lunedì 19 aprile 2010

Alessandro Patelli il braccio destro segreto di bossi nella lega nord

Alessandro Dell'Orto per "Libero"
patelli e bossi

«Piacere e scusi se ho spostato il giorno dell'appuntamento, ma ieri avevo un esame all'Università».

Da quando Alessandro Patelli insegna?

«No, frequento come studente. Sono iscritto da tre anni a Scienze Politiche».

Quanti esami le mancano?

«Tre: psicologia sociale e due di lingua. Conto di finire entro dicembre, poi vorrei fare la specialistica. Ho la media del 24 e un 30 e lode in Sociologia della criminalità organizzata, con Nando Dalla Chiesa».

Patelli, perdoni la domanda un po' sfacciata. A 59 anni fa lo studente universitario, complimenti. Ma di cosa vive?
Umberto Bossi giovane

«Ho un vitalizio della Regione che mi permette di condurre una vita dignitosa. Abito a Milano e in questi anni ho fatto anche qualche consulenza. Poi, per un periodo, ho effettuato lavoretti per il pensionato universitario, cose umili. Tipo alzarsi alle 4.30, due volte la settimana, per portare in strada la spazzatura della Bocconi. Non mi vergogno a raccontarlo».

E con la politica non fa più nulla?

«Ad ogni tornata elettorale qualcuno mi chiama. Ultimamente ho aiutato la Dc».

E la Lega?

«Ora sono indipendente, ma il cuore è leghista, impossibile dimenticare i primi anni, le scelte, i sacrifici».

Le piace la Lega di oggi?

«Non credo che la nuova classe politica sia più preparata di quella dei miei tempi. I vari Cota, Zaia, Stucchi, semplicemente, dicono alla gente quello che la gente vuole sentirsi dire. Non c'è dietro un vero progetto politico».
lapresse renzo bossi

Roberto Calderoli è Ministro per la Semplificazione Normativa. Tante uscite folkloristiche, ma anche buoni risultati.

«Non mi piace. È una macchietta. Dice di aver soppresso 29mila leggi. Ma quali sono? Ce le spieghi. Non condivido il suo comportamento e sa che feci quando un suo parente, nel '94, mi disse indicandolo: "Eccolo, è nato il sostituto di Bossi!"?».

Che fece?

«Gli risi in faccia».

Rapporti difficili?

«Mai avuto l'ambizione di essergli amico. Lui invece ambiva a essermi nemico».
bossi umberto 03

E Umberto Bossi? L'ha più visto?

«Due anni fa, al funerale di Gnutti. Ci siamo stretti la mano, ma non mi ha detto nulla, né bravo, né pirla. Ho il dubbio che non mi abbia riconosciuto».

Vi siete mai sentiti?

«L'ho cercato per telefono, ma non credo gli sia giunta notizia: c'è una cerchia di persone che filtra ogni contatto... Mi piacerebbe incontrarlo, il nostro rapporto non è mai stato conflittuale. Non sono andato via dalla Lega per causa sua».

Le piace il Bossi di oggi?

«La Lega attualmente è lui».

E il futuro è il figlio Renzo detto la "trota"?

«No, temo che lui non troverà mai una collocazione adeguata, il confronto con il padre è troppo pesante. E pensare che Bossi ripeteva sempre che solo uno, in famiglia, deve far politica...».
barillari bossi

Alessandro Patelli, invece, ha figli?

«Chiara ha 34 anni, Paola ne ha 30. Federica, avuta dall'attuale compagna, ne ha 15. Mai parlato di politica con loro. Non so nemmeno cosa votano».

E lei per chi ha votato tre settimane fa? Perché sorride?

«Non provi a fregarmi, non lo dico».

E allora per chi non ha votato?

«Non ho votato per la Lega, se è questo che vuole sapere. Questione di candidati».

In che rapporto è con i Lumbard?

«La situazione non è chiara, loro non hanno mai voluto chiarirla. Forse qualcuno ha timore che possa riavvicinarmi».

Le piacerebbe?

«Me lo chiedesse Bossi, tornerei non domani, ma ieri. Ma non tutti sarebbero felici. Ne ho avuto la prova a Pontida...».
FRANCESCO COSSIGA

Quando?

«Dieci anni fa Bossi organizza la "Festa di riappacificazione". Dopo 50 metri vengo fermato da tre gruppi di militanti e poi arrivano le camicie verdi. Che mi minacciano: "Vai, altrimenti son botte". E quelli della Digos fanno finta di niente».

Facciamo un ulteriore salto all'indietro nel tempo. Al piccolo Alessandro Patelli.

«Nasco a Cologno al Serio, provincia di Bergamo, il 21 aprile 1950».

Auguri, tra 3 giorni sono 60! Il piccolo Patelli che bambino è?

«Uno spilungone in calzoni corti che fa il boy scout».
ANDREOTTI

Scuole?

«Quelle dell'obbligo e poi divento apprendista idraulico».

Perché nelle sue biografie si legge che ha il diploma di perito?

«Lo prenderò a inizio Anni '80, alle serali».

Quando il contatto con la politica?

«Nel 1985, tramite amici, vengo ingaggiato come indipendente nel Psi di Zanica. Nel frattempo ho un incarico nell'Assl. Dopo due anni esco dal gruppo, sono i periodi della prima Lega e mi ritrovo nel giro. Tanto che sarò presente allo studio Anselmo di Bergamo quando viene firmato lo statuto dell'Alleanza Nord».
Antonio Di Pietro

Sono anni duri?

«Siamo visti come razzisti. Io sono artigiano, idraulico in proprio e quando divento leghista perdo il 50 per cento dei clienti».

Bossi come lo conosce?

«Appuntamento a Bergamo, 1988. Siamo io, Antonio e Gisberto Magri: per entrare in Lega serve il suo benestare. Passa un'ora e non arriva. Due ore, niente. Dopo tre ore - un ritardo classico per lui - si presenta e si cena. E c'è subito feeling».

E Patelli diventa il "maggiordomo".

«Sono segretario amministrativo dal 1989 al 1992, e organizzativo fino al '94. Giorno e notte con Bossi, viviamo in simbiosi, di lui so tutto, vita morte e miracoli».

Allora puntiamo alto. Ci sveli qualcosa che non ha mai raccontato.
Sergio Cusani

«Nel 1991 Bossi ha il primo infarto, lo ricoverano a Varese e io ricevo una strana telefonata da due personaggi di primo piano della Lega Nord...».

Nomi, grazie.

«No, ma non è difficile intuire: uno è tuttora nella Lega, l'altro è andato via».

La chiamano e...?

«Cercano di convincermi, dicono che devo far dimettere Bossi, far decretare la sua incapacità di intendere e di volere. Così poi si può convocare il consiglio federale e prendere atto che le funzioni del segretario vengano assunte dal presidente federale in carica».
berlusconi giovane

E chi è?

«Franco Rocchetta».

Un piano perfetto per far fuori il Senatur!

«Io rispondo che finché Bossi avrà un filo di voce, non farò mai nulla del genere».

Bossi, poi, ha meditato vendetta?

«Non ha mai saputo nulla, lo scoprirà per la prima volta ora leggendo questa intervista: il mio ruolo richiedeva anche la capacità di moderare tra il movimento e lui. Ma non si stupisca, sa quante volte hanno cercato di boicottarlo?».

Patelli, mettiamo da parte il Bossi politico. E proviamo a descrivere il Bossi uomo.

«Nel rapporto a due era di un'umanità incredibile. Con uno sguardo capiva se avevi un problema, se eri preoccupato, se stavi bene o male. E ne parlava. Se solo si aggiungeva una terza persona, si trasformava diventando quasi disumano. Faceva di tutto per sminuire gli altri, sentiva la necessità di prevalere. D'altronde in quegli anni il movimento aveva bisogno di un dittatore. Ora non più».

Lei, oltre a essere il"maggiordomo", è anche responsabile amministrativo e organizzativo. Fa da punto di riferimento della Festa di Pontida, per esempio.
IRENE PIVETTI

«Quando decidiamo di organizzare la prima manifestazione c'è da trovare un campo adatto. Giro per Pontida, parlo con i contadini finché trovo l'area giusta. Che poi, nel tempo, verrà comprata».

Perché quel sorriso?

«Qualcuno ha rivenduto il terreno alla gente, metro quadrato alla volta. Ma la vicenda è poco chiara, dove sono i soldi?».

Lei nel '92 organizza anche una spettacolare spedizione a Roma...

«Vengono eletti 80 nostri parlamentari. Il problema è che solo due di loro sono già stati a Roma, mentre gli altri non sanno nemmeno dove sia la Camera e dove sia il Senato. Allora mi invento un perfetto viaggio di comitiva. Tutti a Linate in autobus e all'atterraggio a Fiumicino si va in centro a Roma rigorosamente con i mezzi pubblici per risparmiare. E lì, a gruppi, accompagno chi a Montecitorio e chi a Palazzo Madama».

Tra i suoi incarichi, anche amministratore della Cooperativa Editoriale Nord.

«In due giorni compriamo Radio Varese. Poi, nel '93, per tre mesi siamo a un passo dal prendere Telemontecarlo».

Urca. Cioè?

«Otteniamo da Mediobanca, a firma di Cuccia, un'opzione per subentrare. Che poi, però, decade senza che riusciamo a concludere».

Parliamo di carta stampata. Quando nasce l'idea della Padania?

«Nel '95 studio l'ipotesi quotidiano. La testata originale non è "Padania", ma "Voce del Nord". Non voglio un giornale di partito, ma di area, stile "Indipendente", per arrivare a chi ancora non è leghista. A far la differenza però è la questione economica: con un giornale di partito ci sono più finanziamenti e così nasce "La Padania"».

Patelli, più raccontiamo più si capisce che in quegli anni lei ha pieni poteri ...
MASSIMO DALEMA

«Ho le deleghe in bianco, fogli firmati da Bossi che è l'unico ad avere accesso ai conti: posso comprare, assumere e vendere quello che voglio. Per assurdo, potrei anche far sparire i soldi della Lega».

A renderla tristemente famoso, invece, sono soldi incassati e non spariti. I famosi 200 milioni. Da dove iniziamo, Patelli?

«Dal '91, quando provo a organizzare una serie di attività e associazioni alternative che permettano di accedere ai finanziamenti e poi distribuirli sul territorio: mi riferisco alll'Aclis (Associazione culturale leghe italiane sportive), al Cicos (l'organismo che doveva procacciare affari all' estero per i grandi gruppi). Vado in Croazia e a Mosca dove firmo due accordi. Il trucco è che poi i proventi e le consulenze ottenute da queste attività possono essere girate legalmente al partito».

Tra i grandi gruppi, c'è anche Enimont. Quando il primo incontro?

«Nel '91, con Marcello Portesi. Loro vogliono conoscere il pianeta Lega. Spiego quello che facciamo, programmi e attività. Mi chiedono un progetto scritto e dopo due mesi mi ripresento: possono darci sostegno per Aclis, Cicos e Publinord».

Quante volte vi incontrate in tutto?

«Quattro e l'ultima volta ci sono anche Bossi e per la prima volta Sama. Ma non si parla mai di soldi e cifre. E non chiediamo nessun finanziamento illecito. Anche perché non abbiamo bisogno di denaro in quel momento. Sa perché?».

Lo spieghi lei.

«C'è la campagna elettorale e facciamo due conti. Servirà più o meno un miliardo. I finanziamenti statali sono di 160 milioni. Non bastano. Allora vado dal direttore della Bnl di Varese per il prestito di un miliardo. Mi guarda: "Garanzie?". "Sono proprietario di un immobile che vale 1 miliardo e 800 milioni, una cascina a Zanica". Resta sorpreso, mi credeva uno sprovveduto. Si fida e così abbiamo i soldi, senza bisogno di chiedere delibere alla Lega o firme a Bossi».

Torniamo ai 200 milioni. In piena campagna elettorale lei riceve una telefonata da Portesi. Appuntamento a Roma, bar Doney in via Veneto.

«Non so nemmeno dove sia. Il tassista mi porta all'albergo vicino, non al bar. Alla reception chiedo di Portesi. Non risulta. Esco e lo trovo fuori, non dice nulla e mi dà un pacchetto».

Scusi, lei riceve un pacco e che pensa?

«Che sia un anticipo per la consulenza. Poca roba».

Bossi sapeva?

«Non posso rispondere».

Lei ha in mano il pacchetto e che fa?

«Vado nel panico, mai visti tanti soldi insieme. Sull'aereo, poi, realizzo che sono fregato perché ho in mano denaro che scotta ed è impossibile da gestire e da sistemare. Non posso dichiararlo senza sapere per quale attività mi è stato dato. Arrivato a Milano, decido di nascondere questi 200 milioni in sede, che per assurdo è il posto più sicuro».

Dopo qualche giorno, però, quei soldi le vengono rubati.

«La correggo. Mi vengono distratti. La differenza è sottile, ma importante».

Dal dizionario Zingarelli. Distrarre: "sottrarre e utilizzare qualcosa per scopi diversi dal previsto".

«Appunto».

In quanti sapevate di quella somma?

«In due».

Lei e Bossi?

«Non glielo posso dire. Lo deduca lei».

Come scoprite il furto?

«Bossi è a un comizio a Cremona. A tarda notte rientra in sede la Pivetti e trova tutto sottosopra. Chiama Bossi, che dopo pochi minuti, stranamente, è già lì. I ladri avevano cercato il denaro solo nei tre punti precisi dei miei tre uffici in cui sarebbe potuto essere...».

Al processo lei dichiara che sono spariti 150 milioni. Scusi, e gli altri 50?

«Vengono utilizzati per il partito. Con regolari fatture».

Ai carabinieri però denuncia il furto di soli 15 milioni.

«Come avrei potuto giustificare così tanti soldi non registrati?».

Patelli, ma in quegli anni come funziona il finanziamento ai partiti? È così necessario cercare sostegno altrove?

«Inevitabile, impossibile farne a meno. Anche la Lega in quel momento è costretta a far fronte ad aiuti, non può viverne senza. Non c'è partito che non va avanti se non in questo modo. Non si è mai chiesto perché Bossi mi sostituisce da responsabile amministrativo solo ad agosto, e non subito dopo il fattaccio dei 200 milioni?».

Perché?

«Nel frattempo la Lega ha 80 parlamentari, che portano entrate. E non c'è più bisogno di chiedere il sostegno ad altri al di fuori del gruppo...».

C'è un grande giro di soldi intorno a voi?

«La Lega fa gola. In quegli anni potrei diventare ricchissimo, se lo volessi. C'è gente disposta a pagare 2 o 3 miliardi per farsi candidare con noi. E io riceverei il 20 per cento. Ma, d'accordo con Bossi, rifiutiamo sempre. E poi, se solo raccontassi dei cambi di governo fino al ‘94...».

Non si dicono le cose a metà. Forza.

«C'era sempre chi veniva a perorare la propria causa per avere ministeri anche non della Lega. Gente che poi ha fatto il primo ministro per altri partiti...».

Tipo Prodi?

«Nessun nome».

Nel frattempo, il 17 febbraio 1992, scatta Mani Pulite.

«Guardi, c'è un aspetto che va preso in considerazione. La settimana prima dell'arresto di Chiesa so per certo che Di Pietro ha due incontri eccellenti».

Scusi, come lo sa. C'era?

«No, ma in quel momento siamo informati: intellettuali e Vip di ogni settore ci vedono con interesse e ci aggiornano».

E con chi si incontrerebbe Di Pietro?

«Lo chieda a lui. A me risulta Cossiga, presidente della Repubblica, e Andreotti, presidente del consiglio. Un modo, secondo me, per ottenere l'ok e partire con l'obiettivo di far fuori il Psi e i partiti. E...».

...e?

«Da chi crede abbia ricevuto i documenti Di Pietro? Pensa che li abbia trovati da solo? In quel periodo andò negli Usa, facile immaginare che i servizi segreti...».

Patelli, restiamo a Mani Pulite. Che ne pensa a distanza di quasi 20 anni?

«Non ha cambiato niente. Ha distrutto il sistema per non crearne un altro. Il vecchio sistema prendeva i soldi e li riciclava. Ora i soldi se li tengono per sé».

Lei viene arrestato il 7 dicembre '93, un anno e mezzo dopo aver preso i 200 milioni.

«Mesi infernali. Pian piano vengono arrestati tutti i responsabili amministrativi degli altri partiti, manco solo io.Non dormo di notte, sto malissimo».

Finché...

«Una mattina sto andando a pranzo a Tavernola, provincia di Bergamo. Mi telefonano, dicono che devo presentarmi in Questura e penso che ci siano problemi perché sto organizzando il congresso nazionale di Assago. Giro la macchina e faccio l'autostrada a 180 all'ora. Senza sapere che invece corro verso la galera».

Già, raccontiamo.

«Sto dentro per un giorno e mezzo. Sono tranquillo, perché quel momento nella mia testa l'ho già immaginato e vissuto mille volte. Lo psicologo si preoccupa, mi incontra tre volte: "La vedo troppo calmo. Non è che combina qualcosa?"».

A San Vittore come la accolgono?

«Vengo mandato per 4 ore in isolamento nei sotterranei. Poi mi fanno salire in cella e ricevo il dono degli altri carcerati».

In che senso? Insulti?

«No, un benvenuto vero! Chi mi regala un pane, chi una Simmenthal. Io penso al peggio, cerco di capire come potrò fare a lavorare perché sono convinto che starò recluso tanto, tantissimo».

Invece esce subito. Arresti domiciliari.

«Di Pietro mi viene a interrogare in carcere. Appena mi vede, si lascia scappare: "Questo qui non può aver tenuto i soldi per sé, non ha il maglione di cachemire". Poi cerca di farmi dire che Bossi sapeva tutto, prova a farmi scaricare le colpe sul Senatur. Ma non riesce nell'intento».

E perché la manda a casa?

«Gli racconto tutto come sto raccontando a lei. É soddisfatto».

Patelli, secondo lei Di Pietro come viene a sapere di quel denaro?

«Una soffiata di qualcuno in area Lega. La sua domanda a Sama, durante il processo, è diretta, di uno che già sa tutto».

Scusi, ma dei 200 milioni non sapevate solo lei e Bossi?

«Sì, ma Bossi era un po' chiacchierone. Alle cene con gli imprenditori, a fine serata, faceva il giro con il cappello per portare a casa soldi. E a volte si lasciava scappare qualche parola di troppo».

C'è qualcosa che lei, ancora, non ha capito di quella vicenda?

«Mi piacerebbe incontrare Cusani e fargli qualche domanda. Perché mi ha fatto dare quei soldi? Nessuno li aveva richiesti. Li dava a tutti ed era un modo per fregarci? Oppure qualcuno ci voleva ricattare?».

Torniamo all'arresto. Caos. Lega sotto accusa. E Bossi la soprannomina il "pirla".

«No, errore. Al congresso di Assago racconto tutto e sono io a darmi del pirla! L'idea, però, la rubo a Feltri, che il giorno prima, nell'editoriale sull'Indipendente, mi definisce così. Intendendolo alla bergamasca, però, cioè sempliciotto».

Patelli il pirla. Ma non c'era proprio modo di evitare il coinvolgimento della Lega?

«L'errore è stato non provare a staccarsi dal processo Enimont. Sarebbe bastato farmi eleggere al parlamento europeo. Poi, nell'anno e mezzo passato tra la mazzetta e il mio arresto, sarebbe bastato inserire quei soldi sul bilancio: voci vuote ce ne erano. Invece...».

Lei viene condannato a 8 mesi. Nel frattempo, però, continua a lavorare. Sempre con un ruolo importante.

«Nel '94 partecipo agli incontri tra Bossi e Berlusconi per la famosa alleanza».

Un aneddoto su Berlusconi?

«La domenica arrivo ad Arcore e mi accoglie il Cavaliere in giardino, in tenuta sportiva. Lo provoco: "Ma come, alla sua età si mette ancora a correre?". Silvio mi guarda con sfida: "Cribbio, ma lei sa che io faccio i 100 metri in 12 secondi?". Rido. Lui si gira e parte: giro del giardino di scatto come dimostrazione. Sa perché in quel momento è stato al gioco con uno come me?».

Perché?

«Noi della Lega piacevamo e lui aveva il contatto con la gente, percepiva ciò che le persone comuni e gli imprenditori volevano in quel momento. Ora non è più così. Adesso siamo in una sorta di dittatura democratica, con Berlusconi da una parte e il "Roberspierre Di Pietro" dall'altra».

Un aneddoto di Bossi?

«Il giovedì prima della presentazione delle liste siamo al tavolo io e lui, a un passo dall'accordo con Berlusconi. Ad un certo punto ci comunicano l'ennesima sostituzione tra i loro candidati e Bossi si arrabbia. E decide di far saltare tutto. Poi ci ripensa. Non avesse cambiato idea, chissà, la storia politica italiana sarebbe completamente diversa».

Nel '96 i rapporti con la Lega si incrinano.

«Mi fanno pagare il fatto che sono stato per anni l'uomo di Bossi. Mi sospendono per 6 mesi per una banalità e poi mi complicano la vita, impedendomi di utilizzare qualsiasi strumento del partito. Scrivo a Bossi: "Se le cose non cambiano, esco dal gruppo". Bossi mette la pratica nelle mani di Calderoli e non ho alcuna risposta. Come dire: non c'è la volontà di fare qualcosa».

E così lei esce dalla Lega. Dalla politica dei riflettori. Dalle cronache. A fine Anni '90, però, il suo nome riappare.

«Purtroppo. Una brutta vicenda e secondo me c'entra il mio passato politico».

In che senso?

«Non fossi stato il Patelli della Lega, non si sarebbero accaniti così».

Le va di raccontare?

«Faccio il volontario a Voghera, in una comunità di accoglienza giovanile. Tra gli ospiti c'è una ragazzina cinese di 17 anni, trovata a Linate senza passaporto, probabilmente destinata al mercato americano della prostituzione. Io e la mia compagna la aiutiamo e poi otteniamo l'affido, la mandiamo a scuola, la ospitiamo per sei mesi. Finché un giorno,dopo una banale discussione, lei va dall'assistente sociale e mi accusa di molestie sessuali».

Perché?

«Lo scopriremo poi, traducendo il suo diario cinese: i genitori al telefono tentavano di convincerla a scappare e tornare in Cina, portando soldi».

Viene denunciato?

«No, ma il pm Pietro Forno apre lo stesso un'inchiesta».

Come finisce?

«La ragazza, prima di fuggire in Oriente, confessa al Tribunale che si era inventata tutto, ma vengo comunque rinviato a giudizio. Poi assolto in tutti i gradi. Però...».

Però?

«L'accusa di molestie ai minori è la più infamante per un uomo. Le confesso che se non avessi avuto l'esperienza di Tangentopoli, che in qualche modo mi ha formato, mi sarei buttato da un viadotto. L'avrei fatta finita, suicida per vergogna».

Patelli, ultime domande veloci. 1) Il politico più bravo?

«Bossi perché è un animale politico. Craxi per coerenza: ha avuto il coraggio di dire cose che tutti sapevano e facevano, ma non avevano il coraggio di ammettere».

2) Un politico sottovalutato e uno sopravvalutato.

«Leoni e Di Pietro».

3) Il più simpatico e il più antipatico.

«Grillo e D'Alema».

4) Nella politica c'è più sesso o droga?

«Sesso. Di droga non ne ho mai vista».

Ultima. Se uno oggi le dà del pirla che fa?

«Sorrido. Ormai ci sono abituato. Basta che sia un pirla alla bergamasca, cioè sempliciotto».
by dagospia

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