Leonardo Coen per il “Fatto quotidiano”
C'
è un' istantanea che è come un film. L' ha scattata trent' anni fa un
fotoreporter dell' Ansa, durante un' udienza del processo Ambrosoli,
alla Corte d' Assise del tribunale di Milano. L' imputato Michele
Sindona, accusato d' essere il mandante del killer che la notte dell' 11
luglio 1979 uccise a colpi di pistola l' avvocato Giorgio Ambrosoli -
liquidatore della Banca Privata Italiana di Sindona - è inquadrato
mentre sta sorseggiando una tazza di caffè.
Lo
sguardo del sessantaseienne Sindona è vigile, punta verso l' obiettivo:
anche in quel momento così banale, il sorso di un caffè, mantiene l'
espressione attenta, guardinga. Anzi, in quegli occhi imperscrutabili
come i suoi segreti, c' è un' irrispettosa sfida, quasi a riflettervi le
parole con cui sintetizzava la propria "demonizzazione", ergendosi a
vittima di interessi economici potenti.
Una
linea di difesa che non lo salverà dall' ergastolo, comminato il 18
marzo 1986: "Queste sentenze mi fanno ridere", disse a Enzo Biagi, "non
ho paura di morire, attendo il trapasso con una serenità".
Quel
giorno si chiudeva ingloriosamente la resistibile ascesa di un
personaggio fumantino che si era aggirato nei meandri delle consorterie
trasversali in cui convivevano, strettamente legati, i poteri occulti
finanziari, politici, eversivi, criminali, piduistici.
E mafiosi. Guido Carli, governatore della Banca d' Italia, riconobbe a Sindona una "grandezza sinistra, ma indubbia".
COPERTINA LIBRO SINDONA
Era
un outsider, dalle irrefrenabili ambizioni. far denaro con il denaro.
Acquisì la sua prima banca nel 1960. Elargiva ingenti somme alla Dc in
cambio di favori alla sua Banca Privata, anche quando era latitante (fu
inseguito da mandati di cattura spiccati nel 1974 per false
comunicazioni sociali, illegale ripartizioni degli utili, operazioni in
cambi non riportate nella contabilità, e bancarotta fraudolenta per il
fallimento della Privata).
Tra
gennaio e marzo del 1979 scrisse otto lettere a Giulio Andreotti,
perché intervenisse a suo favore sulle autorità americane per
"scongiurare asserite ricadute politiche negative in caso di una sua
incriminazione". Incombeva il crack della Franklyn National Bank e
temeva l' arresto.
Nell'
agosto 1979 mise in piedi un finto rapimento ad opera di un fantomatico
"Gruppo proletario di eversione per una giustizia migliore" e sparì da
New York. Fu aiutato da elementi di Cosa Nostra, alla quale aveva
"commissionato" l' assassinio di Ambrosoli.
Nel
memoriale della Prima Repubblica, Sindona è sconcertante personaggio
centrale di moltissime trame, da quelle di Licio Gelli a Roberto Calvi,
dai cardinali dello Ior al "complesso politico-affaristico-giudiziario"
(copyright Paolo Baffi, governatore della Banca d' Italia").
Nella
foto dell' Ansa, Sindona è impeccabile, come ai tempi della sua ascesa
finanziaria: ci teneva a palesare un aplomb di moderno manipolatore del
quattrino e non vi rinunziò, nemmeno in galera. Eccolo, elegante nel
completo blu scuro con gilet, dal taschino della giacca spunta un
signorile fazzoletto bianco, candido come la camicia, mentre la cravatta
è classica.
Negli
anni Sessanta l' abile fiscalista arrivato a Milano dalla siciliana
Patti era diventato il fiduciario finanziario del Vaticano mentre negli
Stati Uniti veniva considerato un brillante banchiere "creativo", tanto
da poter acquisire la Franklin National Bank e vivere all' attico dell'
esclusivo Pierre hotel, davanti al Central Park.
Il
premier Giulio Andreotti gli aveva consegnato l' Oscar della Lira, per
averla difesa dalla speculazione, e lui in quegli anni rampanti del
miracolo economico esibì indubbie doti che sedussero nuovi e vecchi
ricchi, politici e banchieri: "Ha dalla sua un' intelligenza svelta e
versatile, la passione per l' azzardo, la smania di affermazione, la
spregiudicatezza morale che occorrono per puntare in alto, non solo in
Italia", sottolinea Marco Magnani, economista della Banca d' Italia
nonché storico, nel suo recentissimo saggio (uscito per Einaudi).
Intitolato Sindona. Biografia degli Anni Settanta.
CARLO CALVI CON LA MADRE E MICHELE E RINA SINDONA ALLE BAHAMAS
E
non a caso, la foto che illustra la copertina di questo bel libro è
proprio quella di Sindona che sorseggia il caffè. Emblematica. E
profetica. Giacché, due giorni dopo la sentenza del processo Ambrosoli,
il finanziere berrà nella sua cella dentro al supercarcere di Voghera un
altro caffè che si rivelerà fatale, perché "corretto" al cianuro di
potassio.
Sindona
muore dopo 53 ore di agonia, alle 14 e 10 del 22 marzo 1986, e porterà
nella tomba i suoi segreti. Il decesso, scrissero i medici, avvenne per
"arresto cardiaco". L' inchiesta giudiziaria imboccò subito la pista del
suicidio, non credendo all' omicidio.
Del
resto più volte Sindona aveva accennato a questa clamorosa "uscita di
scena", la "beffa" estrema… ed è l' ipotesi accreditata dagli ex
magistrati Giuliano Turone (si occupò del processo Ambrosoli) e Gianni
Simoni (fece l' inchiesta sulla morte di Sindona). L' indagine
giudiziaria concluse che il finanziere si era tolto la vita.
Il
giudice istruttore di Voghera archiviò il caso. Senza però stabilire
come il cianuro fosse arrivato in cella, e chi glielo avesse dato,
nonostante tutte le precauzioni, le telecamere sempre in funzione, i
secondini a controllarne i movimenti. Ovviamente, nel paese dei
complotti e dei misteri, non mancarono accanite contro argomentazioni.
Ma perché ucciderlo?
O
obbligarlo a uccidersi? Cosa poteva sapere di così tanto pericoloso?
Turone e Simoni optano per il suicidio, motivato forse dalla
disperazione, perché i fraudolenti disegni di finanza criminale erano
stati smascherati. Pure il "suicidio per dispetto", come disse Rino
Formica (capo del gruppo parlamentare socialista) a Paolo Guzzanti il 22
marzo, potrebbe essere un movente psicologico verosimile.
Ma
il cianuro? Chi gliel' aveva portato, in un supercarcere dove, come mi
assicurò trent' anni fa il direttore Aldo Fabozzi, tutto era sotto
controllo? La verità? C' è quella di un sacerdote, per esempio. Sindona
aveva "l' idea del suicidio" ha detto ai giudici il cappellano don
Giuseppe Baschiazzore, "tra Natale e Capodanno, invitandolo a fare la
comunione, Sindona mi disse che non poteva, perché aveva la riserva
mentale del suicidio e la confessione non sarebbe stata valida".
MICHELE SINDONA AL PROCESSO AMBROSOLI jpeg
La
verità? Potrebbe stare "nel contesto emotivo": nasce, matura e si
radica "nel pensiero della propria scomparsa, vista come affrancamento
per i familiari, come divisione delle sorti infelici, ma anche come
liberazione da quella 'vendetta trasversale' giustificata a suo avviso
solo dalla sua presenza". Siamo al trionfo della psicopista. A guardare
nelle enormi porcherie del Belpaese, ci vuole l' accomodante Freud.
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