rintracciabili.
Per esempio: nel 1977 per riconsegnare il nazista Herbert Kappler, condannato all’ergastolo per l’eccidio delle Fosse Ardeatine,
alla Germania – una scelta che toglieva dignità al nostro paese e che
non poteva essere sostenuta pubblicamente – il governo italiano appaltò
l’operazione ad Adalberto Titta, il capo operativo dell’Anello,
e ai suoi uomini. Chi mai, infatti, avrebbe potuto rintracciarli o,
scoperti in fragrante con l’ostaggio in auto, collegarli al direttore
ufficiale del servizio (Mario Casardi) che pure in quel
momento dirigeva questa particolare operazione di esfiltrazione Nella
storia della strategia della tensione sono state determinanti le figure
degli «irregolari», come gli agenti dell’Anello e tutti coloro che a vario titolo gli ruotavano intorno – un nome per tutti: il professor Giovanni Maria Pedroni, stimato e noto professionista milanese, segretamente anche medico dell’Anello.
L’ex ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani ammonì i membri della Commissione stragi
dicendo di non soffermarsi sulle strutture ufficiali ma di cercare
proprio tra gli irregolari. Nel suo libro di memorie Taviani scrive:
«Nel periodo dello sfascio del Sifar e della confusione del Sid erano stati assunti come agenti di complemento parecchi confidenti, veri e propri “servizi paralleli” spesso equivocati con la Gladio
mentre con essa non avevano nulla a che fare». L’ex ministro, che
iniziava a essere loquace nell’ultima parte della sua vita, disse ai
magistrati di Brescia che: «Il Sifar fu distrutto nel 1966 [...]
l’Italia rimase scoperta in questo settore [...] il Sid nacque debole
[...] il ministro Tanassi non aveva né competenza né prestigio [...]. Fu
in questo clima che i gruppuscoli di estrema destra, che vivacchiavano
agli inizi degli anni Sessanta, si gonfiarono sino a costituire una
galassia distaccata ormai dal Msi [...]. In alcuni settore del Sid e
dell’Arma di Milano e di Padova vi furono delle deviazioni ». Sempre
nella stessa circostanza Taviani specificò che, sebbene nel 1958 come
ministro della Difesa aveva dato direttive affinché in Gladio
non fossero inseriti fascisti e comunisti, «poi ho avuto la sensazione
che tra i miei successori ci sia stato un certo lasciar libertà agli
organi militari senza addentrarvisi troppo».
Aldo Moro, secondo Pier Paolo Pasolini l’uomo «meno implicato» del sistema democristiano, sapeva dell’esistenza dell’Anello
e chiamava «servizi paralleli gli uomini di completamento dei servizi
segreti, quelli utilizzati dall’esterno come Guido Giannettini,
Caradonna o Delle Chiaie». Moro non avrebbe mai immaginato che proprio
alcuni di quegli irregolari sarebbero passati così tanto vicino a lui
nel momento finale della sua esistenza. Gli uomini di Adalberto Titta, infatti, ficcarono il naso durante i cinquantacinque giorni nelle prigioni di Moro e il cappellano dell’Anello, padre Enrico Zucca,
un francescano molto attivo anche nell’alta borghesia milanese, ebbe la
possibilità di entrare in contatto con alcuni esponenti del mondo
brigatista per avviare una trattativa che qualcuno più in alto decise
poi di far fallire; incredibilmente il ruolo di padre Zucca è stato
completamente inabissato da qualunque sede di analisi del caso Moro,
tribunali, commissioni parlamenti e tant’altro.
Ma l’Anello non si sarebbe limitato a entrare in azione durante il
caso Moro. A detta di una fonte interna alla struttura, già nel 1977 si
sarebbe svolta a Bari, nella lussuosa villa di un
politico, una riunione segretissima tra Titta, alcuni suoi fidati
collaboratori e importanti funzionari dell’amministrazione statunitense e
italiana: era settembre e il consesso si riunì all’incirca alle 9 di
sera, protetto da guardie esperte messe a presidiare ogni angolo di quel
luogo rimasto ignoto. L’oggetto dell’incontro era la supervisione della
situazione italiana e, in particolare, delle mosse politiche di Aldo Moro,
considerato non affidabile e pericoloso per la stabilità degli
interessi statunitensi. Secondo la mia fonte quell’incontro dette il via
all’operazione Moro che sarebbe avvenuta «secondo la solita strategia,
cioè appena si sarebbe presentata la situazione favorevole».
Non ne sappiamo di più, purtroppo, ma è evidente che la faccenda, oltre a richiamare le modalità del Doppio livello (far fare ad altri le azioni destabilizzanti), confermerebbe la dimensione internazionale dei compiti svolti dall’Anello
e la totale permeabilità dei nostri apparati di intelligence, regolari o
non, all’influenza straniera, questione del resto comprovata da saggi
di analisi e da numerose testimonianze (si pensi a quella del generale
Maletti da Johannesburg). Stranamente, ma è una pura coincidenza
territoriale, tra le diverse segnalazioni precedenti al rapimento di
Aldo Moro, una arrivò proprio dalla zona pugliese. Il 16 febbraio Salvatore Senese,
detenuto a Matera, disse di aver saputo che sarebbe avvenuto qualcosa
al politico Dc: la «soffiata» arrivò al centro dei servizi di Bari, area
dove Moro si recava spessissimo perché era il suo collegio elettorale,
ma fu «congelata». La sede centrale del Sismi ne fu informata solo la mattina del 16 marzo 1978, il giorno del rapimento.
La guerra segreta all’Italia deve essere in gran parte ancora scritta. A meno che non ci accontentiamo della versione ufficiale che ci è stata data della Gladio: edulcorata e buonista. La faccenda è ben più complicata di quello che ci è stato fatto credere. Confida oggi lo storico Giuseppe De Lutiis
che una sua fidatissima fonte dell’ambiente dell’intelligence gli
raccontò che, in effetti, definire i termini dello sdoganamento
ufficiale della Gladio non fu semplice e che «la compilazione della
lista dei 622 gladiatori ufficiali non fu affatto facile. Attorno a un
tavolo discussero per qualche giorno e qualche notte alcuni alti
funzionari per decidere chi mettere “in chiaro” e chi tutelare. La mia
fonte – continua De Lutiis – sapeva tutto ma non volle mai dirmi altro
in merito alla reale consistenza del fenomeno Gladio. Certamente i nomi
che si decise di tutelare furono tanti, forse persone insospettabili che
mai potremo conoscere a meno di una loro stessa improbabile
autodenuncia».
Mi illudo, riscrivendo a distanza di cinque anni questa premessa, che la storia dell’Anello
sia ormai nota ai più. Per quasi mezzo secolo è stata totalmente
oscura, poi sono caduti alcuni veli che ne garantivano una ferrea
clandestinità, ma non perché alcuni protagonisti hanno scelto di parlare
e di fare un po’ di pulizia tra le menzogne che hanno accompagnato la
nascita e la vita della nostra Repubblica.
In definitiva questa storia, scoperta grazie alle intuizioni del giudice Guido Salvini e alla caparbietà di Massimo Giraudo,
l’investigatore che più di altri l’ha ricostruita, conferma che le
strutture occulte tutelano sempre se stesse, così come fanno gli uomini
dello Stato che ne sono a conoscenza e che le usano. Nessuna gola
profonda all’interno delle istituzioni ha mai alzato un dito per dire
«io so»: e questo è davvero un cancro per un paese come il nostro,
ancora alle prese con il proprio passato mentre intorno a noi tutto il
mondo cambia rapidamente.
Testo tratto dalla nuova edizione del libro L’Anello della Repubblica di Stefania Limiti (Chiarelettere, 2014)
http://www.lettera35.it/anello-repubblica-limiti/
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