Francesco Pacifico per www.lettera43.it
PUBBLICITÀ
«Nessuno
è indispensabile», sibilò Sergio Marchionne “licenziando” Luca Cordero
Montezemolo dalla Ferrari. E «nessuno è indispensabile», ripetono in
questi giorni a Torino, riferendosi al manager italo-canadese che ha
trasformato la Fiat (inglobando Chrysler) in una multinazionale. E a
costi davvero risicati per il suo azionista.
Ma
nel capitalismo italiano si dimenticano presto i soldi fatti
guadagnare, a differenza di quelli che si stanno perdendo. E poi, come
ricordava sempre Giulio Andreotti, la gratitudine è il sentimento della
vigilia.
CONVIVENZA FORZATA.
In
quest’ottica, mentre la famiglia rinuncia alla Stampa e tratta con De
Benedetti, spaventa di meno il 2018, quando l’attuale ceo di Fca lascerà
l’azienda. Un tempo gli Agnelli vedevano quella scadenza come una
tragedia. Adesso, anche se un erede non c’è, quasi più come una
liberazione. E comunque la fine di un ciclo.
Valletta,
Romiti, fino a Giuseppe Morchio, la dinastia di Villar Perosa non è
nuova a convivenze che da panacea a un certo punto si trasformano in un
peso, con manager che hanno sostituito o hanno provato a sostituirsi
all’azionista.
Tutti grandi amori che si sono
trasformati in fragorosi divorzi. Qualcosa del genere sarebbe in atto
anche adesso sull’asse Torino–Detroit.
LE FRIZIONI IN FERRARI.
Si
moltiplicano infatti le voci sui dissidi tra l’azionista e il ceo. E
già questa è una notizia, se si pensa che, proprio su spinta di
Marchionne, la famiglia ha scaricato un manager a lei tradizionalmente
vicinissimo come Montezemolo.
O
che nel 2011 “impose” allo stesso Marchionne di prendere anche la
presidenza di Fiat Industrial, dopo il primo spin off da Fiat che ha
portato camion e macchine agricole di Cnh sotto l’ombrello di Exor.
Dalla
Ferrari, per esempio, rimbalzano voci di manager indispettiti, perché
Marchionne bypassa l’attuale ad Amedeo Felisa, al quale tuttavia è stata
riconfermata la fiducia, guidando l’azienda da Auburn Hills per
telefono, pur di non avere a che fare con i sopravvissuti della
precedente gestione.
MARCHIONNE ED ELKANN ALLA QUOTAZIONE FERRARI
Contemporaneamente, i manager targati Exor avrebbero sempre meno spazio a Detroit come a Torino.
I numeri della discordia: si incrina il rapporto Marchionne-Elkann
Gli Elkann avrebbero poi chiesto al loro amministratore delegato di superare il muro contro muro in atto con Confindustria.
E
l’avrebbero fatto poche ore prima che il manager, presenziando a Torino
a un dibattito tra i quattro pretendenti alla successione di Squinzi,
ribadisse la volontà di non rientrare in viale dell'Astronomia.
Per
la cronaca, appoggerebbe (anche se tiepidamente) Marco Bonometti. Cioè
il falco che ha il sostegno dei duri di Federmeccanica.
marchionne grande stevens john elkann
Ma
c'è dell'altro. Qualcuno racconta anche che i nipoti dell’Avvocato si
sarebbero attesi da Marchionne una maggiore attenzione a PartnerRe, il
colosso delle riassicurazioni il cui acquisto nell’estate del 2015 fu
largamente caldeggiato proprio dal manager italo-canadese.
La
società, pagata 6 miliardi da Exor, si sarebbe rivelata un investimento
meno conveniente per la famiglia: nell’ultimo anno l’utile netto è
passato da 998,24 milioni a 47,6 milioni di dollari, soltanto nel quarto
trimestre gli investimenti avrebbero segnato una perdita di 22,8
milioni di dollari.
sergio marchionne john elkann
IL MANAGER MOSTRA I MUSCOLI.
Presentando
a Ginevra il Levante, il primo Suv col marchio Maserati, Marchionne ha
mostrato i muscoli: ha smentito trattative con Psa (ipotesi storicamente
gradita agli Agnelli); ha garantito il rispetto dei target per il 2018
dell’ultimo piano (il nono) e il pareggio di bilancio in Ferrari, reso
noto nel 2014; ha sfidato il mercato (che non si fida più come un tempo)
annunciando un nuovo bond emesso proprio dal Cavallino, nonostante
l’alto indebitamento dell'azienda; ha fatto intendere che come partner
preferirebbe Volkswagen, Renault o Nissan.
E
che in ogni caso l’ultima parola sulle strategie è sua. Nonostante il
plateale corteggiamento di General Motors si sia risolto con un nulla di
fatto. E con in più lo sgarbo del suo ceo Mary Barra, che si è sempre
rifiutata di incontrare Marchionne.
Ma
accanto a lui, sempre al Salone di Ginevra, gli addetti ai lavori hanno
notato che a presentare il Suv non c’era soltanto il presidente John
Elkann, ma anche il fratello Lapo.
GLI UTILI PRIMA DI TUTTO.
Gli
esegeti del Lingotto leggono nella presenza dell'estroverso nipote
dell’Avvocato, messo fuori dall’azienda proprio dal manager, un segnale
alla comunità finanziaria: la famiglia è più presente di quanto si possa
pensare nelle vicende di Fca.
Questo
il gossip. Quel che è certo è che sono altri numeri a incrinare il
rapporto, un tempo solidissimo, tra Marchionne e John Elkann. Il quale,
come diceva Gianluigi Gabetti, ha uno stile di vita opposto a quello del
nonno, ma ha la stessa filosofia sul lavoro: gli utili prima di tutto.
Ed
Elkann ha il piglio più del finanziere che del capitano d’industria,
guarda alla diversificazione del portafogli degli investimenti, non a
quella dei modelli in listino.
Il flop in Borsa: dimezzato il valore del titolo Ferrari
Innanzitutto,
gli eredi dell’Avvocato sarebbero preoccupati dell’andamento del titolo
Fiat. Di poco sopra i 6 euro, lontano dal target price medio ipotizzato
dagli analisti (il consensus è intorno agli 8 euro, mentre raggiunge il
picco degli 11,2 nei report di Goldman Sachs).
Ma
in caso di fusione o acquisizione (il settore auto è prossimo a un
consolidamento) Exor non perderebbe soltanto il controllo, ma vedrebbe
diluito oltre ogni scenario il valore della sua quota.
Attualmente quel 29,7% è pari comunque a circa 4 miliardi.
IL GRAN RIFIUTO DI BARRA.
Per
la cronaca, la crisi borsistica ha colpito il portafogli anche di
Marchionne: tra azioni e stock option avrebbe perso 50 milioni di
dollari dall’inizio dell’anno. Ma agli Elkann piacerebbe ancora meno
quello sta succedendo in Ferrari: la famiglia, che è riuscita a portarla
sotto Exor, non sarebbe soddisfatta dell’esito dell’Ipo.
Dallo
sbarco a New York il valore del titolo è stato dimezzato, mentre
l’azienda si è ritrovata con 1,9 miliardi di debiti, ereditati da Fca
dopo la scissione.
amedeo felisa
Gli
Agnelli imputerebbero proprio al loro capoazienda questo scarso appeal
verso il mercato. A maggior ragione dopo il gran rifiuto di Barra, ferma
nel respingere le offerte di fusione col colosso di Detroit. E gli
investitori, finora generosi con l’ad di Fca, dimostrano di credere di
meno in Marchionne.
UN GRUPPO POCO PROFITTEVOLE.
Il
manager ha ammesso che il suo gruppo, con 2,7 milioni di auto
immatricolate, non è profittevole come i diretti concorrenti (Volkswagen
quota 120 euro nonostante il Dieselgate). È troppo piccolo.
Il
mercato, però, si è aspetta di più in termini di debito, stigmatizza i
margini molto bassi, teme il crollo delle vendite di auto in America
(dove Fca vende l’80%), sa che le crisi degli emergenti penalizzerà
Maserati, non comprende i ritardi sul rilancio di Alfa.
E soprattutto attende un partner dopo che il manager italo-canadese aveva pubblicamente parlato di fusione con Gm.
A
ben guardare Marchionne non ha tutti i torti quando ripete alle
cassandre che «Fiat confermerà i suoi target nel 2018 anche senza un
partner».
PARTNER RE REASSURANCE
Guglielmo
Marco Opipari, che per Icipbi segue la ricerca sull’automotive, nota
che «gli ultimi dati del Pil americano smentiscono una nuova crisi. Cosa
importante per Fiat Chrysler, che qui ha realizzato 4,5 miliardi dei
5,3 miliardi di utile operativo. Senza contare che Oltreoceano vanno
bene Suv e crossover, dove Fca è forte con il marchio Jeep. Soltanto
nell’area Nafta l’Ebit potrebbe arrivare a 5 miliardi di euro».
Detto
questo, la svolta arriverà soltanto con un partner, che in ogni caso
fagociterà Fiat Chrysler. E non sarà Peugeot. Il cui presidente, Carlos
Tavares, sarebbe anche interessato a sedersi attorno a un tavolo con i
torinesi, leggi Elkann. Ma non vuole assolutamente trattare con
Marchionne.
IL RUOLO DEI COLOSSI IT.
In
questo momento, nel mercato dell’auto, tutti parlano con tutti. Ma, a
differenza dei suoi azionisti, Marchionne sa bene che gli equilibri del
settore stanno per essere rivoluzionati.
In un
rapporto di Alix partner, si legge che il consolidamento dell’auto
avverrà attraverso maxi matrimoni tra costruttori, fornitori di
tecnologia e colossi dell’It. Cioè Apple e Google, gli unici che hanno i
soldi sufficienti per finanziare gli investimenti necessari per
convertire le auto in veicoli meno inquinanti, come impongono le nuove
regolamentazioni.
E
in quest’ottica ci sono i 2 miliardi di aiuti pubblici messi in campo
dalla Casa Bianca, che paradossalmente fatica a ottenere anche
un’azienda come Toyota, che ha puntato sull’ibrido e non sull’elettrico.
PRESSIONI SU APPLE.
Dagli
Stati Uniti rimbalzano due notizie. Il primo rumor vuole Fca
interessata a Mazda, perché l’azienda giapponese ha ideato un nuovo
sistema di controllo per i Suv, il segmento dove Fca è più competitiva.
L’altra
indiscrezione vuole che Marchionne abbia rafforzato le pressioni su
Apple per diventare il braccio automobilistico di Cupertino. «Se hanno
tanta fretta di produrre una macchina, consiglierei loro di sdraiarsi e
aspettare fino a quando la sensazione passa. Sarebbe meglio associarsi
con un costruttore di auto che si occupasse della produzione
industriale», ha mandato a dire ai vertici del gruppo attraverso la
Reuters.
Ma sono tutte trattative che hanno
bisogno di tempo, mentre il 2018 – anno nel quale il manager vuole
lasciare – è dietro l’angolo.
In
ogni caso troppo tempo per gli Agnelli, che hanno tanti progetti per il
futuro. Che però non comprendono l’auto. E neanche i giornali italiani.
http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/crac-si-fuso-pure-rapporto-marpionne-john-elkann-119886.htm
Nessun commento:
Posta un commento