Occorrono lunghe giornate e infinite ore per rimettere la testa,
cercando di escludere il cuore, nell’inchiesta che ha segnato la sua
vita. «Ustica, sì, ma anche i processi Moro e l’attentato a Wojtyla»
vuole precisare il giudice Rosario Priore. Quest’uomo è
un archivio vivente dei misteri d’Italia, responsabilità che porta con
sofferenza per tutte le verità che non è riuscito a scrivere nelle
sentenze ma che pure ha intuito indagando. «Ma la verità processuale –
precisa – deve rispettare regole da cui quella storica o documentaria
può prescindere». Ed è quasi una premessa doverosa ad un’intervista che è
più di una conferma al lavoro d’indagine svolto dal regista Martinelli e
raccontata nel film in uscita a fine marzo.
Priore ci riceve nella sua casa a Testaccio, sul tavolo i fascicoli
della sentenza-ordinanza con cui il 31 agosto 1999, a 19 anni dalla
tragedia del Dc9 dell’Itavia, fu dichiarato il non luogo a procedere
definendo ignoti gli autori della strage.
Presidente, convinto dalla ricostruzione di Martinelli?
«Ha fatto un lavoro di ricostruzione intelligente e minuzioso su
materiale, soprattutto i tracciati radar, che io purtroppo, ai miei
tempi, non ho potuto avere a disposizione».
Potrebbe essere questa la verità su Ustica?
«Il film arriva alla conclusione che il Dc9 è caduto per un incidente
provocato da uno o due caccia americani che avevano avuto l’ordine di
abbattere senza preavviso il Mig libico che stava viaggiando dalla
Jugoslavia alla Libia sotto pancia al nostro aereo di linea per
nascondersi al controllo dei radar. Mi permetto di ricordare che ho già
sostenuto questa tesi nel mio libro «Intrigo Internazionale» uscito nel
2010. Ricordo anche che nella sentenza ordinanza ho scartato l’ipotesi
della bomba a bordo e quella di un cedimento strutturale. Ecco qua:
“L’incidente al Dc9 è occorso a seguito di un’azione militare di
intercettamento. Il Dc9 è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81
cittadini innocenti con un’azione che è stata propriamente atto di
guerra con il nostro Paese di cui sono stati violati i diritti e i
confini”».
Lei aveva intuito tutto ma non è riuscito a provarlo. Rimpianti?
«Nessuno può immaginare le pressioni che ci sono arrivate addosso in
quegli anni. I muri che si alzavano all’improvviso… Ho fatto 99
rogatorie agli Stati Uniti, molte risposte, spesso vaghe e incomplete.
Persino il Belgio ha detto no. La Francia ci ha preso in giro fino a due
anni fa quando è stata costretta ad ammettere che la base di Solenzara
in Corsica non aveva chiuso alle 17 ma era stata, ovviamente, in
attività tutta la notte. Recuperammo vari reperti in mare nella zona
Condor (l’area del Tirreno tra Ponza e Ustica dove furono fatte le
ricerche, ndr) che rinviavano ad aerei Usa. Molti sono spariti e guarda
caso la società incaricata del recupero era francese e legata ai servizi
segreti d’oltralpe. Un canotto con codici americani non fu riconosciuto
dai militari Usa come mezzo di salvataggio in adozione alla portarei
Saratoga, la più grande in tutto il Mediterraneo. Potrei andare avanti
per ore, per anni, quanto è durata l’inchiesta e il processo per
attentato agli organi costituzionali e alto tradimento da me richiesto
nel 1999».
Che si è conclusa con un nulla di fatto nel 2007 nei confronti di alti ufficiali dell’Aeronautica militare.
«Anche su questo mi permetto di leggere un passaggio della mia sentenza:
“L’inchiesta è stata ostacolata da reticenze sia nell’ambito
dell’aeronautica militare italiana che di altri paesi Nato, le quali
hanno avuto l’effetto di inquinare o nascondere informazioni su quanto è
accaduto”».
Torniamo a quella notte del 27 giugno 1980, alle 20.59 quando il
Dc9 scomparve all’improvviso dai radar. Incrociando le 5000 pagine
della sua ordinanza, la sua memoria dei fatti, le risultanze emerse
negli ultimi anni via via che cadono i segreti Nato e il lavoro
d’inchiesta di Martinelli, qual è la ricostruzione più plausibile?
«Quella sera nei cieli del Mediterraneo e del Tirreno c’era un’intensa
attività militare. È importante capire il contesto: la Nato aveva deciso
di stringere in un angolo la Libia di Gheddafi, Francia e Stati Uniti
erano i primi attori ed era in corso il trasferimento dei caccia F111
all’aeroporto di Cairo ovest. Poi c’era il problema di Malta, protetta
dai sovietici e “occupata” dai libici. Dopo l’abbattimento del Dc9 i
libici furono cacciati da Malta. Noi, l’Italia, eravamo quelli che, come
diceva Andreotti, “avevamo la moglie americana e l’amante libica”.
Peggio: sospettati di aver rivelato i buchi nella rete Nadge, i varchi
aerei per sorvolare l’Italia da est o ovest senza essere intercettati».
Il “doppio binario” con il Medioriente, per anni cifra della
nostra politica estera. Se questo è superato, 36 anni dopo, la
situazione è simile a quella attuale?
«Il ruolo della Libia e i rapporti di forza nel Mediterraneo sono ancora oggi un problema non risolto».
Ok, c’era una guerra nei cieli del Mediterraneo.
«Ecco, il contesto è importante. Il Dc9 parte da Bologna con 113 minuti
di ritardo. Possiamo ipotizzare che superato l’Appennino, intorno a
Firenze, il Dc9 viene agganciato dal Mig libico che gli va sotto pancia
per sfuggire ai radar».
Come funziona questa storia del Mig nascosto?
«Era una prassi, nota a tutti. Soprattutto a noi italiani: le nostre
rotte erano di confine tra la Nato e i paesi del patto di Varsavia. I
Mig libici andavano a fare riparazioni in Jugoslavia ma anche a Venezia.
Ricordo che nel ‘77, in fondo alla pista dell’aeroporto Marco Polo,
erano in manutenzione vari aerei libici. Ho trovato anche i contratti:
le nostre aziende venivano pagate molto bene».
Le prove del Mig in viaggio sotto pancia?
«Faccio una premessa: all’epoca i radar non distinguevano molto,
vedevano un plot, una macchia. Se due aerei viaggiavano allineati non si
distinguevano due sagome, ma solo una. Agli atti c’è una comunicazione
radio tra il Dc9 e Roma-Ciampino in cui la torre di controllo dice al
Dc9: “Vediamo che si sta allineando di nuovo. Mantenga questa prua”. Il
pilota del Dc9 risponde: “Noi non ci siamo mossi…”. Ciampino aveva visto
il Mig senza sapere cosa fosse. Tutti quella sera si sono accorti che
sull’aerovia Ambra 13 volavano Mig libici che potevano essere una
minaccia. Abbiamo avuto prova recente che era in volo anche l’Awacs, il
potente radar americano che vede top-down, avvista l’intruso («bogey») e
dà l’allarme».
Cosa succede dopo?
«Il Centro operativo di Poggio Ballone (Grosseto) chiede ai nostri due
F104 in volo di addestramento di andare a verificare. Alla guida ci sono
Mario Naldini e Ivo Nutarelli, che poi moriranno nel 1988 a Ramstein
(nell’inchiesta Priore c’è un lungo capitolo dedicato alla scia delle
morti sospette, almeno 12, militari che sapevano ma non furono mai
sentiti dai magistrati, ndr). È questione di minuti, si accorgono che ci
sono problemi, chiudono le comunicazioni radio ma lanciano il segnale
convenzionale di allarme e pericolo. Oggi i tracciati radar ci dicono
che da Solenzara, la base che per 34 anni ci hanno giurato che chiudeva
alle 17, si alzano i Mirage. Da Grosseto si alzano altri F104. Poi però
arrivano i due caccia americani che dicono a tutti di rientrare».
Sul Dc9 nessuno si accorge di nulla?
«Di notte, con gli strumenti dell’epoca, per un aereo civile c’era solo
il buio. La scatola nera riporta fino all’ultimo secondo una
conversazione serena tra il comandante Domenico Gatti e il copilota».
Alle 20 e 59 la scatola nera smette di registrare. Cosa può essere successo?
«Una collisione, una near collision tra il caccia Usa che giocava al
gatto e il topo inseguendo il Mig, sfiora il Dc9. A quella velocità
l’aereo civile può aver perso il controllo ed essere precipitato.
L’autopsia, che Martinelli recupera nella sua interezza, parla di
lesioni nei timpani delle vittime compatibili con una decompressione
improvvisa tipiche di un aereo che si apre in volo. Io non ho mai
avallato l’ipotesi della bomba, tanta cara a molti politici italiani, né
quella del missile francese, preferita da Cossiga».
Già, Cossiga. Perchè nel 2007 sposa quella tesi? E perché oggi fa la stessa cosa un’inchiesta di Canal Plus?
«Ho sempre pensato che siano state, e siano, manovre per allontanare l’attenzione dai reali attori dell’affaire Ustica».
Quando sono stati trovati i primi reperti di aerei Usa nel Punto Condor?
«Subito. Ma quando presi l’indagine, nel giugno 1990, molti pezzi erano
già spariti. Furono trovati pezzi di sedile, cinture di sicurezza, un
canotto di salvataggio, pezzi di fusoliera, persino un casco da pilota.
Sui radar noi vediamo una nuvola, quasi una polvere di rottami».
Nelle sue indagini ha evidenza del recupero di due uomini dalla zona del disastro?
«Sempre sui radar vediamo un oggetto volante, si presume un elicottero,
che poco dopo l’incidente sta fermo in quel tratto di mare. Sono
immagini compatibili con il recupero dall’alto di un uomo. Le ricerche
di Martinelli hanno portato ad identificare anche i piloti dei due
caccia Usa F5E alzati in volo dalla base di Decimomannu in Sardegna che
si misero a fare i cowboy col Mig mentre era ancora sotto pancia al
nostro Dc9. Un capitano e un sergente. Il primo è stato certamente
recuperato in quell’operazione di cui abbiamo parlato prima».
Presidente Priore, i suoi colleghi della procura di Roma
Monteleone e Amelio hanno aperto un fascicolo su Ustica. Il reato di
strage non si prescrive. È la volta buona buona per mettere la parola
fine?
«I fatti e gli indizi sono finalmente tutti in fila. Molti segreti sono
caduti. Non potremo mai processare militari stranieri ma ci sarà una
sentenza, anche se per difetto di giurisdizione, che racconterà come
sono morte 81 persone».
(Claudia Fusani / l’Unità)
http://www.stragi80.it/ustica-collisione-aerei-alleati-priore/
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