lunedì 26 aprile 2010

PRODI - LA MALFA E' GRANDE GUERRA SUL CAPITALISMO

Repubblica — 08 ottobre 1993 pagina 4
ROMA - Durissimo attacco di Giorgio La Malfa a Romano Prodi, presidente dell' Iri, sul tema, ormai arroventato, delle privatizzazioni. Con un' esplosiva intervista a Alberto Statera della "Stampa" l' ex segretario del Pri accusa Prodi di essere favorevole a privatizzare le aziende dello Stato attraverso la formula della "public company" non per un desiderio di "democrazia finanziaria e industriale", ma solo per poter garantire agli amici della sinistra Dc (che oggi sono fortemente presenti nell' industria pubblica) di continuare a esercitare il loro personale dominio su queste stesse aziende. In che cosa consista la pietra dello scandalo è abbastanza chiaro e del resto è lo stesso La Malfa a spiegarlo. Da una parte c' è Prodi il quale ha proposto che le azioni delle aziende pubbliche da privatizzare vengano cedute a chi le vuole comprare, ai singoli riparmiatori, insomma. E questa è appunto la "public company". Dall' altra parte c' è invece Giorgio La Malfa che vorrebbe che per ogni azienda pubblica da privatizzare venisse costituito un "nocciolo duro", un gruppo di azionisti importanti. E la risposta di Romano Prodi? Per ora, di fatto, non c' è. Chiuso nel suo bunker di via Veneto, il professore tace. Raggiunto brevemente da alcuni giornalisti durante un convegno si è limitato a una battuta di spirito, a una protesta e a una dichiarazione seria. La battuta è questa: "Giudico l' intervista di Giorgio la Malfa ottima e abbondante". L' interpretazione è difficile: secondo Prodi, La Malfa ci è andato davvero pesante e tutta questa violenza deve pur avere un obiettivo. La protesta è questa: "Se uno si inventa le cose, poi è difficile fare obiezioni". In pratica: La Malfa sa benissimo che quello che dice è falso, ma io come faccio a polemizzare con uno che dice bugie sapendo di dirle? La cosa seria è la seguente: "Nella public company comandano gli azionisti che nominano i loro dirigenti. E grazie a Dio ci stiamo arrivando". Di più dal presidente dell' Iri non è possibile tirare fuori. Si sa benissimo, però, quello che gli passa per la testa. In sostanza, l' analisi di Prodi è la seguente: 1) Il capitalismo italiano è sempre stato povero di grandi protagonisti. Essi in fondo si riducono da decenni a pochissimi nomi: Agnelli, Pirelli, De Benedetti, Montedison, ai quali si possono aggiungere Berlusconi e pochi altri. 2) Tutto questo ha dato vita a un sistema abbastanza chiuso, senza dialettica, senza dinamica e, alla fin fine, conservatore. 3) Le privatizzazioni devono essere l' occasione per "ripopolare" la scena del capitalismo italiano con alcuni giganti che oggi sonnecchiano dentro le partecipazioni statali. Insomma, i 10/15 grandi gruppi che mancano al capitalismo italiano in realtà esistono. Solo che da decenni sono chiusi, congelati, dentro il sistema delle PpSs e sottoposti al controllo del potere politico. 4) Se tutto questo è vero, l' unica strada di crescita reale del nostro capitalismo consiste nel "liberare" questi giganti, lasciandoli liberi di correre, autonomi, nel mercato, alla ricerca della loro fortuna. 5) Questo progetto, ovviamente, impedisce che ci si metta intorno a un tavolo per decidere che la tale azienda va al tale gruppo e quest' altra a quell' altro. Altrimenti, avremmo ancora, alla fine del processo di privatizzazione, quattro o cinque grandi gruppi privati, soltanto un po' più grandi di prima. Dal punto di vista della qualità e del numero dei protagonisti nulla sarebbe cambiato. 6) Infine, non va nemmeno dimenticato che i quattro o cinque grandi gruppi privati ormai esistono solo sulla carta e nella memoria storica dei cronisti finanziari. Non si può certo pensare, ad esempio, alla Ferruzzi-Montedison, come a un gruppo che possa avere un ruolo attivo nel processo di privatizzazione. E altrettanto può dirsi della Pirelli. E nemmeno De Benedetti deve smaniare per acquistare qualcosa. Tutti questi gruppi (compreso Berlusconi) hanno, chi più chi meno, le loro difficoltà, e non si trovano certo nella fase in cui possono candidarsi nel ruolo di acquirenti. Questo poteva essere vero negli anni Ottanta, quando erano chiamati "i condottieri" e erano pieni di soldi e di progetti. 7) In realtà, l' unico soggetto che potrebbe essere interessato a qualche privatizzazione (ma forse solo a quella della Comit) è il gruppo Fiat-Mediobanca, con relativo contorno di alleati. Lì, nonostante la crisi e le difficoltà, ci sono ancora abbastanza risorse e amicizie da consentire qualche capacità di movimento. In conclusione: i noccioli duri non si possono fare perché non esiste nessuno in grado di parteciparvi davvero, mettendo sul tavolo risorse finanziarie importanti. 8) In ogni caso, vale l' obiezione già fatta: alla fine si costruirebbe un "sistema" che ruoterebbe tutto intorno al magico asse Fiat-Mediobanca, e questo va esattamente nella direzione contraria a quella che invece vuole arricchire il capitalismo di nuovi e importanti protagonisti. 9) Ma nelle public company è vero che poi non comanderebbe nessuno e che quindi sarebbe ancora una volta il potere politico a decidere? Su questo punto la risposta che si ricava dagli studi di Prodi e dai seminari fatti a Bologna a Nomisma è molto netta. L' Iri e l' Eni devono trasformare le loro aziende in tante "public company", uscire del tutto dal loro azionariato e poi non occuparsene più. 10) Anzi, per impedire che qualcuno (magari uno straniero) si metta a scalare, poniamo, la Stet o il futuro Enel privatizzato, si stanno studiando varie norme. La più semplice delle quali consiste nel non stabilire limiti alla proprietà delle azioni (ognuno potrà comprare quante Stet vorrà), ma nel porre invece dei limiti molto severi nell' uso del diritto di voto. In pratica, un soggetto può comprare, per esempio, tutte le Stet che vuole, ma poi in assemblea potrà disporre soltanto di un tot di voti. Riguardo al voto in assemblea (e quindi alla nomina dei manager) gli azionisti saranno "plafonati". In realtà, come si vede, qui si stanno scontrando due linee di pensiero assolutamente divergenti. Dietro le quali, ovviamente, non ci sono soltanto idee diverse sui "modi di essere" del capitalismo, ma questioni di potere precise. Non è un mistero, ad esempio, che Cuccia coltiva desideri forti sulla Comit (che nel progetto di Prodi non potrebbe mai avere), mentre altri hanno mire sulla Stet, considerata una gallina dalle uova d' oro. E i politici, che da mesi si erano disinteressati delle privatizzazioni, ora tornano in forze a occuparsene. La Malfa ha gettato il sasso, ma stanno già arrivando gli altri. - GIUSEPPE TURANI

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