Ancora oggi ho seri
problemi a credere che Lee Harvey Oswald abbia agito da solo. Di sicuro
nutro dubbi sul fatto che si fosse motivato da sé. Voglio dire, non so
se qualcun’altro fosse coinvolto, non mi spingo a discutere della teoria
(dello sparo) dalla Grassy Knoll; ma mi domando se siano andati davvero
in fondo sul periodo trascorso da Oswald in Russia, e l’influenza che
su di lui ebbe Cuba.”
Sono parole dell’attuale Segretario di Stato John Kerry, dette alla Nbc nel cinquantenario della morte del Presidente Usa John F. Kennedy, ucciso a Dallas il 22/11/1963.
Dichiarazioni simili a quelle del successore di Kennedy, il Presidente Usa Lyndon B. Johnson,
rilasciate a Walter Cronkite nel settembre 1969: “Non sono
completamente convinto che non ci siano state connessioni
internazionali; non mi sento di escluderle. […] Non credo che la
Commissione Warren o chiunque altro, possa essere completamente sicuro
su ciò che abbia motivato Oswald, e altri che potrebbero essere
coinvolti”.
La teoria che Kennedy sia stato assassinato sullo sfondo di un
complotto comunista è sempre stata nell’aria, sin dal pomeriggio di quel
fatidico 22/11/1963; essa ha ricevuto un ulteriore impulso con A cruel and shocking act, best-seller di Philip Shenon, autorevole reporter del New York Times e di Newsweek. Nel suo
libro, Shenon spiega perchè ci siano ancora così tanti dubbi
sull’attentato di Dallas, e soprattutto perchè la verità non è uscita
dalla Commissione Warren: istituita una settimana dopo l’assassinio di
Kennedy, l’indagine era difettosa sin dall’inizio, con uno staff non
all’altezza e scadenze ravvicinate da rispettare; in più, molte prove
furono distrutte o manipolate a scopi politici dalle agenzie di
Intelligence; in particolare, il Direttore Cia al Contro-Terrorismo
James J. Angleton occultò documenti delicati per celare negligenze dei
suoi agenti. Shenon si riferisce in particolare al viaggio di Oswald a
Città del Messico, tra settembre e ottobre 1963.
Secondo il giornalista è proprio durante il soggiorno a Città del
Messico che Oswald entrò in contatto con ambienti governativi castristi,
e trovò le motivazioni che lo avrebbero spinto, un mese e mezzo dopo, a
uccidere Kennedy. Una “verità” già nota alla Commissione Warren, ma
ignorata per evitare un confronto con l’Unione Sovietica, ad appena un
anno dalla “crisi dei missili” di Cuba.
Quindi, nel suo libro, Shenon finisce per elogiare Lyndon Johnson,
perché “nascose” quei fatti: gli americani, venendo a sapere che Oswald
aveva complottato con i comunisti, avrebbero invocato una ritorsione. La
“verità” poteva scatenare una guerra nucleare.
Un ex Presidente degli Stati Uniti, l’attuale Segretario di Stato Usa, e un autorevole giornalista sono
persuasi che Oswald fosse motivato da questioni politiche sullo sfondo
di un intreccio con Cuba e l’Unione Sovietica; e soprattutto, che non
sia stata fatta piena luce su quell’ipotesi di complotto.
Eppure, ancora oggi la “verità ufficiale” vuole John F. Kennedy
ucciso da un cecchino solitario, un frustrato che cercava di ritagliarsi
un posto nella storia.
Invece, un attento studio dei fatti, grazie al lavoro di storici come
David Talbot, Peter D. Scott, Doug Horne e Bill Simplich, offre un
quadro differente: Oswald fu il capro espiatorio dell’assassinio in
Dealy Plaza, e il Presidente Usa fu vittima di un colpo di Stato.
Lee H. Oswald, la Cia e la Commissione Warren: James J. Angleton
A tutt’oggi rimangono ombre nel passato di Lee Harvey Oswald, essendo molti file
relativi alla sua persona ancora classificati. Tuttavia, addentrandosi
nei documenti raccolti dall’ARRB (Pannello Governativo sul caso JFK) dal
NARA (Archivio Nazionale Usa) o dalla Mary Ferrel Foundation, si matura
una certezza: la Cia conosceva molto bene l’uomo accusato dell’omicidio
di John F. Kennedy; aveva aperto su di lui un file nel novembre del
1960, un anno dopo la defezione di Oswald in Unione Sovietica.
Nel 1959 Oswald si era presentato all’ambasciata Usa di Mosca,
comunicando al console Richard Snyder e al consigliere John McVicar, la
sua intenzione di rinunciare alla cittadinanza americana, e di voler
passare al nemico le sue conoscenze maturate nell’esercito.
Una volta in mano ai sovietici, Oswald venne trasferito a Minsk, e
impiegato in una fabbrica di impianti elettronici. Lì incontra Marina
Prusakova, figliastra di un Generale dell’Intelligence sovietica, e la
sposa.
A tutt’oggi non è chiaro se quel viaggio facesse parte di un
programma di defezione messo a punto da qualche agenzia governativa. L’Ufficio
dell’Intelligence della Marina americana (ONI) non ha mai reso pubblici
i 119 rapporti di indagine sulla defezione di Oswald, stilati tra il 1959 e il 1963. Esiste però testimonianza di un report di Oswald sulla fabbrica in cui lavorava, e raccolto da un agente della Cia in territorio sovietico. Che Oswald fosse monitorato, è confermato anche in un memo del 25-11-1963, scritto da un altro agente americano operativo in Unione Sovietica.
Di sicuro, Lee Harvey Oswald aveva perfezionato il russo prima della
sua defezione, alla Scuola dell’Esercito di Monterey, in California.
Durante la sua carriera nei Marines, era stato assegnato alla base
giapponese di Atsugy, dove lavorava alle fotografie scattate dagli U2,
gli aerei spia che sorvolavano l’emisfero orientale; quelle immagini
finivano sulla scrivania del Presidente Eisenhower.
Oswald, dopo tre anni di permanenza in Unione Sovietica, si
ripresentò all’ambasciata americana di Mosca, e qualche giorno dopo
tornò negli Stati Uniti su un volo militare. Ufficialmente, rimesso
piede sul suolo americano, non subì interrogatori, e tanto meno processi
per tradimento: un trattamento insolito per un ex marine scappato in
Unione Sovietica, e disposto a “vendere” segreti degli aerei U2 al
nemico.
Insieme alla moglie Marina Prusakova venne immediatamente indirizzato a Forth Worth, vicino a Dallas.
L’archivio ufficiale della Cia su Oswald, il file 201, è incentrato
soprattutto sulla defezione del marine in Unione Sovietica; era stato
aperto nel 1960, ma conteneva materiale antecedente: è la conferma che
la Cia aveva già un archivio informale su Oswald, a disposizione del
Capo del Contro-Terrorismo, James J. Angleton
(1954-1975): infatti era stata una sua sottoposta, Anne Egerter, ad
aprire il file ufficiale 201, selezionando le informazioni da
condividere con le altre agenzie di Intelligence.
Nel 1978, davanti alla HSCA, (Indagine Congressuale sugli assassinii di John Kennedy, Robert Kennedy e Martin Luther King) James Angleton risponderà a domanda precisa: “Non condussi nessun tipo di indagine su Oswald”. In realtà accadde il contrario.
E’ Angleton che gestisce le indagini interne della Cia dopo l’assassinio di Kennedy: rimosse il
suo collega John Whitten dal caso Oswald, e appuntò Raymond Rocca, suo
assistente, come ufficiale di contatto tra la Cia e la Commissione
Warren. Era il dicembre del 1963. E’ Angleton, quindi, che filtra le
informazioni su Oswald (e le connessioni della Cia con i fatti di Dealy
Plaza) allo staff di investigatori.
Il 13 maggio 1964, in vista dell’udienza in sede Congressuale del Direttore della Cia John McCone (1961-64), Angleton gli invia un memo
con i seguenti ordini: “se posta la domanda, negare che Oswald sia mai
stato un agente della Cia; se posta la domanda, negare che ci sia stato
un complotto per uccidere il presidente Kennedy”. Lo stesso memo è
inviato al Direttore dell’Fbi J. Edgar Hoover (1932-1975), anch’egli
convocato dalla Commissione Warren.
Per altro, la Commissione, che contava 7 membri, era guidata dall’ex Direttore della Cia Allen Dulles
(1952-1961), di cui Angleton era stato a lungo un braccio destro. I due
si conoscevano bene sin dai tempi dell’Oss, l’Ufficio dei Servizi
Segreti Usa durante la II Guerra Mondiale e crisalide della Central
Intelligence Agency (nata nel 1947). Era stato il neo Presidente Lyndon
Johnson a nominare Dulles come membro della Commissione; questo,
nonostante l’ex Direttore fosse stato rimosso da Kennedy nel 1961, per
il fallimento dello sbarco alla Baia dei Porci da parte di 1500 esuli
cubani addestrati dalla Cia.
Se il nome Dulles apriva un enorme conflitto di interessi, un altro
garantiva affidabilità e trasparenza: quello di Earl Warren, da 10 anni
Presidente della Corte Suprema.
Nei primi, convulsi giorni dopo i fatti di Dallas, Warren
inizialmente aveva rigettato l’incarico di presiedere l’indagine
sull’assassinio di Kennedy; tuttavia fu il neo-Presidente a convincerlo.
E’ Johnson stesso, durante una telefonata del 28/11/1963 a un altro membro della Commissione, a raccontare come avesse fatto presa sul riluttante Capo della Corte Suprema:
“Gli ho spiegato: non voglio che (il Presidente Sovietico) Krushov
domani vada davanti a una telecamera e dica: ‘ho ucciso Kennedy’, o dica
‘l’ha ucciso Castro’. Questa è una storia con molte ramificazioni, e
dobbiamo togliere dalla piazza le notizie che è stato Krushov o Castro:
perchè ci porterebbero dritto a una guerra che ucciderebbe 40 milioni di
americani nel giro di un’ora.”
Sempre nelle parole di Johnson durante la stessa telefonata:
“Warren si ostinava a dirmi di no, che non avrebbe presieduto
l’indagine, così ho tirato fuori il piccolo incidente di Città del
Messico. Gli ho detto: voglio solo che indaghi su chi ha ucciso il
Presidente; mettiti la tua uniforme della I Guerra Mondiale e fai in
modo di salvare anche una sola vita americana”.
Se ancora rimangono dubbi sul reale obiettivo della Commissione Warren, si legga il memo del Vice-Segretario alla Giustizia Nicholas Katzenbach;
fu inviato allo staff del Presidente Johnson il giorno dei funerali di
Kennedy (e di Oswald), mentre le richieste per aprire un’indagine
stavano diventando assordanti: “La gente deve essere persuasa che Oswald
è l’unico assassino, che non ci sono complici ancora liberi; e che le
prove sono tali che sarebbe stato condannato in un processo. E’
necessario eliminare le speculazioni sui motivi di Oswald, e l’idea di
una cospirazione comunista, sebbene i fatti su Oswald sembrino fin
troppo chiari (marxista, Cuba, moglie sovietica)…”
La Commissione Warren, quindi, ha già un colpevole, Oswald, che non
può difendersi perché assassinato il 24/11/63 nei sotterranei del
Comando di Polizia di Dallas; al tempo stesso, deve evitare che emergano
i legami “dell’assassino” del Presidente con i comunisti, per salvare
l’America da una guerra nucleare.
E i legami dell’ex marine con pericolosi comunisti sovietici erano
stati “documentati” dalla Stazione Cia di Città del Messico – il piccolo
incidente di cui parla il Presidente Johnson: memo, fotografie e
perfino la registrazione della voce di Oswald mentre parla con un
pericoloso agente del KGB.
In seguito, la narrazione che Oswald fosse in accordo con i
sovietici, subì un forte ridimensionamento a causa Juri Nosenko, un ex
agente del KGB che nell’aprile del 1964 aveva defezionato, consegnandosi
agli americani. Nosenko era stato il supervisore dei file su Oswald
durante la sua permanenza in Unione Sovietica, e il successivo ritorno
in patria. Durante i primi interrogatori in suolo americano, il
defettore spiegò: “capimmo che non aveva molte informazioni da darci,
non ci pareva un agente dell’Intelligence Usa: non provammo nemmeno a
reclutarlo perché ci sembrava inaffidabile”. Di conseguenza, l’ex agente
sovietico scartava l’ipotesi che Oswald avesse assassinato Kennedy in
combutta con il KGB.
Nosenko, la cui deposizione finì alla Commissione Warren, venne
incarcerato e “lavorato” per tre anni: volevano fargli ammettere di
essere stato mandato dal KGB per depistare gli americani sui legami di
Oswald con l’Unione Sovietica. A dipingere questo profilo di Nosenko era
stato proprio James Angleton, che fece di tutto per tenerlo in carcere.
Nosenko non cambiò mai versione, e ha vissuto per il resto della sua
vita con una taglia sulla sua testa, lanciata dai vertici sovietici.
Eppure, ancora nel 1978, Angleton ripeteva alla HSCA che Nosenko faceva
parte di un’operazione di depistaggio.
Il materiale proveniente da Città del Messico, i documenti del
“piccolo incidente”, erano già stati messi in discussione ben prima
della defezione di Nosenko, e da una delle più alte cariche delle
istituzioni Usa: il Direttore dell’Fbi J. Edgar Hoover.
In una telefonata del 23/11/63, il giorno dopo l’assassinio di Kennedy, Hoover spiegò a Johnson:
“Abbiamo i nastri e le fotografie dell’uomo che si è presentato
all’ambasciata sovietica a Città del Messico identificandosi come
Oswald: l’immagine e la voce registrata non corrispondono all’Oswald che
c’è a Dallas; in altre parole, c’era un’altra persona all’ambasciata
sovietica, laggiù.”
E’ il giorno dopo che Lee Harvey Oswald viene assassinato in diretta televisiva da Jack Ruby, un uomo che in seguito dirà: “se il Vice-Presidente fosse stato Adlai Stevenson (e non Lyndon Johnson), Kennedy sarebbe ancora vivo“.
La lunga strada che ha portato Oswald prima a Città del Messico, e
poi a morire nei sotterranei del Comando di Polizia di Dallas, sotto lo
sguardo di milioni di americani, è costellata da altri piccoli incidenti
all’ombra della Cia.
Oswald e la Cia a Fort Worth: George De Morhenschildt
In passato Lee Oswald aveva già vissuto a Fort Worth, e lì cominciò
un periodo di riadattamento alla vita americana dopo il ritorno
dall’Unione Sovietica. Il suo supervisore, si suppone, era Walton
Moore, Capo della Stazione Cia di Dallas e agente della Divisione dei
Contatti Interni. Questo è emerso durante le udienze della Commissione
Warren con la deposizione di George De Morhenschildt, uomo d’affari di
origine russa che dall’ottobre 1962 cominciò a frequentare assiduamente
Lee e Marina Oswald.
Il rapporto tra Oswald, con le sue vantate simpatie per “Che
Guevara”, e l’aristocratico De Morhenschildt, amico di famiglia del
petroliere George H. W. Bush, venne sollecitato proprio da Walton Moore:
nel 1961 l’agente Cia aveva incontrato De Morhenschildt di ritorno da
un viaggio d’affari, e già allora gli aveva accennato di un defettore in
procinto di tornare a Dallas da Minsk.
I contatti tra l’uomo d’affari russo e agenti governativi non erano
casuali: De Morhenschildt rappresentava importanti compagnie americane
all’estero, soprattutto nei Paesi destabilizzati dai colpi di Stato
targati Cia: operò in Guatemala, Haiti e in Iran. Negli anni ’50 De
Morhenschildt aveva finalizzato i diritti di sfruttamento dei pozzi
petroliferi a Cuba a nome della CVOVT, compagnia texana; contratti
stracciati da Fidel Castro quando salì al potere nel 1959.
Se Walton Moore era il responsabile di Oswald, De Morhenschildt può esserne considerato l’handler,
il controllore: è all’uomo d’affari russo che l’ex marine affida le
memorie del suo viaggio in Unione Sovietica, poi consegnate al capo
della Stazione Cia di Dallas.
Fu Moore, però, sempre secondo De Morhenschildt,
a introdurre Lee e Marina ai coniugi Michael e Ruth Paine durante una
festa; e proprio a partire dalla primavera del 1963, Ruth Paine diventa,
di fatto, l’handler dell’ex marine a Dallas, ospitando la moglie Marina in casa sua.
Dal marzo 1963 De Morhenschildt non vedrà più Oswald. In compenso
però, in aprile si incontra con Lyndon Johnson, all’epoca ancora
vice-Presidente di Kennedy, e i suoi assistenti militari; e viene
convocato a New York da Thomas Devine,
agente Cia e socio della Zapata Oil, la compagnia petrolifera di George
H. W. Bush con piattaforme al largo delle coste di Cuba.
Oggi esistono pochi dubbi che già all’epoca il 35enne George H. W.
Bush fosse inquadrato nella Cia, avesse partecipato sul piano logistico
all’Operazione Zapata (l’invasione alla Baia dei Porci), e fosse in
contatto con alcuni paramilitari anti-castristi (fonte/fonte/fonte).
E nel 1976 proprio a George H. W Bush, nel frattempo diventato Direttore della Cia, De Morhenschildt chiese protezione:
in una lettera, l’uomo d’affari si lamentava che troppe persone
minacciavano la sua serenità. La situazione per De Morhenschildt era
mutata dopo aver rilasciato un’intervista a Willem Oltmans, in cui, di
fatto, scagionava Oswald, definendolo un perfect patsy, “un capro espiatorio perfetto”.
“Patsy” è la parola urlata da Oswald il 22/11/1963 davanti
ai giornalisti, nei corridoi del Comando di Polizia di Dallas, i quali
gli chiedevano se fosse lui l’assassino del Presidente. E’ il testamento
dell’ex marine: dichiarare al mondo di essere solo un capro espiatorio
nell’assassinio di Kennedy.
“I am a patsy! I am a patsy!”, oltre a essere l’esatta frase di
Oswald, è anche il titolo del memoriale scritto da De Morenschildt e
consegnato nel 1977 dalla vedova Jean alla HSCA, aperta l’anno prima per
fare luce sull’assassinio di Kennedy.
Nel marzo dello stesso anno, il giorno in cui aveva appuntamento con
Gaeton Fonzi, un investigatore della HSCA, De Morhenschildt venne
trovato cadavere, e la sua morte archiviata dalla polizia come un
suicidio.
Lee Oswald e i coniugi Paine
Nell’aprile 1963 Lee Oswald lascia Fort Worth e si reca in Luisiana
con la famiglia. In giugno Ruth Paine va di persona a New Orleans a
prelevare Marina, in gravidanza, e riportarla a Dallas. Nell’occasione, Ruth Paine
trasporta con sé molti effetti personali di Oswald, e li conserva nel
suo garage; verranno poi recuperati dalla polizia il giorno
dell’assassinio di Kennedy: tra di essi, anche le prove per collegare
l’ex marine al fucile, secondo la Commissione Warren, usato per uccidere
il Presidente Usa.
Alla fine di settembre Oswald lascia New Orleans e, dopo il breve
viaggio a Città del Messico, fa ritorno a Dallas. E’ Ruth Paine che lo
indirizza a lavorare per una ditta con sede nella Texas Book School
Depository (TDBD). E’ l’edificio da dove, secondo la ricostruzione della
Polizia di Dallas, avvallata dalla Commissione Warren, Oswald sparò tre
colpi sulla limousine del Presidente Usa: il primo ferì James Tague, un
passante, il secondo trapassò Kennedy e ferì il Governatore Connally, e
il terzo fu quello alla testa, fatale per il Presidente Usa. Una
ricostruzione ormai ampiamente screditata, se non altro perché i frammenti estratti dal busto e dalla coscia di Connally sono diversi dalla pallottola (CE399) che secondo la Commissione Warren avrebbe trapassato Kennedy e ferito il Governatore.
(L’occupazione di Oswald presso la TBSD è fondamentale nella
narrativa ufficiale del cecchino solitario: è un dettaglio usato per
ridicolizzare le conclusioni che indicano l’ex marine come capro
espiatorio; non poteva esserlo, dice la narrativa ufficiale, perchè
Oswald trovò sì impiego in quell’edificio alla fine di ottobre, dopo i
suoi viaggi a New Orleans e Città del Messico; ma ben prima che venisse
ufficializzato il viaggio a Dallas, e tracciato il percorso del corteo
motorizzato del Presidente Usa. La tesi si basa, innegabilmente, su
un’assunzione arbitraria: che ci fosse un unico capro espiatorio da
incastrare, nel disegno del colpo di Stato, e un unico tentativo. Per
escludere l’idea del “patsy“, infatti, si ignorano gli altri due piani per assassinare Kennedy: a Chicago, il 2/11/63, e a Tampa il 18/11/1963, speculari all’attentato di Dealy Plaza. Nel primo caso, i Servizi Segreti di Chicago,
con fondati sospetti su un commando d’origine cubana, fecero cancellare
la visita di Kennedy; per quanto riguarda il secondo attentato, anni
dopo la HSCA indagò su Gilberto Policarpo Lopez, il papabile “capro
espiatorio” del mancato attentato di Tampa (HSCA p. 118). La tesi che esclude Oswald come patsy,
tra l’altro, non tocca altri punti cruciali: il tragitto attraverso
Dallas non aveva molte alternative, e comunque la decisiva deviazione in
Dealy Plaza venne supervisionata dal sindaco Earl Cabell, fratello di
Charles Cabell, vice-Direttore Cia sotto Allen Dulles, pure lui
licenziato dopo la fallita invasione alla Baia dei Porci.)
La contiguità di Ruth e Micheal Paine al presunto assassino di
Kennedy, poi, è davvero ingombrante: il patrigno di Michael Paine è Arthur Young,
inventore dell’elicottero Bell, mezzo assurto a icona durante la guerra
del Vietnam; la madre di Michael, la signora Paine-Young, era amica di
Mary Bancroft, per anni collaboratrice e amante del futuro Direttore
della Cia Allen Dulles.
Se nel garage dei Paine la polizia trovò le prove per collegare
Oswald all’arma del delitto, le dichiarazioni dei due coniugi durante
un’intervista cementarono nella coscienza degli americani il profilo da
potenziale assassino di Oswald: un filo-comunista frustrato e desideroso
di entrare nella storia; capace di farlo anche con un atto scioccante.
Ancora oggi le cartelle esattoriali di Ruth e Micheal Paine costituiscono materiale segreto: sono uno dei 3603 file classificati relativi all’assassinio di John F. Kennedy;
ne esiste uno anche su Walton Moore, l’agente Cia che introdusse i
Paine agli Oswald, prima che Lee si recasse a New Orleans, dove per
altro era nato e aveva vissuto la sua adolescenza.
Oswald e la Cia a New Orleans: George Joannides
Nel pomeriggio del 22/11/1963, nelle stesse ore in cui Oswald, nella
Stazione di Polizia, si proclamava un capro espiatorio, un gruppo di
attivisti anti-castristi con sede a New Orleans convoca una conferenza
stampa: il DRE (Direttorato degli Studenti Cubani) annuncia che l’uomo
sospettato di essere l’assassino di Kennedy è un membro della Fair Play
for Cuba (FPCC), un comitato di simpatizzanti per Castro.
Nel luglio e nell’agosto 1963, durante la sua permanenza a New
Orleans, Oswald si fece notare come agitatore politico nelle università e
per le strade della città. Aveva inviato al Comitato del Fair Play For
Cuba la sua adesione, e la richiesta di aprire una sede a New Orleans.
Pur non avendo ottenuto nessuna risposta positiva, ma presentandosi come
membro del FPCC, Oswald contattò diverse persone in odore di comunismo,
spingendole a dichiarare, o a negare, le loro simpatie per Castro. Era
l’unico membro di una sede non riconosciuta del FPCC: con queste
premesse, la sua attività politica avrebbe dovuto passare inosservata;
eppure la presenza di New Orleans venne pubblicizzata proprio attraverso
i burrascosi confronti con il DRE. Per cinque volte Oswald entrò in
contatto con il gruppo anti-castrista: addirittura si riunirono in
un dibattito televisivo, nel quale l’ex marine disquisì di marxismo.
Venne filmato anche durante una lite per strada con gli attivisti del
DRE, a causa della quale Oswald venne arrestato; in quell’occasione
stava distribuendo volantini inneggianti a Castro.
In seguito si scoprì che l’indirizzo segnalato da Oswald sul
volantino corrispondeva allo stabile in cui si riunivano gruppi
associabili con il DRE: ad esempio il Cuban Revolutionary Council, e il
Crusade to Free Cuba. Nel medesimo edificio lavorava l’investigatore Guy
Banister, ex agente Fbi ingaggiato in attività anti-comuniste, e
coinvolto in operazioni anti-castriste. L’edificio era a due passi da
una sede della Cia, e una sede dell’Intelligence della Marina.
La stessa segretaria di Banister, Delphine Roberts, ha affermato che
Oswald veniva considerato un associato dell’ufficio. L’ex marine,
quindi, si dichiarava pubblicamente un castrista, ma lavorava a stretto
contatto con un anti-comunista.
In Louisiana, l’ex marine frequentò pure l’imprenditore Clay Shaw, un informatore della Cia; e si riunì con David Ferrie,
un pilota d’aerei coinvolto nelle operazioni anti-castriste. Ferrie,
nel 1955, aveva addestrato alla vita militare un giovanissimo Oswald,
nella Civic Air Patrol di New Orleans.
Oswald, Ferrie e Shaw vennero visti insieme da molteplici testimoni a
Clinton, in Mississipi, vicino a un ex campo d’addestramento
anti-castrista.
L’associazione di Oswald con anti-comunisti come Clay Shaw, David
Ferrie e Guy Banister cozza con la tanto pubblicizzata lite contro gli
anti-castristi del DRE.
Oggi, grazie a Jeff Morley, ex reporter al Washington Post che
ha portato in tribunale la Cia, sappiamo qualcosa di più sul DRE: il
gruppo, che poche ore dopo l’assassinio di Kennedy accusò Oswald di
essere un castrista, era finanziato dalla Stazione Cia di Miami.
All’inizio degli anni ’60 la Stazione di Miami era la più grande base
Cia del mondo: lì, aveva sede la JM-WAVE, il quadro delle operazioni,
anche segrete, per “riconquistare” Cuba; era stato il Presidente
Eisenhower ad autorizzarle, e Kennedy, inizialmente, le supportò. A
Miami la Cia aveva addestrato un piccolo esercito di esuli cubani; da lì
si innervavano le missioni per destabilizzare e invadere l’isola
caraibica, o per uccidere Fidel Castro: Operazione 40, Operazione
Mangusta, Operazione Zapata. Dopo la crisi dei missili di Cuba, nel
1962, Kennedy cominciò a sbandare la JM-WAVE, chiudendo i campi
d’addestramento cubani
Oggi sappiamo che l’agente Cia responsabile del DRE era George Joannides, all’epoca nella Divisione Propaganda della JM-WAVE.
Il 23/11/63, il giorno dopo l’assassinio di Kennedy, il DRE pubblicò
un gazzettino in cui Oswald veniva indicato come il sicario di Castro e
un uomo dell’Unione Sovietica. La notizia rimbalzò nelle redazioni di
tutti i media nazionali; germinava lo scenario da incubo: una guerra
frontale tra le due super-potenze nucleari; proprio come avrebbe
prospettato Johnson al Presidente della Corte Suprema, per convincerlo a
presiedere l’indagine su COME Oswald avesse ucciso Kennedy.
Attraverso un FOIA (Legge della Libertà di Informazione), Morley
ha ottenuto altri preziosi documenti riguardanti il DRE e l’agente Cia
responsabile del gruppo; George Joannides, nei primi anni ’60, aveva una
doppia residenza, una a Miami e una a New Orleans; i registri di
viaggio di Joannides, indicano che l’agente Cia si trovava a New Orleans
nel periodo in cui Oswald entrò in contatto con il DRE.
La connessione Joannides-DRE-Oswald cambia la storia dell’assassinio
di Kennedy: Joannides, anni dopo, ricoprirà il ruolo di agente di
collegamento tra la Cia e gli ispettori della HSCA. Giusto per
contestualizzare: l’indagine sui fatti di Dallas era stata riaperta nel
1976, dopo la prima trasmissione televisiva dello Zapruder Film, che
aveva instillato negli americani il dubbio osceno che il Presidente
fosse morto in un fuoco incrociato; la nuova indagine era anche
conseguenza delle rivelazioni, durante la Commissione Church, sulle
operazioni clandestine della Cia, compresi gli omicidi politici.
Joannides, già ritiratosi dall’attività, venne richiamato in servizio
apposta nel 1978, quando le indagini della HSCA si stavano focalizzando
sulle attività della Cia a New Orleans e a Città del Messico durante i
soggiorni di Oswald. Secondo la testimonianza dell’investigatore Dan Hardaway, dal momento in cui Joannides cominciò a visionare le richieste dei documenti, l’indagine di fatto si arenò.
Nessuno si sognava di sospettare, alla fine degli anni ’70, che
Joannides era stato l’agente responsabile del DRE mentre Oswald si
trovava a New Orleans, e quando Kennedy venne assassinato; di sicuro,
però, qualcuno all’interno della Cia lo sapeva benissimo, visto che
Joannides venne richiamato in servizio.
Nel 1981 George Joannides, oggi defunto, venne premiato con la
massima onorificenza degli Stati Uniti d’America per due attività
segrete sul campo: una nel 1963, l’altra nel 1978. Rimangono
classificate ancora 245 pagine di documenti relativi alle operazioni
dell’agente Cia George Joannides.
Oswald e la Cia a Città del Messico: David Atlee Phillips
Se la conferenza stampa del DRE, adombrando “legami” tra Oswald e
Castro, lanciò la prima ipotesi di complotto sull’omicidio Kennedy, il
giorno stesso le istituzioni si trovarono di fronte allo scenario di una
cospirazione comunista. Nel tardo pomeriggio del 22/11/63, poche ore
dopo l’attentato in Dealy Plaza, giunge al Comando di Polizia di Dallas
una registrazione; è la conversazione tra un uomo identificatosi come
Lee Oswald, e un diplomatico dell’ambasciata sovietica di Città del
Messico, indicato come una spia del KGB. Il nastro, o una copia, era
stato inviato da Win Scott, capo Stazione Cia della capitale messicana,
assieme a fotografie scattate all’esterno dell’ambasciata sovietica.
Gli investigatori della Polizia e dell’Fbi hanno Oswald davanti, per
nulla somigliante all’uomo ritratto nelle fotografie; confrontano la sua
voce con quella nel nastro: stabiliscono subito che il sospetto
assassino di Kennedy non è l’uomo che, nella registrazione, parla con la
spia del KGB.
Da quel momento in avanti, però, i riflettori sono puntati sul
viaggio che Oswald aveva fatto a Città del Messico, tra la fine di
settembre e l’inizio di ottobre del 1963.
Ecco una veloce ricostruzione:
Il 27/9/63, otto settimane prima dell’assassinio di Kennedy, Lee
Oswald si era recato presso il consolato cubano e l’ambasciata sovietica
di Città del Messico, edifici sorvegliati dalla Cia; aveva chiesto un
visto per entrambi i Paesi, con destinazione finale per l’Unione
Sovietica. Gli era stato spiegato che le procedure non lo consentivano,
ma aveva compilato lo stesso una domanda scritta. La firma e i relativi
documenti di identificazione sarebbero proprio di Lee Harvey Oswald.
Il giorno dopo, il 28/9/1963, un uomo identificatosi come Lee Oswald
si era presentato al consolato cubano riformulando la stessa richiesta:
di nuovo di fronte al problema procedurale, era andato in escandescenze,
e aveva insistito per telefonare all’ambasciata sovietica, dove poi si
sarebbe recato di persona qualche ora dopo.
La stessa identica scena si era ripetuta tre giorni dopo,
l’1/10/1963. Stavolta (il presunto) Oswald, quando l’impiegata ribadì
che il consolato non rilasciava visti a cittadini americani, aveva
preteso di parlare direttamente con Valery Kostikov dell’ambasciata
sovietica.
La Stazione Cia di Città del Messico, come del resto avrebbe fatto
l’Fbi, si era attivata per capire chi fosse Lee H. Oswald. L’8/10/1963
Win Scott, il capo della Stazione Cia, aveva inviato al quartier
generale un cablo con la descrizione di Oswald, il riassunto dei suoi
movimenti, e una foto allegata.
Due giorni dopo, il 10/10/1963, la sezione Cia del Contro-Terrorismo,
diretta da James Angleton, aveva risposto con un primo cablo, in
sostanza confermando l’esattezza della descrizione di Lee Oswald; il
cablo era stato stilato da Anne Egerter, sottoposta di Angleton, la
quale conosceva bene l’ex marine: insieme a una collega, aveva
inaugurato il file 201, un anno dopo la defezione di Oswald in Unione
Sovietica.
A poche ore di distanza, in quel 10/10/1963, dal Quartier Generale
della Cia era partito un secondo cablo, che contraddiceva il primo:
l’uomo non è Lee Henry Oswald (l’errore “Henry” nel cablo); la
sottoposta di Angleton aveva allegato una descrizione esatta dell’ex
marine.
Come detto, che a Città del Messico un uomo impersonava Oswald, viene
confermato dal Direttore dell’Fbi Hoover al neo-Presidente Johnson la
mattina del 23/11/63. L’implicazione era chiara: dietro all’ex marine ci
può essere chiunque, anche l’Unione Sovietica; e magari proprio il
diplomatico con cui, un falso Oswald, aveva preteso di parlare: Valery
Kostikov.
Kostikov,
infatti, era un agente segreto del KGB; la Cia lo presenterà alla
Commissione Warren come il capo della Divisione sabotaggi e assassinii
nell’emisfero Occidentale.
Con ogni probabilità è il “piccolo incidente” grazie al quale Johnson
convincerà Earl Warren a presiedere la Commissione d’indagine,
incaricata di confermare Oswald come unico colpevole. Per altro,
connesso a un altro “piccolo incidente”: poche settimane prima
dell’attentato in Dealy Plaza, era stata intercettata una lettera
destinata all’ambasciata sovietica di Washington; il mittente, secondo
la Cia, era proprio Lee Oswald, e nella lettera faceva cenno a un suo incontro con Valery Kostikov.
Già dalla mattina del 23/11/63 Lee Oswald è ormai il solo sospettato
nell’assassinio di Kennedy, e la Polizia conferma che il caso è risolto.
Nonostante non sia stato ancora formalmente accusato, e non abbia
ancora ricevuto nessuna assistenza legale, è indicato come il solitario
cecchino di Dealy Plaza.
La ricostruzione ufficiale offerta ai cittadini americani e al mondo
intero è la seguente: un lunatico ha ucciso il Presidente degli Stati
Uniti, con un atto “crudele e scioccante”.
Nel dietro le quinte, invece, Oswald è un marxista, un traditore
espatriato in Unione Sovietica, un propagandista della causa castrista:
ha ucciso Kennedy in una cospirazione che coinvolge il supervisore dei
killer del KGB nell’emisfero occidentale; aveva perfino cercato di
ottenere un visto per Cuba, sperando di scappare in Unione Sovietica.
E’ l’anticamera di una guerra atomica.
C’è una persona garante di questa ricostruzione: David Atlee Phillips,
agente delle operazioni segrete della Stazione Cia di Città del
Messico, dove era giunto nel 1962. La versione di Phillips verrà
riportata davanti alla Commissione Warren, in una riunione a porte
chiuse, avvalorando la tesi che dietro a Oswald ci fosse il KGB e
l’Unione Sovietica.
E’ la sua parola che conta; mancano infatti le immagini di Oswald, in
teoria scattate da ben cinque postazioni, il giorno in cui Kostikov
ricevette la telefonata dall’ambasciata cubana: ufficialmente, perchè le
macchine fotografiche o non funzionavano, o erano disattivate (per
altro, non sono state mai rilasciate nemmeno le immagini di Oswald
durante la sua visita del 27/9/63).
David Atlee Phillips confermò che era perduta pure la registrazione
della conversazione di Oswald (del falso Oswald, ma la Commissione non
può saperlo) con l’agente del KGB Kostikov: il nastro originale, dice
Phillips, è stato cancellato da procedura dall’archivista della stazione
Cia di Città del Messico, Anne Goodpasture, ben prima dell’assassinio
di Kennedy.
Tuttavia doveva esistere almeno una copia di quella registrazione:
gli agenti dell’Fbi, a Dallas, l’avevano ascoltata la sera del
22/11/1963, come ha ammesso il Direttore Hoover nella telefonata al
Presidente Johnson.
La copia del nastro era stata inviata a Dallas, insieme alle
fotografie, da Win Scott, capo della Cia a Città del Messico: ma a
consegnargli il materiale relativo a Oswald, era stata proprio Ann Goodpasture, come appurato dall’ARRB (Assassination
Research Review Board, l’agenzia governativa che dal 1994 al 1998 ha
raccolto tutto il materiale relativo all’omicidio Kennedy).
A causa della ricostruzione di David Atlee Phillips, per decenni si è
creduto che Oswald avesse parlato con Kostikov, quando invece era stato
un impostore; e che la registrazione di quel colloquio fosse stata
distrutta ancora prima dell’assassinio di Kennedy, quando invece ne
esisteva almeno una copia.
Nel rapporto finale della Commissione Warren si dichiara che il
viaggio a Città del Messico non ha nessun legame con la decisione di
Oswald di assassinare Kennedy: si mantiene funzionale la teoria che il
Presidente sia stato ucciso da un lunatico, e si stralciano rimandi a
cospirazioni comuniste.
Oggi si sa che Anne Goodpasture e David Atlee Phillips erano persone
di fiducia di James Angleton, essendo agenti cresciuti nel
contro-terrorismo.
Prima di approdare alla stazione Cia di Città del Messico, Phillips era stato arruolato in Operation 40,
un gruppo d’élite della Cia incaricato di organizzare una
controrivoluzione a Cuba; insieme a Phillips c’era anche E. Howard Hunt,
il Direttore operativo della JM-WAVE di Miami, con cui aveva già
lavorato per il colpo di Stato in Guatemala, negli anni ’50.
David Atlee Phillips era stato nominato supervisore della Divisione
Propaganda alla JM-WAVE di Miami: in teoria, era quindi un diretto
superiore di George Joannides. Gestiva anche operazioni militari per
rovesciare il regime castrista, ad esempio Alpha 66, un gruppo
terroristico inquadrato nella JM-WAVE. E’ Phillips il mandante degli
attacchi dinamitardi nell’isola caraibica portati a termine da Alpha 66,
come ad esempio il raid al porto di Tarar, il 19 maggio 1963.
Nel 1976, davanti alla HSCA, Antonio
Veciana, leader di Alpha 66, ha testimoniato di aver visto, almeno in
un’occasione, David Atlee Phillips insieme a Lee Harvey Oswald:
erano a Dallas, poche settimane prima dell’assassinio di Kennedy. Il
Direttore della Divisione Propaganda della JM-Wave di Miami, per altro,
era originario proprio di Forth Worth.
Phillips, autore di due libri sulla Cia, lasciò postumo The AMLASH legacy,
la bozza di un romanzo con protagonista un agente in servizio a Città
del Messico nel 1963; a pagina 3 si legge: “Ero uno dei due ufficiali
che controllavano Lee Oswald: dopo aver lavorato per stabilire la buona
fede del suo marxismo, lo istruimmo con la missione di uccidere Fidel
Castro. Quando Oswald venne a Città del Messico lo aiutai a ottenere un
visto per Cuba; e quando tornò a Dallas per attendere nuove istruzioni,
lo incontrai due volte. Provammo il piano molte volte: Oswald doveva
uccidere Castro con un fucile da cecchino dall’ultimo piano di un
edificio. Se Oswald fosse un doppio agente o uno psicopatico non lo so:
non so perchè uccise Kennedy. So che utilizzò lo stesso piano che
avevamo elaborato per assassinare Castro. Allen Dulles aveva finanziato
l’operazione con 800.000 $. […] Potrai immaginare, lettore, quanto
questa triste storia mi abbia turbato. Molte volte ho pensato di dire la
verità, ma per qualche motivo non ci sono riuscito. Forse tu, leggendo
questo, deciderai che ora della verità.”
Dopo i fatti di Dallas, David Atlee Phillips fu promosso a Direttore Cia delle operazioni segrete in America Latina:
in quel ruolo, fece eliminare il Generale delle Forze Armate cilene
René Schneider, il baluardo a difesa del Presidente Salvador Allende;
tolto di mezzo Schneider, nel 1973 il Cile fu sconvolto dal colpo di
Stato del Generale Pinochet.
Esistono circa 350 pagine interamente classificate su David Atlee
Phillips, in relazione all’assassinio di John F. Kennedy; comprese le
sue deposizioni alla HSCA, a causa delle quali rischiò più volte la
denuncia di spergiuro.
A tutt’oggi, non è ancora stato chiarito chi avesse impersonato Lee
Oswald a Città del Messico, né chi avesse scritto la lettera diretta
all’ambasciata sovietica di Washington.
La Cia e un terrorista in Dealy Plaza: Orlando Bosch
Fra i 3603 file relativi all’attentato di Dallas e ancora
classificati, ne esistono 6 su Orlando Bosch, un esule cubano che agli
inizi degli anni ’60 coordinava il Movimiento Insurrecional de
Recuperaciòn Revolucionaria (Mirr); la sigla riuniva vari gruppi
anti-castristi impegnati a riconquistare Cuba con le armi, anche con il
supporto della Cia.
Orlando Bosch
era stato reclutato da E. Howard Hunt, il Direttore Operativo della
JM-WAVE di Miami, e nel 1961 cominciò a gestire un campo paramilitare a
Homestead, Florida, per addestrare gli esuli cubani alla guerriglia.
Venne arruolato in Operation 40: se il gruppo era guidato
dall’élite della Cia, come E. Howard Hunt e David Atlee Phillips, gli
esuli cubani erano la mano armata, addestrati da agenti operativi come
Frank Sturgis.
Bosch, sotto il comando di Frank Sturgis, compì almeno di 10 bombardamenti aerei su Cuba (fonte HSCA).
Nel 1962, persuaso che gli Usa avessero abbandonato la causa
anti-castrista, Bosch scrisse un pamphlet: ne “La Tragedia di Cuba”,
accusava Kennedy di aver tradito i cubani; ne inviò una copia anche alla
Casa Bianca.
Ci sono pochi dubbi che Orlando Bosch sia il “Dark Complected Man
(l’uomo scuro di grossa stazza) inquadrato in Dealy Plaza in vari
documenti visivi: è l’individuo in camicia bianca che solleva il braccio
pochi istanti prima che Kennedy, già colpito alla gola, riceva il
fatale sparo alla testa.
Subito
dopo, “Dark Complected man” si siede sul ciglio della strada,
maneggiando una ricetrasmittente; poi, va a dare un’occhiata alla Grassy
Knoll, dove molte persone sono alla caccia del cecchino; 51 testimoni diretti, tra cui 21 poliziotti, hanno dichiarato di aver udito uno sparo venire proprio dalla Grassy Knoll.
Una conclusione, del resto, messa nero su bianco nel Rapporto finale
della HSCA: qualcun’altro, oltre a Oswald, sparò al Presidente Kennedy.
E
dopo quello sparo, “Dark Complected man” si allontana da Dealy Plaza
indisturbato. Per anni l’identità dell’uomo che solleva il braccio
mentre sopraggiunge la limousine presidenziale, e dopo l’omicidio parla
in una ricetrasmittente, resterà un mistero.
Dopo i fatti di Dallas, Orlando Bosch,
continuò la sua lotta anti-castrista, macchiandosi di decine di
attentati terroristici; come l’attacco dinamitardo al Volo 455 della
Compagnia Cubana: nell’esplosione dell’aereo morirono 73 persone. Era il
1976.
All’epoca, Bosch era il leader del Coordination of United
Revolutionary Organizations (CORU), un ombrello per i movimenti
anticomunisti in America Latina, istituito dal Direttore della Cia
George H. W. Bush. Così si spiega il ruolo di Bosch come mandante nell’assassinio di Orlando Letelier, ex Ministro degli Esteri nel Cile di Allende, assassinato a Washington sempre nel 1976.
Per l’attentato al volo della Cubana, Bosch venne incarcerato in
Venezuela; lì, nel 1977, andarono a visitarlo gli investigatori della
HSCA: avevano ricevuto precise indicazioni che Bosch fosse in Dealy
Plaza il 22/11/1963, conoscesse Oswald, e i due fossero parte di una
cospirazione per uccidere Kennedy. Al terrorista cubano chiesero dove si
trovasse quel giorno: “a Miami, con la mia famiglia”, fu la risposta di
Orlando Bosch.
La HSCA stabilì che non c’erano prove sufficienti per collocare Orlando Bosch a Dallas quando Kennedy venne assassinato.
Qualche anno dopo, Orlando Bosch, rilasciato dalle autorità
venezuelane, trovò asilo negli Stati Uniti grazie all’interessamento del
Vice-Presidente George H. W. Bush. E quando finì in carcere, alla fine
degli anni ’90, per l’introduzione di nuove leggi anti-terrorismo, il
Governatore della Florida Jeb Bush, molto vicino alla comunità cubana,
convinse suo fratello George W. Bush, diventato Presidente degli Stati
Uniti, a concedere il perdono all’uomo sospettato di essere il “Dark
Complected Man” di Dealy Plaza.
I 6 file, per un totale di 600 pagine, relativi al possibile
coinvolgimento di Bosch nell’assassinio di John F. Kennedy, dovranno
essere declassificati nell’ottobre del 2017, insieme a tutti gli altri.
Da Dealy Plaza al Watergate: Hunt, Sturgis, Bush e l’assedio alla Cia
Nel 2017 dovranno essere declassificati anche i file su E. Howard
Hunt, colui che aveva arruolato Bosch nella Cia, e quelli su Frank
Sturgis, colui che lo aveva guidato nelle missioni anti-castriste: anche
loro, ormai dalla metà degli anni ’70, sono sospettati di aver
partecipato all’assassinio di Kennedy. E. Howard Hunt e Frank Sturgis
non sono due agenti Cia qualsiasi: facevano parte dei plumbers,
una squadra a disposizione della Casa Bianca per operazioni segrete e
illegali; fin quando vennero sorpresi a trafugare documenti nella sede
del Partito Democratico, nel 1972: è il loro arresto che fece scoppiare
lo scandalo Watergate; due anni dopo, il Presidente Usa Richard Nixon fu costretto alle dimissioni – pretese dal leader repubblicano dell’epoca, George H. W. Bush.
La scoperta dei plumbers di E. Howard Hunt fu il primo passo
verso l’istituzione, nel 1975, della Commissione Rockefeller: era
chiamata a scoperchiare i programmi clandestini della Cia, compresi gli
assassinii politici, e chiarirne il ruolo nell’uccisione di John F.
Kennedy. L’indagine era stata istituita dal Presidente Gerald Ford, un
ex membro della Commissione Warren.
Il capitolo sugli omicidi politici, per altro, venne ostacolato da
Ronald Reagan, uno degli otto membri della Commissione Rockefeller: il
futuro Presidente Usa si oppose ad approfondire scenari diversi dal
cecchino solitario, riguardo all’omicidio Kennedy; e pose il veto
nell’includere un capitolo sui piani di assassinio della Cia. La relativa sezione nel Rapporto finale, venne redatta e manipolata da Dick Cheney,
Capo di Gabinetto del Presidente Ford: al posto di “azioni illegali”,
il futuro Vice-Presidente Usa inserì la parafrasi “al di fuori dei
poteri dell’Agenzia”.
In quel periodo, la Cia era sotto assedio nel Paese, perchè dalle
udienze della Commissione Rockefeller stavano emergendo attività senza
mandato, illegali, e scioccanti per la loro crudeltà: dal programma
MK-Ultra sul controllo mentale, allo ZR-RIFLE, un manuale per
assassinare oppositori politici, alla “plausible denial“,
ovvero la creazione di documenti per consentire a un agente Cia di
negare il suo ruolo in un’operazione illegale o clandestina.
E’ in quel clima che venne proiettato in prima televisiva lo Zapruder
Film, instillando negli americani il dubbio osceno che le istituzioni
avessero insabbiato i fatti sulla morte di John Kennedy. Così, nel
momento peggiore della storia della Cia, il Presidente Ford designò
George H. W. Bush come Direttore Centrale: all’epoca nessuno sospettava
che Bush fosse coinvolto nelle attività della Cia, e nemmeno che fosse a Dallas il 22-11-1963;
né che avesse tentato di depistare le indagini, o costruirsi un qualche
alibi, con una telefonata all’Fbi: Bush, un’ora dopo l’assassinio di
Kennedy, accusò gratuitamente James Parrot, un innocente, di essere
implicato nell’attentato in Dealy Plaza (fonte: Parrot/Bush memo).
A partire dal 1976, proprio quando George H. W. Bush si insediava
come Direttore della Cia, la Commissione Church e poi la HSCA
continuarono le indagini della Commissione Rockefeller: approfondirono
anche le accuse che E. Howard Hunt e Frank Sturgis fossero a Dallas in
quei fatidici giorni del 1963; ma alla fine non si trovarono prove
incontestabili per corroborare quelle accuse.
Una Corte Distrettuale degli Stati Uniti, nel 1985, dopo un processo
per diffamazione intentato dall’ex Direttore della JM-WAVE contro un
giornale, sentenziò che era legittimo indicare E. Howard Hunt come cospiratore nell’assassinio di John F. Kennedy.
Il Capo del “programma assassinii” della Cia contro i Kennedy: Bill Harvey
Fra i 3603 documenti ancora classificati, si trova anche il file delle Operazioni di Bill Harvey,
uno dei più importanti agenti Cia nel secondo dopoguerra. Harvey fondò
lo “Staff D”, l’ufficio per la sorveglianza clandestina di sospette spie
sovietiche; il sistema si diramava nelle principali stazioni Cia in
America.
Nel 1952 Bill Harvey divenne Capo della Stazione Cia di Berlino
Ovest, dove ordinò di scavare la rete di tunnel per le operazioni di
spionaggio a Berlino Est e nel blocco comunista.
Nel 1960, di ritorno negli Stati Uniti, fu incaricato di formare una
Task Force per le missioni anti-castriste a Cuba; la sua base operativa
era la JM-WAVE di Miami.
Con l’obiettivo di eliminare Castro, fu Harvey a elaborare lo
ZR-RIFLE, il programma di assassinii poi entrato nel manuale della Cia, e
nelle indagini della Commissione Rockefeller. Le vittime designate
erano leader nemici e oppositori ai regimi filo-americani; ma potevano
anche essere “amici”, la cui morte avrebbe sortito un risultato: far
ricadere la colpa sui comunisti.
Nel programma ZR-RIFLE, con il compito di assassinare Fidel Castro, Harvey assoldò anche il boss mafioso John Roselli.
L’Havana, prima dell’avvento dei comunisti, era una Las Vegas dei
Caraibi: lì, la Mafia aveva sempre gestito immobili, gioco d’azzardo,
droga e prostituzione; di punto in bianco, nel 1959, si trovò tagliata
fuori dall’isola (iconiche sono le scene de Il Padrino II: i
boss mentre celebrano gli affari nell’isola, insieme agli amministratori
di alcune compagnie americane; o quando fuggono da una festa, prima che
i rivoluzionari conquistino la capitale).
Ancora nei primi anni ’60, la Mafia sperava di riprendere il controllo di L’Havana.
Quando Robert F. Kennedy, Segretario alla Giustizia e inquisitore
della Mafia, seppe che la Cia aveva assoldato il boss John Roselli, andò
su tutte le furie, e pretese la testa di Bill Harvey. Il rapporto tra i
Kennedy e il Capo della Task Force anti-castrista si era già incrinato
da tempo, quando in piena “crisi dei missili”, sotto la minaccia di una
guerra atomica con l’Urss, Harvey aveva ordinato un raid per infiltrare
16 dei suoi uomini a Cuba; il Presidente degli Stati Uniti aveva comandato una riunione d’emergenza esclusivamente per risolvere quel problema; Harvey, per loro stessa ammissione, era un uomo fuori controllo.
All’opposto, come la stessa moglie dell’agente Cia ebbe modo di confermare, per Harvey, i due fratelli Kennedy erano “spazzatura”.
Così, nel 1962 Bill Harvey fu rimosso dalle operazioni
anti-castriste, e venne relegato in Italia. Nell’arco di due anni
divenne Capo della Stazione Cia di Roma: intrecciando rapporti con il
Sifar, il servizio di informazione dell’esercito, gettò le basi per la
nascita di Gladio; è la milizia segreta anti-comunista la cui ombra si
allunga sul periodo stragista in Italia, tra la fine degli anni ’60 e
gli anni ’70.
E proprio in un’intervista per un documentario sullo stragismo nero (L’Orchestre Noir
– 1997) l’autorevole giornalista Fabrizio Calvi raccolse
un’informazione incredibile: secondo Mark Wyatt, decano alla Stazione
Cia di Roma, il suo collega Harvey volò a Dallas nel novembre del 1963.
Lo storico David Talbot, attraverso un FOIA, ha portato in tribunale
la Cia per accedere ai diari di viaggio di Bill Harvey relativi
all’autunno 1963; il giudice ha negato quell’informazione, spiegando che
non ha nessuna rilevanza.
Tra gli anni anni ’50 e ’60 Harvey aveva avuto modo di conoscere Anne
Goodpasture, per l’utilizzo dei sistemi di sorveglianza clandestina.
Aveva collaborato per anni con E. Howard Hunt e David Atlee Phillips:
prima, durante la guerra segreta in Guatemala; poi alla JM-WAVE di
Miami. Ma soprattutto, l’ideatore del “programma assassinii” della Cia
era un fedelissimo di James Angleton: era stato proprio il Capo del
Contro-Terrorismo, un esperto degli affari italiani, a suggerire Bill
Harvey per la Stazione Cia di Roma.
Il padre-padrone della Cia fatto fuori da John F. Kennedy: Allen Dulles
Uno come Bill Harvey, tuttavia, non sarebbe mai stato messo a capo di
progetti così importanti senza l’avvallo di Allen Dulles: come il
primo, anche il potente Direttore della Cia finì nel mirino dei Kennedy a
causa delle operazioni segrete per rovesciare Fidel Castro.
Nell’aprile 1961 un piccolo esercito di 1500 tra paramilitari cubani e
agenti operativi della Cia sbarcò alla Baia dei Porci; l’operazione
“Zapata” aveva ricevuto il beneplacito del Presidente; ma quando il
piccolo esercito si ritrovò bloccato in un cul-de-sac, Kennedy fu pressato dalla Cia per dare il via libera a una vera e propria invasione di Cuba, spacciata per salvataggio.
Se i capi dell’Esercito e della Marina giudicarono fattibile la
richiesta di Dulles, Kennedy ignorò il consiglio: temendo una reazione
da parte dell’Unione Sovietica, negò l’impiego della portaerei Essex e di altre navi militari, già in assetto di guerra nelle acque caraibiche.
Morirono in 100, sotto il fuoco dell’esercito di L’Havana, e oltre un
migliaio vennero fatti prigionieri. Gli Stati Uniti recuperarono mesi
dopo i paramilitari cubani della Cia, attraverso canali diplomatici: fu
pagato un riscatto, ammettendo un’aggressione armata al regime
castrista.
In un’intervista del 1976 raccolta dal giornalista Jack Anderson,
ecco cosa dirà Frank Sturgis riguardo alle operazione della Cia per
rovesciare Castro: “Sono un militare, non voglio che dei politici
rincoglioniti vadano avanti e facciano accordi alle mie spalle, quando i
miei uomini crepano, o io stesso posso rimanere ucciso; non mi piace”.
Ed ecco, sempre ai microfoni di Anderson, cosa affermerà E. Howard
Hunt 13 anni dopo l’assassinio del Presidente degli Stati Uniti:
“Kennedy ha accusato la Cia per il fiasco alla Baia dei Porci; ma si
auto-ingannava, era un modo per sottrarsi alle sue responsabilità: sono
sicuro che il senso di colpa per quel fallimento lo abbia perseguitato
fino alla fine dei suoi giorni”.
In effetti Kennedy riconobbe che l’intera operazione, anche per colpa
sua, avendola autorizzata, era stata un fiasco; al tempo stesso,
comprese che gli era stata tesa una trappola per attaccare Cuba. Fu così
che licenziò Allen Dulles da Direttore della Cia, un regno durato 9
anni: ufficialmente, lo considerava un capro espiatorio; in realtà, il
Presidente Usa si stava liberando di una figura fin troppo ingombrante
per la Casa Bianca. L’epurazione travolse anche gli assistenti più
stretti di Dulles: Charles Cabell (fratello del sindaco di Dallas) e
Richard Bissell.
Cominciava un’opera di riforma dell’agenzia che avrebbe dovuto
ridimensionarne le attività, in particolare il lancio di guerre segrete e
operazioni clandestine. Il Presidente degli Stati Uniti, in quel
periodo, affidò ad Arthur Schlesinger, suo assistente speciale, il
compito di studiarne organigrammi e funzioni. Nell’ottica di Kennedy,
con la riforma della Cia, non ci sarebbe stato più un uomo come Allen
Dulles, il quale aveva accentrato nelle sue mani, senza mandato
elettorale, poteri enormi.
Un pensiero espresso un mese dopo l’assassinio di Kennedy, e quindi
assurto a testimonianza drammatica, da Harry Truman, l’ex Presidente Usa
che nel 1947 aveva istituito la Cia come ramo della Casa Bianca per la
raccolta e selezione dell’Intelligence. In un editoriale datato 21/12/63 e pubblicato sul Washington Post, il 79enne Truman scrisse dal
suo ritiro in Missouri: “E’ necessario rivedere lo scopo e i metodi
della Cia. Sono turbato da come la Cia ha deviato dalla sua missione
originale: è diventata un braccio operativo e politico del Governo.
Questo ha creato problemi e ha esacerbato le difficoltà in molte aree
esplosive. Quando decisi di istituire la Cia, non avevo la minima idea
che avrebbe intrapreso operazioni clandestine in tempo di pace. Vorrei
che la Cia fosse riportata al suo ruolo originale, ovvero raccogliere
Intelligence per il Presidente; e che le sue funzioni operative
terminassero. Siamo una Nazione rispettata per la libertà delle nostre
istituzioni, e per la nostra capacità di mantenerle libere e aperte; c’è
però qualcosa nel modo di operare della Cia che getta un’ombra sul
nostro storico modello, e penso sia necessario porvi un rimedio.”
In questi stralci dell’editoriale, si intuisce il giudizio di Truman
sulla sua creatura: la Cia agisce al di fuori del suo mandato originale,
ed è senza controlli; ma soprattutto, i suoi poteri sono enormi.
L’ex Presidente dovette subito fare i conti con la persona che aveva snaturato la Cia: quattro mesi dopo Allen Dulles si recò in Missouri, e cercò di convincere Truman a ritrattare pubblicamente il suo editoriale;
se la richiesta cadde nel vuoto, il viaggio non fu inutile: l’ex
Direttore della Cia sparse la voce che Truman disconosceva il suo stesso
editoriale. L’ex Presidente si vide costretto a rilasciare un’altra
intervista in cui riaffermava il suo pensiero; alla fine, però, passò
l’idea che Truman, semplicemente, cominciasse a dare segni di demenza
senile.
Come Truman, anche Kennedy sottovalutava proprio quei poteri
accumulati da Allen Dulles nella sua quarantennale carriera nello
spionaggio statunitense; vissuta da protagonista a partire dalla I
Guerra Mondiale, durante i Trattati di Pace del 1919-20.
Quando dirigeva l’OSS in Europa, nella II Guerra Mondiale, Allen
Dulles negoziò in semi-autonomia la resa di alcuni fra i più alti
gerarchi nazisti, come Karl Wolff, Comandante delle SS in Italia.
Supervisionò la Rat-Line, ovvero i canali di fuga di centinaia
di gerarchi nazisti, via Roma e Genova, verso l’America del Sud; per
alcuni, si occupò del loro reinserimento nelle istituzioni della
Germania Ovest. Molti rientrarono poi nell’operazione “Sunrise“,
anch’essa architettata da Dulles: la maggior parte di quegli ex
gerarchi nazisti diventarono asset della Cia nella guerra di spie contro
l’Unione Sovietica, e nei conflitti in regioni dove stava attecchendo
il comunismo. L’SS Klaus Barby, il “macellaio di Lione”, e l’SS Walter
Rauff, il primo a sperimentare il gas Zyklon B sugli ebrei, sono fra gli
esempi più noti.
I canali diplomatici tra Dulles ed esponenti del regime nazista erano
già stati consolidati nei decenni tra le due guerre mondiali: da socio
della Sullivan-Cromwell, una delle agenzie d’investimento più potenti di
Wall-Street, Dulles aveva fatto affari con molte compagnie tedesche,
contribuendo alla rinascita della Germania negli anni ’30. Un percorso
che si incrociò spesso con quello di un suo amico intimo e cliente:
Prescott Bush. Il padre di George H. W. Bush era socio della potente
banca commerciale Brown Brothers Harriman, e aveva cofondato la Union
Banking Corporation: attraverso queste società, e per un periodo anche
con la consulenza di Allen Dulles, Prescott Bush finanziò le acciaierie
Thyssen, asse portante dell’industria bellica nazista; un canale
creditizio rimasto aperto fino al 1942.
Proprio grazie alle sue connessioni con la diplomazia internazionale e
la grande finanza, Allen Dulles era anche uno dei principali
intermediari del Dipartimento di Stato nella compravendita di armi.
Dipartimento di Stato che, a partire dal 1952, era guidato da John
Foster Dulles, il fratello del Direttore della Cia. E così, per tutti
gli anni ’50, il Presidente Dwight Eisenhower si ritrovò circondato da
persone come il Senatore Prescott Bush, suo consigliere in campagna
elettorale, Richard Nixon, Vice-Presidente sponsorizzato da Bush, l’agente Cia Douglas C. Jackson, consigliere e speechwriter, e lo stesso John Foster Dulles: tutti fedeli al Direttore della Cia.
Era Allen Dulles, in sostanza, a orchestrare la politica estera degli
Stati Uniti: sia in ottica anti-comunista, ma soprattutto nella volontà
di potenza della classe dirigente americana. Allen Dulles decideva
operazioni clandestine dall’Iran al Guatemala, dal Congo a Santo
Domingo: ma dietro di lui esisteva un sistema che, grazie a quelle
operazioni militari, faceva affari e prosperava: dal settore energetico a
quello finanziario, dall’industria delle materie prime a quella delle
armi.
Come ha spiegato lo storico David Talbot: “Allen Dulles era un punto
di riferimento per l’apparato politico, per chi si occupava di
sicurezza, per la comunità d’Intelligence, per Wall-Street e la grande
industria. Come capo della Cia, e “presidente ombra” alla Casa Bianca,
aveva costruito intorno a sé un circolo di potere sovrapposto alle
istituzioni: esso comprendeva legislatori, uomini dello Stato, militari,
diplomatici, banchieri, industriali”.
Cuba, dopo la rivoluzione castrista, era diventata l’antitesi
perfetta della visione di Allen Dulles: un’isola a 200 chilometri dalle
coste della Florida era stata conquistata da un’armata comunista,
alleatasi poi con l’Unione Sovietica. Il leader di questa forza aveva
stracciato tutte le concessioni di sfruttamento delle ricchezze del
territorio, minando gli affari di decine di compagnie americane; e stava
diventando un modello per tutti i movimenti social-democratici sparsi
in America latina.
La Cuba di Castro non aveva diritto di esistere agli occhi di Allen
Dulles; ed era un pensiero condiviso anche dai vertici militari del
Paese. La volontà di riportare l’isola sotto l’influenza americana era
fortissima; si veda “Operazione Northwood“,
un piano dell’Esercito per definire gli scenari che avrebbero permesso
alla Casa Bianca di attaccare Cuba: gli Stati Uniti, in segretezza,
potevano scatenare campagne terroristiche contro esuli cubani o
cittadini americani (anche con bombe negli stadi, o il dirottamento di
aerei charter, o l’affondamento di navi) e incolpare i castristi; la
reazione emotiva, nel Paese, avrebbe dato mano libera al Presidente e al
Congresso per azioni militari contro il regime di L’Havana.
Era stato il Generale Lyman Lemnitzer, Capo di Stato Maggiore, a
elaborare il piano nel 1962 e sottoporlo al Segretario alla Difesa
Robert McNamara. Quasi subito Kennedy tagliò fuori Lemnitzer dalle
operazioni connesse con Cuba. Qualche mese dopo il Generale venne
trasferito in Europa come Comandante della Nato (ma in seguito sarebbe
tornato negli Usa come membro della Commissione Rockefeller).
Lemnitzer non era il solo a pressare Kennedy per un’America più aggressiva contro i comunisti. Il Segretario di Stato Dean Rusk, ad esempio, rappresentava una fazione oltranzista per aumentare la forza militare in Vietnam;
erano presenti oltre 15.000 soldati a supporto del governo di
Ngo-Dinh-Diem contro i Vietkong e Ho-Chi-Min. La Cia operava sul
territorio già dal 1954, fornendo consiglio e protezione ai vertici
politici del Vietnam del Sud.
Il 5 ottobre del 1963, invece, Kennedy firmò lo SNAM 263: dava ordine di cominciare il ritiro delle truppe dal Vietnam del Sud,
da completarsi entro il 1965, come ha testimoniato il suo Segretario
alla Difesa McNamara. Una politica in linea con il rifiuto, espresso dal
Presidente Usa in un discorso del 10 giugno 1963, di una Pax Americana
imposta con le armi.
Il 1 Novembre 1963 Ngo-Dinh-Diem fu assassinato in un Colpo di Stato,
organizzato dai suoi Generali; l’operazione era stata avvallata dalla
Cia, contraria allo SNAM 263: dall’inizio di ottobre, infatti, aveva
prodotto una serie di rapporti molto critici sul ritiro delle truppe, e
il rischio che i comunisti prendessero il potere.
il 20/11/1963, venti giorni dopo l’assassinio di Ngo-Dinh-Diem, i
vertici militari Usa presentarono a Kennedy un nuovo piano di intervento
nel Vietnam del Sud, lo SNAM 273.
Il 26/11/1963, quattro giorni dopo l’assassinio di Kennedy, il
neo-Presidente Lyndon Johnson lo firmò: impartiva l’ordine di aumentare
l’assistenza militare ed economica alla giunta militare contro la
“cospirazione comunista”: era il preludio dell’ultra-decennale Guerra
del Vietnam, deragliata poi anche in Laos e Cambogia; una guerra che
recise la vita di milioni di persone, e fece la fortuna delle aziende appaltate dal Ministero della Difesa Usa.
Come ebbe a testimoniare il Generale Maxwell Taylor, consigliere di
Kennedy, il Presidente ucciso a Dallas era l’unico, alla Casa Bianca, a
opporsi a una escalation in Vietnam.
Allen Dulles e il Colpo di Stato per eliminare Kennedy
Vasti settori delle istituzioni, dell’esercito, e dell’Intelligence
avevano compreso l’opera riformatrice dell’amministrazione Kennedy.
Stava cambiando l’America, e il ripudio della guerra come strumento di
politica estera rappresentava il suo passo più coraggioso. Non si
dovevano più conquistare nuovi mercati con le armi; non si dovevano più
risolvere le crisi internazionali con l’uso della forza, senza aver
tentato tutti i canali della diplomazia.
Era
una trasformazione che rischiava di estendersi nel tempo, all’orizzonte
si intravedeva una dinastia: alle elezioni del 1964, John F. Kennedy
aveva molte chance di ottenere un secondo mandato dagli americani; suo
fratello, Robert F. Kennedy, mostrava già allora la statura di un
leader, e la sua candidatura alle elezioni del 1968 era preventivabile
(Robert Kennedy venne assassinato il 6-6-1968, mentre correva per le
primarie democratiche in vista delle elezioni Presidenziali); dietro di
loro, scalpitava il terzo fratello, Ted Kennedy, che infatti sarebbe
diventato per decenni un leader del partito democratico. Lo stesso John
F. Kennedy Jr., morto nel 1999 in un incidente aereo, cominciava a
brillare dello stesso carisma del padre.
Tra il 1960 e il 1963 in America si nutrì, usando l’espressione di
Javier Cercas per raccontare il golpe spagnolo del 1981, la “placenta
del Colpo di Stato”; l’ostilità verso Kennedy cominciò a impossessarsi
di uomini nelle istituzioni e nei settori chiave della società Usa:
soprattutto i detentori del potere decisionale e operativo, o i
beneficiari della politica estera della Cia. Il licenziamento di Dulles,
poi, era il messaggio più chiaro: per John F. Kennedy nessuno era
intoccabile.
Come in Spagna, anche negli Stati Uniti si fece strada l’urgenza
del “bisogna fare qualcosa”: come spiega Cercas, è un germe che si
propaga in modo osmotico, bisbigliato in salotti, uffici, caserme e
redazioni. Uno dei focolai dell’ostilità
verso Kennedy fu senza ombra di dubbio la residenza di Allen Dulles;
superato lo shock di essere stato licenziato, non si ritirò a vita
privata, ma diventò un confessore per i suoi ex collaboratori della Cia,
minacciati dalla politica riformatrice di Kennedy: andavano a trovarlo
perfino il Direttore, John McCone, e il suo vice, Richard Helms.
Allen Dulles rimase in stretto
contatto, in particolare, con James Angleton, l’uomo che gestì le
informazioni su Lee Oswald prima e dopo l’attentato di Dallas; e E.
Howard Hunt, il Direttore operativo della JM-WAVE di Miami, l’uomo che
aveva arruolato Orlando Bosch.
E’ la ricostruzione offerta dallo
storico David Talbot; il quale, lui come altri studiosi, indica la
JM-WAVE come il bacino da cui provengono gli assassini di Kennedy.
L’ex marine John “Bob” Stockwell,
esperto di Intelligence paramilitare, è stato Capo della Stazione Cia
di Tay Ninh durante la Guerra del Vietnam, e Direttore delle operazioni
nella guerra segreta in Angola. Dimessosi dalla Cia in opposizione ai
metodi brutali e le politiche illegali, ne è diventato uno dei suoi
critici più implacabili; nel 1989 Stockwell tenne una serie di conferenze in cui offrì un’analisi dell’attentato in Dealy Plaza:
“Basandomi sulla mia esperienza e i documenti disponibili, posso dire
che Kennedy è stato ucciso in un agguato di stampo militare: morì in un
fuoco incrociato, i colpi partiti da quattro postazioni diverse.
All’epoca, c’erano pochi gruppi preparati, ma soprattutto motivati, a
eseguire un’operazione simile sul suolo americano: di sicuro, ce n’erano
nella JM/WAVE di Miami.”
Gruppi che, a differenza di altri, avrebbero potuto beneficiare di un insabbiamento così immediato, complesso, ed efficace.
Chiunque fosse dietro all’agguato di Dealy Plaza, era così potente da
assicurare protezione sul campo ai responsabili materiali
dell’assassinio, come Orlando Bosch; così potente da offrire, nel giro
di mezz’ora, un capro espiatorio, Lee Oswald.
Chi era dietro all’assassinio di Kennedy era così potente da
garantire che la Sicurezza al Presidente infrangesse molte procedure; così potente da assicurarsi che non fosse nemmeno eseguita l’autopsia in modo corretto.
Era così potente da avere dalla propria parte il neo Presidente
Lyndon Johnson, il quale creò una Commissione d’indagine solo per
incolpare il capro espiatorio dell’assassinio in Dealy Plaza, e ignorare
qualsiasi altra pista.
Era così potente da far inserire, come membro di quella Commissione,
l’uomo che Kennedy aveva detronizzato dalla Cia: Allen Dulles.
E attraverso lo studio dei suoi diari di viaggio, come ha rivelato lo
storico David Talbot, si giunge a una conclusione: negli istanti in cui
Kennedy fu assassinato, Allen Dulles si trovava in Virginia, nella
“Farm”, la sua base operativa ai tempi della Cia.
L’eredità di un Colpo di Stato
A 53 anni dall’assassinio di John F. Kennedy, si possono riconoscere
le dinamiche di una cospirazione, molto diversa, però, da quella
ipotizzata pubblicamente dal Presidente Lyndon Johnson e dal Segretario
di Stato John Kerry, o dal giornalista Philip Shenon.
Il sentimento di ostilità contro il Presidente era virale nel Paese, e
incoraggiò un gruppo di uomini provenienti dalla JM-WAVE di Miami,
pieni di rancore contro Kennedy, ad agire; la squadra di assassini
sapeva, o sentiva, di avere alle spalle l’appoggio di Allen Dulles, e la
solidarietà di una rete compartimentalizzata di persone disposte a
insabbiare i fatti.
L’Ammiraglio Calvin Galloway, la carica più alta al Bethesda
Hospital, Maryland, diresse informalmente l’autopsia sul Presidente
degli Stati Uniti: ostacolò il lavoro dei patologi, impedendo di
accertare la natura delle ferite, e l’eventuale percorso delle
pallottole nel corpo di Kennedy. Qualunque fossero i suoi motivi,
l’ammiraglio Galloway, di fatto, “coprì” il commando assassino in Dealy
Plaza; persone che certamente non conosceva.
Dalla parte del commando, indirettamente, si sono schierati gli
editori di televisioni e giornali, anche loro funzionali al processo di
insabbiamento dei fatti. Nella conferenza stampa subito dopo
l’assassinio di Kennedy, i dottori del Parkland Hospital di Dallas parlano della ferita alla gola come di un foro d’entrata, incompatibile con uno sparo dal dietro; ma il giorno dopo il New York Times
riporta che la ferita alla gola “potrebbe essere” un foro d’entrata.
L’autopsia, diretta informalmente dall’ammiraglio Galloway, aveva
addirittura stabilito che il foro alla gola era il risultato di una
tracheotomia; il capo-patologo del Bethesda Hospital rifece il referto,
scrivendo che la ferita era un foro d’uscita. Successivamente, la
Commissione Warren definirà le parole dei dottori del Parkland Hospital
come un errore di linguaggio, svuotando di significato un parere medico
che implicava almeno uno sparo frontale.
Un mondo, quello dei media, infiltrato dalla Cia con l’Operazione Mockinbird, architettata da Allen Dulles per controllare il flusso delle informazioni ai cittadini.
Quando apparve chiaro che il Colpo di Stato era riuscito, una parte
decisiva della classe dirigente americana, per convinzione o
per istinto, soppresse ogni interrogativo sulla morte del Presidente: si
allineò con il nuovo corso; meglio, si riallineò con il vecchio. Ai
comuni cittadini e alla classe dirigente leale a Kennedy, non rimase che
ripiegarsi nel dolore, nei dubbi, nell’incredulità e nella paura (una
situazione rivissuta con gli assassinii di Martin Luther King e Robert
Kennedy, nel 1968)
Da allora, i tentativi di fare luce su quello che accadde davvero in
Dealy Plaza si sono infranti contro una classe politica che ha solo
tratto vantaggi dalla morte di John F. Kennedy.
Lyndon Johnson, lo sconfitto alle Primarie democratiche del 1960, e
Richard Nixon, lo sconfitto alle Presidenziali del 1960, sono entrambi
diventati Presidenti degli Stati Uniti. La Cia è sopravvissuta alla
minaccia di essere sbandata, e da allora conduce operazioni clandestine
in tutto il globo. George H. W. Bush è stato il vero gigante
trasparente della politica americana per quasi 20 anni: dal 1975, quando
fu designato Direttore Cia, e attraverso i suoi 12 anni consecutivi
alla Casa Bianca: otto da Vice-Presidente, ma con in mano le deleghe
cruciali della Sicurezza Nazionale e la deregolamentazione
economico-finanziaria; e quattro da Presidente, negli anni in cui crollò
il comunismo.
E quando uno scampolo di verità illuminava i fatti di Dealy Plaza,
invariabilmente qualcosa o qualcuno la spegneva subito. Nel 1979 la HSCA
concluse che Kennedy era stato ucciso in una cospirazione, pur senza
indicare i complici di Oswald; da subito quel risultato fu screditato in
modo violento dall’amministrazione Reagan-Bush, vittoriosa alle
elezioni del 1980.
Ed è un’ironia della sorte che George H. W. Bush, da Presidente degli
Stati Uniti, sia stato costretto a firmare il JFK Records Act, proprio
agli sgoccioli del suo mandato; lo pretesero gli americani, dopo il
successo di JFK di Oliver Stone, del 1991: quel film, come del resto la prima visione dello Zapruder Film
quindici anni prima, aveva strappato il velo di fronte all’evidenza: il
fatale sparo alla testa del Presidente Usa proveniva dalla Grassy
Knoll.
Conseguente al JFK Records Act, nel 1994 venne istituita l’ARRB, il
pannello di selezione e raccolta di tutti i documenti disponibili
sull’assassinio di Kennedy. L’ARRB riconvocò molti testimoni per
spiegare meglio i punti oscuri delle loro precedenti deposizioni; e
ascoltò per la prima volta persone che avevano notizie rilevanti
rispetto all’assassinio di Kennedy. Come ad esempio i dottori del
Parkland Hospital, Robert McClelland e Charles Crenshaw,
i quali confermarono: la ferita nella parte del occipitale del cranio
di Kennedy era grande come una pallina da baseball. Quindi, compatibile
solo uno sparo frontale.
Ancora oggi in molti considerano valido l’impianto di indagine della
Commissione Warren, che vuole il Presidente degli Stati Uniti
assassinato con due spari posteriori.
Ancora oggi sui media, in particolare i cosiddetti main-stream-media,
non è consentito portare avanti una narrativa diversa da quella
ufficiale: affermare che John F. Kennedy è stato assassinato in un Colpo
di Stato, può rovinare carriere nella politica, nel giornalismo,
nell’arte, nello spettacolo; in America e all’estero. E’ un tabù. Ed è
un modo per coprire eternamente i colpevoli dell’agguato in Dealy Plaza.
E’ un’altra eredità che ci ha lasciato Allen Dulles, a quasi 50 anni dalla sua morte.
Anche gli Stati Uniti di oggi, con operazioni militari in quasi 150 Paesi, e l’impunità della Cia, sono un’eredità di Allen Dulles; ben lontana da quella che intendeva lasciarci John F. Kennedy.
Di Cristiano Arienti
In copertina: Allen Dulles stringe la mano al presidente John F. Kennedy il giorno del suo congedo da Direttore della Cia
Leggi anche:
Assassinio di John F. Kennedy: la mistificazione dello Zapruder Film e dell’autopsia.
Fonti e Link Utili
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http://jfkfacts.org/assassination/when-was-the-zapruder-film-first-shown-to-the-american-people/
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