Di libreidee.org
«Negli anni Ottanta, gli anni in cui l’Italia navigava nell’oro,
quando eravamo il quarto paese più ricco del mondo, il tasso
d’inflazione si aggirava mediamente attorno al 15% e raggiungeva picchi
di oltre il 21%». Le famiglie spendevano e il risparmio medio dei nuclei
familiare durante il periodo d’inflazione più alta superava il 25%:
«Eravamo il primo paese al mondo per risparmio privato e le famiglie
avevano ampia libertà di spesa», ricorda Vincenzo Bellisario. Oggi
l’inflazione si aggira attorno allo 0%, e l’economia
è alla canna del gas: «Le famiglie devono risparmiare su tutto, hanno
scarsa libertà economica, abbiamo raggiunto e superato i livelli di
consumo da fame del periodo della “grande depressione” e, nonostante
ciò, la media
attuale di risparmio privato è del 4% circa. E tutto va male». Secondo
Bellisario, esponente del Movimento Roosevelt fondato da Gioele Magaldi
per contribuire alla democratizzazione della politica
italiana contro lo strapotere dell’élite economica, «lo spettro
dell’inflazione è una grande truffa, così come lo è stata e lo è
purtroppo ancora oggi quella del debito pubblico, che altro non è se non
l’indicatore che misura la ricchezza finanziaria del cittadini».
«Più lo Stato spende, più la popolazione si arricchisce», riassume
Bellisario. Questo può provocare il “rischio” inflazione, cioè troppi
soldi, a fronte di pochi prodotti? L’inflazione può essere facilmente
contenuta, in tre modi: lo Stato spende di meno nel comparto
pubblico, oppure spende di più per aumentare la produttività nel
settore privato (l’inflazione non è mai un problema finché la produzione
non si riduce in maniera troppo corposa), o ancora, lo Stato introduce
una tassa temporanea, in modo da togliere di mezzo gli eventuali soldi
in eccesso. «L’inflazione in realtà è un falso problema», insiste
Bellisario. Idem il debito pubblico, agitato come spauracchio: come se
lo Stato fosse una normale famiglia, nei guai con la banca (il che,
nell’Eurozona, è esattamente la realtà: il governo può solo finanziarsi
tassando a morte i cittadini e prendendo a prestito gli euro, a caro
prezzo, mettendo all’asta i titoli di Stato). Come se ne esce? In un
solo modo: recuperando la sovranità monetaria, come sottolinea
l’economista Nino Galloni, altro esponente del Movimento Roosevelt.
Sulla mistificazione che vela la vera natura del debito pubblico,
Bellisario lancia una provocazione: chiamiamolo “ricchezza nazionale”,
così almeno la gente capisce di cosa di tratta veramente. «Invito tutti
voi alla massima attenzione su questa precisa e personale proposta di
modifica del termine “debito pubblico” in “ricchezza pubblica” o, molto
più semplicemente, in “ricchezza dei cittadini”», scrive Bellisario sul blog del movimento.
«Detto questo, immaginate che da domani tutti i vari Tg, le varie
rubriche di approfondimento, giornali, Internet e quant’altro
annunciassero che la “ricchezza dei cittadini” (quindi non più il
“debito pubblico”, parola che spaventa la gente) è aumentata nell’ultimo
anno di 100 miliardi di euro. Ecco, provate ad immaginare
questo». Sarebbe una rivoluzione, ovviamente. Ma non partirà mai,
almeno fino a quando l’oligarchia finanziaria centralizzata a Bruxelles
continuerà a colonizzare partiti e fabbricare leader obbedienti.
Sotto il regime dell’euro, è praticamente impossibile raggiungere la
piena occupazione, che in teoria sarebbe la ragione sociale dello Stato
democratico. Serve un “futuro Nuovo Stato”, come lo chiama Bellisario:
uno Stato «sovrano, con moneta sovrana e banca al 100% pubblica e
direttamente sotto il controllo politico». Primo passo: «Inserire in
Costituzione il principio della “piena occupazione”. E abrogare,
nell’immediato, il “pareggio di bilancio”», che non è solo un obbrobrio,
ma anche un delitto: «Se c’è crisi, se c’è disoccupazione – dice Galloni – puntare al pareggio di bilancio è un crimine». Uno Stato sovrano, dotato cioè di pieno potere
di spesa, non avrebbe alcun problema ad «assumere immediatamente (senza
se e senza ma) tutte le persone che attualmente collaborano
precariamente per conto dello Stato in ogni settore della pubblica
amministrazione». E inoltre «istituirebbe bandi di concorso in ogni
settore per il numero che ritiene giusto, per far sì che ogni comparto
possa operare a pieno organico e nella maniera più efficiente e rapida
possibile». Nulla di tutto ciò è all’orizzonte, naturalmente. «Stiamo
morendo di fisco», disse a Torino già nel 2012 il presidente di
Confindustria, Giorgio Squinzi: «Gli imprenditori sono disposti
a rinunciare a tutti gli incentivi in cambio di una riduzione della
pressione fiscale a carico di imprese e famiglie».
L’eventuale futuro “Nuovo Stato” italiano, auspicato dal Movimento
Roosevelt, baserebbe le sue entrate fiscali su due sole aliquote, il 20%
per i redditi fino ai 100.000 euro e il 23% per i redditi superiori.
Altre eventuali tasse solo per «tutti coloro che investono nei beni di
lusso, che creano principalmente benessere personale e non collettivo».
Motivo: «Tassandola, si incoraggia la persona benestante a spendere e
investire di più nei cosiddetti beni quotidiani, in modo da far girare
meglio l’economia reale. Questo inciderebbe positivamente sulla costruzione di nuovi posti di lavoro». A questo punto, aggiunge Bellisario,
è giusto ricordare cosa rappresentano le tasse in un paese libero, cioè
sovrano, «concetto spiegato in maniera impeccabile dalla Mosler
Economic, o Modern Money Theory, portata in Italia dal giornalista Paolo
Barnard grazie al suo lavoro, che ho sempre senza mezzi termini
definito “ai limiti dell’umano”».
Se uno Stato è libero di emettere moneta in quantità teoricamente
illimitata per il benessere della comunità nazionale, non rinuncia in
ogni caso al prelievo fiscale. Perché le tasse, all’interno di un
“contesto sovrano”, vengono utilizzate per quattro precisi scopi. Primo:
tenere a freno la ricchezza dei privati e quindi il loro strapotere.
Secondo: evitare l’eccesso di inflazione. Terzo: scoraggiare o
incoraggiare comportamenti (si tassa l’alcool, il fumo o l’inquinamento,
mentre ad esempio si detassano le beneficenze, le ristrutturazioni).
Quarto: imporre ai cittadini l’uso della moneta sovrana dello Stato dove
si vive. Tutrto questo, ovviamente, in un paese libero. Non
nell’Eurozona, dove lo Stato è ridotto a super-tassare per sovravvivere.
Scavandosi la fossa, come diceva – in tempi non sospetti – un certo
Winston Churchill: «Una nazione che si tassa nella speranza di diventare
prospera è come un uomo in piedi in un secchio che cerca di sollevarsi
tirando il manico».
DA libreidee.org
http://lastella.altervista.org/quando-eravamo-ricchi-con-la-lira-e-linflazione-a-mille/
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